00 19/06/2013 10:55

(181) Es 22, 18. È un articolo penale che colpisce gli stregoni e le maghe, il cui operato veniva a intaccare gravemente l'edificio teocratico che Jahvè andava costruendo tra il suo popolo.

 

(182) Nella convinzione che Dio, legislatore supremo, abbia autorizzato la pena di morte quale estremo riparo del codice, il giurista ebreo l'applicava (quando vi fosse sufficiente certezza di colpa). mirando a eliminare dal popolo elementi pericolosi, a produrre una punizione socialmente esemplare e a purificare la comunità riabilitandola a ricevere il perdono divino.

 

(183) Marco Porzio Catone, detto l'Uticense. Si uccise per amore di patria nel 46 a. C.

 

(184) Per quanto suggestiva, l'allusione a questa «fraternità» tra lupi (peraltro suffragata dal proverbio popolare che «lupo non mangia lupo ... ») o a una certa qual mansuetudine nel lupo che (secondo una versione latina d'un testo di Avicenna), preso a sassate, si contenta di atterrare e impaurire il colpevole, non trova riscontro obiettivo nel De animalibus di Aristotele ed è da imputarsi a una corruzione dei manoscritti.

 

(185) Non solo vi è il delitto di procurato aborto e l'uccisione di una donna inerme, ma - secondo la dottrina sul Limbo, se inevitabile per i non battezzati - la privazione della gloria beatifica a danno della piccola vittima.

 

(186) Es 21, 14. Nel versetto precedente Jahvè stabilisce un luogo di rifugio dove l'autore di un omicidio preterintenzionale potesse trovare asilo e scampo. Dapprima tale luogo fu l'altare, poi sorsero le città-rifugio (cf. Nm 35, 9-28).

 

(187) I seguaci di Aristotele erano chiamati a quel modo (peripatetici) dall'abitudine che il loro maestro aveva di tener lezioni e discussioni filosofiche, passeggiando nel porticato interno del Liceo d'Atene, detto peripatos.

 

(188) S. Tommaso tratta l'argomento dell'esistenza o meno delle «passioni» umane nel Cristo (cf. Sum. theol. III, q. 15, a. 3). Dopo aver fatto notare - a proposito dell'ira - che il desiderio di vendetta è peccato quando lo si intenda in maniera difforme dalla retta ragione (e una simile ira non poteva esserci nel Cristo), «altre volte tale desiderio di vendetta non è peccato, anzi è lodevole, come quando si cerca la vendetta quale espressione di vera giustizia ... E tale ira poteva esserci in Cristo».

(189) Si può definire «passione» una persistente e spesso violenta emozione o impulso reattivo, che attenua la lucida razionalità e l'obiettività; ma non sempre ogni passione realizza la valutazione negativa che il termine reca in sé. Nella Sum. theol. (I-II qq. 22-48), san Tommaso ne enumera undici: amore, odio, desiderio, avversione, gioia, tristezza; speranza, disperazione, audacia, paura, collera.

 

(190) L'appetito, genericamente considerato, è uno «stimolo accentuato a raggiungere il proprio appagamento; impulso, inclinazione naturale che impegna i sensi e l'immaginazione» (DEVOTO-OLI, Vocabolario illustrato della lingua italiana, Milano 1967).

 

(191) Vedi sopra, nota 189

 

(192) L'esempio più autorevole lo abbiamo (in tema di ira ragionevole, di virtuosa indignazione) nell'episodio in cui Gesù scaccia dal tempio i mercanti (Gv 2, 14-16).

 

(193) Infatti, funzione primaria della mansuetudine è il moderare gli eccessi di una ragionevole ira.

 

(194) Questo precetto, teso a proteggere la vita degli individui e dei popoli, scaturisce dalla volontà di Dio, espressa in Es 20, 13 («Non ammazzare») e implicita in Lv l 9, 18 («Ama il tuo prossimo come te stesso»).

 

(195) cf. Prv 15, 18. Mentre il non-violento si adopra a spegnere sul loro nascere le contese, l'uomo iracondo le alimenta.

 

(196) Mt 5, 22. Ràqa, letteralmente, significa fatuo, vuoto, sciocco. Nabàl era chi vive come se Dio non esistesse: quindi empio, ribelle alla divinità, rinnegato. Offesa di estrema gravità, considerata la sensibilità religiosa del popolo ebraico.

