00 19/06/2013 10:12
E non c'indurre in tentazione

 

    C'è della gente che desidera ricevere il perdono dei peccati di cui si confessa, senza fare peraltro un proposito sufficientemente fermo d'evitar nuove cadute. Il che non è bello: che cioè da una parte si pianga nel chiedere venia e nondimeno, dall'altra, si accumuli materia di rinnovate lacrime. Rivolto a tal genere di persone, Isaia diceva: «Lavatevi, mondatevi, togliete dagli occhi miei le vostre malvagie intenzioni: smettetela di agire male» (Is I, 16).

    Tenendo presente questo contegno errato, dopo averci insegnato a chieder la remissione delle colpe, Cristo ci indica qui come dobbiamo domandare che ci venga concesso d'evitarle. «Non c'indurre in tentazione», che potrebbe significare una premessa di peccato.

    Vediamo subito cosa sia la tentazione in se stessa; in quanti modi - e da parte di chi - l'uomo sia oggetto di tentazione; come possa esserne liberato.

    Tentare altro non è che saggiare, mettere alla prova il valore [morale] di un individuo. La virtù, infatti, ha come fine il retto operare e la fuga dal disordine. È il concetto espresso in sintesi dal salmista: «Evita il male e fai ciò che è bene» (Sal 33, 15). Così, l'uomo è sottoposto a verifica, in entrambi i sensi.

    Messo alla prova, si vedrà se un uomo è incline ad astenersi da determinati beni (131). Puoi considerarti virtuoso se con la debita prontezza fai quel che è giusto fare. Con questo intento Dio mette alla prova la virtù di taluni giusti: non certo nel senso che egli ignori le loro qualità, quanto piuttosto per renderle note agli altri uomini, additando i primi quale esempio. Mise così alla prova [la fede di] Abramo e [la pazienza di] Giobbe.

    Questa ancora è la finalità in vista della quale permette che i giusti siano tentati: affinché, sopportando essi virtuosamente le tribolazioni, servano da modello, ed essi stessi crescano ulteriormente in virtù. «Il Signore, vostro Dio, vi mette alla prova affinché si veda se lo amate, o no, con tutto il cuore» (Dt 13, 3).

    Inoltre, l'umana virtù subisce il suo collaudo dal contatto con il male. Se l'uomo resiste egregiamente, rifiutandosi di accordare la propria adesione, si può dire che la sua virtù è stata grande; in caso contrario, se egli cede, essa è inesistente.

    Dio non tenta mai nessuno nella seconda maniera: «Dio non cerca di sedurre nessuno al male» (Gc 1, 13).

    Tuttavia l'uomo trova un simile incentivo nella propria carne, oltre che da parte del diavolo e del mondo.

 

    I. La carne ci sollecita al male nella sua ricerca insaziabile di soddisfare i sensi, e spesso qui si annida il peccato. Se non altro chi indugia nei godimenti del corpo trascura necessariamente le esigenze dello spirito. Così «ognuno è adescato dalla concupiscenza che reca in sé» (Gc l, 14).

    Quasi non bastasse, le tentazioni della carne ci stornano dal bene che, per innata tendenza, l'anima cercherebbe diletto nei beni spirituali; appesantendola, la sensualità ne raffrena gli slanci. «Il corpo corruttibile - leggiamo nella Scrittura - aggrava lo spirito» (Sap 9, 15), e san Paolo, pur desiderando di restar sottomesso alla legge di Dio, sperimentava un'attrazione da parte degli istinti corrotti, che cercavano in tutti i modi di renderlo schiavo del peccato (cf. Rm 7, 22-23).

    Questo tipo di tentazione proveniente dalle nostre membra è quanto mai pericoloso, trattandosi di un'insidia che cova dentro di noi. Boezio osserva in proposito che non esiste peggior flagello di un nemico che si nasconda tra le pareti domestiche (132). Bisognerà vigilare e pregare assiduamente (cf. Mt 26, 41).

