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Suoni e arte per l'Eterno

E qui si aggancia un suo discorso sulla musica sacra, quella musica tradizionale dell'Occidente cattolico alla quale il Vaticano Il non ha certo misurato le lodi, esortando non solo a salvare ma a incrementare "con la massima diligenza" questo che chiama "il tesoro della Chiesa"; e, dunque, dell'umanità intera. Invece?

"Invece, molti liturgisti hanno messo da parte quel tesoro, dichiarandolo " accessibile a pochi ", l'hanno accantonato in nome della " comprensibilità per tutti e in ogni momento " della liturgia postconciliare. Dunque, non più " musica sacra " - relegata, semmai, per occasioni speciali, nelle cattedrali - ma solo " musica d'uso", canzonette, facili melodie, cose correnti".

Anche qui il Cardinale ha facile gioco nel mostrare l'allontanamento teorico e pratico dal Concilio "secondo il quale, oltretutto, la musica sacra è essa stessa liturgia, non ne è un semplice abbellimento accessorio". E, secondo lui, sarebbe anche facile mostrare come "l'abbandono della bellezza" si sia dimostrata, alla prova dei fatti, un motivo di "sconfitta pastorale".

Dice: "è divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all'utile. L'esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull'unica categoria del "comprensibile a tutti" non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere. Liturgia " semplice " non significa misera o a buon mercato: c'è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica". "Anche qui continua - si è messa da parte la grande musica della Chiesa in nome della" partecipazione attiva ": ma questa " partecipazione " non può forse significare anche il percepire con lo spirito, con i sensi? Non c'è proprio nulla di " attivo " nell'ascoltare, nell'intuire, nel commuoversi? Non c'è qui un rimpicciolire l'uomo, un ridurlo alla sola espressione orale, proprio quando sappiamo che ciò che vi è in noi di razionalmente cosciente ed emerge alla superficie è soltanto la punta di un iceberg rispetto a ciò che è la nostra totalità? Chiedersi questo non significa certo opporsi allo sforzo per far cantare tutto il popolo, opporsi alla " musica d'uso ": significa opporsi a un esclusivismo (solo quella musica) che non è giustificato né dal Concilio né dalle necessità pastorali".

Questo discorso sulla musica sacra - intesa anche come simbolo di presenza della bellezza " gratuita " nella Chiesa - sta particolarmente a cuore a Joseph Ratzinger che vi ha dedicato pagine vibranti: "Una Chiesa che si riduca solo a fare della musica " corrente " cade nell'inetto e diviene essa stessa inetta. La Chiesa ha il dovere di essere anche " città della gloria ", luogo dove sono raccolte e portate all'orecchio di Dio le voci più profonde dell'umanità. La Chiesa non può appagarsi del solo ordinario, del solo usuale: deve ridestare la voce del Cosmo, glorificando il Creatore e svelando al Cosmo stesso la sua magnificenza, rendendolo bello, abitabile, umano".

Anche qui, però, come già per il latino, mi parla di una "mutazione culturale", anzi, quasi di una "mutazione antropologica" soprattutto nei giovani, "il cui senso acustico è stato corrotto, degenerato, a partire dagli anni Sessanta, dalla musica rock e da altri prodotti simili". Tanto che (accenna qui anche a sue esperienze pastorali, in Germania) sarebbe oggi "difficile far ascoltare o, peggio, far cantare a molti giovani anche gli antichi corali della tradizione tedesca".

Il riconoscimento delle difficoltà obiettive non gli impedisce una appassionata difesa non solo della musica, ma dell'arte cristiana in generale e della sua funzione di rivelatrice della verità: "L'unica, vera apologia del cristianesimo può ridursi a due argomenti: i santi che la Chiesa ha espresso e l'arte che è germinata nel suo grembo. Il Signore è reso credibile dalla magnificenza della santità e da quella dell'arte esplose dentro la comunità credente, più che dalle astute scappatoie che l'apologetica ha elaborato per giustificare i lati oscuri di cui purtroppo abbondano le vicende umane della Chiesa. Se la Chiesa deve continuare a convertire, dunque a umanizzare il mondo, come può rinunciare nella sua liturgia alla bellezza, che è unita in modo inestricabile all'amore e insieme allo splendore della Resurrezione? No, i cristiani non devono accontentarsi facilmente, devono continuare a fare della loro Chiesa un focolare del bello - dunque del vero - senza il quale il mondo diventa il primo girone dell'inferno".

