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(71) 2 Pt I, 21. Alla citazione di Pietro, san Tommaso ne fa seguire una seconda. Il testo masoretico ha: «Il Signore Dio e il suo Spirito mi hanno mandato», il che esprime una verità indubitabile e ampiamente dimostrabile nel caso di ciascun profeta; ma nel contesto di Isaia (48, 16) non essendo chiaro se sia ancora Jahvè che paria oppure il profeta o, cosa inverosimile, Ciro quale esecutore del volere di Dio, si è preferito far ricorso a una annotazione in calce.

 

(72) Montàno, dopo la sua conversione al cristianesimo, sostenne di esser la voce del Paraclito (Spirito Santo) e di aver avuto visioni preannunzianti il non lontano ritorno di Cristo. Predicava fantasie pseudoreligiose accompagnato da due profetesse, Priscilla e Massimilla (e secondo taluni da una certa Quintilla).

 

(73) 1 Pt 4, 8. Sopraggiungendo come un valido intercessore che, interpostosi figuratamente tra le nostre colpe e Dio, lo induce al perdono.

 

(74) Ez 36, 26. Il cuore che s'indurisce, nella letteratura ebraica, denota la volontà ribelle dell'uomo; perciò con la metafora del cuore di pietra che torna a essere sensibile e vibrante si vuole esprimere, ed è il caso della citazione di Ezechiele, il ritorno a Dio, la conversione.

 

(75) cf. 1 Cor 3, 17. « Essa - secondo la meditata formula di Paolo VI - 'è santa pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini che impediscono l'irradiazione della sua santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito Santo'. Questo inestricabile intreccio di grazia e di peccato, questa orditura di fedeltà e di tradimenti, dalla trama della vita secolare affiora sul tessuto della stessa Chiesa; la quale, santa in se stessa e per l'apporto dei figli migliori, si deve pur riconoscere peccatrice in tanti di noi che la realizziamo» (R. SORGIA, Ma lo conosci davvero il Papa?, Cantagalli, Siena, 1971, p. 213).

 

(76) Sinonimo di Messia, Perciò il servo di Jahvè, come ogni uomo consacrato al servizio di Dio, è sacro e inviolabile.

 

(77) Seguaci dello scismatico vescovo africano Donato, contemporaneo di sant' Agostino.

 

(78) «Erede delle promesse divine e figlia di Abramo secondo lo spirito, per mezzo di quell'Israele di cui custodisce con amore le Scritture e venera i patriarchi e i profeti; fondata sugli apostoli e trasmettitrice, di secolo in secolo, della loro parola sempre viva e dei loro poteri di pastori nel successore di Pietro e nei vescovi in comunione con lui; costantemente assistita dallo Spirito Santo, la Chiesa ha la missione di custodire, insegnare, spiegare e diffondere la verità che Dio ha manifestata in una maniera ancora velata per mezzo dei profeti e pienamente per mezzo del Signore Gesù» (Paolo VI, Professione di fede).

 

(79) L'interiore religiosità, la sua morte - tipo del sacrificio di Cristo innocente - e primizia dei martiri per la causa della giustizia lo accomunano idealmente al popolo di Dio che è la Chiesa santa.

 

(80) Scrive san Leone il Grande, commentando la ricorrenza liturgica della cattedra di Pietro: «Il diritto di questo potere passò senza dubbio anche agli altri apostoli e la costituzione di questo decreto pervenne a tutti i principi della Chiesa; ma non senza un motivo viene affidato a uno solo, quello che a tutti viene imposto. Perciò il potere è concesso in modo particolare a Pietro perché la figura di Pietro viene preposta a tutti i reggitori della Chiesa».

 

(81) Rm 6, 3. La forma battesimale cui fa cenno subito dopo prevalse fino al secolo XII.

 

(82) I Cor II, 29. «Noi crediamo che la Chiesa è necessaria alla salvezza, perché Cristo, che è il solo mediatore e la sola via di salvezza, si rende presente per noi nel suo corpo [mistico] che è la Chiesa. Ma il disegno divino della salvezza abbraccia tutti gli uomini: e coloro che, senza propria colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma cercano sinceramente Dio e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere la sua volontà riconosciuta nei dettami della loro coscienza, anch'essi, in un numero che solo Dio conosce, possono conseguire la salvezza» (Paolo VI, Professione di fede).

