00 29/06/2016 17:16

VISITA A "VILLA NAZARETH"


PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Sabato, 18 giugno 2016


[Multimedia]




 


Commento al Vangelo del Buon Samaritano (Lc 10,25-37)


Ci sono tante persone coinvolte in questo brano del Vangelo: quello che fa la domanda “chi è il mio prossimo?”; Gesù; e poi, nella parabola, i briganti, il povero che era mezzo morto sulla strada, poi il sacerdote, poi il dottore della legge, forse avvocato [il “levita”]; poi il locandiere, l’albergatore.


Nella parabola, forse né il sacerdote né il dottore della legge né il samaritano né l’albergatore sapevano rispondere alla domanda “chi è il prossimo?”; forse neppure conoscevano com’era “il prossimo”, chi era “il prossimo”. Il sacerdote era di fretta, come tutti i preti, perché ha guardato l’orologio: “Devo dire la Messa”, o, tante volte: “Ho lasciato la chiesa aperta, devo chiuderla, perché l’orario è quello e non posso rimanere qui”. Il dottore della legge, uomo pratico, ha detto: “Se io mi immischio in questo, domani devo andare in tribunale, fare il testimone, dire quello che ho fatto, perdo due, tre giorni di lavoro… No, no, meglio…”. Viva Ponzio Pilato, e se n’è andato. Invece, quell’altro [il samaritano] peccatore, straniero che non era proprio del popolo di Dio, si è commosso: “ebbe compassione”, e si fermò. Tutti e tre – il sacerdote, l’avvocato e il samaritano – sapevano bene, conoscevano bene cosa si doveva fare. E ciascuno di loro ha preso la propria decisione. Ma a me piace pensare all’albergatore: è l’anonimo. Lui ha guardato tutto questo, ha visto e non ha capito nulla. “Ma questo è pazzo! Un samaritano che aiuta un ebreo! E’ pazzo! E poi, con le sue mani gli guarisce le ferite e lo porta qui all’albergo e mi dice: ‘Tu prenditi cura di lui, io ti pagherò se c’è qualcosa in più…’. Io non ho mai visto una cosa simile, questo è un pazzo!”. E quell’uomo ha ricevuto la Parola di Dio: nella testimonianza. Di chi? Del sacerdote, no, perché neppure lo aveva visto; dell’avvocato, lo stesso. Del peccatore, un peccatore che ha compassione. “Ah, hai sentito quella cosa? Un peccatore, sì, non era fedele al popolo di Dio, ma ha avuto compassione”. E non capiva niente, è rimasto con il dubbio, forse con la curiosità: “Ma che cosa è successo qui, strano…”. Con l’inquietudine dentro; e questo è ciò che fa la testimonianza. La testimonianza di questo peccatore ha seminato inquietudine nel cuore di questo locandiere; e cosa è successo di lui, il Vangelo non lo dice, neppure il nome. Ma sicuramente quest’uomo… – di sicuro, perché lo Spirito Santo quando semina, fa crescere – di sicuro è cresciuta la sua curiosità, la sua inquietudine, l’ha lasciata crescere nel suo cuore e ha ricevuto il messaggio della testimonianza. Poi, giorni dopo, è passato un'altra volta da quelle parti il samaritano; sicuramente ha pagato qualcosa. Oppure [l’albergatore gli ha detto]: “No, lascia, lascia: questo va sul mio conto”. Forse questa è stata la sua prima reazione alla testimonianza.


E perché io mi soffermo, oggi, su questo personaggio, su questa persona? Perché la nostra testimonianza non si può contabilizzare – non so come si dice –. La testimonianza è vivere in modo tale che gli altri “vedano le opere vostre e glorifichino il Padre che è nei Cieli” (cfr Mt 5,16), cioè che incontrino il Padre, che vadano a Lui… Sono parole di Gesù.


