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IV

Abbiamo voluto, Venerabili Fratelli, proporre alla considerazione vostra e del popolo cristiano, nelle sue linee generali, l’intima natura e le perenni ricchezze del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, richiamandoci alla dottrina della divina rivelazione, come alla sua primaria sorgente. Siamo pertanto convinti che queste Nostre riflessioni, dettateci dall’insegnamento stesso del Vangelo, abbiano chiaramente mostrato come questo culto s’identifichi, in sostanza, col culto all’amore divino e umano del Verbo Incarnato e, anche, col culto all’amore stesso che anche il Padre e lo Spirito Santo nutrono verso gli uomini peccatori. Poiché,  come osserva l’Angelico Dottore, la carità delle Tre Divine Persone sta al principio e alle origini del mistero dell’umana Redenzione, in quanto, influendo essa potentemente sulla volontà umana di Gesù Cristo, e ridondando quindi nel suo Cuore adorabile, gli ispirò un identico amore, che l’indusse a dare generosamente il suo Sangue, affinché ci riscattasse dalla servitù del peccato(94): « Io devo ancora essere battezzato con un battesimo, e come sono angustiato finché esso non si compia! »(95).

È per altro Nostra persuasione che il culto tributato all’amore di Dio e di Gesù Cristo verso il genere umano attraverso il simbolo augusto del Cuore trafitto del Redentore, non sia mai stato completamente assente dalla pietà dei fedeli, benché abbia avuto la sua chiara manifestazione e la sua mirabile propagazione nella Chiesa in tempi da noi non molto remoti, soprattutto dopo che il Signore stesso si degnò di scegliere alcune anime predilette, cui svelò i segreti divini di questo culto e che Egli elesse a messaggere del medesimo, dopo averle ricolmate in gran copia di grazie speciali.

Sempre, infatti, vi sono state anime sommamente a Dio devote, le quali, ispirandosi agli esempi dell’eccelsa Madre di Dio, degli Apostoli e di illustri Padri della Chiesa, hanno tributato all’Umanità santissima di Cristo, e in modo speciale alle Ferite, aperte nel suo corpo dai tormenti della salutifera Passione, il culto di adorazione, di riconoscenza e di amore.

Del resto, come non riconoscere nelle parole stesse: « Signore mio e Dio mio! »(96) pronunziate dall’Apostolo Tommaso e rivelatrici della sua improvvisa trasformazione da incredulo in fedele, un’aperta professione di fede, di adorazione e di amore, che dall’umanità piagata del Salvatore si elevava sino alla maestà della Divina Persona?

Se però il Cuore trafitto del Redentore dovette sempre esercitare un potente stimolo al culto verso il suo amore infinito per il genere umano, poiché per i cristiani di tutti i tempi hanno valore le parole del profeta Zaccaria, riferite al Crocifisso dall’evangelista San Giovanni: «Vedranno Chi hanno trafitto »(97), è doveroso tuttavia riconoscere che soltanto gradualmente esso venne fatto oggetto di un culto speciale, come immagine dell’amore umano e divino del Verbo Incarnato. Volendo ora soltanto accennare alle tappe gloriose percorse da questo culto nella storia della pietà cristiana, occorre anzitutto ricordare i nomi di alcuni di coloro, che ben si possono considerare come gli antesignani di questa devozione; la quale in forma privata, ma in modo graduale sempre più vasto, andò diffondendosi in seno agli istituti religiosi. Così, ad esempio, sono benemeriti del sorgere e dell’espandersi del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù: San Bonaventura, Sant’Alberto Magno, Santa Geltrude, Santa Caterina da Siena, il Beato Enrico Susone, San Pietro Canisio, San Francesco di Sales. A San Giovanni Eudes si deve la composizione del primo ufficio liturgico in onore del Cuore Sacratissimo di Gesù, la cui festa solenne fu per la prima volta celebrata, col beneplacito di molti Vescovi della Francia, il 20 ottobre 1672.

