00 19/06/2013 10:08

[Credo nel]la comunione dei santi e [nel]la remissione dei peccati

 

    Come in un organismo vivente l'attività di un membro torna a vantaggio dell'insieme, qualcosa di simile accade nel corpo mistico che è la Chiesa. Il bene compiuto da uno, si comunica agli altri fedeli; infatti «pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri» (Rm 12, 5). Sicché, tra le altre verità di fede, gli apostoli ci hanno tramandato questa, della «comunione dei santi», ossia la comunanza nei beni spirituali.

    Cristo è il capo; la Chiesa ne costituisce il mistico organismo, secondo l'espressione paolina: «[Egli] è il capo di tutta la Chiesa, la quale è il suo corpo» (Ef I, 22-23) e quanto di bene c'è in lui, si diffonde nei cristiani mediante i sacramenti. Agisce in essi l'efficacia del sacrificio di Gesù, la grazia in remissione dei peccati.

    Come sappiamo, i sacramenti sono sette.

        

    I. Il battesimo equivale a una rinascita spirituale. Un uomo inizia la sua esistenza terrena con la propria nascita e così pure la vita spirituale comincia in lui mediante la rinascita operata dal battesimo. «Se uno non rinasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3, 5).

    Si nasce una sola volta, e una sola volta si riceve il sacramento del battesimo. «Credo - perciò - in un solo battesimo».

    La sua funzione consiste nel purificare l'uomo da qualunque peccato, sia riguardo alla colpa e sia alla [relativa] pena. Tant'è vero che ai neo-battezzati non viene imposta alcuna penitenza riparatrice, si fosse pure trattato dei peggiori uomini del mondo. Morendo subito dopo il battesimo, un uomo entrerebbe direttamente in paradiso. Questa è la ragione per cui, sebbene spetti d'ufficio soltanto al sacerdote amministrare il battesimo, in caso di necessità può fare altrettanto chiunque; basterà osservare la formula sacramentale: «Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».

    La virtù del primo sacramento promana dalla passione di Cristo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?» (81). La triplice immersione vuole simboleggiare i tre giorni durante i quali Gesù rimase entro il sepolcro.

 

     2. Cresima o confermazione. A ogni essere che nasce sono necessarie le forze per poter agire; così l'uomo che rinasce spiritualmente ha bisogno di essere corroborato dallo Spirito Santo. Gli apostoli stessi, affinché la loro azione risultasse vigorosa, ricevettero lo Spirito, dopo l'ascensione di Cristo (cf. Lc 24, 49).

    A noi, tale aiuto viene conferito nel sacramento della confermazione. Perciò, chi ha cura dei fanciulli dev'essere molto diligente affinché vengano cresimati, trattandosi di una grazia assai importante. Il cristiano che muore col sacramento della cresima - e quindi dopo aver ricevuto un aumento di grazia - riceve un maggior grado di gloria.

 

     3. Eucarestia. Nato che sia e raggiunto un certo sviluppo, un essere umano ha necessità di assumere regolarmente cibo; per la vita spirituale esso è costituito dal corpo di Cristo, in base alle sue stesse parole: «Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita soprannaturale» (Gv 6, 54). Quindi, secondo le norme stabilite dalla Chiesa, ogni cristiano riceverà almeno una volta all'anno l'eucarestia, dopo essersi debitamente preparato e purificato: chi infatti «mangia il pane o beve il calice del Signore in modo indegno» (I Cor II, 27) - ossia con la coscienza d'esser in colpa grave, di cui non si sia confessato né si proponga di evitare in futuro - «mangia e beve la propria condanna» (82).

 

    4. Confessione o penitenza. Succede anche al nostro organismo di ammalarsi e - qualora non intervenga a tempo un rimedio efficace -, di morire. Nell'ordine spirituale è il peccato che produce le infermità [spesso gravissime, come nel caso del peccato mortale] (83). Sicché, per recuperare la salute, è indispensabile una medicina: la grazia contenuta nel sacramento della penitenza. «Egli perdona tutte le tue colpe e ti risana dalle infermità» (Sal 102, 3).

I requisiti di una buona confessione sono tre: il dolore perfetto dell'animo per aver offeso Dio, un'accusa integrale dei peccati e la riparazione mediante opere penitenziali.

 

    5. Estrema unzione (84). Sono tante le cause che impediscono all'uomo di purificarsi in maniera completa dalle conseguenze [punitive] del peccato; e siccome nessuno può partecipare della vita eterna se prima non sia perfettamente mondato, si rese opportuna la istituzione di un altro sacramento in forza del quale l'uomo gravemente ammalato sia purificato dalle colpe e, a Dio piacendo, riottenga la sanità del corpo. Il sacramento della estrema unzione prepara l'uomo all'ingresso nel regno celeste.