Io, su Villa Nazareth ho sentito delle notizie: “C’è questa Opera…”, ma non conoscevo bene. Poi Mons. Celli mi ha detto qualche cosa… E’ un’Opera, un lavoro dove si favorisce la testimonianza. Qui si viene non per “arrampicarsi”, né per guadagnare soldi, no, ma per seguire le tracce di Gesù e dare testimonianza di Gesù, seminare testimonianza. Nel silenzio, senza spiegazioni, con i gesti… Riprendere il linguaggio dei gesti. E sicuramente questo albergatore è in cielo, di sicuro!, perché quel seme, di sicuro, è cresciuto, è germogliato. Ha visto una cosa che mai, mai avrebbe pensato di vedere. E questa è la testimonianza. La testimonianza passa e se ne va. Tu la lasci lì e vai. Solo il Signore la custodisce, la fa crescere, come fa crescere il seme: mentre il padrone dorme, cresce la pianta.


Mi auguro che quest’Opera continui ad essere un’Opera di testimonianza, una casa di testimonianza; di testimonianza a tutti, a tutti. Di testimonianza per la gente che si avvicina, o che ne sente parlare… una testimonianza. Mi auguro questo. E che il Signore ci liberi dai briganti – ce ne sono tanti! –, ci liberi dai sacerdoti di fretta o che vanno in fretta, sempre, non hanno tempo di ascoltare, di vedere, devono fare le loro cose…; ci liberi dai dottori che vogliono presentare la fede di Gesù Cristo con una rigidità matematica; e ci insegni a fermarci e ci insegni quella saggezza del Vangelo: “sporcarsi le mani”. Che il Signore ci dia questa grazia. Grazie.




Domande e risposte


Il coraggio della scelta - Valentina Piras


Santo Padre,


prima di maestri, noi giovani abbiamo bisogno di testimoni credibili. Sovente abbiamo la consapevolezza di abitare una realtà complessa nella quale non ci sono punti di riferimento costanti e dove vengono proposte esperienze senza sostanza. A volte siamo ragazzi e adulti ‘parcheggiati’ nella vita, preda dell’illusione del successo e del culto del proprio ego, incapaci di donarci agli altri. Santo Padre, noi vorremmo che Lei ci desse una parola che ci aiuti a far luce sulle tenebre che sovrastano i nostri cuori. Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?


Papa Francesco:


Grazie. Una parola-chiave è: “Noi giovani abbiamo bisogno di testimoni credibili”. E questa è proprio la logica del Vangelo: dare testimonianza. Con la propria vita, il modo di vivere, le scelte fatte… Ma testimonianza di che? Di diverse cose. Testimonianza, noi cristiani, di Gesù Cristo che è vivo, ci ha accompagnato: ci ha accompagnato nel dolore, è morto per noi, ma è vivo. Detto così, sembra troppo clericale. Ma io capisco qual è la testimonianza che i giovani cercano: è la testimonianza dello “schiaffo”. Lo schiaffo è una bella testimonianza quotidiana! Quella che ti sveglia, ti dice: “Guarda, non farti illusioni con le idee, con le promesse…”. Anche illusioni più vicine a noi. L’illusione del successo: “No, io vado per questa strada e avrò successo”. Del culto del proprio ego. Oggi, tutti lo sappiamo, lo specchio è di moda! Guardarsi. Il proprio ego, quel narcisismo che ci offre la cultura di oggi. E quando non abbiamo testimonianze, forse la vita ci va bene, guadagniamo bene, abbiamo una professione, c’è un bel posto di lavoro, una famiglia…, ma tu hai detto una parola molto forte: “Siamo uomini e donne parcheggiati nella vita”, cioè che non camminano, che non vanno. Come i conformisti: tutto è abitudine, un’abitudine che ci lascia tranquilli, abbiamo il necessario, non manca niente, grazie a Dio… “Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?”. La parola l’ho detta tante volte: rischia! Rischia. Chi non rischia non cammina. “Ma se sbaglio?”. Benedetto il Signore! Sbaglierai di più se tu rimani fermo, ferma: quello è lo sbaglio, lo sbaglio brutto, la chiusura. Rischia. Rischia su ideali nobili, rischia sporcandoti le mani, rischia come ha rischiato quel samaritano della parabola. Quando noi nella vita siamo più o meno tranquilli, c’è sempre la tentazione della paralisi. Non rischiare: stare tranquilli, quieti… “Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro”, hai domandato, “di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive?”. Avvicinati ai problemi, esci da te stesso e rischia, rischia. Altrimenti la tua vita lentamente diventerà una vita paralitica; felice, contenta, con la famiglia, ma lì, parcheggiata – per usare la tua parola. E’ molto triste vedere vite parcheggiate; è molto triste vedere persone che sembrano più mummie da museo che esseri viventi. Rischia! Rischia. E se sbagli, benedetto il Signore. Rischia. Avanti! Non so, questo mi viene di dirti.


