00 19/06/2013 10:04

[Dal cielo] verrà a giudicare i vivi e i morti

 

    La facoltà di giudicare spetta ai re e ai capi (cf. Prv 20, 8). Tornando perciò nel proprio regno e sedendo alla destra del Padre, è chiaro che spetta al Figlio - quale Signore di tutto il creato - giudicare i vivi e i morti. L'avvenimento è adombrato nelle parole rivolte dagli angeli agli uomini di Galilea: «Quel Gesù che, lasciandovi, è salito al cielo, verrà [di nuovo]» (At I, 11).

    A proposito di questo giudizio futuro possiamo considerare tre cose: la persona del giudice, i convenuti in giudizio e la materia del giudizio medesimo.

    Cristo è stato costituito dal Padre quale giudice dei vivi e dei morti (cf. At 10, 42), e col nome di vivi possiamo indicare sia coloro che vivono rettamente, sia gli attuali abitatori della terra [prescindendo da ogni considerazione]; invece morti, oltre ai defunti in senso fisico, anche i peccatori.

    Egli è giudice in quanto Dio e in quanto uomo, opportunamente. La divinità è una realtà così beatificante che nessuno può trovarsi alla sua diretta presenza e non essere colmato di gaudio. Quindi è necessario che il giudice divino appaia nella persona del Cristo, in maniera da poter giudicare l'intera umanità senza che i reprobi gustino il sommo bene.

    Gesù, «figlio dell'uomo» (cf. Gv 5, 27) ha meritato l'incarico di giudice universale, egli che venne giudicato ingiustamente.

    In più, sapendo che dovranno incontrarsi con un giudice divino ma dall'aspetto umano, gli uomini serberanno una certa quale speranza, che non potrebbe sussistere se li attendesse per vagliare le loro azioni la pura divinità. Minore sarà lo spavento allorché gli uomini «vedranno un 'figlio dell'uomo' venire sulle nubi» (Lc 21, 27). E nessuno degli uomini che videro la luce del sole, nessuno potrà sottrarsi a quel processo. Infatti «tutti quanti dobbiamo comparire innanzi al tribunale di Cristo, perché ognuno riceva ciò che è giusto per quel che avrà fatto mentre viveva unito al corpo, sia in bene che in male» (2 Cor 5, 10).

   San Gregorio Magno prende in esame le differenze che intercorrono tra le categorie di coloro che saranno convocati al giudizio finale.

   Tra i reprobi, un certo numero verrà condannato senza che si proceda neppure a un esplicito dibattimento. Si tratta di coloro che rifiutarono il dono della fede. «Chi non crede è già condannato, perché non crede nel nome dell'unigenito Figlio di Dio» (Gv 3, 18).

   Altri ascolteranno la sentenza che li condanna, dopo la denunzia delle loro colpe: i credenti cioè che morirono in peccato mortale. La sola fede non basterà a salvarli, e riceveranno la paga del peccato - che è la morte [eterna] -, di cui parla san Paolo (cf. Rm 6, 23).

   Anche nel numero degli eletti vi saranno tal uni che verranno invitati alla destra di Cristo giudice sin dall'inizio: quanti vissero in spirito di povertà per amore di Dio. Leggiamo nel vangelo di Matteo che chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi, per seguire il Signore non solo riceverà il centuplo e avrà in eredità la vita eterna, ma sarà chiamato a sedersi accanto al «Figlio dell'uomo» per giudicare con lui il genere umano (cf. Mt 19, 28). Oltre ai dodici e agli altri discepoli che accompagnarono il Maestro nel suo peregrinare terreno, una uguale sorte è serbata a tutti i poveri in spirito. Non potrebbe esserne escluso l'apostolo Paolo, ad esempio, che si affaticò più d'ogni altro, vivendo la povertà evangelica. Altrettanto varrà per i discepoli degli apostoli e per tutti gli uomini autenticamente apostolici. San Paolo esprime addirittura la certezza che gli eletti giudicheranno perfino gli angeli [decaduti] (cf. I Cor 6, 3). Nel giorno del giudizio, gli eletti somiglieranno agli anziani e ai principi del popolo di Dio, di cui parla Isaia (cf. Is 3, 14).

