00 02/06/2013 09:24
CAPITOLO II

ESISTENZA DEL PURGATORIO


La preghiera per i morti

Finora noi abbiamo supposto come ammessa da tutti l'esistenza del Purgatorio, ma siccome da molti non si crede purtroppo a questa verità, e i protestanti la considerano come una superstizione della Chiesa cattolica, bisogna fermarci alquanto sulle prove che stabiliscono questa verità, per trattare poi tutti i punti della dottrina cattolica riguardante il Purgatorio.

Noi partiamo dal principio a tutti evidente, che la preghiera per i defunti suppone il domma del Purgatorio. Infatti per i Santi del Paradiso non si prega, come non si può pregare per i dannati dell'Inferno, per quelli perchè non hanno bisogno e per questi perchè si trovano nella impossibilità di trar profitto dalle nostre preghiere. La preghiera per i morti sup­pone quindi uno stato intermedio fra la beatitudine del Cielo e la eterna disperazione dell'Inferno: stato di sofferenza, ma di sofferenza temporanea, durante la quale le anime tormentate possono ricevere sollievo dai suffragi dei vivi,

La preghiera per i morti suppone quindi l'esistenza del Purgatorio, e tale preghiera si è fatta in tutti i tempi e da tutti i popoli. Gli Ebrei conobbero tale preghiera, dal momento che vediamo Giuda Maccabeo fare una colletta per offrire sacrifici in memoria e a vantaggio dei soldati del suo esercito caduti combat­tendo. La sacra Scrittura, lungi dal biasimare questo atto, aggiunge nel riferirlo una riflessione opportuna Sancta ergo et salubris est cogitatio pro defunctis exo­rare, ut a peccatis solvantur (2 Mac., 12, 46)

A proposito del culto per i morti tra i popoli primi­tivi o pagani, abbiamo la storia e la letteratura che ne parlano. Si curò la sepoltura dei cadaveri, si offrirono sacrifici e si fecero ovunque preghiere, perchè le ani­me dei trapassati riposassero in pace. Ed è quanto si fa ancora oggi tra i popoli, ai quali non giunse ancora la luce del Vangelo.

Nella Chiesa poi i riti di suffragio risalgono ai tempi apostolici, come ne fan fede le antichissime liturgie, le quali prescrivevano che nel tempio, dopo essere stati letti sui sacri dittici i nomi delle persone viventi, con le quali v'era comunione di preghiera, si leggessero quelli dei defunti in modo particolare raccomandati; e il sacerdote, come del resto fa ai nostri giorni, rac­colto in orazione, invocava per i defunti locum refri­gerii, lucis et pacis. Tutte le liturgie antiche, senza eccezione, ci ricordano questo rito, il quale per le for­me con cui veniva fatto prese il nome di "preghiera sopra i dittici”- oratio super dyptichos.

Negli Atti di Santa Perpetua, scritti in gran parte dalla Santa medesima, è bellissimo il passo, che vogliamo citar per intero, nel quale si parla proprio della fede che avevano gli antichi cristiani nel Purgatorio. La Santa dopo aver parlato delle circostanze della sua cattura e dei primi giorni passati nel carcere in compagnia di altri confessori della fede, così prose­gue: «Mentre un giorno eravamo tutti in preghiera, mi venne sulle labbra il nome del mio Dinocrate, e ri­masi stupita di non essermi mai fino a quel punto ricordata di lui. Mi afflisse il dubbio della sua infe­licità e conobbi allora che ero degna di pregare per lui e che perciò bisognava pregassi. Incominciai quin­di a pregare fervorosamente, gemendo davanti a Dio e nella notte seguente ebbi questa visione.

«Vidi Dinocrate uscire da luoghi tenebrosi, dove molti altri stavano con lui. Egli era tutto arso e divo­rato dalla sete, sordido in volto, di aspetto pallido e con la faccia tuttora corrosa dall'ulcere di cui perì.