La fatica della fede nel mondo di oggi – Gabriele Giuliano


Caro Papa Francesco,


sui giornali spesso troviamo notizie drammatiche relative alla tragedia che sta colpendo le comunità cristiane sparse nel mondo: questi eventi ci inducono ad una profonda riflessione su quanto possa essere testimoniata e vissuta la propria fede, addirittura fino alla morte. Questo coraggio della fede autentica ci mette tutti davvero in discussione. Come possiamo essere testimoni credibili del Vangelo, come annunciare il messaggio di Cristo al mondo? Molti di noi, con tutte le mancanze e i limiti intrinseci all’essere umano, ci provano, ma si scoraggiano facilmente. A Lei succede? Si è mai trovato in crisi con la sua fede? Dove e come ha trovato il modo di riprendersi, non stancarsi, e continuare nel suo mandato, da laico prima, da consacrato poi?


Papa Francesco:


Ma, tu hai fatto una domanda troppo personale! E io devo fare la scelta… O rispondo la verità, o faccio una telenovela che sia bella e via… La tragedia delle comunità cristiane sparse nel mondo: questo è vero. Ma è il destino dei cristiani: la testimonianza – riprendo la parola testimonianza - fino a situazioni difficili. A me non piace, e voglio dirlo chiaramente, a me non piace quando si parla di un genocidio dei cristiani, per esempio nel Medio Oriente: questo è un riduzionismo, è un riduzionismo. La verità è una persecuzione che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza nella propria fede. Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio. Quei 13 – credo che fossero uomini egiziani cristiani copti, santi oggi, canonizzati dalla Chiesa Copta – sgozzati sulle spiagge della Libia: tutti sono morti dicendo: “Gesù, aiutami!”. Gesù. Ma io sono sicuro che la maggioranza di loro non sapesse nemmeno leggere. Non erano dottori in teologia, no, no. Era gente, come si dice, ignorante, ma erano dottori di coerenza cristiana, cioè erano testimoni di fede. E la fede ci fa testimoniare tante cose difficili nella vita; anche con la vita testimoniamo la fede. Ma non inganniamoci: il martirio cruento non è l’unico modo di testimoniare Gesù Cristo. E’ il massimo, diciamo, eroico. E’ anche vero che oggi ci sono più martiri che non nei primi secoli della Chiesa, è vero. Ma c’è il martirio di tutti i giorni: il martirio dell’onestà, il martirio della pazienza, nell’educazione dei figli; il martirio della fedeltà all’amore, quando è più facile prendere un’altra strada, più nascosta: il martirio dell’onesta, in questo mondo che si può chiamare anche “il paradiso delle tangenti”, è tanto facile: “Lei dica questo e avrà questo”, dove manca il coraggio di buttare in faccia i soldi sporchi, in un mondo dove tanti genitori danno da mangiare ai figli il pane sporcato dalle tangenti, quel pane che loro comprano con le tangenti che guadagnano… Lì è la testimonianza cristiana, lì è il martirio: “No, io non voglio questo!” – “Se tu non vuoi, non avrai quel posto, non potrai salire più in alto”. Il martirio del silenzio davanti alla tentazione delle chiacchiere. Per un cristiano – lo dice Gesù – non è lecito chiacchierare. Gesù dice che quello che dice “stupido” al fratello deve andarsene all’inferno. Voi sapete che le chiacchiere sono come la bomba di un terrorista, di un kamikaze – non di un kamikaze, di un terrorista, almeno il kamikaze ha il coraggio di morire anche lui – no, le chiacchiere sono quando io butto la “bomba”, distruggo quello, e io rimango felice. Ma la testimonianza cristiana è il martirio di ogni giorno, il martirio silenzioso, e noi dobbiamo parlare così. “Ma noi siamo uomini e donne martirizzati, dobbiamo avere la faccia triste, una faccia… col muso lungo”. No. C’è la gioia della parola Gesù, come quelli della spiaggia della Libia.