    Gli uomini che saranno stati colti dalla morte in uno stato di sostanziale equità benché non siano vissuti esenti da qualche attaccamento ai beni temporali conseguiranno la salvezza, ma ogni particolare della loro esistenza sarà accusatamente soppesato: azioni, parole, e perfino i pensieri. Ci avverte pèrciò la Scrittura: «Segui pure gli impulsi del tuo cuore e i desidèri dei tuoi occhi. Sappi però che per tutto questo Dio ti chiamerà in giudizio» (66). E il Signore: «Vi dico che nel giorno del giudizio gli uomini renderanno conto di ogni parola vana che avranno proferita» (Mt 12, 36), mentre la Sapienza ribadisce che non sfuggiranno al giudice divino neppure i propositi che l'empio avrà formulato credendosi al sicuro perfino dallo sguardo di Dio (cf. Sap I, 9).

    Di fronte a un simile giudizio il timore è ben giustificato.

 

    I. Saremo esaminati da un giudice capace di penetrare l'intimo dell'anima. Egli sa tutti i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre opere: «tutto è chiaro e svelato agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto» (Eb 4, 13). Allo sguardo di altri uomini le nostre scelte potranno apparire oneste, ma il Signore scruta le profondità dello spirito (cf. Prv 16, 2).

    Dio [come s'è detto] conosce ogni parola da noi pronunziata: come un orecchio geloso, anch'egli ascolta tutto e non gli rimane nascosto neanche il sussurro delle mormorazioni (cf. Sap I, 10). Ci legge nel pensiero. Il cuore umano, certo, è più complesso d'ogni altra cosa, e malizioso. Ebbene, dice il Signore, «Io scruto i cuori, scandaglio i reni (67), per dare a ciascuno secondo la sua condotta e il frutto delle sue opere» (Is 17, 9).

    Non saranno assenti, nel giorno del giudizio finale, i testimoni. Teste infallibile, la coscienza d'ognuno, secondo l'Apostolo: «I dettami della legge sono scritti nei loro cuori, come ne fa fede la loro coscienza coi suoi giudizi, la quale, volta per volta li accusa o li difende. E questo diventerà manifesto nel giorno in cui (...) Dio giudicherà per mezzo di Gesù Cristo le azioni segrete degli uomini» (Rm 2, 15-16).

 

    2. Altro motivo di timore: la potenza, o per meglio dire l'onnipotenza del giudice: «Ecco il Signore Dio che viene, con possanza!» (Is 40, 10). Avrà per alleati tutte le creature, poiché «l'universo combatterà con lui contro gli insensati [che gli si opposero]» (Sap 5, 20). Diceva bene Giobbe: «Non c'è chi possa liberarmi dalla tua mano» (Gb 10, 7); e il salmista: «Se anche salissi al cielo, tu ci sei; s'io vado in fondo agli abissi, eccoti là» (Sal 138, 8).

 

    3. La sua giustizia sarà inflessibile. Adesso è tempo di misericordia, ma in quel giorno finale vi sarà posto soltanto per la giustizia; il momento attuale è nelle nostre mani, mentre allora sarà nelle sue, esclusivamente. «Quando avrò deciso di farlo, emetterò, con rettitudine, la mia sentenza» (Sal 74, 3). In preda al suo santo sdegno non perdonerà nel dì della vendetta, non ascolterà le implorazioni di nessuno, non defletterà dal suo retto giudizio neppure se gli offrissimo tutte le ricchezze dell'universo (68).

 

    4. Terribile sarà l'ira del Giudice supremo. Ai giusti mostrerà il suo volto dolce e beatificante (cf. Is 33, 17), ma ai reprobi apparirà in collera e tanto tremendo, che essi diranno alle montagne: «Cadeteci addosso, nascondeteci dalla faccia di Dio che è assiso sul trono e dall'ira dell'Agnello!» (Ap 6, 16). Non sarà, quello, uno sconvolgimento emotivo [nell'animo di Cristo giudice, come quando l'uomo si adira], bensì un modo di esprimere l'effetto della sua indignazione [contro gli ostinati ribelli]. Quel giorno è chiamato «giorno dell'ira» (69), quando si consideri la pena inflitta ai peccatori: l'inferno, per l'eternità.