Ma fra tutti i promotori di questa nobilissima devozione merita di essere posta in speciale rilievo Santa Margherita Maria Alacoque, poiché al suo zelo, illuminato e coadiuvato da quello del suo direttore spirituale, il Beato Claudio de la Colombière, si deve indubbiamente se questo culto, già così diffuso, ha raggiunto lo sviluppo che desta oggi l’ammirazione dei fedeli cristiani, e ha rivestito le caratteristiche di omaggio di amore e di riparazione, che lo distinguono da tutte le altre forme della pietà cristiana(98).

Basta questo rapido sguardo ai primordi e al graduale sviluppo del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, per renderci pienamente convinti che il suo mirabile progresso è dovuto anzitutto al fatto che esso fu trovato in tutto conforme all’indole della religione cristiana, che è la religione dell’amore. Tale culto, quindi, non può dirsi originato da rivelazioni private, né si deve pensare che esso sia apparso quasi all’improvviso nella vita della Chiesa; ma esso è scaturito spontaneamente dalla viva fede e dalla fervida pietà, che anime elette nutrivano verso la persona del Redentore e verso quelle sue gloriose ferite, che ne testimoniano nel modo più eloquente l’amore immenso dinanzi allo spirito contemplativo dei fedeli.

Pertanto, le rivelazioni, di cui fu favorita Santa Margherita Maria, non aggiunsero alcuna nuova verità alla dottrina cattolica. Ma la loro importanza consiste in ciò che il Signore — mostrando il suo Cuore Sacratissimo — in modo straordinario e singolare si degnò di attrarre le menti degli uomini alla contemplazione e alla venerazione dell’amore misericordiosissimo di Dio per il genere umano. Infatti, mediante una così eccezionale manifestazione Gesù Cristo espressamente e ripetutamente indicò il suo Cuore come un simbolo quanto mai atto a stimolare gli uomini alla conoscenza e alla stima del suo amore; ed insieme lo costituì quasi segno ed arra di misericordia e di grazia per i bisogni spirituali della Chiesa nei tempi moderni.

Del resto, una prova evidente che questo culto trae la sua linfa vitale dalle radici stesse del dogma cattolico è resa dal fatto che l’approvazione della festa liturgica da parte della Sede Apostolica ha preceduto quella degli scritti di Santa Margherita Maria; in realtà, indipendentemente da ogni rivelazione privata, ma soltanto assecondando i voti dei fedeli, la Sacra Congregazione dei Riti, con decreto emanato il 25 gennaio dell’anno 1765 e approvato dal Nostro Predecessore Clemente XIII il 6 febbraio dello stesso anno, concedeva all’Episcopato della Polonia e all’Arciconfraternita Romana del Sacro Cuore la facoltà di celebrare la festa liturgica; col quale atto la Santa Sede volle che prendesse nuovo incremento un culto già vigente e florido, il cui scopo era quello di « ravvivare simbolicamente il ricordo dell’amore divino »(99), che aveva indotto il Salvatore a farsi vittima di espiazione per i peccati degli uomini.

A questo primo riconoscimento ufficiale, dato sotto forma di privilegio e in misura limitata, un altro ne seguì a distanza quasi di un secolo, di importanza molto maggiore. Intendiamo parlare del decreto, già sopra menzionato, emanato dalla Sacra Congregazione dei Riti il 23 agosto dell’anno 1856, con il quale il  Nostro Predecessore Pio IX, di imm. mem., accogliendo i voti dei Vescovi della Francia e di quasi tutto il mondo cattolico, estendeva alla Chiesa intera la festa del Cuore Sacratissimo di Gesù, e  ne prescriveva la degna celebrazione liturgica(100).