E ci vuole coraggio, e il coraggio è un dono dello Spirito Santo. Il martirio, la vita cristiana martiriale, la testimonianza cristiana non si può vivere senza il coraggio della vita cristiana. San Paolo usa due parole, per indicare la vita martiriale cristiana, la vita di ogni giorno: coraggio e pazienza. Due parole. Il coraggio di andare avanti e non vergognarti di essere cristiano e farti vedere come cristiano, e la pazienza di portare sulle spalle il peso di ogni giorno, anche i dolori, anche i propri peccati, le proprie incoerenze. “Ma, si può essere cristiano con i peccati?”. Sì. Tutti siamo peccatori, tutti. Il cristiano non è un uomo o una donna che ha l’asepsi dei laboratori, non è come l’acqua distillata! Il cristiano è un uomo, una donna capace di tradire il proprio ideale con il peccato, è un uomo e una donna debole. Ma noi dobbiamo riconciliarci con la nostra debolezza. E così il naso [l’aspetto] diventa un po’ più umile. Più umile.


La verità non è nelle apparenze. “Io non sono peccatore”, come quel fariseo che pregava davanti al Signore: “Ti ringrazio perché non sono come questo, come quello, come quell’altro”; sporcava tutti, ma lui era pulito. Si pavoneggiava. Permettetemi, è un po’… non è troppo corretto, no, non è proprio lecito quello che io dirò adesso, ma l’immagine ci aiuterà. La coerenza cristiana della verità è sentirsi peccatori e bisognosi di perdono; invece quello che si pavoneggia di essere cristiano perfetto, è come il pavone: ma che bello il pavone!, si vede, è una realtà bella... Scusatemi, ma girate di dietro: anche quella è la verità del pavone! E il messaggio di Cristo al mondo è così: siamo peccatori, e Gesù ci ha amato, ci ha guarito, o siamo in via di guarigione, sempre. E ci ama. E questi limiti intrinseci a noi e anche limiti estrinseci che noi vediamo, per esempio, l’ipocrisia nella Chiesa, l’ipocrisia dei cristiani;  questi limiti ci scoraggiano, e così la fede entra in crisi. E qui la domanda sfacciata: “Si è mai trovato in crisi con la sua fede?”. Questa è una domanda che fate al Papa! Avete coraggio! “Dove e come ha trovato il modo di riprendersi, non stancarsi e continuare nel suo mandato, da laico, prima, da consacrato, poi?”. Tante volte io mi trovo in crisi con la fede e alcune volte anche ho avuto la sfacciataggine di rimproverare Gesù: “Ma perché Tu permetti questo?”, e anche dubitare: “Ma questa sarà la verità, o sarà un sogno?”. E questo da ragazzo, da seminarista, da prete, da religioso, da vescovo e da Papa. “Ma come mai il mondo è così, se Tu hai dato la Tua vita? Ma non sarà, questa, un’illusione, un alibi per consolarci?”. Un cristiano che non abbia sentito questo, qualche volta, la cui fede non sia entrata in crisi, gli manca qualcosa: è un cristiano che si accontenta con un po’ di mondanità e così va avanti nella vita. Mi hanno detto – perché io non conosco il cinese, con le lingue ho tanta difficoltà, vedete… - non conosco il cinese, ma mi hanno detto che la parola crisi, in cinese, si fa con due ideogrammi: uno è l’ideogramma rischio e l’altro l’ideogramma opportunità. E’ vero. Quando uno entra in crisi – come quando Gesù disse a Pietro che il diavolo lo avrebbe messo in crisi [“vagliato”] come si fa con il grano, e tante volte il diavolo, la vita, il prossimo, tante persone ci fanno “saltare” come il grano, ci mettono in crisi – c’è sempre un pericolo, un rischio, un rischio in senso non buono, e un’opportunità. Il cristiano – questo l’ho imparato – non deve avere paura di entrare in crisi: è un segno che va avanti, che non è ancorato alla riva del fiume o del mare, che ha preso il largo e va avanti. E lì ci sono i problemi, le crisi, le incoerenze, e la crisi del proprio peccato, che ci fa tanto vergognare. E come non stancarsi? E’ una grazia. Chiedila al Signore: “Signore, che non mi stanchi. Dammi la grazia della pazienza, di andare avanti, di aspettare che venga la pace”. Non so: così mi sembra di rispondere. 

  continua............


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)