    (Quando non si verifichi l'effetto di una guarigione fisica, ciò dipende dal fatto che un prolungamento della vita terrena non sarebbe giovevole alla salute spirituale). Ne parla diffusamente l'apostolo Giacomo: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con l'olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà, e se ha commesso peccati gli saranno perdonati» (Gc 5, 14-15).

 

    6. Ordine. Dovrebbe risultare evidente, ormai, che facendo ricorso ai cinque sacramenti fin qui esaminati, il cristiano può condurre una soddisfacente vita spirituale.

    Occorrono ovviamente degli uomini che li amministrino. Ecco il sacramento dell'ordine sacro, che abilita all'esercizio della consacrazione e amministrazione sacramentaria.

    Se la loro vita [personale] non appare esemplare, dobbiamo fermare l'attenzione sulla virtù del Cristo, da cui i sacramenti traggono efficacia. Quanti hanno ricevuto l'ordine sacro diventano «ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (I Cor 4, 1).

 

    7. Matrimonio. Grazie al settimo sacramento, i coniugi che lo vivano onestamente possono non soltanto salvarsi ma acquistare dei meriti. Difficile per loro evitare quei peccati veniali causati dalla stessa concupiscenza; che se poi non rispettassero i fini del matrimonio la loro colpa diverrebbe grave (85).

    I sette sacramenti perfezionano la remissione dei peccati, cui fa riferimento il Credo.

    Furono gli apostoli a ricevere la facoltà di concedere il perdono delle colpe morali e da essi, come a loro volta essi medesimi dal Cristo, uguale potestà viene conferita ai ministri della Chiesa. La nostra fede ci insegna che appartiene al Papa il pieno potere «di sciogliere e di legare» e, secondo una gradualità, agli altri prelati.

    I cristiani partecipano non solo all' efficacia del sacrificio di Cristo, ma ai suoi meriti, e addirittura partecipano dei meriti dei santi; tali meriti si propagano in tutti coloro che vivono nella grazia, dal momento che formiamo assieme il corpo mistico di Cristo.

    Ne deriva che, vivendo nella carità, ciascuno di noi partecipa della sia pur minima opera virtuosa che si compia nel mondo. Ne godranno però in modo particolare quelle persone che siano presenti nelle intenzioni di chi fa il bene. Uno potrà pagare al posto di un altro, e lo si vede ad esempio nel caso delle congregazioni religiose che ammettono altri a valersi dei meriti di una data famiglia spirituale (86).

    In forza della comunione tra i santi, i meriti di Gesù sono distribuiti a ciascun fedele, e così i nostri meriti personali. Gli scomunicati, trovandosi a essere estromessi dalla società ecclesiale, perdono gran parte del tesoro dei meriti comuni. E questo è un danno tutt'altro che trascurabile, giacché supera qualunque altro fallimento nei beni temporali.

    Inoltre, mentre il diavolo si trova ostacolato nella sua opera malefica proprio dai suffragi cui accenniamo, chi se ne priva facilita l'azione deleteria del Tentatore [per tutto il tempo che uno vive separato dalla Chiesa].

    Accadeva spesso così, nella Chiesa primitiva, che non appena qualcuno era scomunicato, immediatamente diveniva preda del diavolo, anche fisicamente.

 

 

Aspetto la risurrezione dei morti 

 

   Lo Spirito santifica la Chiesa non solo riguardo alle anime: in virtù del suo intervento infatti i nostri corpi risorgeranno. Egli «ha risuscitato dai morti Gesù Cristo, nostro Signore» (Rom 4, 24) e «in virtù di un uomo [che è appunto Gesù Cristo] c'è una risurrezione dei morti» (I Cor 15, 21).

    Perciò, sorretti dalla fede cattolica noi crediamo che un giorno avverrà la risurrezione [dell'intero genere umano]. Il che ci suggerisce alcune considerazioni: l'utilità derivante dal credere nella risurrezione stessa; le prerogative dei corpi risorti, in generale; le qualità dei giusti resuscitati, e

quelle dei reprobi.

    I. La fede e la speranza nella risurrezione ci offrono diversi vantaggi, e prima di tutto la liberazione dalla tristezza derivante dal pensiero dei morti. Infatti, pur essendo impossibile non dolersi per la morte dei propri cari, tuttavia la speranza d'incontrarli nuovamente il giorno della risurrezione tempera notevolmente il dolore causatoci dalla separazione. Ci esorta l'Apostolo:

  «Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, o fratelli, circa i defunti, affinché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza» (1 Ts 4, 1 3).

