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[SM=g1740758] FLORILEGIO SPIRITUALE
Per fra Carlo la moderazione nelle penitenze e soprattutto la soprannaturalità nelle azioni sono l'elemento base della perfezione: "Il pensare continuamente in Dio santifica la mente, riscalda l'affetto, illumina l'intelletto, serve di freno a guardia all'anima per non commettere peccati veniali (maggiormente i gravi), ed è scopa dei vizi e preparazione per l'orazione; adorna la stanza dell'anima di cordiale devozione, la fa cieca nel vedere i difetti dei prossimi e le concede di parlare amorosamente di Dio per utilità del prossimo. Vi sono molti che procurano la purità del cuore per vie lunghe e faticose, cioè digiunando, vigilando, disciplinandosi, dormendo sulla nuda terra al freddo, al caldo, affliggendo in varie maniere il corpo, e tutto ciò per ottenere la nettezza e limpidezza interiore, nella quale si possiede la consumata perfezione; ma io direi, con ogni sommissione, che la più facile via, per giungere prestamente alla perfezione, sia ili continuo pensare in Dio, concludendo che chi spesso pensa in Dio, Dio è con lui e lo tiene per grazia e non ha cosa che gli manchi. Procuri dunque ognuno, nei suoi pensieri e intenzioni, di avere sempre Dio per oggetto, e di non attaccarsi alle creature. Per esempio se uno fa una carità ad un altro, è molto buona cosa averlo per oggetto come suo prossimo, ma meglio sarà averlo per oggetto come membro di Cristo, e sarà atto di carità tanto più meritorio, quanto che un oggetto è dell'altro infinitamente più degno ed elevato" (III, 191s).
La povertà, "scala del cielo", è composta di cinque "scalini", ai quali corrispondono tre gradi nella vita spirituale: il primo consiste nel godimento dei "divini abbracciamenti" o consolazioni spirituali sensibili; il secondo è qualificato dalla ricerca dell'amor puro e dal dominio dell'aridità; il terzo corrisponde all'unione trasformante. In esso gli "eroi" che vi giungono "stanno solo in Dio, e da Dio sono rimirati; ed essendo rimirati da quel divinissimo sole indivisibile, divengono illuminati e chiari e quasi in chiarezza trasformati, e due soli, fatto uno, pizzicando a un certo modo di dire per partecipazione quasi del divino di quella fruizione soprannaturale e indivisibile, appunto come succede alla caraffa che in sé riceve il vino rosso: pare che trasparentemente riceva lo stesso colore, benché il suo proprio sia indifferente per ricevere i colori". Questo "grado dello spirito" viene conquistato nel quinto "scalino" (IV, 403ss).
La sintesi della vita cristiana e della perfezione consiste nel possesso vitale, o esistenziale, delle virtù, in modo particolare di quelle teologali. "In quella della santa fede, per esser quella, come dice il glorioso apostolo san Paolo, la sostanza e il fondamento di tutte le altre, e fa che crediamo tutto quello che tiene la nostra santa madre Chiesa apostolica romana, e per mezzo delle verità cattoliche che in essa santa Chiesa si racchiudono l'anima in fede si dispone ad unirsi con il suo sommo bene. Nella speranza, la quale è necessaria per salvarsi, come lo stesso Apostolo c'insegna: per la speranza siamo fatti salvi; e con questa speranza ancora perviene l'anima sposa alla pace e unione con il suo diletto sposo. Nella carità, come quella che è la maggiore, ed è dono dello Spirito Santo e condimento di tutte le virtù, ed è quella che velocissimamente fa correre l'anima allo sposo suo e la sommerge nell'ardentissima fornace del suo divino amore, facendola ardere tutta d'amore" (IV, 149s).
Da quanto detto risulta che la preminenza delle virtù venga attribuita alla carità; meglio: l'epilogo e il coronamento della perfezione si realizza nel possesso inebriante dell'amore, che oltrepassa l'umano intendimento. In altre parole tutte le virtù, quando sono schiette, si ricapitolano nell'amore, dal quale sono sorrette, trasformate e sublimate. Proprio per questo scrive il Santo: "£ più conveniente il credere con devoto affetto che voler sottilmente speculare i profondi misteri di Dio, che stanno racchiusi nella nostra santa fede" (V, 47); infatti "l'amore vero non consiste tanto nel sapere, quanto consiste nell'amare" (V, 160). E propriamente in amare tanto che mai si possa dire basta: "Sebbene si stesse lungamente in questa vita e si camminasse velocemente con lunghi passi, non si può amare tanto che si possa dire: Non plus ultra" (V, 490); quindi con progressione costante, a volte dolorosa, a volte incendiaria, cioè con tutte le coordinate insite in tale bruciante desiderio, intessuto di pena e di gaudio, di ansia e di godimento, di attesa e di "abbracciamenti" sino a raggiungere la "saggia ignoranza" o "gustosa intelligenza" (IV, 217; V, 59, 83, 219, ecc.), la "deiformità" (V, 70), lo "stato deifico" (V, 94).
S. Carlo ci informa che se l'uomo potesse conoscere pienamente il proprio essere, cadrebbe in un grande avvilimento e la gioia sarebbe lontana dal suo cuore; ma il Signore vuole che "l'amiamo con la maggiore perfezione, non con amore servile, come fanno gli schiavi con i loro padroni, ma con amor puro e sincero, che non riguarda né a pena, né a premio, né a morte, ma a lui solo, come quello che è il nostro bene" (VI, 441).
Il puro amore produce nei servi di Dio la gioia di compiere la volontà divina, "ove come in un tugurio divino si riparano, e allora il diletto che sentono è assai maggiore dei passati travagli, e gli stessi travagli e fatiche gli si convertono in diletti. Di modo che lasciano addietro ogni curiosità in tutte le loro azioni, che gli succedono sinistramente o prosperamente. E a somiglianza dei servi fedeli, che mai si discostano dalla volontà dei loro padroni - tenuta da essi per buona e salutifera - con molta sottomissione si sommergono nel puro e nudo spirito di servire a Dio come a Dio, e non per i regali che gli dà, o per desiderio di premio e di gloria, ovvero per timore di pena. Non bramano di sapere cosa alcuna di altri e di loro stessi. Non amano, non ammirano, né cercano le cose create, perché con una scienza divina hanno già vinta la meraviglia che nasce dall'ignoranza. Anzi illuminati dalla prima verità, nemmeno da Dio vogliono saper cosa alcuna di se stessi, ma sommersi nel fonte del divino volere, vogliono vivere nella divina legge, senza aver memoria e intelletto per pensare altro o volontà per amare" (VI, 518).

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)