     Di fronte a un così fondato timore, ci sentiremo rianimati se:

    - cercheremo di agire bene, secondo l'esortazione dell'Apostolo: «Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il tuo dovere, e ne avrai anzi la lode» (Rm 13, 3);

    - ricorrendo al sacramento della penitenza e riparando gli errori, confessandoci cioè con vera contrizione, con sincero rincrescimento nell'accusa e severe pratiche penitenziali come espiazione [commutativa] delle pene eterne;

    - distribuendo elemosine, che completano la purificazione dell'anima. «Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, affinché quando verrà a mancarvi, essi vi accolgano nella dimora eterna» (Lc 16, 9);

    - vivendo nella carità, ossia nell'amore verso Dio e verso il prossimo: sarà così ricoperta una moltitudine di peccati (cf. I Pt 4, 8; cf. Prv 10, 2b).

 

 

Credo nello Spirito Santo

 

    Abbiamo veduto che il Verbo di Dio è suo Figlio, come il verbo [mentale] dell'uomo è il concetto della sua intelligenza (70); ora accade talvolta che si tratti di concetti non vitali, di progetti inattuati per mancanza di volontà operativa. Il credente conosce le verità di fede, ma spesso non agisce in modo coerente. La sua, allora, è una fede morta.

    Il Verbo di Dio invece è [eternamente] vivo (cf. Eb 4, 12): è segno che in lui pulsa la volontà, l'amore.

   Come il Verbo è Figlio di Dio, così il suo Amore è lo Spirito Santo. Ne segue che un uomo ha in sé questo Spirito se ama Dio. «L'amore di Dio è stato diffuso in abbondanza nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5, 5).

   Non mancarono tal uni che, errando su tale materia, sostenevano che lo Spirito Santo era una semplice creatura, e, in quanto tale, minore, rispetto al Padre e al Figlio, loro servo e strumento. Per respingere simili errori, i teologi della ortodossia aggiunsero nel Simbolo cinque precisazioni intorno allo Spirito Santo.

   I. Esistono altri esseri spirituali, gli angeli, la cui funzione è propriamente quella di esecutori del volere di Dio: «spiriti al servizio di Dio», come si legge nella lettera agli Ebrei (Eb I, 14) mentre, al contrario, lo Spirito Santo è Signore, «è Dio» (Gv 4, 24) o, più esplicito, «lo Spirito Santo è Signore» (2 Cor 3, 17). Dunque, non subisce coazioni, è libero, e dove ci sia lo Spirito, ivi troviamo la vera libertà (2 Cor 3, 17). Egli, infatti, attraendoci all'amore di Dio, ci libera dagli attaccamenti mondani. Lo Spirito Santo è «Signore».

 

   2. La [vera] vita dell'anima deriva dalla sua unione con Dio, come è l'anima a render vitale un corpo cui sia unita. Dio si unisce all'uomo mediante il suo Amore, che è lo Spirito; e lo vivifica: «è lo Spirito che dà la vita [soprannaturale] (Gv 6, 63). Egli, dunque, «ci dà la Vita».

 

   3. Lo Spirito Santo è della medesima sostanza [divina] che il Padre e il Figlio. Difatti, come il Figlio è Verbo del Padre, lo Spirito è l'Amore intercorrente tra il Padre e il Figlio, procedente da entrambi e quindi partecipante dell'unica divinità. Egli «procede dal Padre e dal Figlio». Non è, evidentemente, quella creatura che qualcuno disse.

 

    4. Riguardo al culto [che gli dobbiamo], sta su un piano di uguaglianza col Padre e il Figlio.

    Il battesimo stesso che applica all'uomo i frutti della passione redentrice del Figlio e procede dalla benevolenza del Padre, si compie - accomunandolo nel medesimo rito ­ mediante l'effusione dello Spirito (cf. Mt 28, 19). «Con il Padre e il Figlio, [lo Spirito] è adorato e glorificato».