    2. Il diavolo poi è peritissimo nell'arte del tentare. Se un uomo ha saputo respingere gli assalti della carne, ecco farsi avanti un altro nemico - il Tentatore - contro cui il conflitto si fa ancor più drammatico. La lotta coinvolge i «dominatori di questo mondo pieno di tenebre [intellettuali e morali]» (133). Satana è indicato come «il tentatore» per antonomasia (134).

    Egli è, ripeto, astutissimo. Ricorre alla tattica d'un consumato condottiero che, cinto d'assedio un castello, studia quali siano i punti più vulnerabili delle mura. Così fa Satana, che porta la tentazione dove sa che l'uomo è particolarmente indifeso. Nel caso di individui che, ad esempio, abbiano acquistato l'autocontrollo sopra gli impulsi della sensualità, li smuove mediante altre passioni, come l'ira, l'intemperanza nel parlare e altri vizi che più da vicino interessano lo spirito, verso i quali sono maggiormente proni.

    Nel tentarci, il diavolo - che san Pietro paragona a un leone avido di preda (cf. 1 Pt 5, 8) - agisce in modo accorto: innanzitutto provvede a celare sotto una qualche apparenza di bene il fine cattivo cui vorrebbe piegarci. In tal modo ottiene di smuovere quasi impercettibilmente la volontà; dopo di che la seduce, ormai senza riparo. Satana ha saputo, una volta di più, trasfigurarsi «in angelo di luce» (2 Cor 11, 14).

    Quando la colpa è stata commessa, allora egli afferra saldamente il peccatore impedendogli in tutte le maniere di rialzarsi. Dapprima ci piega con l'inganno, quindi rinsalda la schiavitù del peccato.

        

    3. Anche il mondo possiede svariati sistemi di seduzione: da un eccessivo, smodato desiderio di beni temporali «Radice di tutti i mali è l'amore al denaro» (I Tm 6, 10), al terrore esercitato da tiranni e persecutori («Quelli che vogliono vivere secondo la dottrina di Gesù Cristo, conosceranno la persecuzione») (2 Tm 3, 12). Ma non dobbiamo temere coloro che sono in grado di far del male unicamente al corpo (cf. Mt 10, 28).

    Finora abbiamo esaminato in che consista la tentazione [e da quali e quanti nemici essa ci provenga]. Resta da sapere in che modo l'uomo può superarla.

    Cristo - si badi - non ci esorta a pregare di non esser tentati, bensì di [aiutarci a] non soccombere alla prova. Difatti, se l'uomo vince, è proprio in forza della tentazione superata che egli merita d'esser premiato. «Stimate un motivo di gioia, fratelli miei - scrive l'apostolo Giacomo -, l'imbattervi in prove d'ogni genere, ben sapendo che ciò che mette alla prova la vostra fede contribuisce a rendere più ferma [e meritoria] la vostra pazienza» (Gc I, 2). Già nelle pagine dell'antico Testamento, il savio ammoniva: «Figlio, se ti impegni nel servizio del Signore, disponi la tua anima alla prova» (Sir 2, 1), cui fa eco la beatitudine enunciata da Giacomo: «Beato l'uomo che sopporta pazientemente una prova perché, una volta collaudato, riceverà la corona della vita, che il Signore promise a quelli che lo amano» (135).

    La preghiera del Pater ci insegna a chiedere d'esser assistiti, nel corso della prova, affinché non acconsentiamo agli allettamenti del male.

    Esser tentati - e Dio non permetterà che lo siamo al di sopra di quanto un uomo [con in più il soccorso della grazia) possa reggere (cf. 1 Cor 10, 13) -, esser tentati è conforme alla umana natura. Diabolico è l'aderire ostinatamente all'errore.

    Ma è mai possibile che Dio, stando alle parole che diciamo («Non indurci in tentazione»), induca al male?

    Si dice che Dio induce al male volendo intendere che lo permette. Ciò risalta meglio nel caso di chiunque abbia abbondantemente peccato. Dio sottrae la grazia [preveniente] e l'uomo cade ancor più in basso. Possiamo adattare le parole del salmi sta: «Quando verranno meno le mie forze, tu non mi abbandonare, Signore» (136).

