DIFENDERE LA VERA FEDE

2017 festeggeremo Lutero o le Apparizioni della Vergine Santa a Fatima?

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    Caterina63
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    00 20/06/2013 11:50

    domenica 30 dicembre 2012


     

    Celebrazioni Lutero: Card. Koch, il Papa non andrà in Germania





     


    L'avevamo detto in tutti i modi possibili. [vedi anche qui - qui - qui
    Ed ora finalmente una dichiarazione definitivamente e chiaramente cattolica! Non si può né ignorare né bypassare la verità storica e spirituale! Si tratta, come al solito, di una fonte mediatica: è la caratteristica dei nuovi pastori quella di parlare più dalle tribune mediatiche che dal Vaticano... Comunque la registriamo con sollievo: la fonte è attendibile.

    (AGI) - Berlino, 22 dic. - Benedetto XVI non si recherà in Germania in occasione delle celebrazioni dei 500 anni della Riforma di Martin Lutero, annunciata con l'affissione delle sue 95 tesi il 31 ottobre 2017 sul portale della chiesa di Wittenberg.

    Lo conferma alla Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) il cardinale svizzero Kurt Koch, che dal 2010 è presidente del Consiglio papale [Prefetto del Pontificio Consiglio] per l'unità dei cristiani.

    « Per la Chiesa cattolica non c'è nulla da festeggiare », dichiara il porporato alla Faz, sottolineando che « l'aspirazione di Lutero non è riuscita. Si sono formate Chiese autonome e si sono svolte spaventose guerre di religione con conseguenze fatali per l'intera Europa. Come festeggiare? ».



    [SM=g1740758] Cari amici, che gli eventi stiano precipitando non è solo un tam-tam mediatico per terrorizzarci sulla crisi economica, sulla mancanza di lavoro, sul fatto che i nostri figli non avranno una pensione.... ma è una realtà che tale crisi è associata, come ha spiegato Benedetto XVI più volte, alla crisi dei valori etici e morali.... può infatti una Nazione, uno Stato pretendere di avere un futuro se oggi, al presente, UCCIDE PER LEGGE questo stesso futuro con l'aborto? Che futuro potremmo avere se si sta pretendendo una trasformazione ANTROPOLOGICA  dell'uomo contro i valori della FAMIGLIA e delle unioni naturali fra un uomo ed una donna?


    Oltre a questo circolano di recenti voci allarmanti che la nostra gerarchia cattolica starebbe per OBBLIGARCI, come fedeli, ai festeggiamenti del 2017 a riguardo dei 500 anni della Riforma di Lutero mentre, e questo è grave, si tace da parte della Gerarchia sul fatto che il 2017 è per noi un anno speciale perchè saranno 100 anni dalle Apparizioni di Fatima con la solenne promessa della Madre di Dio a riguardo del trionfo del Suo Cuore Immacolato....

    Or dunque.... apriamo questo spazio per testimoniare che noi, qui, non intenderemo affatto festeggiare Lutero nè alcuna riforma.... noi festeggeremo LA MADONNA DI FATIMA....
    Questo non implica affatto alcuna crociata contro i Protestanti, al contrario, NOI LI AFFIDIAMO AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA mediante il Rosario, la vita sacramentale (confessione ed Eucarstia) e la testimonianza di una vita coerente a difesa DELLA VITA NASCENTE E MORENTE, contro ogni aborto ed eutanasia, contro ogni tentativo di vedere affossata l'unione familiare voluta da Dio fra un Uomo ed una Donna....

    Non siamo contro i Protestanti, ma siamo contro le loro eresie, siamo per dirla con san Paolo ai Galati contro quel "vangelo diverso" che essi predicano a riguardo dei SACRAMENTI, DEL PRIMATO PETRINO, DEL CULTO A MARIA ED AI SANTI, DEL PURGATORIO E DEI SUFFRAGI AI DEFUNTI.... perciò, nel 2017 noi NON abbiamo nulla da festeggiare con loro, a meno che essi non si convertano alla Chiesa.... e nè la Chiesa nella nostra Gerarchia può obbligare i fedeli ad un così grave e vergognoso SINCRETISMO e relativismo dottrinale....

    Noi dobbiamo obbedire quando non ci troviamo davanti ad un vangelo diverso... [SM=g1740733]

    Benedetto xvi Fatima 2017


    Alludendo al centenario delle apparizioni di Fatima nel 2017 – un evento in cui, in umile considerazione della propria età, il Papa non incluse se stesso – Benedetto XVI affermava quel 13.5.2010:
    «Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora “venuta dal Cielo”, come Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana. Un’esperienza di grazia che li ha fatti diventare innamorati di Dio in Gesù, al punto che Giacinta esclamava: “Mi piace tanto dire a Gesù che Lo amo! Quando Glielo dico molte volte, mi sembra di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucio”. E Francesco diceva: “Quel che m’è piaciuto più di tutto, fu di vedere Nostro Signore in quella luce che la Nostra Madre ci mise nel petto. Voglio tanto bene a Dio!” (Memorie di Suor Lucia, I, 42 e 126)»

    "Siamo fieri di essere Cattolici Romani !"....  E RITORNEREMO A FATIMA NEL 2017, SUL POSTO O DALLE NOSTRE CITTA' PER RIBADIRE LA NOSTRA FEDE CATTOLICA.... SENZA COMPROMESSI come ha ribadito sia Benedetto XVI quanto il suo successore il 6 aprile 2013 Omelie a santa Marta:
     “siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?”. Pietro – ha osservato – non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché “la fede non si negozia”. Sempre – ha affermato il Papa – “c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede”, la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, quella di “non essere tanto, tanto rigidi”. “Ma quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente – ha sottolineato - incominciamo la strada dell’apostasia, della non-fedeltà al Signore”.

    ***



    "Siamo fieri di essere Cattolici Romani !"

    "Siamo letteralmente invasi dai travisamenti e dalle menzogne: i cattolici in larga parte non se ne avvedono, quando addirittura non rifiutano di avvedersene. Se io vengo percosso sulla guancia destra, la perfezione evangelica mi propone di offrire la sinistra. Ma se si attenta alla verità, la stessa perfezione evangelica mi fa obbligo di adoperarmi a ristabilirla: perché, dove si estingue il rispetto della verità, comincia a precludersi per l'uomo ogni via di salvezza"
    (Card. G. Biffi).


    Cercheremo di postare qui articoli interessanti che possano illuminarci a riguardo....

    Messer Lutero : è proprio necessario dargli soddisfazione ?

     
    Dal cassetto dei miei ricordi adolescenziali prendo un Articolo di UNA VOCE del Maggio-Agosto 1974 ( notiziario 20-21 ) .
    E’ incredibile la mia vita : pensavo che tali tematiche fossero state definitivamente archiviate grazie alla ritrovata "ermeneutica della continuità" e al “sentire cum Ecclesia” ed invece … le ho dovute ripescare 39 anni dopo ... perché esse sono purtroppo assai attuali !
    E' vero, come mi fa notare un Teologo, a contatto, per motivi residenziali, con il mondo protestante che la Chiesa Cattolica si " Più che Lutero ci si è spinta verso Zwingli e in alcuni casi pure verso il pentecostalismo..." ma l'articolo del 1974 citando Lutero abbraccia il variegato e composito mondo della riforma protestante.
    Fra poche ore, 20 giugno, ne leggeremo delle belle … prepariamoci ...
     
    Maria Mater Ecclesiae , ora pro nobis !
     
    Andrea Carradori
     
    E’ PROPRIO NECESSARIO DARE SODDISFAZIONE A MESSER LUTERO ?

    UNA VOCE Maggio-Agosto 1974 ( notiziario 20-21)

    « E' notorio che fra le ragioni addotte per giustificare la riforma liturgica vi è l'ecumenismo, il desiderio cioè di facilitare l'unione e l'incontro di tutti i cristiani; altrettanto notoria è l'attiva presenza di « esperti » protestanti nelle commissioni che elaborarono la riforma.
    Non è male quindi, nel valutare il sacrificio che della Messa è stato fatto sull'altare dell'ecumenismo, rammentare le parole di Lutero, cariche di un forsennato odio contro la concezione cattolica della Messa e contro il Canone romano.

    Queste parole assumono poi un estremo e gravissimo rilievo se si pone mente ad alcuni fatti quale la stupefacente affermazione del « Messale dei fedeli per il 1973 » (testo in uso nei Paesi di lingua francese, pubblicato con l'Imprimatur di Mons. R. Boudon vescovo di Mende e presidente della commissione liturgica francofona) che nella Messa « si tratta semplicemente di fare memoria dell'unico sacrificio già compiuto », proposizione francamente luterana e formalmente condannata dal Concilio di Trento.

    In questa prospettiva appare pure sinistramente significativo l'abbandono del Canone romano, tanto odiato da Lutero, invalso ormai nella pratica liturgica benché esso sia com-preso, con piena parità di diritto, anche nei messali riformati.

    E' una domanda curiosa e insolita che ogni cattolico deve porsi.
    Poiché nessuno di noi ignora che parecchi protestanti hanno partecipato alla fabbrica della nuova messa, e poiché i luterani hanno ammesso la possibilità di utilizzare anch'essi la nuova liturgia, vuol dire dunque che essa risponde in pieno alla loro fede.
    Ciò sembra altresì voler dire che messer Lutero sarebbe soddisfatto di questa messa e che, se tornasse fra i vivi, l'utilizzerebbe.

    Allora, su che cosa di tanto importante abbiamo mollato, noi, che Lutero ne sarebbe soddisfatto?...

    Ce lo dice lui stesso.
    Prima nel suo Cantra Enricum Regem Angliae (Werke, t. X, sez. II):
    « Quando avremo fatto crollare la Messa, penso che avremo fatto crollare tutto il Papato. Perché è sulla Messa, come su roccia, che il Papato intero si appoggia, con le sue dottrine e diocesi, con i suoi monasteri e ministeri e collegi e altari, cioè con tutto il suo ventre ».

    E in seguito, nella sua predica sulla prima Domenica d'Avvento ( Werke, t. XV, p. 774):
    « Io sostengo che tutti i lupanari, gli omicidi, gli stupri, gli assassinii e gli adul¬tèri messi insieme, sono meno cattivi di quell'abominio che è la Messa papista.
    « Dichiariamo in primo luogo che non è mai stata nostra intenzione abolire totalmente il culto di Dio, ma soltanto purgare quello in uso di tutte le aggiunte con cui è stato insozzato: parlo di quell'abo-minevole Canone, che è una silloge di lacune fangose; si è fatto della Messa un sacrificio; si sono aggiunti degli offertori. La Messa non è un sacrificio o l'azione del sacrificatore. Consideriamola come sa¬cramento o come testamento. Chiamiamola benedizione, eucarestia, o mensa del Signore, o Cena del Signore, o memoria del Signore. La si chiami in qualsiasi altro modo, a patto che non la si sporchi col nome di ' sacrificio ' o di ' azione ' ».

    Ecco, è molto semplice.
    Ma come son giunti, tutti questi signori che si sono tolta la talare, a non pronunciare più, a non pronunciare mai, né la parola ' Messa ' né la parola ' sacrifìcio ', che vanno fin troppo insieme congiunte e che paiono bruciare sulle loro labbra?...

    Eccoli, ora, tutti fieri e contenti di avere a disposizione una serie di designazioni.
    Ne traggono l'illusione di una felice libertà: la libertà di poter infine abbagliarci con i loro sproloqui. Che gioia essersi liberati della Santa Obbedienza!
    Ah, poter inventare « pasti » e brindisi, banchetti e canti, gesti e danze!
    Ma che pena constatare che i protestanti non hanno nemmeno tentato di profittare delle nostre vigliaccherie per venire a noi da veri fratelli!