 

    5. A conferma dell'eguaglianza delle tre Persone sta la divina ispirazione concessa ai profeti. E evidente che se lo Spirito non fosse Dio medesimo, nessuno potrebbe sostenere quanto, ad esempio, afferma san Pietro: «Uomini retti, mossi dallo Spirito Santo, hanno parlato da parte di Dio» (71). E Isaia poté ripeterlo di sé medesimo: «Il Signore Dio e il suo Spirito mi hanno mandato [a profetare]» (Is 61, 1).

   Risultano così infirmate due tesi ereticali: l'errore cioè dei manichei, secondo i quali l'Antico Testamento non aveva Dio per autore; il che è falso, avendo parlato lo Spirito Santo per bocca dei profeti.

   Poi l'errore di Priscilla e di Montàno (72), i quali davano per certo che i profeti non trasmisero il pensiero dello Spirito Santo, bensì i propri vaneggiamenti.

    Dallo Spirito ci deriva una quantità di frutti spirituali.

    Egli purifica l'anima dai peccati, spettando l'opera di restaurazione all'autore medesimo. Ora, l'anima umana è creata mediante lo Spirito Santo, dato che il Padre crea ogni cosa per un atto del suo Amore. «Tu ami tutte le cose esistenti, e nulla disprezzi di quanto hai creato» (Sap II, 24). E Dionigi scrive che l'Amore non permise che la divinità restasse infeconda.

    Perciò è quanto mai opportuno che il cuore umano, devastato dalle conseguenze della colpa, venga rimesso a nuovo dallo Spirito. Anche in senso spirituale vale la considerazione del salmista : «Ridai [alle creature] il tuo alito e le ricrei, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104, 30). Ed è perfettamente convenevole che in tale operazione purificatrice operi lo Spirito, dal momento che i peccati trovano remissione in forza dell'amore. «I suoi numerosi peccati sono stati perdonati - dice Gesù della peccatrice - poiché ha molto amato» (Lc 7, 47). E Pietro: «Abbiate un'ardente carità gli uni verso gli altri, perché la carità copre un gran numero di peccati» (73).

    Lo Spirito Santo illumina la nostra mente; tutto ciò che conosciamo [circa i misteri soprannaturali] proviene dalla rivelazione dello Spirito. «Lo Spirito Santo che il Padre vi manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi farà comprendere tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14, 26; cf. 1 Gv 2, 27).

    Ci aiuta a osservare i divini precetti, esercitando su di noi una sorta di [soave] pressione. Nessuno infatti riuscirebbe a osservare i comandamenti se non amasse Dio. «Se qualcuno mi ama, metterà in pratica le mie parole» (Gv 14, 23). E lo Spirito-Amore ci induce a riamare. Egli realizza la promessa antica: «Vi darò un cuore nuovo, in voi porrò un nuovo spirito; toglierò il cuore di pietra dal vostro corpo e lo sostituirò con uno di carne. Porrò in voi lo Spirito mio, facendo si che viviate secondo i miei statuti, mettendo in pratica le mie leggi» (74).

    Ci rafforza nella speranza di poter conseguire la vita eterna, poiché egli ne costituisce quasi il pegno. Dice l'Apostolo: «Avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo, che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità» (Ef I, 13-14). La vita eterna infatti viene promessa all'uomo che [mediante la fede in Cristo] diviene figlio adottivo di Dio, simile cioè al Cristo per opera dello spirito che abita in Gesù, ed è lo Spirito Santo. «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale possiamo gridare: Abbà, Padre!' Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rm 8, 15-16).

    «La prova che voi siete figli, sta nel fatto che Dio mandò lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori, il quale grida: Abbà!', che vuol dire Padre!» (Gal 4, 6).

    Infine lo Spirito Santo ci consiglia nelle situazioni difficili, mostrandoci quale sia [nel caso concreto] la volontà di Dio. All'invito che leggiamo nell'Apocalisse: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice» (Ap 2, 7), fa eco l'esemplare disponibilità del profeta Isaia: «Lo ascolterò, come [il discepolo ascolta] il maestro» (Is 50, 4).

 

 

[Credo nel]la santa Chiesa cattolica

 

   Simile al nostro organismo, in cui l'anima diffonde la vita nelle varie parti, la Chiesa cattolica è un corpo [mistico], composto di numerosi membri vivificati dallo Spirito Santo. Dobbiamo quindi professare l'atto di fede nella Chiesa, santa e cattolica, menzionata negli articoli del simbolo: 'Credo la Chiesa'.