    Poi [Dio] sostiene l'uomo mediante il fervore della carità: per quanto piccola, la carità può opporsi al peccato (137). E lo sorregge col lume della retta ragione, per cui discerniamo il male dal bene. Anche per Aristotele, infatti, chiunque erra, agisce con la mente in qualche modo offuscata. Davide faceva bene perciò a implorare: «Dai luce ai miei occhi, perché non mi addormenti nella morte e il mio nemico possa dire: 'L'ho sopraffatto'» (Sal 12, 3-5).

    Siamo esauditi grazie al dono dell'intelletto. E non acconsentendo alla tentazione, serbiamo integro il cuore, meritando perciò la visione di Dio. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8).

 

 

Ma liberaci dal male

 

Il Signore - dopo averci sollecitati a chiedere la remissione dei peccati e indicato in qual modo si possano vincere le tentazioni -, c'insegna a chiedere d'essere salvati dal male. Petizione di carattere quanto mai vasto, contro qualsiasi tipo di male: contro il peccato [e le sue cause], le infermità [fisiche], le avversità e le afflizioni [dello spirito], per citare Agostino.

    Avendo già parlato delle prime due categorie, adesso tratteremo delle contrarietà e delle altre cause di tormento, che l'uomo sperimenta nel mondo. Dio ce ne può liberare in una di queste quattro maniere.

 

    I. Impedendo che [avversità e tribolazioni] si verifichino. Un caso assai raro, dato che quaggiù han da portare la loro croce perfino i santi. «Quanti vogliono vivere fedelmente al seguito di Cristo Gesù, saranno perseguitati» (2 Tm 3, 12). Talvolta - simile al medico che non prescrive rimedi troppo violenti a un infermo eccessivamente debilitato -, Dio concede la cessazione o il lenimento della prova, quando giudica un soggetto incapace di resistere oltre. È il Padre che, come il Figlio di cui parla l'apostolo Giovanni, può ripetere a ciascuno di noi: «So che le tue forze non sono molte» (Ap 3, 8).

    Un simile ristoro ci sarà per tutti gli eletti, poiché in cielo il dolore è sconosciuto. «Egli ti salverà da sei tribolazioni, e alla settima il male non ti toccherà» (Gb 5, 19). Le sei tribolazioni possono prendersi quale simbolo delle sei età in cui può dividersi la vita terrena (138). La settima età è l'esistenza eterna. Gli eletti «non soffriranno più la fame né la sete» (Ap 7, 14).

 

    2. Consolando [interiormente] nel mezzo delle stesse afflizioni, altrimenti l'uomo finirebbe per soccombere. Anche san Paolo narra d'essere stato oppresso oltre misura [nell'Asia proconsolare], al di sopra delle sue forze, al punto da disperare perfino di salvare la vita (139); e tuttavia, aggiunge: «Dio, che infonde coraggio ai miseri, ci consolò» (2 Cor 7, 6). Prima di lui era accaduto all'autore del salmo 93: «Quando son molte le mie ansie interiori, le tue consolazioni rallegrano l'anima» (Sal 93, 19).

 

    3. Concedendo agli afflitti una tale abbondanza di beni, da far dimenticare loro le tribolazioni appena trascorse. «Tu, Signore, dopo la tempesta fai tornare il sereno» (Tb 3, 22). Quand'è così, le disgrazie e i patimenti terreni non sono tali da giudicarsi intollerabili, se Dio ci dà, insieme, consolazioni di spirito; eppoi saranno sempre temporanee. «La nostra tribolazione, momentanea e tollerabile [con l'aiuto della grazia], ci procura un premio di gloria eterna al di sopra d'ogni misura» (2 Cor 4, 17).