 

(83) L'infusione della carità in un'anima è paragonabile al sole nell'atto di illuminare l'aria. Perciò come cessa la luce nell'aria non appena si frapponga un ostacolo all'azione illuminante dei raggi solari, così la carità cessa di pervenire nell'anima non appena [come nel caso della colpa grave] qualcosa ne impedisca l'afflusso. Il fatto che un uomo preferisca finalizzarsi su un bene contingente piuttosto che restare fedele al proprio Dio, ha come conseguenza la perdita dell'abito della carità. Anche per un solo peccato mortale. (cf. Sum. theol. II-II q. 24, a. 12).

 

(84) Oggi è indicata più opportunamente col nome di unzione degli infermi.

 

(85) L'Aquinate non ha affatto una visione manichea del matrimonio cui, anche se qui si limita a un breve cenno, nella Somma teologica dedica le questioni 41-68 del «Supplemento».

    Per san Tommaso, il matrimonio in quanto è ordinato alla procreazione della prole, fu istituito prima del peccato originale; in quanto invece è un rimedio alle ferite del peccato stesso (rendendo onesta la concupiscenza) entrò in vigore al tempo della legge di natura (cf. q. 42, a. 2).

    «Più l'amicizia è grande, più dev'essere salda e durevole. Tra marito e moglie dev'esserci logicamente la più grande amicizia dato che essi si uniscono... per condividere tutti i momenti e le fasi della vita domestica» (Sum. contra gent. lib. 3, c. 123).

    Beni del matrimonio sono la prole (che i coniugi cristiani intendono generare e educare, in una specie di esistenziale culto di Dio), la fedeltà reciproca, e la sacralità che lo rende indissolubile e meritorio.

    Oltre che un dovere sociale, il matrimonio è sacramento della nuova alleanza, cui si offre a modello l'unione del Cristo con la Chiesa: del Cristo che «accettò la passione per unire a sé la Chiesa» (q. 42, a. I, ad 3um).

    San Tommaso dunque considera nella giusta luce il settimo sacramento, intuendo tra l'altro i due significati essenziali - «unitivo e procreativo» - dell'atto coniugale ribadito nell'enciclica Humanae vitae di cui riportiamo un passaggio significativo: «Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell'uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua volontà. Usufruire invece del dono dell'amore coniugale rispettando le leggi del processo generativo significa riconoscersi non arbitri delle sorgenti della vita umana, ma piuttosto ministri nel disegno stabilito dal Creatore» (Humanae vitae, n. 13).

 

(86) Intendi, ad esempio, terziari e benefattori.

 

(87) Mt 22, 30. Nella religione biblica è l'analogo soggiorno dei morti chiamato ade dai greci e inferi dai latini. (Vedi anche nota I, a pag. 72). Lo stesso termine inferno designava il sotterraneo paese delle ombre, la casa dei morti, compresi i giusti in attesa del Messia redentore e liberatore.

 

(88) Nell'esporre il pensiero escatologico della teologia medievale e suo proprio, san Tommaso dà prova d'una discrezione ancor più accentuata del solito, e basandosi sulle rare indicazioni scritturistiche passa in rassegna le qualità dei risorti traendone congetture o conclusioni di razionale convenienza (cf. Sum. theol. Supplem. qq. 79-86).

 

(89) Gl I, 17. Oggi viene offerta come probabile la lettura: «Sono marciti i semi sotto le zolle», quantunque gli esegeti aggiungano che tre o quattro dei vocaboli ebraici presenti in questa frase non appaiono altrove nella Bibbia (hàpax legòmena).

 

(90) Si allude qui non alla morte corporale cui farà séguito la risurrezione, bensì alla condizione di estrema amarezza e di definitiva esclusione dei reprobi dalla vita eterna.

 

(91) Sal 48, 15. Con il termine fuoco, nota altrove san Tommaso, innanzitutto «viene designato qualsiasi tormento, quando è gagliardo» (Sum. theol., Supplem. q. 97, a. I), e quindi può indicare l'insieme delle pene infernali. Come entità fisica, tuttavia non illuminerà l'ambiente (tra le tenebre, il riverbero d'una fiamma apporterebbe di già un qualche sollievo); ma se vi sarà un minimo di chiarore, esso dovrebbe attenuare l'oscurità «quel tanto che basta per lasciar vedere le cose capaci di tormentare [ulteriormente] l'anima» (ib., a. 4). Potrebbe somigliare a quel fuoco torbido che, appiccato allo zolfo, brucia lentamente producendo un fumo denso (cf. ib., a. 6). Nondimeno, ricordiamo che - misteriosamente alimentato - esso non consumerà il corpo dei dannati.