 

(197) Le comunità religiose del passato sostituivano in parte gli istituti assistenziali della società moderna, e costituivano un rifugio per tanti sventurati, assai più sicuro del resto che arruolarsi nella milizia in qualità di mercenari.

 

(198) cf. Gn 2, 21-23. «La donna non fu tratta dalla testa di Adamo acciò non si credesse a lui superiore, né fu tratta dai piedi acciò non venisse riguardata come serva o schiava, ma fu formata dalla costa, acciò venisse ritenuta compagna di vita» (M. SALES, Il Vecchio Testamento, vol. I, Torino 1934).

 

(199) Vedi nota 85.

 

(200) Specie dopo le paurose epidemie che nel medioevo e nel rinascimento spopolavano città e conventi, si era costretti in un certo senso a spalancare le porte di questi ultimi, accogliendo così le nuove reclute per la vita religiosa o destinate al clero secolare senza guardar troppo per il sottile.

 

(201) cf. Gb 24, 9-10. Giobbe fa un nutrito e impressionante elenco di empietà che appaiono come insulto ai bisogni elementari degli uomini e una sfida all'imprevedibile giustizia divina. Perfino gli orfani sono spogliati senza pietà, e ai lavoranti che han faticato l'intera giornata nella mietitura, vengono strappate di mano le poche spighe che hanno radunato a stento...

 

(202) Lett.: Tenemur enim regibus custodientibus pacem nostram dare mercedem. Ogni governante dovrebbe però sapersi meritare questo titolo altamente onorifico di «custode della nostra pace». Anticamente questo rapporto tra privati e autorità costituita era, almeno in teoria, più vivo nelle coscienze di quanto non lo sia oggi: il re provvedeva al mantenimento dei funzionari e dell'esercito, alla difesa della nazione, nonché a promuovere il bene comune, restando però arbitro praticamente incontrollato sull'opportunità di imporre nuovi oneri fiscali e sull'impiego dei medesimi.

           

(203) Dt 25, 13. Si può intendere, anche: uno più grosso, per le compere; uno più piccolo per le vendite.

           

(204) Lv 19, 35-36. Erano due capacità di misura, una per i solidi, l'altra per i liquidi.

 

(205) «Il prestito a interesse è stato condannato da tutta l'antichità classica (Aristotele, Catone), anche perché praticato largamente in forme vessatorie e crudeli» (S. BAUSANI in: Dizionario di teologia morale, a cura di ROBERTI-PALAZZINI, vol. I, p. 844.

    Altrettanto fecero i padri della Chiesa, il codice giustinianeo, il diritto canonico e il Corano. Tuttavia «non veniva condannato ogni specie di onesto interesse ma la degenerazione dell'usura che era caratteristica dei tempi» (ib.). La Chiesa ha superato la teoria della «sterilità della moneta» e riconosce che negli scambi commerciali moderni è cambiata totalmente la natura del contratto di prestito.

 

(206) È l'autore del Siracide (o Ecclesiastico). Vedi nota 16, p. 43. 19) Sir 34, 2.5.

 

(207) Ab 2, 9, 11. Personificazione di una coscienza tormentata dai rimorsi.

 

(208) cf. Mt 18, 15-17. Correggere chi, peccando, può avere leso o scandalizzato altri è un dovere di giustizia il cui compito è di «custodire [o ripristinare] la rettitudine nei rapporti reciproci». Ma il peccato costituisce anche un male per chi lo ha commesso o stia per ricadervi; e siccome evitare un male è lo stesso che beneficare chi poteva esserne oggetto. la carità che ci muove a soccorrere gli amici in pericolo ci spinge ancora alla loro correzione fraterna. «Con essa cerchiamo d'allontanare da un fratello quel male che è il peccato; ... perciò la correzione fraterna è un atto di carità superiore alla cura delle malattie fisiche e alle elemosine che attenuano l'indigenza» (cf. Sum. theol. II-II q. 33. a. I).

 

(209) L'èquità viene definita spesso «giustizia del caso particolare». Siccome la giustizia, per ovvie ragioni d'ordine sociale, tende a essere rigida e uniforme, si sente il bisogno di un'altra norma che tenga conto di tutti gli elementi della concreta situazione umana. Possiamo dire che l'equità corregge il diritto vigente nel senso che attua una forma superiore di giustizia. Suggestiva la definizione data dall'Hostiensis: «iustitia dulcore misericordiae temperata» (giustizia, cioè, il cui rigore è temperato da una sensibilità verso le miserie altrui).