    Se noi l'ignoriamo, essi però sanno che messer Lutero non sarebbe ancora soddisfatto, perché quella Roma che per lui era la Rossa Prostituta, egli la voleva morta e sepolta.
    Fintanto che ci sarà un cattolico sulla terra, messer Lutero non sarà soddisfatto.
    Avviso ai ciechi: quando un cieco conduce un altro cieco, cadono entrambi nella fossa dei serpenti.

    Marie Carré
    (da Lumière, n. 122, Juillet 1974) »
     


    [SM=g1740733]



    [Modificato da Caterina63 17/04/2014 22:28]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 20/06/2013 12:10

    [SM=g1740758] Fatima e il dramma della modernità. Il viaggio di Benedetto XVI in Portogallo

    di Massimo Introvigne

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    La Chiesa converge verso Fatima

    Le apparizioni e il messaggio di Fatima – cui da sempre Alleanza Cattolica è particolarmente legata – hanno un’importanza cruciale per la vita della Chiesa e per il suo giudizio sulla storia moderna. Questo è l’insegnamento centrale del viaggio apostolico che Benedetto XVI ha compiuto in Portogallo dall’11 al 14 maggio 2010 in occasione del decimo anniversario della beatificazione di due dei tre veggenti di Fatima, Giacinta (1910-1920) e Francesco Marto (1908-1919). «Sono venuto a Fatima – ha detto il Papa – perché verso questo luogo converge oggi la Chiesa […]» (Benedetto XVI 2010g). «Luogo benedetto che Dio si è scelto per ricordare all’umanità, attraverso la Madonna, i suoi disegni di amore misericordioso» (Benedetto XVI 2010h), Fatima è la «“casa” che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni» (Benedetto XVI 2010g), «offrendosi per trapiantare nel cuore di quanti le si affidano l’Amore di Dio che arde nel suo» (ibid.).

    «Quanto all’evento successo 93 anni orsono, che cioè il Cielo si sia aperto proprio sul Portogallo – come una finestra di speranza che Dio apre quando l’uomo Gli chiude la porta – […], si tratta di un amorevole disegno di Dio; non dipende dal Papa, né da qualsiasi altra autorità ecclesiale: “Non fu la Chiesa che ha imposto Fatima – direbbe il Cardinale Manuel Cerejeira [1888-1977], di venerata memoria –, ma fu Fatima che si impose alla Chiesa”» (Benedetto XVI 2010b). Il Papa afferma con singolare vigore la verità storica delle apparizioni, che non derivano dalla psicologia dei veggenti ma fanno irruzione nella loro vita dall’esterno, dal Cielo. A Fatima, afferma, «tre bambini si sono arresi alla forza interiore che li ha invasi nelle apparizioni dell’Angelo e della Madre del Cielo» (Benedetto XVI 2010f). Certo, in ogni apparizione «un impulso soprannaturale […] entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto. Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, che era – diciamo – “vestita” in questa visione possibile alle persone concrete» (Benedetto XVI 2010a).

    Questa dialettica di «impulso soprannaturale» (ibid.) ed «espressioni formate dal soggetto» (ibid.) non deve stupire. A differenza dell’islam, che considera il Corano un testo letteralmente «dettato» da Dio parola per parola e lettera per lettera, così che il ruolo di Muhammad (570-632) sarebbe stato quello di un semplice foglio su cui Dio ha scritto, la Chiesa considera la stessa Sacra Scrittura «ispirata» da Dio, non «dettata». Anche gli autori dei libri sacri hanno tradotto l’ispirazione divina in quelle che il Papa a Fatima chiama «espressioni formate dal soggetto» (ibid.), dove sono presenti le «condizioni storiche, personali, temperamentali» (ibid.) del soggetto medesimo, eppure nello stesso tempo non va perduto l’«impulso soprannaturale» (ibid.), che anzi è fedelmente trasmesso. Ferma la premessa secondo cui nessuna rivelazione privata può pretendere la stessa autorità della rivelazione pubblica, lo stesso vale per Fatima. La dialettica spiega anche perché – a differenza di quel che pensa, quanto alla Sacra Scrittura, l’accostamento fondamentalista tipico di un certo protestantesimo – il testo richiede sempre un’esegesi e un’interpretazione. Il testo non cambia, ma nella storia la Chiesa vi scopre ricchezze sempre nuove.

    Sono principi che vanno tenuti presenti quando si tratta della materia delicata del terzo segreto di Fatima, o più esattamente della terza parte del segreto di Fatima, pubblicata in modo molto ufficiale dalla Santa Sede con un commento dell’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2000. Qui la Madonna mostra «il Santo Padre [che] attraversa una grande città mezza in rovina; e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce» (Congregazione per la Dottrina della Fede 2000). Lo stesso cardinale Ratzinger nel commento teologico al segreto del 2000 (ibid.) aveva messo in relazione la visione di Fatima con l’attentato che Giovanni Paolo II (1978-2005) aveva subito il 13 maggio 1981, giorno della festa della Madonna di Fatima. Chi ha scritto che nel viaggio in Portogallo Benedetto XVI ha «corretto» il cardinale Ratzinger, cioè se stesso, proponendo una diversa interpretazione della terza parte del segreto non soltanto sbaglia, ma dimostra un’insufficiente comprensione del modo in cui la Chiesa Cattolica legge i testi a diverso titolo divinamente ispirati. E questo a prescindere dalla vexata quaestio se esistano testi della veggente di Fatima più a lungo sopravvissuta, suor Lucia di Gesù dos Santos (1907-2005), che ancora attendono la pubblicazione, questione su cui – contrariamente a certe attese giornalistiche – Benedetto XVI in Portogallo non si è pronunciato.

    Le profezie hanno sempre più di un significato. La terza parte del segreto, ripete ora Benedetto XVI, è una «grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II» (Benedetto XVI 2010a). Ma questa «prima istanza» (ibid.) interpretativa, se mantiene tutta la sua importanza, non ne esclude altre. Al contrario nel segreto, afferma il Papa, «sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del Papa, ma il Papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano» (ibid.). L’immagine centrale della terza parte del segreto è figura di tutte le persecuzioni che i Papi e la Chiesa nella storia continuamente subiscono. Anche il tradimento dei preti pedofili e le relative persecuzioni mediatiche contro il Papa fanno parte dei «colpi d’arma da fuoco e frecce» del segreto, che sempre «soldati» al servizio di progetti ideologici anticristiani sono pronti a lanciare contro il Papa.

    «Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio – conferma Benedetto XVI alludendo alla questione della pedofilia, che peraltro nel viaggio in Portogallo non ha mai citato esplicitamente – vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa […]» (ibid.).

    Più in generale, «si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa» (Benedetto XVI 2010g), e in questo senso si può dire che sia sbagliato riferire la terza parte del segreto solo all’attentato a Giovanni Paolo II. Nel 1917 la Madonna annunciava una «passione della Chiesa» (Benedetto XVI 2010a) che si manifesterà «in modi diversi, fino alla fine del mondo» (ibid.). È certo la passione di Giovanni Paolo II colpito dall’attentato del 1981. Ma si può lecitamente pensare che si tratti anche della passione di Paolo VI (1963-1978), colpito e amareggiato dagli attacchi inauditi del dissenso teologico postconciliare dopo la pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae del 1968.
    È la passione di Benedetto XVI, ferito sia dai crimini dei preti pedofili sia dalle calunnie di quanti manipolano i tragici casi di pedofilia per attaccare direttamente il Pontefice. Sarà la passione di un prossimo Papa fra cinquanta o fra cento anni, perché essere calunniata e perseguitata fa parte della natura e della storia della Chiesa, non solo secondo la profezia di Fatima ma secondo la parola profetica dello stesso Signore Gesù: « Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 18).

    La storia moderna: «un ciclo di morte e di terrore»

    «L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce ad interromperlo…» (Benedetto XVI 2010g). Al cuore del messaggio di Fatima vi è un giudizio sulla storia, e in particolare sulla storia moderna. Le tragedie annunciate a Fatima non sono finite con la fine delle ideologie del XX secolo e del comunismo, cui pure il messaggio del 1917 si riferisce. La crisi non è risolta. Da un certo punto di vista è oggi più seria che mai, perché è anzitutto crisi di fede, quindi crisi morale e sociale.

    «La fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata […]» (Benedetto XVI 2010f). «Molti dei nostri fratelli vivono come se non ci fosse un Aldilà, senza preoccuparsi della propria salvezza eterna» (Benedetto XVI 2010e). Certo, Dio continua ad andare alla ricerca del cuore di ogni uomo, anche nel nostro tempo come in ogni tempo. «Ma chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi affascinare dal suo amore? Chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto in preghiera? Chi aspetta l’alba del nuovo giorno, tenendo accesa la fiamma della fede?» (Benedetto XVI 2010g). All’interno stesso della Chiesa non mancano infedeltà, fraintendimenti, assenza di sano realismo. «Spesso – ha aggiunto il Papa – ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?» (Benedetto XVI 2010c).

    Nel clero stesso, non si può non fare cenno a «un certo indebolimento degli ideali sacerdotali oppure al fatto di dedicarsi ad attività che non si accordano integralmente con ciò che è proprio di un ministro di Gesù Cristo» (Benedetto XVI 2010e). « Qualcuno potrebbe dire: “la Chiesa ha bisogno di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità…, ma non ci sono!”» (Benedetto XVI 2010i). Anche se il Papa risponde a questo «qualcuno» (ibid.) ricordando la presenza consolante e positiva di movimenti e altre realtà ecclesiali, alcune delle quali hanno al centro della loro azione proprio il messaggio di Fatima, rimane grave nella Chiesa la presenza di un certo fatalismo, «la tentazione di limitarci a ciò che ancora abbiamo, o riteniamo di avere, di nostro e di sicuro: sarebbe un morire a termine, in quanto presenza di Chiesa nel mondo» (Benedetto XVI 2010j).

    Alla crisi di fede si accompagna una crisi morale. Tutti rischiamo di soccombere alla «pressione esercitata dalla cultura dominante, che presenta con insistenza uno stile di vita fondato sulla legge del più forte, sul guadagno facile e allettante […]». (Benedetto XVI 2010h). Anche in un Paese benedetto da Fatima e ricco di tradizione cattolica come il Portogallo è stato legalizzato nel 2007 l’aborto e, al momento della visita del Papa, il presidente della Repubblica dottor Anibal Cavaco Silva si apprestava a firmare la legge che introduce il matrimonio fra persone dello stesso sesso, il che è purtroppo avvenuto il 18 maggio 2010, nonostante gli appelli di Benedetto XVI. «Esprimo profondo apprezzamento – aveva detto il Papa il 13 maggio – a tutte quelle iniziative sociali e pastorali che cercano di lottare contro i meccanismi socio-economici e culturali che portano all’aborto e che hanno ben presenti la difesa della vita e la riconciliazione e la guarigione delle persone ferite dal dramma dell’aborto.

    Le iniziative che hanno lo scopo di tutelare i valori essenziali e primari della vita, dal suo concepimento, e della famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna, aiutano a rispondere ad alcune delle più insidiose e pericolose sfide che oggi si pongono al bene comune» (Benedetto XVI 2010h). Né, affrontando questi temi a Fatima, il Pontefice pensava di allontanarsi dal messaggio del 1917: al contrario, «tutto ciò ben si integra con il messaggio della Madonna che risuona in questo luogo […]» (ibid.), dove Maria ci parla di una crisi che ha nelle offese pubbliche alla legge morale una componente essenziale.