Data questa veramente meritevole di essere raccomandata al perenne ricordo dei fedeli, poiché, come ben si fa rilevare nella liturgia stessa di tale festività: « Da quel giorno il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, simile a un fiume ridondante, superati tutti gli ostacoli, si sparse per tutto il mondo cattolico ». Da quanto siamo venuti esponendo appare evidente, Venerabili Fratelli, che è nei testi della Sacra Scrittura, della Tradizione e della Sacra Liturgia, che i fedeli devono studiarsi principalmente di scoprire le sorgenti limpide e profonde del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, se desiderano penetrarne l’intima natura e trarre dalla pia meditazione intorno ad essa alimento ed incremento del loro religioso fervore. Grazie a questa assidua e altamente luminosa meditazione l’anima fedele non potrà non giungere a quella soave conoscenza della carità di Cristo, nella quale è riposta la pienezza della vita cristiana, come, edotto dalla propria esperienza, insegna l’Apostolo quando scrive: « In vista di ciò io piego le ginocchia davanti al Padre del Signor nostro Gesù Cristo… affinché dia a voi, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere per mezzo dello Spirito di lui fortemente corroborati nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede, e voi radicati e fortificati in amore siate resi capaci… di intendere anche quest’amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio »(101). Di questa universale pienezza di Dio è appunto immagine splendidissima il Cuore stesso di Gesù Cristo: pienezza, cioè, di misericordia, propria della Nuova Alleanza, nella quale « apparvero la benignità e la filantropia del Salvatore nostro Dio »(102), poiché: « Dio non ha mandato il Figliuol suo nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui »(103).

Fu dunque costante persuasione della Chiesa, maestra agli uomini di verità, fin da quando emanò i suoi primi atti ufficiali ricordanti il culto del Cuore Sacratissimo di Gesù, che gli elementi essenziali di esso, cioè gli atti di amore e di riparazione tributati all’amore infinito di Dio verso gli uomini, lungi dall’essere inquinati di materialismo e di superstizione, costituiscono una forma di pietà, in cui si attua perfettamente il culto quanto mai spirituale e veritiero, preannunziato dal Salvatore stesso nel suo colloquio con la donna samaritana: «Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in ispirito e verità, ché tali sono appunto gli adoratori che il Padre domanda. Iddio è spirito, e quelli che lo adorano lo devono adorare in ispirito e verità »(104).

Non è pertanto giusto dire che la contemplazione del cuore fisico di Gesù impedisce il contatto più intimo con l’amore di Dio e che essa ritarda il progresso dell’anima sulla via che conduce al possesso delle più eccelse virtù. La Chiesa respinge senz’altro questo falso misticismo, come, per bocca del Nostro Predecessore Innocenzo XI di fel. mem., ha condannato la dottrina di coloro che asserivano: « Non devono (le anime di questa via interna) compiere atti di amore verso la beata Vergine, i Santi o l’umanità di Cristo; poiché, essendo tali oggetti sensibili, anche l’amore che ad essi si porta è sensibile. Nessuna creatura, e nemmeno la beata Vergine e i Santi, devono albergare nel nostro cuore: perché solo Dio lo vuole occupare e possedere »(105).

Coloro che così pensano, sono naturalmente del parere che il simbolismo del Cuore di Cristo non si estenda oltre la significazione del suo amore sensibile e che quindi non possa costituire un nuovo fondamento del culto di latria, ch’è riservato soltanto a ciò che è essenzialmente divino. Ora, una simile concezione del valore simbolico delle sacre immagini deve apparire ad ognuno del tutto falsa, perché essa ne coarta a torto il trascendente significato. Diversamente da costoro, giudicano e insegnano i teologi cattolici di cui esprime la comune sentenza San Tommaso quando scrive: « Alle immagini vien tributato il culto religioso, non secondo la considerazione loro assoluta, in quanto cioè sono delle realtà a sé: ma in quanto sono immagini che ci conducono fino a Dio incarnato. Ora il movimento dell’animo che ha per oggetto l’immagine, in quanto è immagine, non si arresta ad essa, ma tende fino all’oggetto da essa rappresentato. Perciò, per il fatto che alle immagini di Cristo è tributato il culto religioso, non risulta un culto di latria essenzialmente diverso, né una distinta virtù di religione »(106). È dunque alla Persona stessa del Verbo Incarnato che termina il culto relativo tributato alle sue immagini, siano queste le reliquie della Passione, o il simulacro che tutte le vince per valore espressivo, cioè il Cuore trafitto di Cristo crocifisso.