 

(92) Giovanni il Damasceno (ossia nativo della città di Damasco) è uno dei padri e dottori della Chiesa; vissuto tra il 650 e il 750, occupa un posto eminente anche nella poesia liturgica bizantina.

 

(93) Sal 62, 5-6. Queste parti di un animale commestibile erano considerate dagli ebrei le più gustose. Nel fervore della preghiera, l'anima visitata da Dio si sentiva come saturata da un cibo delicatissimo.

 

(94) Tra le in vocazioni liturgiche, la Chiesa ne ha inserito una mediante cui chiediamo d'essere liberati sia dal pericolo sempre incombente di peccare, sia dai castighi e dalle conseguenze meritati a causa delle precedenti trasgressioni.

 

(95) cf. 2 Cor 12, 8. Varie le interpretazioni circa la natura dello stimulus carnis (o angelus satanae). Su queste due metafore esprimenti una medesima realtà si sono avanzate le più disparate spiegazioni; più probabile pare l'allusione a una malattia che affliggeva l'apostolo e doveva essere nota ai destinatari della lettera. In ogni caso, va messo in evidenza l'insegnamento di fondo: Dio se ne serve per mantenere Paolo (che ha sperimentato le più vertiginose altezze mistiche) nella umiltà che è coscienza della dimensione creaturale.

 

(96) Eb 12, 9. Creatore, cioè, dell'anima umana e delle sostanze angeliche.

 

(97) cf. Sal 101, 20. Più sotto cf. ib. 27-28 e Sal 28, 30.

 

(98) cf. Sal 102, 19. Al di sopra di questo mondo in cui tutto ciò che esiste per via di generazione è destinato, attraverso successive fasi, a corrompersi fino al dissolvimento nei suoi principi sostanziali, stava - per la cultura greca - ciò che è immobile, imperituro, eterno.

 

(99) Santi possono dirsi tutti i cristiani in quanto messi a parte per il servizio di Dio mediante la vocazione elettiva. Dal gruppo dei testimoni presenti alla pentecoste, il termine si estese a tutti i credenti della Giudea e infine a ciascun fedele, compresi i convertiti dal paganesimo. Santi, cioè, in quanto purificati e incorporati al Cristo, nonché avviati al processo di personale santificazione che è la «metànoia» (radicale mutamento nel modo di pensare, di giudicare e di sentire, e quindi conversione incessante secondo gli orientamenti dei precetti o dei consigli evangelici).

 

(100) cf. Gb 5, l. Anche se nel contesto la frase rivolta a Giobbe dall'amico Eliphaz è in qualche modo ironica e forse va riferita agli angeli, rimane il senso di base e documenta l'antichissima consuetudine di ricorrere al patrocinio dei migliori.

    Di fede è l'efficacia impetratoria e soddisfatoria dei vivi per altri vivi, valida pure nel rapporto di carità tra noi e le anime del purgatorio.

    Anche l'apostolo Giacomo raccomanda la vicendevole carità della preghiera, tra presbiteri, comunità e singoli fedeli (cf. Gc 5, 16).

 

(101) Vescovo d'Antiochia martirizzato a Roma, Ignazio è autore tra l'altro di un epistolario, breve ma fondamentale documento del cristianesimo antico.

 

(102) Umiliatosi al di sotto della propria sublime dignità - col subire i più iniqui giudizi umani, soffrendo i patimenti e la morte da cui era esente anche in quanto uomo; sopportando insulti e derisioni; sperimentando la permanenza nel sepolcro e nell'oltretomba -, Cristo ha meritato quattro tipi di esaltazione: la risurrezione gloriosa; l'ascensione al cielo; l'innalzamento alla destra del Padre e il potere di giudicare sull'intero creato (cf. Sum. Theol., III, q. 49, a. 6).

 

(103) Dt 4, 24. L'alleanza col popolo eletto è concepita da Jahvè in termini nuziali, per cui l'idolatria ha sapore di adulterio e provoca l'ira contro i colpevoli, simile a un incendio dalle fiamme purificatrici.