    La crisi di fede e di morale s’inquadra in una più generale crisi della nostra società, scristianizzata, frammentata, in balia di flussi d’immagini sempre nuove che impediscono la riflessione e la vera comunione fra le persone. I veggenti di Fatima ci hanno insegnato che per ricevere veramente i messaggi del Signore e della Madonna «si richiede una vigilanza interiore del cuore che, per la maggior parte del tempo, non abbiamo a causa della forte pressione delle realtà esterne e delle immagini e preoccupazioni che riempiono l’anima» (Benedetto XVI 2010g). Nell’incontro a Fatima con i vescovi del Portogallo, rispondendo a monsignor Jorge Ortiga, arcivescovo di Braga e presidente della Conferenza Episcopale Portoghese che nel suo intervento aveva evocato la categoria di «modernità liquida» del sociologo britannico di origine polacca Zygmunt Bauman (ZI10051317 2010), Benedetto XVI ha ricordato «quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita» (Benedetto XVI 2010i).

    Ma, anche a questo proposito – come ha fatto spesso nel pellegrinaggio a Fatima, e in consonanza con l’interpretazione che ha proposto del messaggio della Madonna – il Papa ha sottolineato che la crisi non è solo esterna, ma è anche interna alla Chiesa: «non mancano credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo, costruttore di barriere all’ispirazione cristiana» (ibid.). Né sono adeguati programmi pastorali e «soluzioni che rispondano alla logica dell’efficienza, dell’effetto visibile e della pubblicità» (Benedetto XVI 2010h), o che nascondano l’annuncio cristiano in nome di un generico umanitarismo. Al contrario, nella Chiesa serve una «ferma identità delle istituzioni» (ibid.). «Mantenete viva la dimensione profetica, senza bavagli, nello scenario del mondo attuale, perché “la parola di Dio non è incatenata!” (2Tm 2, 9)» (Benedetto XVI 2010i).

    Da Fatima, un giudizio sulla modernità

    Il messaggio di Fatima, in quanto giudizio sul dramma della storia e della modernità, è in profonda sintonia con il cuore stesso del magistero di Benedetto XVI.

    Nel discorso del 2006 a Ratisbona (Benedetto XVI 2006) e nell’enciclica Spe salvi del 2007 (Benedetto XVI 2007) il Pontefice aveva già proposto un giudizio sui momenti centrali della modernità: Martin Lutero (1483-1546), l’illuminismo, le ideologie del XX secolo. In ciascuno di questi momenti aveva distinto un aspetto esigenziale dove c’è qualche cosa di condivisibile – la reazione al razionalismo rinascimentale per Lutero, la critica del fideismo e la rivalutazione della ragione nell’illuminismo, il desiderio di affrontare i problemi e le ingiustizie causate dalle trascrizioni sociali e politiche dell’illuminismo per le ideologie novecentesche – e un esito finale catastrofico dove, ogni volta, si butta via il bambino con l’acqua sporca e si propongono rimedi peggiori dei mali che si dichiara di voler curare.
    Così Lutero insieme al razionalismo butta via la ragione, smantellando la sintesi di fede e di ragione che aveva dato vita alla cristianità medievale.

    L’illuminismo per rivalutare la ragione la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che voleva salvare. Le ideologie del Novecento criticando l’idea astratta di libertà dell’illuminismo finiscono per mettere in discussione l’essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Nella modernità, dunque, a esigenze o istanze dove non tutto è sbagliato corrispondono esiti o risposte che partono da gravi errori e si risolvono in drammatici orrori.

    Anche qui, il tema si ripropone non solo all’esterno ma anche all’interno della Chiesa, dove il magistero di Benedetto XVI si è spesso concentrato sulla corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si dice, senza sbagliare, che il Concilio si fece carico della modernità. Ma questo significa che il Concilio accolse le istanze del moderno oppure che condivise anche le risposte dell’ideologia della modernità a queste istanze?
    Nel primo caso il Concilio può essere letto alla luce della Tradizione della Chiesa, che – dal Concilio di Trento, il quale si confrontò con le domande poste da Lutero dando però risposte totalmente diverse, fino a Leone XIII (1878-1903), di cui ricorre quest’anno il secondo centenario della nascita, di fronte alle ideologie nascenti – ha sempre accolto le istanze proposte dalla storia trovando nel suo patrimonio gli elementi per farvi fronte.
    Nel secondo caso il Vaticano II sarebbe invece un’innovazione radicale, un cedimento della Chiesa all’ideologia della modernità, una rivolta contro la Tradizione da leggere secondo quella che Benedetto XVI chiama «ermeneutica della discontinuità e della rottura» (Benedetto XVI 2005) rispetto a tutto quanto è venuto prima.

    Nel pellegrinaggio a Fatima il Papa torna su questi temi: e il discorso del 12 maggio a Lisbona rivolto al mondo della cultura è destinato a prendere posto fra i testi principali del suo pontificato. Qui, come di consueto, il punto di partenza è il Concilio Ecumenico Vaticano II, «nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo.
    Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita» (Benedetto XVI 2010d). Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le «istanze» (ibid.), di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore – ma superandole –, e gli «errori e vicoli senza uscita» (ibid.) in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di ragionevole.

    Per il Papa la modernità come plesso di esigenze può e deve essere presa sul serio e diventare oggetto di discernimento. La modernità come ideologia dev’essere invece sottoposta a una rigorosa critica. Questa ideologia comporta il rifiuto della tradizione – quella con la “t” minuscola, come patrimonio culturale trasmesso dalle generazioni passate, e quella con la “T” maiuscola come verità conservata e veicolata dalla Chiesa – e l’idolatria del presente. In Portogallo il Papa denuncia un’ideologia che «assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato» (ibid.) e quindi fatalmente finisce per presentarsi «senza l’intenzione di delineare un futuro» (ibid.). Considerare il presente la sola «fonte ispiratrice del senso della vita» (ibid.) porta a svalutare e attaccare la tradizione, che in Portogallo – e non solo – «ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una “sapienza”, cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un “ideale” da adempiere» (ibid.), strettamente legati all’idea di verità e all’identificazione di questa verità con Gesù Cristo. Dunque «si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo» (ibid.).

    Il «“conflitto” fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita» (ibid.). In questo conflitto la Chiesa non ha dubbi su da che parte stare. «La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione» (ibid.): parole di Benedetto XVI che richiamano – certo con uno stile e un linguaggio diverso – quelle del suo predecessore san Pio X (1903-1914) nella lettera apostolica del 1910 Notre charge apostolique, di cui pure ricorre il centenario quest’anno, secondo cui «i veri operai della restaurazione sociale, i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti» (Pio X 1910, n. 44).

    La difesa della verità contro il culto relativistico e anti-tradizionale del presente è una missione «per la Chiesa irrinunciabile» (Benedetto XVI 2010d), ripete Benedetto XVI. «Infatti il popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia» (ibid.). E anche questa conclusione corrisponde al senso profondo del messaggio di Fatima.

    «Finalmente il mio Cuore Immacolato trionferà»

    Nella seconda parte del segreto di Fatima la Madonna preannuncia: «I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà» (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede 2000).

    In un testo pubblicato nel 2009 dove antropologi in gran parte non cattolici e anzi non credenti discutono il rilievo sociale delle apparizioni mariane si ricorda il ruolo del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) come «infaticabile promotore della devozione a Fatima» (Morgan 2009, 56). Qualche critico ha voluto vedere nella lettura che Corrêa de Oliveira proponeva del messaggio di Fatima, prevedendo un periodo di crisi convulsiva chiamato bagarre – dove appunto «i buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte» – seguito da un Regno di Maria particolarmente favorevole alla Chiesa, dove «finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà», una sorta di versione cattolica del millenarismo protestante. Come ho cercato di mostrare altrove (Introvigne 2008), la critica non è fondata.

    Non solo non c’è in Corrêa de Oliveira la previsione di una data precisa per questi eventi – che compare spesso, anche se non sempre, nel millenarismo – ma mancano i due elementi cruciali dello schema millenarista protestante classico: una venuta visibile – ma «intermedia» rispetto a quella «finale» alla fine del mondo – di Gesù sulla Terra e la scomparsa per mille anni del male e dei malvagi. Al contrario per il pensatore brasiliano, esponente della scuola contro-rivoluzionaria che usa l’espressione «Rivoluzione» per designare il processo di scristianizzazione che ha caratterizzato l’Occidente a partire dal Rinascimento, «la Rivoluzione continuerà — e di questo sono certo — anche nel Regno di Maria. Cellule rivoluzionarie continueranno a esistere, e saranno perfino peggiori di quelle di oggi. Sembra impossibile, ma sarà così. Perché il rifiuto delle grazie offerte nel Regno di Maria renderà gli uomini peggiori di quello che sono oggi» (Corrêa de Oliveira 1983).

    Benedetto XVI, nel ripetere che la Chiesa prende il messaggio di Fatima estremamente sul serio, non è lontano come si è già visto dalla prospettiva di tragedie ancora peggiori di quelle che l’umanità ha già attraversato – nel linguaggio di Corrêa de Oliveira, una bagarre: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa. […] L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo…» (Benedetto XVI 2010g).

    Ma nello stesso tempo il Papa non manca di mettere in evidenza quella parte del messaggio di Fatima che, dopo la tragedia, si apre alla speranza e al trionfo del Cuore Immacolato di Maria.  «Nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa» (Benedetto XVI 2010c).
    Alludendo al centenario delle apparizioni di Fatima nel 2017 – un evento in cui, in umile considerazione della propria età, il Papa non include se stesso – Benedetto XVI afferma: «Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora “venuta dal Cielo”, come Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana. Un’esperienza di grazia che li ha fatti diventare innamorati di Dio in Gesù, al punto che Giacinta esclamava: “Mi piace tanto dire a Gesù che Lo amo! Quando Glielo dico molte volte, mi sembra di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucio”. E Francesco diceva: “Quel che m’è piaciuto più di tutto, fu di vedere Nostro Signore in quella luce che la Nostra Madre ci mise nel petto. Voglio tanto bene a Dio!” (Memorie di Suor Lucia, I, 42 e 126)»
    (Benedetto XVI 2010g).
    Questo fuoco di amore di Dio, ricorda il Papa, ha anche una dimensione profetica: «Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità» (ibid.).

    Sarebbe certamente sbagliato attribuire al Papa speculazioni – queste sì millenariste – sul «quando» del «trionfo del Cuore Immacolato di Maria» (ibid.). Le sue parole non sono una previsione, ma un auspicio introdotto da un «Possano» (ibid.). Ma, se pure non ne conosciamo il «quando», questo «trionfo» (ibid.) – che Corrêa de Oliveira sulla scia del grande santo mariano francese tanto caro a Giovanni Paolo II, san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716), chiamava appunto «Regno di Maria» – è certo perché è «preannunciato» (ibid.) non dalle speculazioni degli uomini ma dalla voce stessa della Madonna che la Chiesa nella persona del Papa accoglie e fa sua.