    Cessa il timore per la morte [che ci attende]. Se nel morire l'uomo non sperasse in una vita migliore dell'attuale, senza dubbio la morte risulterebbe tremendamente assurda; e l'uomo si sentirebbe autorizzato a compiere ogni sorta di iniquità, nel tentativo di sfuggire alla morte. Ma poiché siamo certi che esiste una vita migliore di questa, una vita cui approderemo attraverso la morte, è chiaro che nessuno ha più motivi di temere, come pure, per timor della morte, di compiere scelte immorali; Cristo infatti prese un corpo [umano] «per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che ha il potere della morte, cioè il diavolo» (Eb 2, 14-15).

    Un tale pensiero, ci rende solleciti e diligenti nel compiere il bene; se infatti l'uomo dovesse vivere solo questa vita temporale, non troverebbe in ciò un efficace incentivo a ben fare: qualunque cosa gli sembrerebbe inadeguata dal momento che il desiderio umano non è vincolato ad alcuno dei beni particolari e per un tempo determinato, bensì è rivolto alle realtà eterne e senza limitazioni di sorta.

    Ora, siccome noi crediamo che tutto ciò che andiamo compiendo sulla terra riceverà un'eterna ricompensa alla risurrezione finale, ci ingegniamo d'agire rettamente. «Se riponessimo la nostra speranza nel Cristo soltanto in questa vita - scrive san Paolo - siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (I Cor 15, 19).

    Infine ci ritrae dal male. Difatti, come induce al bene la speranza del premio, così il timore delle pene che sappiamo essere riservate ai reprobi ci tien lontani dal peccato. Vedi il Vangelo: «Quelli che hanno operato il bene usciranno dai sepolcri per la risurrezione di vita; quelli invece che fecero il male, per una condanna» (Gv 5, 29).

 

    2. Riguardo poi alle prerogative dei corpi risorti, bisogna sapere che talune note interesseranno tutti indistintamente.

    L'identità dei corpi risuscitati: riavrà il soffio vitale lo stesso corpo che abbiamo ora (stessa carne, stesse ossa ecc.), sebbene tal'uno sostenga il contrario; ma è tesi che si allontana dall'insegnamento dell'Apostolo. Egli dichiara infatti: «E' necessario che questo corpo corruttibile si rivesta d'incorruttibilità e che il nostro corpo mortale si rivesta d'immortalità» (1 Cor 15, 53).

    Anche altrove la sacra Scrittura afferma che, per virtù divina, riprenderà a vivere lo stesso e medesimo corpo; vedi Giobbe: «Nuovamente rivestito della mia pelle, attraverso questi sensi vedrò Dio!» (Gb 19, 26).

    La condizione dei corpi che riprenderanno a vivere sarà però differente dalla condizione terrena: beati e reprobi riceveranno corpi incorruttibili, senonché i primi vivranno immersi nella gloria, i secondi per sempre nelle pene [infernali]. Abbiamo già citato l'espressione della lettera ai Corinti (1 Cor 15, 53). Trattandosi di corpo incorruttibile e immortale, non ha senso parlare più di cibo né di piaceri sessuali. Secondo l'evangelista «dopo la risurrezione non si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno simili agli angeli di Dio in cielo» (87).

    Questa è una verità [rivelata], contro le credenze dei sadducei e dei saraceni. «Chi scende nello sheol più non ne risale; non ritorna nella propria casa» (Gb 7, 9-10).

    Tutti, buoni e cattivi, risorgeranno con quella integrità corporale che attiene all'individuo. Non vi saranno più ciechi, zoppi o menomati in altra maniera. L'Apostolo scrisse ai Corinti: «I morti risorgeranno incorrotti» (I Cor 15, 52), ossia immutabili, rispetto alle presenti imperfezioni.

    Riguardo all'età, tutti risorgeranno in un'età congrua, sui trentadue-trentatré anni; e la ragione è questa; chi morì prima d'esservi giunto, non conobbe l'età che esprime il vigore ideale dell'uomo, mentre i vecchi riavranno la perfezione della giovinezza (88). Sulla parola dell'Apostolo «tutti arriveremo allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 13).