Dall’elemento quindi corporeo, che è il Cuore di Gesù Cristo, e dal suo naturale simbolismo è per noi legittimo e doveroso ascendere, sorretti dalle ali della fede, non soltanto alla contemplazione del suo amore sensibile, ma ancora più in alto, fino alla considerazione e all’adorazione del suo eccellentissimo amore infuso; finalmente, con un’ultima dolce e più sublime ascesa, elevarci sino alla meditazione e all’adorazione dell’Amore divino del Verbo Incarnato. Alla luce, infatti, della fede, per la quale crediamo che nella Persona di Cristo esiste il connubio tra la natura umana e la divina, la nostra mente è resa idonea a concepire gli strettissimi vincoli che esistono tra l’amore sensibile del cuore fisico di Gesù e il suo duplice amore spirituale, l’umano e il divino. In realtà, questi amori non devono semplicemente considerarsi come coesistenti nell’adorabile Persona del Divin Redentore, ma anche come tra loro congiunti con vincolo naturale, in quanto all’amore divino sono subordinati l’umano spirituale e il sensibile, e questi due ultimi riflettono in se medesimi la somiglianza analogica del primo. Non si pretende perciò di vedere e di adorare nel Cuore di Gesù l’immagine così detta formale, cioè il segno proprio e perfetto del suo amore divino, non essendo possibile che l’intima essenza di questo sia adeguatamente rappresentata da qualsiasi immagine creata; ma il fedele, venerando il Cuore di Gesù, adora insieme con la Chiesa il simbolo e quasi il vestigio della Carità divina, la quale si è spinta fino ad amare anche col cuore del Verbo Incarnato il genere umano, contaminato da tante colpe.

È necessario quindi tener sempre presente in questo così importante ma altrettanto delicato argomento, che la verità del simbolismo naturale, in virtù della quale il Cuore fisico di Gesù entra in un nuovo rapporto con la Persona del Verbo, riposa tutta sulla verità primaria dell’unione ipostatica; intorno a cui non si può nutrire alcun dubbio, se non si vogliono rinnovare gli errori, più volte dalla Chiesa condannati, perché contrari all’unità di Persona in Cristo, nella distinzione e integrità delle due nature.

Tale fondamentale verità ci fa comprendere come il Cuore di Cristo sia il cuore di una persona divina, cioè del Verbo Incarnato, e che pertanto rappresenta tutto l’amore che Egli ha avuto ed ha ancora per noi. È proprio per questa ragione che il culto da tributarsi al Cuore Sacratissimo di Gesù è degno di essere stimato come la professione pratica di tutto il Cristianesimo. La religione cristiana, infatti, essendo la religione di Gesù, è tutta imperniata su l’Uomo-Dio Mediatore, così che non si può giungere al Cuore di Dio se non passando per il Cuore di Cristo, conforme a quanto Egli ha affermato: « Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me »(107).

Ciò presupposto, è facile concludere che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù non è in sostanza che il culto dell’amore che Dio ha per noi in Gesù, ed è insieme la pratica del nostro amore verso Dio e verso gli altri uomini. In altre parole, tale culto si propone l’amore di Dio come oggetto di adorazione, di azione di grazie e di imitazione; ed inoltre considera la perfezione del nostro amore per Iddio e per il prossimo come la meta da raggiungere mediante la pratica sempre più generosa del comandamento nuovo, lasciato dal Divino Maestro agli Apostoli quasi in sacra eredità, allorché disse loro: « Io vi dò il comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi… Ecco il mio comandamento: Amatevi scambievolmente, come io ho amato voi »(108). Comandamento veramente nuovo e proprio di Cristo, poiché, come osserva l’Aquinate: « La differenza tra il Nuovo e il Vecchio Testamento e tutta sommata in una breve parola; come infatti è detto in Geremia: “ Io stringerò con la casa di Israele una nuova alleanza ” (109). Che poi anche nell’Antico Testamento si praticasse tale comandamento sotto l’impulso di un timore e di un amore santo, è da attribuirsi all’influsso del Nuovo Testamento: perciò è vero che questo comandamento esisteva nell’antica legge, non però come sua prerogativa, ma piuttosto come preludio e preparazione della nuova »(110).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)