    Sarebbe pure sbagliato abbandonarsi, a fronte di questa consolante promessa, a un atteggiamento fatalistico, disinteressandosi del mondo e della storia perché se ne occuperanno direttamente la Provvidenza e la Madonna. Il Papa non ha nostalgia di un’epoca in cui «dobbiamo anche confessare che la fede cattolica, cristiana, spesso era troppo individualistica, lasciava le cose concrete, economiche al mondo e pensava solo alla salvezza individuale, agli atti religiosi, senza vedere che questi implicano una responsabilità globale, una responsabilità per il mondo» (Benedetto XVI 2010a). Non è al disimpegno che ci chiama il messaggio di Fatima, ma alla fedeltà e all’azione. «La fedeltà nel tempo è il nome dell’amore» (Benedetto XVI 2010e).

    L’Occidente – Benedetto XVI riprende qui il grande tema di Giovanni Paolo II della «nuova evangelizzazione», di cui Giovanni Cantoni ha notato i collegamenti con Fatima (Cantoni 2002) – è diventato, con la crisi della fede, terra di missione: «Il campo della missione ad gentes si presenta oggi notevolmente ampliato e non definibile soltanto in base a considerazioni geografiche» (Benedetto XVI 2010j).
    E dal Portogallo il Papa «ripete a ciascuno di voi: Miei fratelli e sorelle, bisogna che diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù. In effetti, se non sarete voi i suoi testimoni nel vostro ambiente, chi lo sarà al vostro posto?» (Benedetto XVI 2010j). «Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?”» (Memorie di Suor Lucia, I, 162)» (Benedetto XVI 2010g). Il sì dei veggenti sarà la prima pietra per la costruzione del regno del Cuore Immacolato di Maria solo se sapremo accompagnarlo con il nostro sì, giorno per giorno.

    Riferimenti

    Benedetto XVI. 2005. «Discorso alla Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi», del 22-12-2005. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/b8f72.  

    Benedetto XVI. 2006. «Discorso ai rappresentanti della scienza», Aula Magna dell’Università di Regensburg [Ratisbona], del 12-9-2006. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato www.tinyurl.com/hmq6w.

    Benedetto XVI. 2007. Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana, del 30-11-2007. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/3chmo7.

    Benedetto XVI. 2010a. «Incontro di Benedetto XVI con i giornalisti durante il volo verso Lisbona», dell’11-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato tinyurl.com/38szhn7.

    Benedetto XVI. 2010b. «Accoglienza ufficiale all'Aeroporto Internazionale di Lisbona. Cerimonia di benvenuto», dell’11-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/3y4qzwk.

    Benedetto XVI. 2010c. «Santa Messa nel Terreiro do Paço – Omelia», Lisbona, 11-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/2uns23g.

    Benedetto XVI. 2010d. «Incontro con il mondo della cultura nel Centro Cultural de Belém», Lisbona, 12-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/37wsv92.

    Benedetto XVI. 2010e. «Celebrazione dei Vespri con sacerdoti, diaconi, religiosi, seminaristi e mebri di alcuni movimenti ecclesiali nella Chiesa della SS.ma Trinità», Fatima, 12-5-2010.Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/33l6kb8.

    Benedetto XVI, 2010 f. «Benedizione delle fiaccole, recita del Santo Rosario», Cappellina delle Apparizioni - Fatima, 12-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato tinyurl.com/323mqrl.

    Benedetto XVI. 2010g. «Santa Messa sulla Spianata del Santuario di Nostra Signora di Fatima – Omelia», del 13-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/3aagaad.

    Benedetto XVI. 2010h. «Incontro con le organizzazioni della Pastorale Sociale nella Chiesa della SS.ma Trinità», Fatima, 13-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/2u4mv78.

    Benedetto XVI. 2010i. «Incontro con i Vescovi del Portogallo nel Salone delle Conferenze della Casa Nossa Senhora do Carmo», Fatima, 13-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/3xotheh.

    Benedetto XVI. 2010j. «Santa Messa nel Grande Piazzale di Avenida dos Aliados – Omelia», Porto, 14-5-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato tinyurl.com/3a6bhqv.

    Cantoni, Giovanni. 2002. «La “purificazione della memoria” e la devozione al Cuore Immacolato di Maria per la Nuova Evangelizzazione». Cristianità, anno XXX, n. 313, settembre-ottobre 2002, pp. 25-30.

    Congregazione per la Dottrina della Fede. 2000. Il Messaggio di Fatima, 26-6-2000. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/nrqd7j.

    Corrêa de Olivera, Plinio. 1983. «Reunião de Recortes» del 9-4-1983. Trascrizione a cura della Commissão Plinio Corrêa de Oliveira, San Paolo.

    Hermkens, Anna-Karina - Willy Jansen - Catrien Notermans (a cura di). 2009. Moved by Mary. The Power of Pilgrimage in the Modern World. Ashgate, Farnham (Surrey) - Burlington (Vermont).

    Introvigne, Massimo. 2008. Una battaglia nella notte. Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa. Sugarco, Milano.

    Morgan, David. «Aura and the Inversion of Marian Pilgrimage: Fatima and Her Statues». In Hermkens, Jansen e Notemans 2009, pp. 49-65.

    Pio X, 1910. La concezione secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi «Notre charge apostolique», del 25-8-1910 [trad. it., Cristianità, Piacenza 1993].

    ZI10051317. 2010. «Benedetto XVI chiede di essere “autentici testimoni di Gesù Cristo”. Incontrando i vescovi del Portogallo a Fatima». Zenit, 13-5-2010- Disponibile sul sito Internet dell’agenzia Zenit all’indirizzo http://www.zenit.org/article-22461?l=italian.


    [SM=g1740771]



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 20/06/2013 12:17

    [SM=g1740758] Centenario delle Apparizioni di Fatima - Vescovo di Leiria-Fatima

    Antonio Marto
    Vescovo di Leiria-Fátima
    may 2010


    Si avvicina, all’orizzonte del tempo, la data memorabile dei cento anni delle Apparizioni della Madonna a Fatima. Il 2017 sarà,  senza dubbio, un Anno giubilare, come è richiesto dall’importanza dell’avvenimento. Subito sorge in noi un primo interrogativo: cosa vuol dire celebrare il centenario delle Apparizioni?

    Cento anni dopo: memoria e profezia

    Prima di tutto, è un momento storico per esprimere lode e gratitudine a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, per questo segno particolare di benevolenza del suo amore, attraverso Maria, nei confronti dell’umanità che era ansiosa di ergersi dall’abisso. Infatti, come ha scritto Giovanni Paolo II, tra i segni dei tempi del secolo XX “risalta Fatima, che ci aiuta a vedere la mano di Dio, guida provvidente e Padre paziente e compassionevole anche di questo secolo XX”.

    Cento anni rappresentano già un lungo pellegrinaggio nel tempo che invita a “ricordare”, così come Mosè esortava a fare: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere … Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te” (Dt. 8, 2.5). È un invito al popolo d’Israele a rileggere il suo passato, scoprendo in esso la Provvidenza di Dio e l’amore con cui il Signore l’ha condotto attraverso difficili cammini.

    Questa parola è ripetuta a noi oggi: ricordatevi del cammino che il Signore vi ha fatto percorrere in questi cento anni, come Lui vi sia stato vicino attraverso i messaggi della Signora venuta dal Cielo e la sua protezione materna.

    La celebrazione dei cento anni non si riduce ad un’evocazione storica. È soprattutto occasione per prendere coscienza che l’appello della Madonna a Fatima non è risuonato invano; che il suo messaggio continua ad esercitare un influsso benefico per oggi e per il futuro del nostro cammino di Chiesa e della storia dell’umanità.
     
    “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa. Qui rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi: «Dov’è Abele, tuo fratello? […] La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!» (Gen 4, 9)”. (Benedetto XVI).

    Tutta questa ricchezza di motivazioni dimostra che la commemorazione del centenario delle Apparizioni non si può ridurre ad un insieme di eventi e celebrazioni nel 2017. Come i grandi avvenimenti, anche questo richiede una preparazione adeguata.

    Per questo, abbiamo ricevuto un forte incentivo dalle parole di Papa Benedetto XVI nella sua omelia a Fatima: “Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora «venuta dal Cielo», come Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana.  (…) Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità.”

    Sette luci per il nostro cammino

    In queste parole del Santo Padre troviamo rappresentato l’orizzonte del tempo e perfino la prospettiva in ordine alla preparazione delle celebrazioni del centenario. In questo senso, il Santuario ha elaborato un programma della durata di 7 anni – un settennio -, ispirato dalla simbologia biblica del numero sette.

    Nella Bibbia questo numero indica totalità e pienezza. Nel contesto del centenario ci suggerisce che il programma abbracci la totalità del messaggio.

    Oltre a ciò, ci ricorda, più concretamente, un’icona molto significativa dell’Antico Testamento: il famoso candelabro sacro, con sette bracci e sette lampade accese, collocato nel “Santo dei Santi” del Tempio di Gerusalemme. Secondo alcuni esegeti simbolizza il roveto ardente in cui la santità e la voce di Dio si manifestarono a Mosè, sul monte Oreb; secondo altri, rappresenta i giorni della creazione e della storia, avendo al centro il sabato come segno dell’Alleanza.

    In ogni modo, il candelabro (menorah, in ebraico) è simbolo della presenza di Dio, luce che illumina costantemente il suo popolo, come lo illuminò durante i 40 anni attraverso il deserto. Diventa un invito permanente a camminare nella luce divina, alla presenza di Dio che guida la storia e protegge il popolo e a vivere nella speranza, nata dalla fede, che gli dà energia per superare le prove. Invita ancora ad ardere davanti al “Santo dei Santi” in costante preghiera di lode e di ringraziamento.

    La luce di Dio risplende per mantenere accesa in noi la luce del cuore e la luce del volto. Un cuore pieno di luce brilla soprattutto nello splendore degli occhi, capace di illuminare tutto il volto.

    Tenendo presente tutta la ricchezza e la bellezza del simbolismo del candelabro possiamo assumerlo come icona dei sette anni di preparazione del centenario delle apparizioni.

    La riflessione sul Messaggio di Fatima illumina varie dimensioni della fede, varie modalità di vivere l’esistenza cristiana e varie vicissitudini della storia. Avendo presenti questi aspetti, una commissione teologica ha cercato di articolare un itinerario attorno a sette grandi temi, costruendo così una specie di candelabro spirituale per aiutarci ad illuminare gli scenari del mondo e del cuore umano con la luce del messaggio.

    I sette temi sono sette luci per il nostro cammino spirituale per avanzare con Maria e con i Pastorelli all’incontro della bellezza di Dio e del trionfo del Suo Amore misericordioso che salva il mondo, simbolizzato nel trionfo del Cuore Immacolato di Maria.

    La prima luce di questo candelabro spirituale è quella della Bellezza del Volto di Dio, del suo Amore Trinitario, nel quale i Pastorelli furono introdotti dall’Angelo e dalle mani della Madonna, suscitando in loro lo stupore, il gusto e il piacere della presenza di Dio, che si esprimevano in adorazione. “Noi stavamo ardendo in quella luce che è Dio, ma non ci bruciavamo! Come è Dio!!!”; “Voglio tanto bene a Dio!”, esclamava Francesco. Nel simbolismo bilico del candelabro, la luce dell’adorazione alimenta tutta l’altra luce. È la fiamma centrale nella quale le altre si accendono.

    La seconda luce che si accende è quella di Dio Salvatore che ci chiama a collaborare nella storia della salvezza e nel mistero della redenzione del mondo in Cristo. Questa fiamma si alimenta attraverso la nostra offerta nella fede, come Maria. “Esempio e stimolo sono i Pastorelli, che hanno fatto della loro vita un’offerta a Dio e una condivisione con gli altri per amore di Dio” (Benedetto XVI). 