 

    3. Circa la risurrezione dei buoni in particolare bisogna sapere che li attende una gloria specifica: i santi riceveranno dei corpi glorificati, con quattro specifiche qualità: lo splendore cui accenna Matteo: «I giusti splenderanno come il sole, nel regno del loro Padre» (Mt 13, 43). La liberazione dal dolore o impassibilità, secondo che afferma san Paolo: «[Il corpo] seminato spregevole, risorge glorioso; si semina debole e risorge vigoroso» (I Cor 15, 43). E nell'Apocalisse: «Egli tergerà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno» (Ap 21, 4). E l'agilità: «Nel giorno della loro ricompensa risplenderanno e scorreranno leggeri, simili a scintille nella stoppia» (Sap 3, 7). Infine la sottigliezza: «Si semina corpo materiale, risorge spirituale» (I Cor 15, 44). Non nel senso di puro spirito, bensì di corpo materiale ma totalmente assoggettato allo spirito.

 

    4. A proposito della condizione dei dannati, essa sarà l'opposto della condizione beata: in essi si avrà pena eterna, con le seguenti caratteristiche. Riceveranno corpi tenebrosi. Vi accenna Isaia: «I loro visi saranno visi riarsi» (Is 13, 8). Corpi sensibilissimi [a ogni sofferenza], che tuttavia mai potranno ridursi in cenere, e pur ardendo eternamente non ne risulteranno consunti; è il concetto di Isaia: «Il loro fuoco non sarà mai estinto» (Is 46, 24). Saranno inoltre, i loro, dei corpi estremamente materiati: difatti l'anima rimarrà come reclusa in un carcere angusto. «I re - dice un salmo - saranno avvinti in catene» (Sal 149, 8).

    E infine quell'anima diverrà, come il corpo, in certo modo incarnita. Si rammentino le parole di Gioele: «I giumenti finirono per marcire tra i loro stessi rifiuti» (89).

 

 

E [aspetto] la vita eterna. Amen.

 

    Queste parole concludono il Simbolo della fede, alludendo al coronamento di ogni desiderio del cuore umano, e cioè la vita eterna.

    E' una proposizione che contraddice quanti opìnano una morte dell'anima, assieme a quella che la separa dal corpo. Se ciò fosse vero, la condizione umana non sarebbe diversa da quella degli animali bruti, che morendo ritornano nel nulla (cf. Sal 48, 21).

    La nostra anima invece è quasi un riflesso della immortalità di Dio, e può essere paragonata alle bestie solo per gli eccessi della concupiscenza. Sostenendo che essa muoia assieme al corpo, ci si allinea con quelli [abbrutiti dal peccato] di cui sta scritto: «Non conoscono i segreti di Dio; non sperano ricompensa per il retto vivere né credono a un premio destinato alle anime pure. Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno [la più amara] esperienza (90) coloro che gli appartengono» (Sap 2, 22-23).

    Cos'è la vita eterna?

    Essa è innanzi tutto la comunione [perfetta e interminabile] dell'anima con Dio, che diviene così premio e coronamento di ogni nostra fatica. Nel significato più ampio sarà vera la sua promessa: «Io sono il tuo protettore e la tua ricompensa infinitamente grande» (Gn 15, 1).

    Questa fusione tra l'anima e Dio si attua attraverso la perfetta visione della divina essenza. «Adesso [infatti] vediamo [Dio] come in uno specchio, in maniera confusa, allora invece a faccia a faccia» (I Cor 13, 12). La nostra lode diverrà anch'essa un cantico perfetto, poiché per usare le parole di Agostino «vedremo, ameremo, loderemo» e nella visione beatifica troveremo gaudio e allegrezza, e l'anima sarà tutta un inno di ringraziamento e di lode (cf. Is 51, 3).

    Perfetta la sazietà dei nostri desideri: nella vita eterna infatti ogni beato avrà ben più di quanto possa desiderare e sperare; e la ragione è evidente: quaggiù è impossibile soddisfare l'umana brama di felicità; quaggiù non c'è alcun bene creato [neppure l'intero universo] che sia capace di placare appieno gli aneliti dell'uomo. Dio soltanto vi riesce, anzi supera qualunque nostro desiderio, all'infinito. Agostino ha scritto con ragione: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non troverà quiete fin quando non riposi in te».

    Ora, i santi possedendo Dio perfettamente nella gloria beatifica, sono saziati in ogni loro desiderio. La ricchezza della gloria celeste sarà sempre superiore a ogni nostra aspettativa. Il servo buono e fedele prenderà parte alla gioia del suo Signore (cf. Mt 25, 21) e, secondo che osserva Agostino, non sarà tanto il gaudio divino a entrare nel cuore umano quanto piuttosto l'uomo e ogni sua facoltà a immergersi interamente nella stessa beatitudine di Dio. Contempleremo il suo volto, ci sazieremo della sua presenza (cf. Sal 16, 15), in una giovinezza eternamente rinnovata (cf. Sal 102, 5).