Questo Dinocrate era mio fratello secondo la carne, in età di sette anni morì di un cancro al volto, che lo rendeva oggetto di orrore a quanti lo guardavano. Per lui io avevo pregato. Sembravami dunque che una gran distanza corresse fra lui e me, in modo che fosse impossibile appressarci l'una all'altro. Vicino, a lui vidi un bacino pieno d'acqua, il cui orlo essendo più alto della persona del fanciullo, non poteva essendo Dino­crate in alcun modo essere raggiunto per quanti sforzi facesse, onde appressare le sue labbra a quell'acqua refrigerante. Oh! quanto mi addolorava quel suppli­zio. In questofrattempo io mi svegliai, e da tutto ciò conobbi che il mio fratello trovavisi in stato di pena, e sperai di poterlo sollevare. Incominciai dunque a pregare Dio giorno e notte con lacrime e con sospiri, perchè mi concedesse la grazia della sua liberazione, e continuai le preghiere finchè fummo trasferiti nella prigione del campo, per servire di pubblico spettacolo nella festa di Cesare Geta. Il giorno in cui fummo avvinti in catene per essere condotti alla festa, io ebbi un'altra visione, nella quale scorsi il medesimo luogo visto la prima volta, e Dinocrate col corpo mondo, ri­vestito di splendide vesti e senza neppure una lieve cicatrice nel posto dell'antica piaga. L'orlo del bacino si era abbassato fino ai fianchi del fanciullo, e presso di lui stava un'ampolla d'oro per attingere acqua. Ed essendosi Dinocrate avvicinato, incominciò a bere di quell'acqua, senza che essa scemasse, e quando ne fu sazio abbandonò tutto ilare il bacino per andare a giuocare, come è costume dei fanciulli di quella età. In quel mentre mi destai, e compresi da ciò che il mio fratello era ormai libero da ogni pena ». (Acta S. Perpetuae, apud Bolland. 7 Martii).

Si legge in Eusebio di Cesarea che Costantino diede ordine che il suo sepolcro sorgesse nella chiesa dei SS. Apostoli da lui fatta costruire a Costantinopoli, e ciò nella speranza d'esser messo a parte, dopo la sua morte, delle preghiere che sarebbero state fatte in quel luogo sacro, com'ebbe a dichiarare nel suo testamento.

Nel secolo V S. Agostino rende omaggio alla pietà di sua madre, S. Monica, con uno splendido passo delle sue Confessioni, che qui vogliamo citare, e che dimo­stra la fede ch'egli aveva nel Purgatorio, e quanto sperasse dalle preghiere fatte per la madre (S. Agostino, Conf., libro IX, cap. 9 segg.).

«Un giorno la mia diletta madre, assalita da im­provvisa debolezza, perdette i sensi: quando correm­mo ìn suo aiuto, essendo già ritornata in sè, guardò tutti noi che la circondavamo, riconobbe me e mio fra­tello e con voce piangente ci disse: - Dove ero io? - E poichè ci vedeva ìnerti e oppressi dal dolore, soggiunse: - Qui, o figli miei, lascierete vostra ma­dre. - Io non risposi, chè il pianto mi impediva di parlare, ma il fratello con parole di conforto le disse di sperare di ritornare nella terra dei padri suoi. Ella fissatolo con sguardo triste per mostrargli che aveva tutto compreso, volse gli occhi sopra di me, e mi dis­se: - Senti che cosa ha detto? - e poco dopo rivol­gendosi ad ambedue: - Voi comporrete questo corpo in quel luogo ove meglio vi piacerà; non ve ne pren­dete pensiero. L'unica preghiera che vi rivolgo è che dovunque vi troverete vi ricordiate di me nel Sacrifi­zio divino». A questo proposito S. Agostino fa queste belle riflessioni: «Ora che il primo dolore prodotto dall'affetto naturale è passato, io vi loderò, o Signore, in nome della vostra serva, ed altre lacrime spargerò dinanzi a voi, che non siano della carne, ma bensl dello spirito, lacrime che fluiscono spontanee dal ci­glio quando si pensi al pericolo nel quale si trovano le anime che peccarono in Adamo, poichè quantun­que la madre mia sia stata vivificata in Gesù Cristo e sia vissuta nella carne glorificando sempre il vostro santo Nome col fervore della sua fede e con la illibatezza dei suoi costumi, nondimeno io non ardisco affermare che dal giorno in cui voi, o mio Dio, la rige­neraste col santo Battesimo, non sia uscita dalle sue labbra alcuna parola contro i vostri comandamenti. Ma poichè voi non desiderate la ricerca dell'iniquità, nutro fiducia filiale che la madre mia abbia trovato misericordia davanti al vostro cospetto, e perciò, o Dio del mio cuore, io lascio da parte a bella posta le opere sante fatte dalla mia diletta genitrice, e delle quali mi consolo rendendo a voi grazie infinite, per domandarvi solo perdono dei suoi peccati. Esaudite­mi, ve ne scongiuro per le ferite sanguinose di Colui che mori per noi sul legno infame, e che ora assiso alla vostra destra intercede per gli uomini.