    La terza luce è quella in cui possiamo contemplare il Dio fedele della Promessa e della Speranza, che lungo la storia della salvezza conforta il suo popolo, infondendogli coraggio e fiducia, come Maria: “Non temere”. “E proprio di speranza è carico il messaggio che la Madonna ha lasciato a Fatima”, invitando gli uomini ad avere fiducia in Dio. “La fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa che non delude; indica un solido fondamento sul quale poggiare, senza paura, la propria vita; richiede l’abbandono, pieno di fiducia, nelle mani dell’Amore che sostiene il mondo”(Benedetto XVI).

    In questa logica fa seguito la quarta luce che fa risplendere il Dio compassionevole, che si china sulle sofferenze dell’umanità, il potere della sua misericordia più grande del nostro cuore e più forte del potere del peccato e del Male. “Maria, apparendo ai tre Pastorelli, ha aperto nel mondo uno spazio privilegiato per incontrare la misericordia divina che guarisce e salva”(Benedetto XVI). Ella “ha aiutato i Pastorelli ad aprire il cuore all’universalità dell’amore”, alla compassione e alla riparazione come forza di resistenza alla banalizzazione del male e come collaborazione al rinnovamento del mondo.

    La quinta luce è lo splendore della santità di Dio, che risplende per noi sul volto di Cristo e di cui Maria è specchio e maestra. Questa santità ci è offerta come esperienza di comunione con Cristo e nella solidarietà tra tutti i membri del Corpo di Cristo, nella Comunione dei Santi che è la Chiesa. Ci invita a dare la “misura alta della santità” alla vita cristiana, alimentata particolarmente dalla preghiera.

    “L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a devozioni particolari, ma proprio alla risposta fondamentale, cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù teologali: fede, speranza e carità”(Benedetto XVI).

    La sesta luce ci porta ad aprirci a Dio, pienezza della vita, offerta già in Cristo: “Sono venuto perché abbiano la vita”. Questa chiamata è alimentata, in modo particolare, nella celebrazione dei doni e benedizioni con cui Dio ci adorna, nella vera gioia cristiana, nella coscienza del valore eterno della nostra vita e del nostro pellegrinare. “A Fatima, la Vergine Santa invita tutti a considerare la terra come luogo del nostro pellegrinaggio verso la patria definitiva, che è il Cielo” (Benedetto XVI).

    Infine, il nostro candelabro spirituale risulta completo con la settima luce: uno sguardo contemplativo e ispirato alla bellezza di Colei che fu scelta dal Dio dell’Alleanza, per svolgere una missione unica nella storia della salvezza: essere la Madre del Redentore, l’Arca della Nuova Alleanza, la Madre della Chiesa. Maria donaci occhi e cuore per contemplare la tenerezza di Dio e la sua misericordia come forza e limite divino di fronte al potere del male nel mondo. Così accadde a Fatima nel presentarsi come la Signora del Rosario, come la Madre che, attraverso il Suo Cuore Immacolato, parla cuore a cuore ai suoi figli, portando loro un messaggio esigente e consolante di pace e lasciando loro una promessa: “Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà”. Secondo le parole del Santo Padre Benedetto XVI: “Alla fine, il Signore è più forte del male e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna, della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia”.

    Ringraziando i membri della commissione teologica che ha elaborato questo itinerario tematico, concludo questa presentazione con lo stesso voto di Benedetto XVI a Fatima: “Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità”.


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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 04/07/2013 10:48

    [SM=g1740758]  LA SCHIZOFRENIA DI CERTO AMBIGUO ECUMENISMO..... dopo aver parlato di ECU-MANIA CHE TROVATE QUI, vi offriamo una riflessione sulla schizofrenia che stiamo vivendo....


    Dubbi " ecumenici "

    Abbiamo ricevuto e pubblichiamo .  
    (A.C.)
     
    Spett. Redazione di MiL, 
    Papa Francesco nella catechesi sulla unità fra i cristiani del 19 giugno 2013, parlando del Corpo della Chiesa, ha spiegato aspetti e concetti che senza dubbio tutti noi possiamo e dobbiamo condividere. 
    In questo link troverete il testo integralmente così da non estrapolare singole frasi ma avviandoci ad una serena e pacata riflessione.

    Io per ragioni di spazio devo estrapolare, ma voi tenete a mente tutto il discorso. 
    Il Papa dice: "Ricordiamolo bene: essere parte della Chiesa vuol dire essere uniti a Cristo e ricevere da Lui la vita divina che ci fa vivere come cristiani, vuol dire rimanere uniti al Papa e ai Vescovi che sono strumenti di unità e di comunione, e vuol dire anche imparare a superare personalismi e divisioni, a comprendersi maggiormente, ad armonizzare le varietà e le ricchezze di ciascuno; in una parola a voler più bene a Dio e alle persone che ci sono accanto, in famiglia, in parrocchia, nelle associazioni". 

    Chi, veramente cattolico, non metterebbe una firma o non farebbe una sottoscrizione a queste parole? 
    Infatti chi potrebbe essere contrario a queste affermazioni se non il mondo protestante-evangelico-pentecostale (e laicista ma qui ora non mi riguarda) e magari anche gruppi estremi dell'ortodossia orientale, che non accetta che per essere uniti bisogna " rimanere uniti al Papa e ai Vescovi che sono strumenti di unità e di comunione", come dice il Papa stesso? 
    Impossibile non pensare al nostro mondo tradizionalista, con chi ce l'aveva il Papa? 

    A meno che non ci troviamo davanti ad una persona ignara di tutto - e non lo credo - le parole del Papa sono mirate alle nostre singole coscienze, ma anche alle comunità, ecc. Infatti è il Papa stesso che con un esempio spiega la situazione o meglio, da una interpretazione alle sue parole, dice: "Le divisioni tra noi, ma anche le divisioni fra le comunità: cristiani evangelici, cristiani ortodossi, cristiani cattolici, ma perché divisi? Dobbiamo cercare di portare l'unità. Vi racconto una cosa: oggi, prima di uscire da casa, sono stato quaranta minuti, più o meno, mezz'ora, con un Pastore evangelico e abbiamo pregato insieme, e cercato l'unità. Ma dobbiamo pregare fra noi cattolici e anche con gli altri cristiani, pregare perché il Signore ci doni l'unità, l'unità fra noi".

    Non sta a me giudicare cosa fa il Papa "a casa sua", ma non posso esimermi da alcune riflessioni a riguardo di ciò che mi porta come esempio edificante. 
    Pregare per mezz'ora con un pastore evangelico porta all'unità? 

    Il Papa si chiede questo?
    Quindi cosa dovrei dedurre: che pregare con un evangelico mi porta all'unità ma pregare magari con un tradizionalista mi porterebbe alla divisione?
    Certo che il Papa non dice questo, ma le conclusioni del suo discorso dove portano? Abbiamo "cristiani" di serie A e di serie B?
    La serie A si sa, è diventato il mondo protestante, la serie B è diventato il mondo tradizionalista.
    Con i primi si vuole perfino festeggiare la riforma di Lutero nel 2017, con i secondi guai ad organizzare magari un gran numero di Rosari per ricordare i cento anni dalle Apparizioni di Fatima che, non è certo un caso, ricordiamo proprio nel 2017, ma nessuno ne sta parlando della Gerarchia, mentre si continuano a portare esempi di preghiera in comune con chi non accetta il culto mariano e dei santi, con chi non celebra tutti e sette i Sacramenti, con chi nega la Presenza reale di Gesù (a questo proposito dove hanno pregato il Papa e il pastore evangelico, fuori della Chiesa visto che lì dovrebbe esserci la Presenza reale della Divinità?), con chi nega che sia l'unità con il Papa e i Vescovi in comunione con lui a "fare l'unità" come spiega prima il Papa nella sua catechesi.

    C'è da diventare schizofrenici o degli abilissimi equilibristi per cercare di stare dentro a quanto più di contraddittorio stiamo vivendo.

    Il Papa si è domandato "perché siamo divisi", ma può essere una risposta la sua testimonianza del pregare con un pastore evangelico che nega ben sei dei Sette Sacramenti, compresa la sua stessa autorità petrina?
    Per la verità il Papa prova a dare una risposta alla sua stessa domanda, poco prima ha infatti detto: "L’unità è una grazia che dobbiamo chiedere al Signore perché ci liberi dalle tentazioni della divisione, delle lotte tra noi, degli egoismi, delle chiacchiere. 
    Quanto male fanno le chiacchiere, quanto male! 
    Mai chiacchierare degli altri, mai! Quanto danno arrecano alla Chiesa le divisioni tra i cristiani, l’essere di parte, gli interessi meschini"! 

    Verissimo! 
    Le chiacchiere sono distruttive e tutti dovremmo fare qualcosa per evitarle e concentrarci sull'autentica apologetica, tuttavia io ho sempre saputo che la più grave divisione non è avvenuta per le "chiacchiere" ma per la negazione dei Sacramenti. 
    Il Papa dice: "mai chiacchierare degli altri, mai", anche in questo io personalmente lo ringrazio, tuttavia mi chiedo perché ha criticato ed ha parlato male ad altri del dono dei "3.500 rosari" fatti per lui? 

    Il Papa dovrebbe sapere (e lo sa) che facendo esempi e paragoni inevitabilmente - se egli non si esprime chiaramente - si finirà per usare le sue parole ora contro qualcuno, ora contro altri. 
    Un Papa infatti non dovrebbe dare adito alle "chiacchiere", non dovrebbe alimentarle con i suoi "esempi" che penalizzano fasce di cattolici impegnati nella trasmissione della Tradizione attraverso il rito nella forma antica et-similia.

    Papa Francesco il 6.4.2013 all'omelia a santa Marta ha fatto questa domanda: “Come va, la nostra fede? E’ forte? O alle volte è un po’ all’acqua di rose?”
    Quando arrivano delle difficoltà “siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?”. Pietro – ha osservato – non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché “la fede non si negozia”
    Sempre – ha affermato il Papa – “c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede”, la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, quella di “non essere tanto, tanto rigidi”.
    “Ma quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente – ha sottolineato - incominciamo la strada dell’apostasia, della non-fedeltà al Signore”... 

    Se la fede "non si negozia" come può allora Pietro portarmi come esempio di unità l'aver pregato con un pastore evangelico facendone quasi un vanto, un atto da seguire lasciando ad intendere (anche se non lo dice) che questo porterà all'unità, quindi "si tace" alla fine sulla fede che ci anima, si tace sulla dottrina e sui sette Sacramenti perché, diciamo la verità, non sono le chiacchiere che portano le gravi divisioni, ma La negazione della dottrina, i suoi compromessi, quel tacere e negoziare. 

    Sbaglio o è San Paolo che dice ai Galati: " L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!" 
    Valgono ancora queste parole di san Paolo?
    Mi impegnano ancora nell'anàtema? 

    Dobbiamo essere "rigidi" a riguardo delle dottrine che sono l'espressione poi della fede, o no?
    Dobbiamo "tagliare" questa dottrina o no? Il pastore evangelico non è forse nell'apostasia della non-fedeltà al comando del Signore riguardo alle dottrine ed all'Eucaristia espressa dal cap. 6 di Giovanni? 
    Non è forse il pastore evangelico che ha preferito quel andarsene alla domanda del Signore a Pietro davanti al linguaggio duro: "Volete andarvene anche voi?" 
    Chi sono andati via: gli evangelici (che sono protestanti) o i tradizionalisti che al di là davvero delle chiacchiere cercano di vivere integralmente la fede?