   Il nome chiesa significa riunione, società, sicché la Chiesa è l'assemblea dei fedeli come, dal canto suo, ciascun cristiano è membro del corpo ecclesiale, cui sembra far cenno il libro dell'Ecclesiastico (cf. Sir 51, 31).

   Quattro sono le note essenziali della Chiesa di Cristo: essa è una, santa, cattolica ( ossia universale) e apostolica [salda, ben fondata].

 

    I. Proprio il fatto che le sette ereticali si siano succedute tanto numerose e in contrasto l'una con l'altra già le esclude dall'appartenere alla Chiesa, armoniosa in se stessa e unica, simile alla «colomba», l'amata dello Sposo (cf. Ct 6, 8).

    L'unità della Chiesa promana dall'unica fede, da un'identica speranza e dalla comunione nella carità.

    Infatti i cristiani, membri di una stessa società, professano le medesime verità rivelate. Raccomanda loro l'apostolo Paolo: «Tra voi non ci siano divisioni ma siate perfettamente uniti, d'uno stesso pensiero, concordi» (I Cor I, 10), sicché mostriate d'avere «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio, Padre di tutti» (Ef 4, 5).

     Ciascun fedele nutre la ferma aspirazione di pervenire alla vita eterna: unica è la speranza verso cui siamo orientati mediante la vocazione cristiana (cf. Ef 4, 4).

    I fedeli si ritrovano uniti anche nell'amore verso Dio e in una vicendevole carità, sì da realizzare il profondo desiderio del Cristo, che tutti i cristiani siano - come il Padre, il Verbo e lo Spirito - una sola realtà.

    Tale amore, quando è autentico, si manifesta attraverso una mutua sollecitudine [nel servizio reciproco] e nella comprensione degli uni per gli altri. Di particolare eloquenza questo passo dell'Apostolo: «Vivendo secondo un' autentica carità, cerchiamo di crescere sotto ogni aspetto, in colui che è il Capo, Cristo, dal quale tutto il corpo [mistico], ben compaginato e connesso, mediante l'apporto d'ogni giuntura e secondo l'energia di ogni membro, riceve forza per crescere, in maniera da edificare se stesso nella carità» (Ef 4, 15-16). D'ogni grazia che Dio ci concede dobbiamo farne partecipe il nostro prossimo.

    Nessuno perciò deve prender alla leggera il meritare d'essere scacciato ed escluso dalla Chiesa [cattolica] dove si trova la salvezza, come non fu possibile salvarsi per quanti rimasero, al tempo del diluvio, fuori dell'arca.

 

    2. Anche gli uomini orientati verso il male costituiscono una specie di congrega, ed è l'alleanza dei malvagi che Dio aborre (cf. Sal 25, 5).

    La società fondata dal Cristo, al contrario, è protesa a realizzare la santificazione dei suoi membri (75). È  la «santa Chiesa».

    I fedeli cristiani vengono santificati in più modi.

    Quando un nuovo tempio vien consacrato, lo si comincia a lavare, materialmente; così i fedeli: entrando a far parte della Chiesa vengono purificati [mediante il battesimo], grazie al sacrificio cruento del Cristo. « [Gesù] ci ha liberati dalle nostre colpe con il suo sangue» (Ap I, 5), egli che «per santificare il popolo col proprio sangue, patì fuori della porta della città» (Eb 13, 12).

    Il rito di consacrazione d'una nuova chiesa prevede poi l'unzione [dell'altare]; e altrettanto i fedeli: essi infatti ricevono l'unzione del crisma, attraverso cui agisce lo Spirito Santo nella sua opera santificatrice. Sono così, potenzialmente, resi simili al Cristo, l'Unto (76) per eccellenza.

    Dovunque Dio inabiti, quello diviene un luogo santificato dalla, sua presenza (cf. Gn 28, 16) ed è conveniente che il cristiano, tempio dello Spirito, si custodisca irreprensibile (cf. Sal 92, 5).

    Infine, anche l'invocare Dio ha un'azione santificante. «Tu sei in noi, Signore, e sopra di noi è stato invocato il nome tuo» (Ger 14, 9).