Lo so ch'ella fece sempre misericordia e rimise di tutto cuore i debiti ai suoi debitori; rimettete quindi ancora voi a lei i suoi, se qualcuno ne avesse contratto nei numerosi anni che trascorsero dal giorno in cui fu rigenerata col santo Battesimo, fino a quello del suo passaggio da questa vita. Perdonatela, perdona­tela, ve ne scongiuro, o Signore, e non entrate con lei in giudizio, poichè la vostra misericordia supera la vostra giustizia, le vostre parole sono veraci e promet­teste misericordia a chi avrà fatto misericordia. Questa misericordia io credo che voi l'abbiate già fatta, o mio Dio; ma tuttavia accettate l'omaggio delle mie lab­bra. Ricordatevi che nel momento del suo passaggio all'altra vita, la vostra serva non pensò a far rendere al suo corpo funebri onoranze con splendidi esequie - e con profumi preziosi, non domandò un sepolcro su­perbo, nè di essere trasportata in quello che aveva fatto costruire a Tagoste, sua patria, ma solo volle che noi ci fossimo ricordati di lei dinanzi ai vostri santi altari, nel mistero sublime al quale ogni giorno ella prese parte, poichè sapeva che in questo si di­spensa la Vittima immacolata, il sangue della quale ha annullato la sentenza fatale della nostra condanna.

«Ch'ella dunque, o Signore, riposi in pace presso le ossa del suo consorte, accanto a colui al quale ri­mase fedele nelle gioie della verginità e nelle tristezze della vedovanza, accanto a colui di cui erasi fatta ser­va per guadagnarlo a voi con la sua pazienza salu­tare. E voi, o mio Dio, ispirate ai vostri servi, che sono miei fratelli, ispirate ai miei figli spirituali, che sono miei maestri, poichè il mio cuore, la mia voce, i miei scritti sono al loro servizio, ispirate a tutti quelli che leggeranno queste mie parole di ricordarsi dinanzi ai vostri altari di Monica, vostra serva, e di Patrizio, suo sposo. Furono essi che mi introdussero nel mon­do; fate dunque che tutti coloro che vivono fra la luce ingannevole di questo secolo si ricordino piamente dei miei genitori, affinchè l'ultima preghiera di mia ma­dre morente sia esaudita anche più di quello che essa desiderava; e non abbia essa a ricevere soltanto il soc­corso delle mie preghiere, ma anche quello di molti altri ».

Ho voluto riferire quasi per disteso questa meravi­gliosa preghiera del santo Dottore a vantaggio della sua madre defunta, perchè quando si pensi alla san­tità di quella illustre matrona, che la Chiesa sollevò agli onori degli altari, quando si consideri che nel momento in cui il figlio scriveva erano trascorsi circa vent'anni dalla morte di lei, si scorgerà facilmente che cosa pensasse il grande Dottore della Chiesa latina sul Purgatorio e sulla severità della giustizia di Dio. S. Gregorio Magno coi suoi Dialoghi contribuì no­tevolmente a promuovere tra i cristiani la devozione verso le anime del Purgatorio. Il Padre Lefebvre era salito dire ché S. Gregorio Magno doveva essere amato ed onorato dai fedeli per molte ragioni, ma sopratutto perchè aveva esposto in maniera tanto chiara e com­movente la dottrina del Purgatorio, e credeva che se non avesse parlato con tanta eloquenza di quelle ani­me sante, la devozione nutrita verso di loro nei secoli posteriori sarebbe stata meno ardente, e quindi insie­me alla devozione verso le anime del Purgatorio in­culcava sempre nei fedeli sentimenti di riconoscenza verso il santo Dottore.

Nel sesto secolo si introduce l'uso dell'Ufficiatura dei Morti, e da allora in poi le testimonianze della tradizione si accumulano in modo che è impossibile citarle tutte.