    Intendiamoci, a me il dialogare non dispiace e lo svolgo, ed anche pregare il Padre Nostro con loro mi sta bene, dobbiamo farlo come ci insegnava già Sant'Agostino, ma ciò che non riesco a comprendere è questa specie di schizofrenia che dilaga ogni giorno di più e porta sempre più a due realtà, delle due se preferite una: divisione o sincretismo religioso. 
    E sia ben chiaro che non ho dato dello schizofrenico al Papa, è la realtà che stiamo vivendo che è schizofrenica, non è un caso se nostro Signore ci ha impegnati nel discernimento che i Santi Padri hanno concretizzato in ciò che si chiama "apologetica cattolica". 

    Poche chiacchiere, anzi, davvero basta con le chiacchiere, sono d'accordissimo con Papa Francesco, ma che allora si cominci sul serio e si portino altri esempi più edificanti, più paolini del tipo: conversioni. 
    Conversioni a Cristo, sì, ma in quel Vangelo che Paolo difende da coloro che ne presentano uno diverso, definendo per loro l'anàtema. 

    Ci racconti Papa Francesco come riceverà in futuro il mondo tradizionalista; ci racconti quando i protestanti la smetteranno di fare donne "sacerdoti" (non c'è alcun sacramento dietro) soprattutto quando la finiranno di fare le vescovesse che non sono altro che una caricatura demoniaca della sacra Ordinazione; ci racconti il Papa quando avrà ottenuto, con i suoi metodi, che questi protestanti la smetteranno di sposare coppie omosessuali, di appoggiare l'aborto, il divorzio, l'eutanasia. 

    Pregherò sempre un Padre Nostro con un protestante, ma non mi si chieda di tacere su ciò che ci divide (non tacciono neppure i protestanti e fanno bene) perché  non sono chiacchiere, sono il cuore della nostra fede e non sono stato battezzato per giungere ad un sincretismo che offuschi o minimizzi la verità della fede che mi è stata trasmessa. 
     
     
    ( lettera firmata )


    [SM=g1740771]

    [Modificato da Caterina63 04/07/2013 10:54]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 18/07/2013 13:00

    [SM=g1740758]In molti punti gli eretici sono con la Chiesa, in qualche altro no; ma, a causa di questi pochi punti in cui si separano dalla Chiesa, non serve loro a nulla di essere con Essa in tutto il resto
    (S. Augustinus, In Psal. 54, n. 19; PL 36, 641).

    La dottrina luterana si riassume in questi punti.
     
    Lutero “nega” quasi tutti i sacramenti. Per Lutero i Sacramenti impartiti dalla Chiesa "romana" si sono ridotti solo a delle specie di riti magici, validi a prescindere dalla fede di colui che li riceve - vedasi il Battesimo ai bambini -. Secondo Lutero invece essi sono riconducibili ad uno solo: l’accettazione tramite la fede, delle promesse divine. Così vengono accettati i sacramenti dove è il fedele a ricevere ciò che Dio ci offre (Battesimo agli adulti e la Comunione ma privata della consacrazione e della Presenza reale) e aboliti quelli che lui definisce "istituzionalizzati", come a dire - inventati dalla Chiesa "romana" - quali il Matrimonio, l'Ordinazione Sacra, la Cresima, la Confessione e l'Unzione dei malati
     
    Il sacerdozio universale, di conseguenza, viene abolito e nasce il libero esame delle Scritture - Sola Scriptura -.
     
    Lutero critica così l’ordinazione sacerdotale. Per Lutero i sacerdoti sono solo "pastori-ministri" col compito di insegnare e predicare, che non devono però introdursi nel rapporto tra il singolo e Dio. Così, con Lutero, il sacerdozio è universale, ognuno, col battesimo, può divenire sacerdote. Questo è strettamente legato al libero esame delle Scritture da parte di ognuno (libero esame significa libera interpretazione). In base a questo Lutero abolisce gli ordini monastici e qualunque tipo di voto perché la visione di Lutero del “primato della fede” - il Sola Fidei -, faceva sì che egli diffidasse da tutto ciò che tendeva a trasformare il cristianesimo in una forma di vita "consacrata". Infine Lutero esalta il lavoro, ogni uomo deve sposarsi, avere figli e lavorare, conseguentemente, abolisce il divieto del matrimonio per i sacerdoti.

    Qui Lutero stravolge l'autentica Dottrina della Chiesa.

    Infatti per la Chiesa non c'è obbligo di sposarsi, così come per il prete non c'è l'obbligo del celibato, ma è una scelta che la Chiesa ha ben documentato: se l'uomo vuole sposarsi, che si sposi; se vuole CONSACRARSI A CRISTO, non significa affatto che egli non voglia sposarsi, la sua paternità è trasformata, è diversa, ma c'è, egli "sposa la Chiesa" e GENERA FIGLI spirituali attraverso le conversioni - rigenerazione - e quindi il Battesimo, non a caso egli è chiamato "padre" perchè, in quanto Sacerdote, ha assunto (Alter Christi) la paternità di Dio verso gli uomini. Per questo la Chiesa, nella scelta dei candidati NON accetta coloro che dimostrano avversione per il matrimonio e l'unione naturale fra un uomo e una donna, perchè il farsi sacerdozio NON è un "non volersi sposare" ma un rinunciare ad una famiglia personale per dedicarsi alla FAMIGLIA E AI FIGLI DI DIO.... [SM=g1740733]
    Il tutto nasce da uno stato inquieto e drammatico personale di Lutero il quale, mentre era monaco agostiniano, avverte di non poter resistere alla CONTINENZA sessuale e finisce per rendere non solo manifesto il suo personale disagio, ma portandolo ad un pubblico più vasto (che verrà poi usato e strumentalizzato in chiave politica), impone la sua personale interpretazione biblica ai cattolici del suo tempo, come a dire: se io rinuncio al celibato, TUTTA LA CHIESA MI DEVE SEGUIRE, non posso essere solo io in difetto, di conseguenza è la Chiesa ad essere in difetto.

    Da questo prurito nasce la contestazione di Lutero che pian piano andrà ad estendersi poi alle indulgenze quale capro espiatorio delle sue lamentele; all'infallibilità petrina, ai Sacramenti e via dicendo.
     
    La fede, le opere e i veri sacramenti. Per Lutero i veri sacramenti sono:
    - L’eucaristia. Egli all'inizio non mette in dubbio la Presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino. Il significato della Messa però cambia, essa diviene semplicemente la manifestazione della propria fede nella promessa divina e abolisce il concetto di SACRIFICIO ESPIATORIO.
    - Il battesimo. Non è più un rito che lava il peccato - Lutero abolisce la dottrina sul Peccato Originale -, ma è simbolo della morte e della resurrezione.
    Infine come abbiamo accennato, la confessione cambia radicalmente, ciò che conta è solo la fede nella promessa del perdono. Il confessore, avendo abolito egli il sacerdozio ordinato e sacro, non ha più il potere di cancellare i peccati, ma può solo dare conforto. Il penitente amministra da sé tale sacramento, con la propria fede, si autogiustifica davanti a Dio mediante la sola fede. In questo senso egli intendeva risolvere così il problema delle indulgenze che, a questo punto, non erano più necessarie: niente Messa intesa come Sacrificio espiatorio (la quale è il massimo infatti delle indulgenze); niente suffragi per i Defunti, niente Purgatorio "chi si è salvato si è salvato, chi si è dannato si è dannato", niente speranza, la Chiesa diventa così per lui solo una istituzione necessaria ai fini dell'organizzazione consolatoria, eppure diventa incoerente quando imporrà il catechismo creato ad arte con le sue dottrine innovative.
    Lutero non voleva fondare una nuova Chiesa, voleva infatti cambiare quella esistente con le sue innovazioni. Non essendoci riuscito è ovvio che per sopravvivere e dare asilo ai suoi discepoli, finirà per fondarne una tutta sua con il suo catechismo, la sua bibbia, i suoi sacramenti la sua messa, i suoi pastori.
    Queste innovazioni porteranno Lutero, o meglio la sua dottrina, all'abolizione del culto a Maria e dei Santi, riconosce la prima parte dell'Ave Maria, ma rigetta la seconda parte per poi finire col rinunciare anche alla prima parte. I Santi sono TUTTI i battezzati che per fede accettano Gesù e nella fede muoiono, di conseguenza non è necessaria alcuna canonizzazione da parte dei vescoi o del Papa, una volta morti, nessuno può intercedere per i vivi, solo Cristo, ed ecco i famosi TRE Sola di Lutero: Sola Scriptura; Sola Fidei; Solo Christo.
    Infine il Papa è dichiarato da Lutero "l'anticristo", da qui nasce il termine dispregiativo di "papisti" a quanti restarono fedeli al Pontefice.

    Lutero inizia ad essere eretico in pochi punti, finendo poi per dare origine ad una "chiesa" privata del sacro che si contrappone alla Chiesa unica generata dal Costato di Cristo ed affidata al Pontefice e ai Vescovi in comunione con lui. Preghiamo affinchè nel 2017 non accada che certi prelati della Santa Chiesa non ci obblighino a diventare noi stessi protestanti, ma piuttosto spingano i luterani a riconoscere le loro eresie e a fare ritorno all'unica Chiesa di Cristo con la benedizione della Santissima Vergine Maria, debellatrice d'ogni eresia.



    [SM=g1740733]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 18/07/2013 17:40

    [SM=g1740758]In molti punti gli eretici sono con la Chiesa, in qualche altro no; ma, a causa di questi pochi punti in cui si separano dalla Chiesa, non serve loro a nulla di essere con Essa in tutto il resto
    (S. Augustinus, In Psal. 54, n. 19; PL 36, 641).

    di P. Giovanni Cavalcoli, OP  da Riscossa Cristiana 14.9.2013

     

     Sant'Agostino e Lutero

     

    stgRitengo di fare un utile servizio al lettore proponendo un breve confronto fra queste due gigantesche personalità religiose del cristianesimo, che da secoli influenzano un’enorme quantità di discepoli di Cristo e non solo loro, e danno un certo taglio caratteristico alla storia della Chiesa.

    E’ interessante rilevare le affinità e i contrasti tra di loro, in un periodo come il nostro di intenso impegno ecumenico, ma anche nell’incrociarsi nelle coscienze e negli ambienti ecclesiali e culturali cattolici di tematiche contradditorie, di dubbi e di polemiche sulla vera essenza del cristianesimo e sul suo valore nel mondo di oggi.

    Notiamo anzitutto che Lutero fu un monaco agostiniano, educato e formato nella grande famiglia agostiniana, anche se poi la lasciò. Ma una certa impronta dello spirito di Agostino, per quanto deformata, rimase sempre nell’animo di Lutero.

    Sono convinto che se egli avesse disciplinato il tumulto del suo animo e domato i suoi impulsi irrazionali e sensuali con una saggia ed equilibrata moderazione monastica e un forte slancio di carità, come fece Agostino, avrebbe potuto diventare un altro S.Agostino, un altro grande maestro e luminare della Chiesa, un’altra guida potente e persuasiva, alla pari del Santo vescovo di Ippona.