    Stiamo perciò ben attenti - considerando di quali e quante santificazioni sia stata oggetto la nostra anima - a non offuscare lo splendore di questo tempio di Dio. E grave la minaccia che leggiamo in san Paolo: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di lui abita in voi? Se uno vìola il suo santuario, Dio lo distruggerà (I Cor 3, 17).

 

    3. Altra nota della Chiesa è la cattolicità. Essa, cioè, è universale, nel senso che va diffondendosi praticamente su tutta la terra, contro la tesi dei donatisti (77). La testimonianza di Paolo nei confronti dei fedeli di Roma («La fama della vostra fede si espande nel mondo» (Rm I, 8)) è una risposta alla missione evangelica affidata da Cristo agli apostoli: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15). Mentre in passato il vero Dio era noto solo entro i confini della Giudea, adesso la sua rivelazione ha raggiunto le più lontane regioni della terra (78).

    A ciò s'aggiunga l'universalità che dilata ulteriormente la Chiesa: essa infatti comprende, oltre alla terra, il purgatorio e il paradiso.

  È universale, poi, quanto alle diverse condizioni sociali delle persone chiamate a fame parte. Nessuno ne è pregiudizialmente escluso, né il servo né il padrone, né l'uomo né la donna.

    Universale anche riguardo al tempo. Certuni dissero che la Chiesa avrebbe avuto soltanto una sua durata temporale, il che è falso. Essa durerà, dal tempo di Abele (79), sino al concludersi della fase terrena, assistita dal Cristo (cf. Mt 28, 20), per trasformarsi alfine nell'unica Chiesa trionfante in eterno.

 

    4. Possiede la dote della stabilità. Un edificio può esser detto solido se innanzi tutto poggia su buone fondamenta. Ebbene, la Chiesa è sorretta dal Cristo. «Nessuno può porvi un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Cristo Gesù» (I Cor 3, 11).

    Poggia inoltre sugli apostoli e sulla loro dottrina. La celeste Gerusalemme descrittaci dall'Apocalisse aveva dodici strati per fondamenta, e su ognuno v'era il nome dei dodici apostoli dell'Agnello (cf. Ap 21, 14). La Chiesa è detta perciò apostolica, e Pietro viene indicato espressamente quale pietra di base, onde sottolinearne la solidità (80).

    Ancora. Una costruzione merita d'essere giudicata stabile se regge quando sia soggetta a violente scosse. Ebbene, la Chiesa non è stata mai demolita: non vi riuscirono i persecutori, anzi fu sotto il loro imperversare che essa si accrebbe ulteriormente; i persecutori invece e gli avversari d'ogni sorta scomparvero uno dopo l'altro. «Chi cadrà su questa pietra andrà in pezzi; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» (Mt 21, 44).

    Le eresie produssero un effetto analogo: col loro moltiplicarsi, offrirono occasioni per un ulteriore chiarimento della verità. «[Gli eretici] si oppongono alla verità essendo uomini dissennati nel modo di giudicare, che hanno perduto la fede. Costoro però non andranno molto innanzi perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti» (2 Tm 3, 8).

    Gli stessi assalti diabolici non raggiungono miglior risultato: simile a una torre, la Chiesa costituisce anzi un solido baluardo entro cui trova riparo chiunque si opponga all'avversario. Il giusto vi si rifugia ed è al sicuro (cf. Prv 18, 10).

    Perciò il diavolo raddoppia i propri assalti contro la Chiesa; ma non potrà prevalere, avendo il Signore assicurato che «le porte degli inferi non riusciranno a riportare la vittoria su di essa» (Mt 16, 18). Quasi dica: la battaglia infurierà contro di lei, ma a vincere non saranno i tuoi nemici.

    Comprendiamo meglio adesso come la sola Chiesa di Pietro (al quale toccò l'Italia quando i discepoli si misero a predicare il vangelo) restò sempre salda nella [vera] fede. Altrove, o la dottrina di Cristo è sconosciuta, oppure è inquinata da errori. Non deve stupirci. A Pietro il Signore ha promesso: «Io ho pregato per te, che la tua fede non venga meno» (Lc 22, 32).

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)