Sul finire del decimo secolo nella Certosa di Cluny, per opera del santo abate Odilone ebbe origine la Commemorazione dei Morti, che da quel tempo si ce­lebra ogni anno dalla Chiesa cattolica il 2 novembre, giorno seguente a quello in cui si celebrano le gioie della Chiesa trionfante con la Festa di Tutti i Santi:

Due secoli più tardi il grande Alighieri, che va considerato come l'interprete e lo specchio del suo tempo, riassumendo nella sua magnifica epopea tutte le pie credenze dell'epoca, esponeva coi canti più sublimi e con le più commoventi ispirazioni le pene del Pur­gatorio.

Sappiamo d'altra parte quanta fosse nel medio evo la devozione verso i defunti. In alcune città quando scendevano le ombre della notte e ciascuno si ripo­sava dai lavori della giornata, si udiva per le strade la voce del banditore notturno, che in quel cupo si­lenzio andava ripetendo - O buoni fratelli che ve­gliate, pregate per i defunti. - Gli uomini dei nostri giorni, che aboliscono con tanta cura gli emblemi della morte, troverebbero certamente troppo lugubre un simile avvertimento, ma in quell'età di fede i popoli erano meno delicati. La Chiesa militante formava una sola famiglia con la Chiesa purgante: il ricordo dei poveri morti non turbava il sonno di nessuno; col pretesto della sensibilità non si cercava di farlo scom­parire dalla mente di coloro che i trapassati avevano amato. Ai nostri giorni tutto è cambiato. Il ricordo dei defunti spesso ci riesce importuno: rari i pellegri­naggi alle tombe, fievole la riconoscenza, pochi i suf­fragi. Si è tentato perfino di distruggere i corpi dei nostri trapassati, per impedire così le salutari lezioni che vengono dalle loro tombe: al rito cristiano della inumazione si vorrebbe sostituire quello pagano della cremazione.

Nel secolo decimoquinto il Concilio di Firenze si occupò lungamente della questione del Purgatorio. Non già che la Chiesa latina e la greca non si trovassero d'accordo circa l'esisteriza di codesto luogo di pena, ma la controversia era sorta sulla natura è sulla durata delle pene, e, come vedremo altrove, per non porre ostacolo alla desiderata unione della Chiesa greca alla latina, il Concilio si astenne dal pronunziarsi su questo punto.

Nel secolo seguente una voce blasfema si fece udire nella Chiesa, condannando per la prima volta la pre­ghiera per i defunti. Era la voce di Lutero, che voleva infrangere quei vincoli sacri, che ci uniscono ai fra­telli d'oltre tomba, soffocando la preghiera sulle lab­bra e la speranza nel cuore di coloro che rimpiangono dilette memorie. Non più Purgatorio, non più stato intermedio tra la beatitudine del Cielo e le pene eterne dell'Inferno; cose tutte contrarie, diceva l'eresiarca, ai sentimenti più santi, alle ispirazioni più commo­venti del cuore umano.

Per una felice incoerenza non pochi protestanti si riconobbero cattolici presso la tomba di persone a loro care, e malgrado i sofismi del loro spirito, uscì spon­tanea da quei petti la preghiera in suffragio dei morti. Tolte però queste eccezioni, è certo che il Protestan­tesimo non ammette la preghiera per le anime dei trapassati.

A codeste negazioni infondate, la Chiesa cattolica, vera madre delle anime, oppose, una splendida rea­zione, poichè dopo avere rivendicato solennemente nel Concilio di Trento l'antica fede sul Purgatorio, di­chiarando anatema chiunque negasse la sua esistenza e l'utilità dei suffragi pei morti (Sess. VI cap. 3o, Sess. XXII cap. 2, Sess. XXV decretum), essa promosse per ogni parte la formazione di pie Società con lo scopo di pregare per i defunti. Così vediamo a Roma Paolo V autorizzare. E incoraggiare la pia pratica di. comunicarsi in una domenica di ogni mese a suffragio dei defunti, e a Bruxelles stabilirsi una Congregazione il cui scopo è di pregare per la libe­razione delle anime del Purgatorio, poichè, dicono gli statuti di questa Congregazione, se vi sono nella Chiesa Ordini religiosi fondati col pio scopo di redimere gli schiavi, con più forte ragione devono esi­stere congregazioni e confratelli che si occupino non a liberare dai ceppi i corpi dei cristiani, ma a trarre le loro anime dalle pene del Purgatorio. Queste pie confraternite si moltiplicarono e diffusero per tutto il mondo cristiano, e dappertutto furono arricchite di privilegi e di numerose indulgenze dai Vescovi e dai Sommi Pontefici.