 

    4. Le tentazioni e gli affanni possono tramutarsi in occasioni di un bene [maggiore]. Non diciamo [nel Pater] d'essere esentati dalla tribolazione [cosa del resto impossibile], bensì: «liberaci dal male». Le croci sono via che conduce alla gloria, e i santi, considerando che esse potranno procurare loro la corona, si rallegrano al tempo delle tribolazioni. E non solo producono un collaudo della virtù (cf. Rm 5, 3; Tb 3, 13) ma ci ottengono la remissione delle colpe [precedentemente commesse] e delle pene.

    In questi diversi modi, Dio libera l'uomo dal male e dalle afflizioni; così facendo egli manifesta la sua sapienza giacché è prerogativa del sapiente ordinare il male all'edificazione del bene. La pazienza nelle prove realizza questo prodigio; infatti mentre le altre virtù si esercitano sopra determinati beni (140), la pazienza aumenta nel [positivo] confronto con il male. Quindi è tanto necessaria. «Dalla pazienza si conosce il valore di un uomo» (Prv 19, 11).

    Lo Spirito Santo, mediante il dono della sapienza, ci induce a chiedere: «Liberaci dal male». Affrontando saviamente le prove della vita arriveremo alla beatitudine, che qui incomincia [a gustarsi] con la pace dell'anima. Grazie alla virtù della pazienza conosceremo la quiete interiore sia nei momenti tranquilli, sia nei periodi dell'avversità.

    Nella beatitudine evangelica i pacifici sono detti «figli di Dio» (Mt 5, 9), in quanto rassomigliano a lui, conservandosi imperturbabili tra le bufere dell'esistenza. «Beati i pacifici - dunque -, perché saranno chiamati figli di Dio ».

    L'amen (141), infine, sigilla - una per una - le petizioni del Pater.

 

 

Riassunto del Padre nostro   

    Volendo esporre in sintesi la preghiera del Pater, basterà osservare che in essa sono elencate tanto le cose che l'uomo deve desiderare, quanto quelle che dovremo e vorremmo evitare.

    Tra le prime ci sono ovviamente quelle che risultano più amabili per l'animo umano, e Dio al primo posto. Perciò trovi, in apertura, la petizione riguardante la gloria di Dio: «Sia santificato il tuo nome».

    Ti deve star a cuore che Dio esaudisca tre [dei tuoi molti] desideri:

    che ti conduca alla vita eterna (e tu, per questo, dici: «Venga [anche in me] il tuo regno»).

    Che - in ordine a quanto ora detto - tu sappia compiere la volontà divina; che è una vita ispirata alla giustizia: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra ».

    Che non venga a mancarti quanto è necessario per sostentare la tua esistenza terrena: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano».

    Gesù stesso riassume tutto ciò nell'espressione: «Cercate prima di tutto il regno di Dio (e ti richiama alla mente la prima domanda rivolta al Padre); [praticate] la sua giustizia, (è la seconda) e tutte queste cose vi saranno date per giunta» (Mt 6, 33), (ed ecco la terza).

    Occorre poi fuggire da tutto ciò che non realizza il bene che, innanzi tutto, è rappresentato:

    dalla gloria di Dio, che nulla e nessuno potranno impedire. Disse Elihùd a Giobbe, in proposito: «Se tu pecchi, che cosa fai contro di lui? Se moltiplichi i tuoi delitti, gli rechi forse un danno? E se ti comporti da giusto, che gli dai? cosa riceve, lui, dalla tua mano?» (142). Ed è vero, nel senso che - sia che punisca, sia che premi - il male e il bene tornano sempre a gloria di Dio (143).

    Dalla vita eterna cui si oppone il peccato, giacché ogni diritto a goderne si perde con la colpa [grave]. Per esserne liberati, diciamo allora: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori».

    Dalla giustizia e dalle opere buone. Le tentazioni infatti ci vorrebbero allontanare dal retto agire. Contro questo pericolo, diciamo: «E non ci indurre in tentazione ».

    Infine, abbiamo bisogno di altri beni (144), che invece vengono a esserci sottratti dalle avversità e dalle tribolazioni. Chiediamo così di esserne scampati, ripetendo le parole: «[ma] liberaci dal male». Amen.

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)