Mi parla di un teologo famoso, uno dei leaders del pensiero post-conciliare che gli confessava senza problemi di sentirsi un "barbaro". Commenta: "Un teologo che non ami l'arte, la poesia, la musica, la natura, può essere pericoloso. Questa cecità e sordità al bello non è secondaria, si riflette necessariamente anche nella sua teologia".

Solennità, non trionfalismo

Ancora in questa linea, Ratzinger non è affatto persuaso della validità di certe accuse di " trionfalismo -, nel nome delle quali si sarebbe gettato via con eccessiva facilità molto dell'antica solennità liturgica: "Non è affatto trionfalismo la solennità del culto con cui la Chiesa esprime la bellezza di Dio, la gioia della fede, la vittoria della verità e della luce sull'errore e sulle tenebre. La ricchezza liturgica non è ricchezza di una qualche casta sacerdotale; è ricchezza di tutti, anche dei poveri, che infatti la desiderano e non se ne scandalizzano affatto. Tutta la storia della pietà popolare mostra che anche i più miseri sono sempre stati disposti istintivamente e spontaneamente a privarsi persino del necessario pur di rendere onore con la bellezza, senza alcuna tirchieria, al loro Signore e Dio".

Si rifà, come esempio, a ciò che ha appreso in uno degli ultimi suoi viaggi in Nord America: "Le autorità della Chiesa anglicana di New York avevano deciso di sospendere i lavori della nuova cattedrale. La giudicavano troppo fastosa, quasi un insulto al popolo, tra il quale avevano deciso di distribuire la somma già stanziata. Ebbene, sono stati i poveri stessi a rifiutare quel denaro e a imporre la ripresa dei lavori, non capendo questa strana idea di misurare il culto a Dio, di rinunciare alla solennità e alla bellezza quando si è al suo cospetto".

Sotto l'accusa del cardinale sarebbero dunque certi intellettuali cristiani, certo loro schematismo aristocratico, elitario, staccato da ciò che il "popolo di Dio" davvero crede e desidera: "Per un certo modernismo neo-clericale il problema della gente sarebbe il sentirsi oppressa dai " tabù sacrali ". Ma questo, semmai, è il problema loro, di clericali in crisi. Il dramma dei nostri contemporanei è, al contrario, il vivere in un mondo sempre più di una profanità senza speranza. L'esigenza vera oggi diffusa non è quella di una liturgia secolarizzata, ma, al contrario, di un nuovo incontro con il Sacro, attraverso un culto che faccia riconoscere la presenza dell'Eterno".

Ma è sotto accusa per lui, anche quello che definisce "l'archeologismo romantico di certi professori di liturgia, Secondo i quali tutto ciò che si è fatto dopo Gregorio 1 Magno sarebbe da eliminare come un'incrostazione, un segno di decadenza. A criterio del rinnovamento liturgico non hanno posto la domanda: "Come deve essere oggi?", ma l'altra: "Come era allora?". Si dimentica che la Chiesa è viva, che la sua liturgia non può essere pietrificata in ciò che si faceva nella città di Roma prima del Medio Evo. In realtà, la Chiesa medievale (o anche, in certi casi, la Chiesa barocca) hanno proceduto a un approfondimento liturgico che occorre vagliare con attenzione prima di eliminare. Dobbiamo rispettare anche qui la legge cattolica della sempre migliore e più profonda conoscenza del patrimonio che ci è stato affidato. Il puro arcaismo non serve, così come non serve la pura modernizzazione".

Per Ratzinger, poi, la vita cultuale del cattolico non può essere ridotta al solo aspetto " comunitario ": deve continuare ad esserci un posto anche per la devozione privata, seppure ordinata al "pregare insieme", cioè alla liturgia.