Pure ai nostri dì molto si prega per le anime sante del Purgatorio. La pratica dell'atto eroico a vantag­gio dei defunti, che nei tempi passati era in uso solo qua e là, quasi come eccezione, ai giorni nostri si è talmente generalizzata, che intiere comunità religiose hanno più volte rinunziato a tutto il merito delle loro opere buone per convertirlo a pro dei defunti, e in quasi tutte le parrocchie è invaso il pio costume di consacrare l'intero mese di Novembre a suffragare le anime del Purgatorio. Finalmente in questi ultimi anni si è formato un Ordine religioso con lo scopo di procurare per mezzo della preghiera e del sacrificio il sollievo di quelle povere anime.

Così il ricordo dei morti rimane, e rimane a dispetto della lotta ché si è fatto e si sta facendo a danno di quei cari, che, lasciandoci, sperarono nel nostro soc­corso, e non è un ricordo sterile, ma fatto di rimedi efficaci, di preghiere, di sacrifici, di opere buone, of-ferte alla giustizia divina, onde affretti il soggiorno beato della perpetua pace nella visione beatifica alle anime sante di coloro, che ci precedettero nel trava­glio della vita terrena.



Dov'è il Purgatorio?

Ecco tracciata a grandi tocchi la storia del culto dei morti; dal che risulta che le sentenze del Concilio di Trento, la Tradizione cattolica e le rivelazioni dei Santi sono concordi nello stabilire in modo irrefra­gabile la credenza del Purgatorio.

Ora si presenta l'altra questione importantissima del luogo ove il Purgatorio si trovi. La Chiesa non si è mai pronunziata su questo argomento, lasciando i teologi liberi nelle loro opinioni. Vedremo quello che pensano i mistici, c'intratterremo sulle rivelazioni dei Santi; intanto riportiamo una interessantissima pagi­na del prof. Chollet (I nostri defunti; P. II, cap. II).

« Fuor di dubbio il Purgatorio è luogo di prigionia e può dirsi pure che l'anima vi è in certo modo inca­tenata. Di fatti il Purgatorio è un castigo fatto di fuoco probabilmente materiale; ed ogni materia occu­pa dello spazio. Di più l'anima è preda di questo fuoco e vi è abbandonata per divina potenza nè può sfuggirne fino al momento della sua completa purifi­cazione. Tuttavia essa conserva dei contatti col mondo esteriore. Vedremo più tardi, che il fuoco della divina giustizia, sebbene terribile e materiale realtà, è for­nito di qualità che lo fanno ben differente da quello che consuma il legno arido o rende liquido il metallo

arroventato. Sopratutto è fenomeno che appartiene al di là, vale a dire ad un ordine materiale diverso da quello del nostro mondo sensibile. Al modo stesso che i corpi risuscitati, sia degli eletti che dei reprobi, sebbene corpi veri rivestiranno delle qualità assolutamente diverse da quelle della vita presente, così pure il fuoco che tormenterà questi ultimi possederà un carattere speciale. Chi impedisce d'altronde di conside­rare il fuoco del Purgatorio come una materia avente analogia nelle sue qualità spirituali con quelle dei corpi glorificati? E se così è, questo fuoco non po­trebbe avere come appunto i corpi glorificati, come il corpo eucaristico del Salvatore, una localizzazione di­versa da quella dei corpi terrestri?

«Oltre a ciò non è punto necessario supporre riu­nito in una sola massa ardente tutto il fuoco che tor­menta le anime; non v'è nessuna necessità di sostenere che il fuoco che purifica l'anima di Pietro abbia a trovarsi nel luogo stesso e insieme a quello che pu­ rifica l'anima di Paolo. Questo fuoco si apprende al­l'anima e la chiude fra le sue vampe; l'anima col suo senso misterioso è avviluppata dentro questo ardore; ma perché non potrebbe ella allo stesso tempo che vi è imprigionata raggiare al di fuori, e vedere intorno - a sè? Quel fuoco d'altronde non è assegnato, come pare, ad un luogo fisso. Aderente all'anima, la segue in ogni moto, l'invade tutta del suo misterioso ardore e con lei si trasferisce, a guisa di fornace accesa nel cuore, che il suo ardore diffonde in tutto l'organismo, circola nelle vene e nelle arterie, irraggia nei nervi e nei muscoli, in qualunque luogo divora la sua preda.