 

(104) Sancire è lo stesso che fissare solennemente, rendendo irrevocabile un decreto e inviolabile un impegno. In tal modo, la cosa o la persona diveniva «sanc(i)ta», sancta.

 

(105) cf. Fil 3, 8. Alla prima tra le sette domande rivolte al Padre, corrisponde la beatitudine evangelica «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3), e il dono del timore.

 

(106) L'etimologia di sanctus «quasi san [guine tin] ctus» richiama ovviamente lo stile e forse l'ispirazione di Isidoro di Siviglia, per il quale i vocaboli rivelano significati emergenti dalla loro stessa natura oppure, spesso, dalla necessità di trovare dei sostegni per una determinata intuizione, di carattere per lo più apologetico.

 

(107) I Cor 15, 25. La citazione paolina si rifà al versetto di un salmo messianico (Sal 109, I): «Il Signore [Dio Padre] ha detto al mio Signore [cioè al Verbo incarnato]: 'Siedi alla mia destra fino a che io non avrò sistemato i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi'».

 

(108) L'inferno non è una vendetta di Dio, bensì la faccia scoperta del peccato, il rifiuto del dialogo, radicalizzato sino al rigetto d'ogni compromesso tra un uomo e la divinità, nonché del Cristo in funzione di mediatore.

    Di notevole efficacia, quindi, la formulazione olandese dell'inferno come «peccato eterno»: uno stato d'indurimento morale in un'anima dove Dio e la sua grazia non riescono più a trovare il minimo spiraglio attraverso cui, per così dire, possa filtrare l'azione salvifica. L'inferno è qui rivelato nel definitivo auto isolamento del peccatore.

    Si aggiunga che Dio non gode delle pene cui la sua giustizia, stando così le cose, deve lasciare libero corso. Anzi «perfino nella dannazione dei reprobi appare la misericordia, non già sotto forma di indulgenza [del resto rifiutata] ma per una certa clemenza, poiché punisce meno di quanto sarebbe dovuto» (Sum. Theol. I-II, q. 21, a. 4).

 

(109) Mt 5, 4. «Beati i mansueti, poiché possiederanno la terra». Questa non-violenza evangelica realizza l'opposizione all'orgoglio, all'ira, alla vendetta.

 

(110) cf. Eb 10, 34. L'apostolo si riferisce a una delle prime persecuzioni subite dai giudei convertitisi al cristianesimo. Seguirono all'arresto l'esposizione degli imputati allo scherno popolare, il sequestro di ogni proprietà, il carcere e, per molti di loro, la morte.

 

(111) Prv 3, 5. L'uomo che non riconosce altri maestri all'infuori di se stesso - così san Bernardo -, «si pone alla scuola di un discepolo pericolosamente imperito».

 

(112) cf. Prv 11, 2. Doti dell'uomo sapiente sono prudenza ed equilibrio, matura consapevolezza dei propri limiti ed esperienza delle cose umane.

 

(113) Il Figlio di Dio ha preso una umana natura perfetta, cui competono le facoltà intellettiva e volitiva; tuttavia, nel Cristo, la natura umana non ha subito alcuna minorazione rispetto agli attributi divini. Egli agì dunque quale strumento libero della personale volontà, che si determinava mediante l'adesione ai disegni del Padre nella pienezza della carità (cf. Sum. theol. III q. 18, a. I).

 

(114) Questa della salvezza è quasi un luogo comune, tra molti altri che ricorrono nella fraseologia cristiana, e assieme ad altri capisaldi del messaggio rivelato corre i rischi del logoramento, fin quando se ne parli senza una conveniente comprensione. Perciò san Tommaso inquadra l'argomento con notevole incisività; e gli esempi che ognuno poteva facilmente intuire sono di un'evidenza solare, specie se contrarietà o nemici (il mare in tempesta, per i naviganti; un incidente di macchina; una epidemia di germi patogeni) attentano all'integrità di beni essenziali alla vita, o alla conservazione della vita medesima.

 

(115) Tra le tante, riportiamo questa di Isaia (48, 17): «Io, il Signore Dio tuo, t'insegno quel che ti giova e ti dirigo per la strada che vai percorrendo».