    Aveva, come si usa dire, la “stoffa”, aveva le qualità, se non proprio di intelligenza, almeno di cuore, di parola, di sentimento, di sensibilità, di pastoralità, di energia e di robustezza di carattere, che lo faceva assomigliare al grande Ipponense. In particolare si assomigliavano per il temperamento sensibile, arguto, immaginativo, irruente, tenace, caldo, emotivo, passionale, intuitivo, estroverso ed attivo, simili in ciò a S.Paolo, il grande maestro di Lutero.

    qplAgostino però supera Lutero nell’amore per la sapienza e la speculazione filosofica, un amore strettamente connesso con un lucido e limpido rapporto intellettuale e quindi affettivo con Dio, ossia con l’amore per la contemplazione, pregustazione della visione beatifica, sorgente di grande luce, consolazione e gioia per l’anima. Entrambi si dedicano, seppure in modi così contrastanti, corpo e anima, al bene delle anime e della Chiesa.

    Agostino, a differenza di Lutero, fu un grande amante di Platone, che Lutero invece giudicava estraneo alla Bibbia (ma non aveva tutti i torti). L’eredità manichea che in qualche modo Agostino ritrovava nella Bibbia lo portava a vedere senza alcun problema l’opposizione del bene col male, del peccato e della grazia, e quindi l’opposizione tra beati e dannati, che invece spaventava Lutero che da giovane temeva di essere dannato. Il mistero della predestinazione, così sentito in Agostino, diventa terrificante in Lutero.

    La forte coscienza del primato e della potenza della grazia nella condotta dell’uomo li opponeva entrambi a Pelagio, ma mentre Agostino nutre un certo rispetto per le forze umane, benchè peccatrici, in Lutero il peccato dell’uomo è così pervasivo che, come è noto, la natura umana appare totalmente corrotta.

    Mentre per Agostino la giustizia punitrice divina è cosa logica e comprensibile, né si sente da essa minacciato, essa spaventa Lutero, gli fa orrore, perché egli non sa vederla come espressione della bontà divina, né sa collegarla alla misericordia. Né sa capacitarsi che se egli dev’essere dannato, questo non sarà che effetto di un suo atto di libero arbitrio, del quale egli è padrone, non sarà che colpa sua. Mentre Lutero si sente minacciato dell’inferno da un imperscrutabile giudizio divino, Agostino, più consapevole della padronanza che abbiamo sui nostri atti, è sereno.

    Per questo Lutero rifiuta la giustizia divina e vuole solo la misericordia. In tal modo anche la misericordia viene compromessa e appare, come avviene anche nei buonisti dei nostri giorni, l’avallo divino a tutto quello che salta in testa, tanto Dio è buono e perdona.

    Secondo Lutero, il Dio della ragione (“theologia gloriae”), è un Dio balzano che gioca sull’equivoco – manca nel pensiero luterano occamista  l’idea dell’analogia –, è un Dio spaventoso nella sua terribile maestà, e quindi ingiusto e sleale. Meno male, pensa Lutero, che c’è la “fede” (“theologia Crucis”), che rende convinti che comunque vadano le cose, Dio è in realtà “misericordioso” e ci perdona sempre anche se non siamo pentiti.

    La confidenza in Dio in Lutero, la sua cosiddetta “fede fiduciale”, raggiunta dopo la “scoperta” della misericordia divina, non è sincera, ma è un atto di forza verso Dio. Lutero che prima si sentiva violentato dalla volontà divina, risponde alla forza con la forza, autoconvincendosi di essere comunque in grazia, pur restando nel peccato. Egli “confida” in Dio non alle condizioni che Dio gli pone (far penitenza dei peccati), ma alle condizioni che Lutero vuole imporre a Dio (esser perdonato senza penitenza).

    Agostino invece, pur consapevole del fatto che il peccato ha indebolito il libero arbitrio, ma non distrutto, avverte con chiarezza che esso è rimasto essenzialmente intatto; da qui la fiducia nel poter evitare il peccato e cercare la giustizia, seppur sempre con l’aiuto della grazia. Per Agostino l’uomo in grazia può meritare il paradiso con le opere; per Lutero il merito non esiste, ma solo la grazia (sola gratia).

    Agostino, inoltre, oltre che da S.Paolo, prende anche da S.Giovanni, che invece in Lutero non ha quasi nessuna parte. Lutero è tutto sbilanciato su Paolo, preso peraltro solo in parte e mal interpretato, senza tener conto che invece i due grandi apostoli si illuminano a vicenda e per comprenderli vanno studiati assieme. Isolatamente l’uno dall’altro invece possono dar luogo a forti equivoci.

    Certo il grande tema della verità è forte in Agostino come in Lutero. Che cosa è infatti la “fede” che tanto appassionava Lutero, se non verità? E cosa egli vedeva nella “Parola di Dio” se non la verità? E cosa lo trasportava contro il Papa, il Magistero e le tradizioni cattoliche se non la convinzione di aver ritrovato la verità del Vangelo? E come sapeva attrarre discepoli se non convincendoli di aver ritrovato la verità contro le menzogne di Roma? E perché ancor oggi uno si fa protestante se non per la convinzione di conoscere, contro Roma, la verità del Vangelo e la vera Chiesa?

    Certo noi cattolici potremmo avere qualche dubbio; ma non siamo stati noi stessi nei nostri pastori, col Concilio Vaticano II, a emanare un decreto sulla libertà religiosa che insegna il dovere di seguire la propria coscienza anche se involontariamente erronea? La Chiesa non ha sempre insegnato sin dai tempi di S.Agostino, per non dire nel Vangelo stesso, che se uno è eretico senza saperlo è innocente?

    Però Lutero, a differenza di Agostino araldo dell’amor Dei usque ad contemptum sui, quindi della dimenticanza di sé in Dio, vedeva il cristianesimo e la fede in funzione della sua salvezza personale. Per lui, come si sa, tutta la teologia si risolveva nella dottrina della giustificazione (articulus stantis et cadentis Ecclesiae) e non della giustificazione in generale, ma proprio nella giustificazione di Martin Lutero.

    Molti quindi hanno notato come questo emergere prepotente dell’io di Lutero nel piano della salvezza non si concili con le parole del Signore “chi cerca la propria vita, la perde, chi la perde per causa mia la trova”, per cui, volendo parafrasare il succitato motto di Agostino, par che la spiritualità luterana potrebbe esser espressa così: amor Dei propter amorem sui.

    Non c’è dubbio che Lutero coltivava un amore ardente per il Crocifisso – pensiamo alla sua theologia crucis –, ma egli vedeva in Cristo, per sua stessa dichiarazione, non tanto l’ “una persona in due nature” insegnata dal Concilio di Calcedonia, che egli peraltro accettava, quanto piuttosto il “Dio-per-me” che mi salva.

    La coscienza soggettiva, il “ciò-che-sembra-a-me”, in Lutero, convinto di avere Dio nel suo intimo, prevale sulla realtà oggettiva storico-sociale: la Chiesa visibile, la gerarchia, il Papa, la tradizione, i sacramenti, gli usi e le strutture giuridiche ed istituzionali della Chiesa; da questo concetto soggettivistico della verità resta fuori, come è noto, la Bibbia, e ciò sorprende per l’incoerenza, ma al contempo fa piacere al cattolico per la possibilità che resta una base comune di dialogo, seppure nel contrasto di certe interpretazioni.

    E’ qui che il Concilio Vaticano II ha trovato il fondamento dell’ecumenismo, riprendendo del resto un pensiero di S.Tommaso d’Aquino, il quale  osserva come sia utile e necessario nella discussione con gli eretici far capo a quella medesima Sacra Scrittura che essi condividono con noi.

    Quello che invece si è insinuato oggi in certi ambienti sviati da un falso ecumenismo è l’idea che essere cattolici o essere protestanti non faccia poi una gran differenza, l’importante sarebbe essere “cristiani”, un po’ come un cattolico non vede alcun contrasto di fondo tra domenicani e francescani, ma considera queste famiglie spirituali come due modi diversi, entrambi legittimi, di esser cattolici.

    In tal modo molti oggi credono che l’invito ai protestanti a farsi cattolici avrebbe così poco senso come esortare un domenicano a farsi francescano, perché questo è nella verità, mentre quello è nell’errore. Così si invoca il rispetto delle scelte altrui e il diritto alla libertà religiosa, ma qui a sproposito, perché essa non suppone nessun indifferentismo religioso né abolisce l’opposizione tra errore e verità, ma semplicemente, come ho detto, riguarda il rispetto della buona fede di chi sbaglia senza saperlo.

    In realtà già il Beato Pio IX aveva condannato una simile concezione del rapporto fra cattolicesimo e protestantesimo. Lo stesso decreto conciliare sull’ecumenismo dice espressamente che l’attività ecumenica si propone come fine l’invito ai fratelli separati ad “entrare nella Chiesa cattolica”, che resta sempre, come già insegna il Concilio di Firenze nel sec.XV, l’unica via della salvezza. Nell’asserzione conciliare Extra Ecclesiam nulla salus, “Chiesa”s’intende la Chiesa cattolica.

    Agostino e Lutero si incontrano sul tema dell’interiorità e - l’“uomo interiore - della coscienza. Ricordiamo la famosa esortazione agostiniana: “noli foras ire, in teipsum redi: in interiore homine habitat veritas”[1]. Lutero invocò la sua coscienza alla Dieta di Worms per respingere l’ingiunzione a ritrattarsi, dichiarando di essere “incatenato alla Parola di Dio”.

    La dottrina della coscienza è importante nella Sacra Scrittura. Essa emerge soprattutto in S.Paolo (syntèresis) ed appare come una facoltà di giudizio su ciò che è bene o male davanti a Dio. Non è un principio assoluto, perché può essere buona o cattiva a seconda che si regoli o no sulla legge divina. Essa è una conoscenza, ma non volta verso l’esterno, bensì verso il suo interno, dove Dio si rivela anche a coloro che non conoscono la Legge scritta di Mosè. Da qui l’importanza della “testimonianza della coscienza”(Rm 2,15; II Cor 1,12). Questa dottrina di Paolo è anche il fondamento dell’importante dottrina della “legge naturale”, nota alla sola ragione anche indipendentemente dalla fede.

    [SM=g1740733] Che concetto aveva Lutero della propria coscienza? Non si era accorto di esser caduto nell’errore? C’è da temere che si basasse sul concetto di coscienza individualistico, chiusa su se stessa, che si ricavava dalla filosofia di Ockham, non dalla Bibbia, nella quale la coscienza che erra in buona fede può essere scusata, ma non risulta da nessuna parte una coscienza peccatrice e comunque certa per rivelazione divina della propria salvezza.

    La sua pretesa di accogliere dai suoi contestatori solo una confutazione tratta dalla Sacra Scrittura e non dal Magistero non aveva giustificazione. Non si capisce perché mai Lutero accoglieva la Scrittura e non il Magistero, quando la stessa Scrittura non è altro che la messa per iscritto della predicazione o tradizione apostolica che giunge fino a noi appunto sotto forma di Magistero della Chiesa, anche se certo la Sacra Tradizione resta una fonte della Rivelazione distinta dalla Sacra Scrittura.

    Se l’autore di un libro è vivente, ha forse senso interpretare, giudicare o criticare il suo pensiero rifacendosi solo a ciò che egli ha scritto o non sarà più logico farsi spiegare da lui quanto nel libro può essere oscuro o prendere per giusta l’interpretazione che egli ne dà? Ora indubbiamente il Magistero non è l’autore della Scrittura, tuttavia, come successore degli apostoli, rappresenta al vivo quella tradizione apostolica che ha messo per iscritto la predicazione del Vangelo della quale Cristo ha incaricato gli apostoli.