«Se così è, il Purgatorio parrebbe piuttosto uno stato che un luogo; e lo stato delle anime giuste ma non del tutto purificate, sarà simile alla condizione dolorosa dei figli che hanno offeso il padre e son privi per qualche tempo di vederne l'aspetto; al supplizio di cuori amanti, straziati dal rimorso delle offese che rammentano fatte al padre amato. Nello stesso modo sarà il castigo del fuoco. L'anima trascinerà seco il suo supplizio, come l'augellino ferito dal piombo mi­cidiale, porta seco infissa nel fianco la morte e corre l'aria con volo doloroso. Essa non avrà perduto perciò ogni contatto con questo mondo, come non l'ha per­duto col cielo ».

Ciò premesso, dato che, come si è accennato sopra, siamo in un campo assai libero, veniamo alle rivela­zioni dei Santi.

Santa Francesca Romana ci fa sapere che il Pur­gatorio, non è che uno scompartimento dell'Inferno, che secondo la Santa sarebbe diviso in quattro parti, la prima delle quali costituisce il vero e proprio in­ferno dei dannati, che trovasi al centro, mentre le altre parti costituirebbero il Purgatorio, il Limbo dei santi Padri, e il limbo dei fanciulli morti senza battesimo. La descrizione di Santa Francesca Romana è confor­me alla opinione di S. Tommaso, secondo il quale il fuoco del Purgatorio è tutto simile a quello dell'In­ferno.

Tuttavia non è escluso che la giustizia divina per­metta talvolta che le anime soddisfino alla pena dei loro falli nei luoghi stessi dove peccarono o vissero, o si rivelino comunque in determinati luoghi. Non mancano antiche rivelazioni narrate da S. Gregorio Magno (libr. 4 Dial. cap. 40 e 55) e da S. Pier Da­miani negli scritti intorno ai miracoli del suo tempo. Noi riferiremo quanto riporta Mons. Alfredo Vitali, nel suo volumetto Il Mese di Novembre a propo­sito di un'apparizione di questo genere.

«Era una fredda sera di Novembre del 1894 e il sacerdote D. Fabiano Battaglini in sulle due ore di notte; dopo le funzioni di chiesa, faceva ritorno alla sua abitazione sul colle Palatina.

Da più anni egli si occupava dell'Oratorio Notturno nella chiesa di S. Lorenzo in Fonte sulla via Urbana, ove nel Novembre si celebrava il devoto esercizio del Mese dei Defunti.

« Per fare ritorno alla sua casa il buon sacerdote doveva percorrere la via del Colosseo e poi volgere a destra e percorrere la breve stradicciola che mette sul­l'area del Tempio di Venere e Roma, alle spalle della Chiesa di S. Maria Nuova o S. Francesca Romana. In quell'epoca, al termine della stradicciola, per entra­re nell'area del tempio, si doveva attraversare uno stretto passaggio tra due bassi muriccioli, uno dei quali, quello di destra, si prolungava a fianco di un sentiero sassoso che, dolcemente salendo, portava ad un orto, che ancora esiste, di prospetto al Monastero di S. Maria Nuova. Costeggiava questo muricciolo una fila di colonne spezzate ed abbattute, quelle che ora formano riparo lungo il ciglio della platea del tempio, di prospetto al Colosseo ed alla via Sacra. Un custode notturno doveva vigilare, girando, quella zo­na solitaria e pericolosa; quindi non era infrequente caso che D. Fabiano trovasse seduto sopra uno dei due muriccioli l'uomo, cui toccava il turno di servizio.

« Il buon sacerdote, conosciuto da tutto il personale addetto agli scavi del Palatino, soleva talora intratte­nersi per breve tempo con il custode, scambiare con lui una parola ed offrirgli una presa di tabacco.­

- Buona sera, D. Fabià - era il consueto saluto d'ogni incontro.

- Buona sera - la risposta di quella buona pasta d'uomo, semplice e gioviale.