 

(210) Sir 7, 20. Il nome Ofir indica la regione in cui si estraeva un oro di qualità superiore, tanto che giunse a essere usato quale sinonimo di oro.

 

(211) cf. Rm 7, 18. Uomo come tutti noi, egli si sentiva inclinato maggiormente verso il male piuttosto che verso il bene. La grazia soltanto può contrastare il dominio della concupiscenza.

 

(212) Mt 12, 34. Anche se rimanga nascosto nel nostro intimo, un proposito contiene le premesse di un'azione.

 

(213) cf. Gn 19, 17. Nella sua conclusione san Tommaso pone assieme - dato il loro rapporto di causa ed effetto - l'avvampare delle passioni carnali specie contro natura (cf. Gn 19, 4-9) e il fuoco che sarebbe piovuto sopra Sodoma e Gomorra (ib., 24-25).

 

(214) Qui Girolamo sviluppa un analogo consiglio suggerito all'altro suo corrispondente, Rustico.

 

(215) Più la sezione conclusiva: «Santa Maria, madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen». Il nome «Gesù» era stato annunziato dall'arcangelo (Lc 1, 31).

 

(216) È l'episodio della visita effettuata da angeli in figura umana, ad Abramo accampato in Mamre; una delle pagine più belle della Bibbia.

 

(217) Lc 1, 28. Il saluto dell'angelo (in ebraico shalòm [lekà], ossia «pace [a te]») corrisponde al greco kàire, «rallègrati», «stai contenta». Le parole di Gabriele vibrano di una trepidante allegrezza messianica.

 

(218) Gb 25, 3. Bildad è uno dei tre amici che intervengono nel dibattito sulla giustizia morale.

 

(219) Devotissimo della Madonna ma, insieme, preoccupato di salvaguardare le prerogative - uniche - del Cristo, san Tommaso ragiona così: se l'anima della beata Vergine non fosse stata mai contagiata dal peccato d'origine, Cristo perderebbe la peculiarità di essere il Salvatore universale. Perciò la purezza di Maria fu la più grande, ma al di sotto di quella di Cristo. Nell'atto di concepire il Figlio, la madre, di già modello di purezza, fu resa ancor più santa e immacolata. La «redenzione preservativa» interverrà, dunque, a conciliare l'azione universalmente salvifica di Gesù e, «in vista dei meriti di lui», l'immacolato concepimento di Maria. Per una sintesi del pensiero di Tommaso a tal proposito, rimandiamo il lettore alle pp. 22-30 dell'Introduzione.

 

(220) Questo il senso delle parole: «In che modo può accadere, questo, dal momento che io [per il voto di perpetua verginità] non conosco uomo?» (Lc l, 34).

 

(221) Da un'antica liturgia mariana.

 

(222) Cioè, non solo fu esente dal peccato e dal fornite della concupiscenza ma dalle sue conseguenze. La sottrazione totale del fornite (che altro non è se non la sregolata attività nella sfera dell'appetito sensibile) fu concessa alla beata Vergine per la pienezza della sua grazia, producendo in lei tanta armonia tra le facoltà della sua anima da impedire che quelle inferiori potessero mai operare senza il controllo oculato da parte della ragione. L'immacolato concepimento perciò ha restituito Maria al livello della giustizia originale. Letteralmente il testo critico della edizione Leonina è: «Ipsa enim purissima fuit, et quantum ad culpam, quia nec originale, nec veniale, nec mortale peccatum incurrit. Item quantum ad poenam» ecc.

 

(223) Oltre al testo fondamentale per la dottrina del corpo mistico, di Gv 15, 1-2,4-5, raccomandiamo la lettura di Rm 3, 5 e, soprattutto, di Gal 3, 26-27: «Tutti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù. Infatti (ed ecco la ragione della suddetta figliolanza), voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo».

 

(224) Sal 44, 3. L'inconsueta, inimitabile bellezza della sua parola, che ha fatto ammettere agli inviati dei farisei: «Nessuno ha mai parlato come quest'uomo!» (Gv 7, 46

 

 

 

 

FINE
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)