    Tutto ciò che di piacevole possiamo immaginare lo troveremo con la visione beatifica, in maniera sovrabbondante. L'uomo trova in Dio - sommo bene - il massimo diletto: nell'Onnipotente avremo ogni delizia (cf. Gb 22, 26), gioia piena alla sua presenza, dolcezza senza fine derivante dal trovarci, tra gli eletti, alla sua destra (cf. Sal 15, l1).

    Vi troveremo il più alto grado di onore. Gli uomini laici considerano il massimo degli onori diventare re, i chierici ambiscono alla dignità episcopale; ebbene, nella gloria celeste, sarà piena la nobiltà regia e sacerdotale dei figli di Dio (cf. Ap 5, 10; cf. Sap 5, 5).

La sete di sapere riceverà completa soddisfazione: i segreti della natura e qualunque verità che vorremmo investigare, tutto quello che può essere oggetto dell'umana conoscenza l'avremo assieme alla vita eterna (cf. Prv 10, 24).

    Essa poi porterà con sé quella perfetta sicurezza che invano cerchiamo qui in terra. Quanto più possediamo di beni materiali o siamo insigniti di alte cariche, tanto più temiamo di perdere gli uni o le altre, e dobbiamo far ricorso a mille accorgimenti per difenderne il possesso. Nella vita eterna, al contrario, è sconosciuta la minima tristezza, la minima angustia, il minimo timore. Vi sarà piena tranquillità e sicurezza da qualunque apprensione (cf. Prv I, 33).

    Infine, la vita eterna consiste nella beatificante convivenza tra i beati: la più amabile delle società, essendovi la piena comunione dei beni. Là, veramente, ognuno ama il prossimo suo come se stesso, e godrà del bene posseduto da altri quanto del proprio. Ne deriva che il gaudio generale accrescerà la letizia del singolo, in un vicendevole apporto di felicità (cf. Sal 86, 7).

    I santi godranno, in patria, di questi beni accennati e di molti altri che non riusciamo a descrivere.

    I reprobi, invece, cominceranno a vivere la morte eterna, soffrendo nell'anima e nei sensi non meno di quanto gli eletti godranno nella gloria.

    Il loro tormento sarà accresciuto:

    - dalla separazione da Dio e da qualsiasi altro bene. E' la cosiddetta pena del danno, correlativa all'avversione [da essi nutrita durante la vita terrena riguardo a Dio], e supera quella dei sensi. Quaggiù il peccatore visse nelle tenebre dello spirito, ma dopo il giudizio finale anche i suoi occhi conosceranno la totale privazione della luce: verrà gettato nelle tenebre, tra il pianto e lo stridere dei denti (cf. Mt 25, 30);

    - dai rimorsi della coscienza, che [in nome di Dio] gli ripeterà: «Ti rimprovero: ti pongo innanzi i tuoi peccati» (Sal 49, 21). Gemerà senza sosta il loro spirito tormentato (cf. Sap 5, 3). Ma un simile pentimento e i gemiti più accorati saranno del tutto inutili non traendo ormai più origine dalla compunzione di aver peccato, bensì dalle insostenibili pene;

    - vi si aggiunga la pena riservata ai sensi, il fuoco infernale, capace di tormentare e il corpo e l'anima. Sarà una delle sofferenze peggiori, e si troveranno nella condizione di chi stia sempre sul punto di morire e invece non muore mai. Ecco perché la loro condanna si usa chiamarla morte eterna. «Come pecore sono avviati agli inferi, loro pastore sarà la morte (...). L'inferno sarà la loro dimora» (91).

    E li avvinghierà la disperazione nel sapersi irrimediabilmente perduti. Se infatti restasse in loro appena un barlume di speranza d'essere liberati dalle pene, già questo costituirebbe un lenimento del loro [eterno] soffrire. Venendo meno qualunque ragionevole speranza, tutto diviene più atroce.

    Resta chiarita la radicale differenza tra il bene e il mal'operare: l'uno conduce alla vita, l'altro alla morte [eterna]. Gli uomini perciò dovrebbero ricordarsi spesso di queste verità atte a stimolare al bene e a frenarli dinanzi al male.

    Efficace la chiusa del Credo, col suo richiamo alla vita eterna, affinché si imprima a fondo nella memoria l'anelito verso la vita immortale, cui voglia condurci il Signore, Gesù Cristo, Dio benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

 

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)