« Era dunque una sera di Novembre del 1894 e Don. Fabiano se ne tornava in casa questa volta in compa­gnia di un suo conoscente, un buon vecchio, impie­gato dell'Ufficio Scavi. Giunti entrambi al passaggio tra i due muriccioli, trovarono il custode, che col suo bastone, seduto, passava le sue ore di guardia. Lo sa­lutarono e, scambiando qualche parola, si allontana­rono alquanto, poi si fermarono, perchè lo sguardo di tutti fu richiamato da una figura bianco vestita, che con passo lento, il capo chino e i capelli disciolti lun­go le spalle, discendeva dal sentiero che costeggiava l'orto, di cui si è fatto cenno.

« Tutti silenziosi osservavano con attenzione, com­presi da una certa meraviglia, la strana figura. Sem­brava una donna, ma la fioca cuce del lontano fanale non ne lasciava discernere i lineamenti. Essa passò poco discosta dai tre, silenziosa, e s'incamminò len-tamente, come fosse stanca, alla volta delle colonne, distese lungo il muricciolo; e quando fu presso la se­conda, a breve distanza dai suoi osservatori, alzò in alto le braccia, accompagnandole con un moto del capo all'indietro e gridando con accento lungo, dolo­roso, straziante: « quanto soffro! » si abbandonò pe­santemente sulla colonna.

« A quel grido accorsero i tre, e: « Buona donna » dissero tosto, « che cosa avete ? »... Ma quale fu la loro sorpresa nel non vedere più alcuno!...

« La visione era sparita... Il custode allora disse che altre volte aveva veduto aggirarsi quei fantasma per quei luoghi, senza porvi mente e senza essere richia­mato all'attenzione da cenno o dà parola alcuna.

« In tutti rimase la persuasione trattarsi di una ap­parizione di anima del Purgatorio, e perciò, tanto il sacerdote che i due secolari si affrettarono a suffra­garla con Messe ed altre opere espiatorie.

« Questo fu narrato allo scrivente dal medesimo sa­cerdote, D. Fabiano Battaglini » (Op. cit., pag. 5 1 segg.).

Alcune volte, specialmente per quelli che muoiono di morte violenta, sembra che compiasi l'espiazione nel luogo stesso ove furono uccisi. Le leggende di tutti i grandi campi di battaglia e di tutti i luoghi nei quali il delitto ha fatto scorrere sangue umano, ci par­lano di pianti e di grida ascoltate durante la notte ed imploranti preghiere e suffragi.

Per quanto vogliasi gridare alla superstizione, non mi par possibile escludere tutti i fatti di questo genere, che si trovano raccontati nelle storie, tanto più che buon numero di essi son riferiti da autori seri ed imparziali. Tritemio, nella sua Cronaca (anno 1058), racconta il fatto di numerosi soldati che comparivano ad aldini religiosi sul campo di battaglia dove erano periti, per implorare suffragi; e in un'opera più re­cente, La vita del P. Giuseppe Anchieta, sopranno­minato, per il suo zelo, l'Apostolo del Brasile, si parla d'infelici assassinati che comparivano sulla sponda del lago nel quale erano stati gettati i loro cadaveri, per ottenere suffragi da un santo religioso dimorante in quei dintorni.

Altre volte infine la giustizia divina assegna a certe anime un luogo speciale di espiazione, senza che vi sia altra ragione tranne quella della volontà di Dio, la quale così permette per ammaestramento dei vivi o per procurare ai defunti quei suffragi dei quali hanno più bisogno. Per questo motivo, secondo la testimo­nianza di S. Gregorio Magno, il diacono Pascasio avrebbe fatto il suo purgatorio nei bagni di Capua, dove fu visto dal santo Vescovo Germano occupato a compiere gli uffici più vili finchè non fosse finito il tempo della sua espiazione. (Dialoghi, libro IV, cap. 40).

Con San Tommaso concluderemo dunque che in quanto al luogo del Purgatorio nulla è espressamente determinato nella Scrittura, ma che nondimeno è pro­babile e conforme al sentimento dei Santi ed a molte rivelazioni, che questo luogo sia duplice; il primo vi­cinissimo all'Inferno, di modo che il fuoco che in questo tormenta i dannati, in quello purifica i giusti; il secondo esistente quasi in forza di una specie di eccezione o dispensa, ed è per questo che noi leggiamo essere state punite delle anime in differenti luoghi, sia per ammonimento dei vivi, sia per sollievo dei morti, ai quali così riesce più facile implorare i nostri suf­fragi e veder diminuite le loro pene (III parte in suppl. De Purgatorio, art. 2).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)