 

(116) Si avverte quasi un oscuro legame con la maledizione pronunziata nel paradiso terrestre: perduto il privilegio preternaturale che lo sottraeva alla morte, Adamo (e dopo di lui, ognuno dei suoi discendenti) torna a essere una fragile creatura, quanto al corpo: polvere modellata, che tende a disfarsi in un pugno di polvere.

 

(117) Celebre pensiero di sant'Agostino.

 

(118) Ne richiamiamo il senso generico: passione intemperante è, spesso, predominio della materia sullo spirito. Vedi nota 189.

 

(119) Nella Summa, Tommaso osserva che il peccato d'origine eliminò interamente il dono della originale giustizia e diminuì l'inclinazione naturale alla virtù (quest'ultima resta addirittura perfino nei dannati, altrimenti in essi non ci sarebbe il rimorso - ormai sterile ­ della coscienza).

    Tra le piaghe inferte dal primo peccato alla nostra natura c'è dunque la fragilità, l'ignoranza, la malizia e la concupiscenza; sopravvenne la morte, preceduta a sua volta da altre miserie corporali. Vi si aggiunta infine, per inciso, la diminuzione dei beni «metafisici» della misura, bellezza e ordine (cf. Sum. theol. I-II q. 85, a. I).

 

(120) La restituzione è assolutamente necessaria - in re vel in voto, cioè in effetti o almeno come sincero proposito - per quanti abbiano leso gravemente uno stretto diritto altrui.

 

(121) Si avverte qui un impercettibile barlume di buon umore, connaturale del resto con la tipologia di Tommaso e tutt'altro che sconveniente in un incontro didattico che aveva numerose anime semplici e giovani studenti tra gli uditori.

 

(122) D'un tratto gli «errori», da cinque che erano stati enunziati, divengono sei... Questo inatteso passo indietro per desiderio di sviluppare l'argomento già trattato al n. 3 (p. 147) è un'ulteriore riprova che la expositio in questione nacque come un autentico predicabile, tanto risente della viva sensibilità di un predicatore capace d'avvertire i quesiti che la stessa semina dottrinale poteva suscitare nell'intelligenza dei presenti.

 

(123) Quest'ultima servirà a temperare l'eventuale eccesso di prostrazione o di angoscia che può derivare all'uomo dalla consapevolezza della fragilità umana.

 

(124) Nei testi evangelici lo Spirito è continuamente messo in relazione col Cristo poiché «le loro attività sono unite e i loro scopi coincidono» (G. GHIBERTI) come si può rilevare dall'inizio della vita di Gesù e lungo l'intero arco della sua missione salvifica. Cf. Gv 6, 38.

 

(125) Quantunque la lezione dei codici greci sia preferibile («privi, cioè, di ogni senso [morale]»), rimane vero che essere senza speranza e idolatrare l'immoralità sono i due volti di un'unica realtà. Lo conferma san Paolo, scrivendo sempre agli Efesini (2, 12): «Voi pagani [...] eravate un tempo senza Messia [...], estranei alla speranza della promessa e senza Dio in questo mondo».

 

(126) I seguaci del vescovo Novaziano si autodesignavano col nome di «puri», in opposizione ai membri della Chiesa cattolica macchiata (secondo la loro accusa) dalla comunione coi peccatori recidivi.

 

(127) È stoltezza e rischio estremo il rimandare, di giorno in giorno, la conversione «a domani»: un domani che, in pratica, è mera utopia.

 

(128) Deciso atto della volontà attraverso cui l'uomo determina d'interrompere un rapporto futuro, intenzionale, col peccato. Pur non essendo una vera e propria promessa, è più che un semplice desiderio vago e irresoluto di emendarsi. Se ne può dedurre la consistenza della contrizione.

 

(129) La potestà con cui Cristo, la sera stessa della risurrezione (Gv. 20, 22-23), conferisce agli apostoli il potere di riconciliare (riaprendo loro il regno dei cieli) i peccatori con Dio, mediante il sacramento della penitenza.

 

(130) Teoricamente è possibile, quantunque la condizione stessa dell'uomo viatore lo porti a ricadere per lo meno in colpe veniali. Particolare importanza acquista perciò la grazia di poter fruire, nell'atto di presentarci al giudizio particolare, del sacramento della penitenza o degli effetti derivanti dall'unzione degli infermi.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)