Eucaristia: nel cuore della fede

Aggiunge poi: "La liturgia, per alcuni sembra ridursi alla sola eucaristia, vista quasi sotto l'unico aspetto del "banchetto fraterno". Ma la messa non è solamente un pasto tra amici, riuniti per commemorare l'ultima cena del Signore mediante la condivisione del pane. La messa è il sacrificio comune

della Chiesa, nel quale il Signore prega con noi e per noi e a noi si partecipa. È la rinnovazione sacramentale del sacrificio di Cristo: dunque, la sua efficacia salvifica si estende a tutti gli uomini, presenti e assenti, vivi e morti. Dobbiamo riprendere coscienza che l'eucaristia non è priva di valore se non si riceve la Comunione: in questa consapevolezza, problemi drammaticamente urgenti come l'ammissione al sacramento dei divorziati risposati possono perdere molto del loro peso opprimente".

Vorrei capire meglio, dico.

"Se l'eucaristia - spiega - è vissuta solo come il banchetto di una comunità di amici, chi è escluso dalla ricezione dei Sacri Doni è davvero tagliato fuori dalla fraternità. Ma se si torna alla visione completa della messa (pasto fraterno e insieme sacrificio del Signore, che ha forza ed efficacia in sé, per chi vi si unisce nella fede), allora anche chi non mangia quel pane partecipa egualmente, nella sua misura, dei doni offerti a tutti gli altri".

All'eucaristia e al problema del suo "ministro" (che può essere solo chi sia stato ordinato in quel "sacerdozio ministeriale o gerarchico" il quale, riconferma il Concilio, "differisce essenzialmente e non solo di grado" dal "sacerdozio comune dei fedeli", Lumen Gentium, n. 10) il card. Ratzinger ha dedicato uno dei primi documenti ufficiali a sua firma della Congregazione per la fede. Nel "tentativo di staccare l'eucaristia dal legame necessario con il sacerdozio gerarchico", vede un altro aspetto di certa " banalizzazione " del mistero del Sacramento.

È lo stesso pericolo che individua nella caduta dell'adorazione davanti al tabernacolo: "Si è dimenticato - dice - che l'adorazione è un approfondimento della comunione. Non si tratta di una devozione "individualistica" ma della prosecuzione o della preparazione, del momento comunitario. Bisogna poi continuare in quella pratica, così cara al popolo (a Monaco di Baviera, quando la guidavo, vi partecipavano decine di migliaia di persone) della processione del Corpus Domini. Anche su questa gli " archeologi " della liturgia hanno da ridire, ricordando che quella processione non c'era nella Chiesa romana dei primi secoli. Ma ripeto qui quanto già dissi: al sensus fidei del popolo cattolico deve essere riconosciuta la possibilità di approfondire, di portare alla luce, secolo dopo secolo, tutte le conseguenze del patrimonio che gli è affidato".

"Non c'è solo la messa"

Aggiunge: "L'eucaristia è il nucleo centrale della nostra vita cultuale, ma perché possa esserne il centro abbisogna di un insieme completo in cui vivere. Tutte le inchieste sugli effetti della riforma liturgica mostrano che certa insistenza pastorale solo sulla messa finisce per svalutarla, perché è come situata nel vuoto, non preparata e non seguita com'è da altri atti liturgici. L'eucaristia presuppone gli altri sacramenti e ad essi rinvia. Ma l'eucaristia presuppone anche la preghiera in famiglia e la preghiera comunitaria extra-liturgica".

A cosa pensa in particolare?

"Penso a due delle più ricche e feconde preghiere della cristianità, che portano sempre e di nuovo nella grande corrente eucaristica: la Via Crucis e il Rosario. Dipende anche dal fatto che abbiamo disimparato queste preghiere se noi oggi ci troviamo esposti in modo così insidioso alle lusinghe di pratiche religiose asiatiche". Infatti, osserva, "se recitato come tradizione vuole, il Rosario porta a cullarci nel ritmo della tranquillità che ci rende docili e sereni e che dà un nome alla pace: Gesù, il frutto benedetto di Maria; Maria, che ha nascosto nella pace raccolta del suo cuore la Parola vivente e poté così diventare madre della Parola incarnata. Maria è dunque l'ideale dell'autentica vita liturgica. È la Madre della Chiesa anche perché ci addita il compito e la meta più alta del nostro culto: la gloria di Dio, da cui viene la salvezza degli uomini".

 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)