    Lutero, tutto preso dalla convinzione d’aver ricevuto la rivelazione divina della propria salvezza, cosa che certo non si trova nel Credo conservato dalla Chiesa, quindi senza ragionevole motivo, si era fatto per conseguenza l’idea dalla quale nessuno riuscì a smuoverlo, che gli apostoli, dopo aver messo per iscritto la predicazione del Signore, avessero avuto nei secoli seguenti dei successori che avevano tralignato nell’interpretazione della Scrittura.

    Da qui la sua cocciuta convinzione che per mandato divino, non si sa come ottenuto, spettasse a lui (modestia a parte), dopo molti secoli di tralignamento, riportare la Chiesa alla conoscenza del vero Vangelo, ignorando completamente ciò che da quindici secoli si sapeva e cioè  che Cristo aveva garantito alla sua Chiesa una perfetta fedeltà nella conservazione ed interpretazione del suo messaggio di salvezza. Come mai tanta gente nei secoli ha potuto credergli?

    Così Lutero si comportò esattamente in tal modo nei confronti della Scrittura  - il famoso sola Scriptura -, pretendendo di interpretare la Scrittura meglio della Chiesa e contro la Chiesa. Da dove trasse il Riformatore simile metodo esegetico? Non dal buon senso e neppure dalla tradizione dei Padri, dei Dottori e dei Santi, ma solo dalla sua testa, nella presunzione di essere direttamente illuminato dallo Spirito Santo meglio del Papa e contro il Papa. Si fa fatica a capire come tanti discepoli di Cristo lo abbiamo poi seguìto e lo seguano in questo assurdo modo di procedere.

    Lutero comunque era un appassionato della verità e della verità di fede, tanto da giungere ad accusare Roma di eresia. Tuttavia, la verità evangelica che assorbì tutto il suo interesse era esclusivamente la questione della salvezza, per cui a un certo punto egli, nella sua famosa “illuminazione” agli inizi della sua opera riformatrice, si convinse irremovibilmente che il Vangelo gli garantiva di esser perdonato nonostante i suoi peccati, come se tutto il senso del Vangelo fosse quello di assicurare a Lutero che si sarebbe salvato.

    E’ questa la supposta verità che interessava Lutero: la propria salvezza, il resto non lo interessa, anche se si sentiva investito della missione divina di annunciare al mondo contro il tradimento di Roma questa interpretazione del Vangelo, affinchè altri potessero salvarsi con la medesima applicazione che Lutero aveva fatto a se stesso del Vangelo. Lutero era convinto di annunciare una liberazione, ma purtroppo tale “liberazione” era fondata sulla convinzione sbagliata che Dio perdoni anche chi non si pente.

    E questo è il suo grave limite. La predicazione del Vangelo che egli portò avanti con incredibile energia per tutta la vita, si risolveva però soltanto nell’assoluta quanto altrettanto soggettivistica coscienza di essere salvo. E’ vero che poi Lutero erige a verità universale quello che credeva per lui, ma non fu altro che erigere ad universalità, sempre con mentalità occamistica, un atteggiamento soggettivistico, senza fondamento oggettivo e chiuso su se stesso.

    Qui si vede l’occamismo esasperato di Lutero, del quale egli faceva aperta professione (“sum occamicae factions”). Infatti in Ockham l’individuo emerge come assoluto, mentre l’universale non è che un nome (da cui “nominalismo”), col quale si raccoglie un insieme di individui simili, un po’ come l’etichetta “cucchiai” in un ristorante si pone nel cassetto che contiene i cucchiai.

    Lutero, come Ockham, confonde il senso con l’intelletto perché non riesce ad astrarre l’essenza universale dal singolare materiale. Nonostante la sua spiritualità e religiosità, Lutero non riesce a salire, sia pur per via analogica, al piano della pura intellegibilità che è il piano dello spirito, dei valori morali universali, degli attributi divini, della vita soprannaturale, dei misteri della fede.

    Tutto per lui, anche la verità di fede, anche la Parola di Dio, dev’esser concreto, qui ed ora, sensibile, sperimentabile, storicizzato ed incarnato. L’atto di fede non è un atto intellettuale, ma l’emozione piacevole di sentirsi perdonati. Dio non è Dio se non il Dio incarnato. Senza Cristo, quindi senza l’uomo, senza l’io, Dio non esisterebbe o sarebbe una pura astrazione o il mostro spaventoso della theologia gloriae.

    Certo che Agostino non è tenero né con la ragione né con l’esperienza dei sensi. Non est a sensibus expectanda sincera veritas, dice da giovane subito dopo la conversione, probabilmente ancora sotto il cattivo ricordo dei peccati commessi e nella reminiscenza del dualismo platonico. Nelle  Retractationes, da anziano, arriverà invece a dire: Est sensus et animae.

    A differenza di Lutero, la spiritualità agostiniana, ad imitazione di quella giovannea, gira non solo attorno al tema della verità ma anche e soprattutto a quello della carità: caritas veritatis quaerit otium sanctum,  - e questa è la contemplazione -; necessitas caritatis – e questo è l’amore del prossimo - quaerit negotium iustum. Verità, eternità, carità sono strettamente intrecciate: O aeterna veritas, o cara aeternitas o vera caritas!

    E quando si dice carità, non s’intende solo la carità verso Dio ma anche quella verso i fratelli e in particolare, per un monaco agostiniano, la vita comune, fondata sulla condivisione della medesima Parola di Dio, il che comporta l’umile servizio al bene comune nel nascondimento, mentre in Lutero si nota un esagerato porre in primo piano il suo problema personale (sia pur degno di rispetto), che fa sospettare non un sincero desiderio di santità, ma un certo esibizionismo o protagonismo e la volontà inconfessata di emergere sugli altri e di comandare, ovviamente sempre “a nome di Dio”. Tutto ciò esclude un’autentica vocazione religiosa. I superiori però, notando le sue notevoli capacità, gli dettero troppa corda lasciando che si ingolfasse in un mucchio di attività trascurando la preghiera[2].

    Lutero, inoltre, non praticò nei confronti dei sensi la severità che ebbe Agostino dopo la conversione.  Da giovane monaco aveva bensì provato a praticare un’ascesi troppo severa e scrupolosa, che era diventata un tormento. Per uscire da questo stato, come è noto, non cercò un’ascesi più saggia e moderata, ma semplicemente l’abbandonò del tutto con la scusa che comunque Dio è buono e perdona.

    Qui il cammino dei due è l’inverso: Agostino parte dalla carne e finisce nello spirito; Lutero parte dallo spirito (non ben inteso) e finisce nella carne (illudendosi di essere nello spirito). Quanti casi di religiosi del postconcilio, convinti di essere dei “progressisti”, assomigliano al cammino di Lutero!

    Agostino giovane ancora manicheo dava, dei sui peccati carnali, la colpa alla materia, considerata in queste visioni dualistiche come principio del male, ma poi, illuminato dalla grazia e da buone letture, si è accorto dell’ipocrisia di una simile scusa: per questo abbandonò il manicheismo per seguire Cristo riformando la sua concezione del rapporto anima-corpo sulla base dell’insegnamento biblico ed impegnandosi seriamente nel dominio della carne. Lutero invece ha ceduto alla carne facendosi la convinzione di essere “liberato” e comunque perdonato e di salvarsi.

    Dal che vediamo quale carenza aveva la formazione filosofica di Lutero e comprendiamo i suoi errori nel campo della fede e della morale. Egli dichiarava di attingere esclusivamente alla Bibbia, ma in realtà nessuno può accostarsi alla Scrittura senza una precomprensione razionale e del resto la stessa Scrittura contiene concetti filosofici ed anche metafisici, per cui se chi legge la Scrittura non è già illuminato da una sana ragione, prende fischi per fiaschi, proprio come è capitato a Lutero. “Chiunque è dalla verità, dice Cristo, ascolta la mia parola”. Se non possediamo la verità della ragione, invano potremo pensare di cogliere la verità di fede.

    A questo punto ci poniamo alcune domande. Lutero ha mai conosciuto il vero cristianesimo? La sua vocazione monastica fu autentica? Ha apostatato perché era partito male? Ha avuto una cattiva iniziazione cristiana, basata sul terrore anziché sull’amore? Perché ha scelto Ockham come maestro di filosofia, un ribelle alla Chiesa e da essa condannato, ha tradito S.Agostino e disprezzato S.Tommaso, così conforme all’insegnamento biblico, per espresso riconoscimento di Papi, Dottori e Santi?

    Era incapace di un pensiero speculativo? Perché restringere il cristianesimo alla sola questione della giustificazione? Lutero gira attorno a Dio o attorno a se stesso? Il suo pessimismo sulla corruzione della natura umana è umiltà o è un pretesto per peccare liberamente, certo dell’impunità e con la convinzione di essere comunque salvo? Presunzione di salvarsi senza merito? Perchè la Bibbia sì e il Magistero no? Forse che lui è infallibile e il Papa è fallibile? Perché rifiuta la Lettera di Giacomo? Perché Giacomo parla della necessità delle opere? A che serve la grazia se non toglie il peccato?

    Il Concilio di Trento corresse la falsa riforma luterana e restituì alla Chiesa il suo vero volto, ma non assunse quanto di valido esisteva nelle istanze di Lutero. Il Vaticano II ha provvidenzialmente avviato il dialogo con i fratelli separati. Oggi occorre mantenere assieme l’ecumenismo promosso dal Vaticano II con la critica svolta dal Tridentino.

    Lutero peraltro poteva avere dei buoni motivi per denunciare la corruzione e il traviamento del clero, dei religiosi, della gerarchia e della stessa S.Sede, ma col proporre un modello di Chiesa che non è quello giusto, è chiaro che la sua critica andò fuori centro. Se si pretende di correggere i vescovi negando il sacramento dell’Ordine o il Papato negando l’autorità del Papa o si pretende di ritrovare il Vangelo basandosi sulla sola Scrittura e non anche sulla Tradizione, è chiaro che si cade, per così dire, dalla padella alla brace.

    Da osservare inoltre quanto ha nuociuto alla eliminazione della divisione tra cattolici e protestanti il sorgere di Stati rispettivamente “cattolici” e “protestanti”, come se una questione religiosa così delicata fosse affare dello Stato. Tale politicizzazione della religione ha finito invece con l’irrigidire e materializzare le posizioni e le divisioni dando ad esse una specie di avallo statale. Oggi, grazie a Dio questo grave intoppo non esiste più, per cui la Chiesa è più libera di sanare le divisioni, che non toccano tanto le strutture statali, quanto piuttosto le coscienze. Quello che occorre oggi è fare ecumenismo senza dimenticare il Concilio di Trento.

    In conclusione, non possiamo non rallegrarci di un ecumenismo ben condotto. Ma non sempre questo avviene. Esiste purtroppo anche un falso ecumenismo, per il quale i protestanti non si convertono, mentre noi cattolici stiamo diventando luterani, anche se manteniamo l’etichetta di cattolici.

    Si fa fatica a pensare come sia possibile che gli errori e i cattivi esempi di Lutero, dopo cinque secoli, confutati mille volte da pastori generosi, predicatori zelanti, teologi insigni, santi missionari[3], addirittura martiri[4], continuino ad esercitare tanta attrattiva? Perché ciò non avviene piuttosto per un S.Agostino o per la Chiesa cattolica. Possibile che il grande e immortale Agostino non possa correggere Lutero?

     

     

     


    [1] De vera religione c.XXXIX.

    [2] Lo nota il Maritain nel suo famoso studio Tre Riformatori.

    [3] Pensiamo all’opera grandiosa e benefica di grandi santi del passato, come S.Giovanni di Colonia, S.Pietro Canisio, S.Francesco di Sales o il Beato Marco d’Aviano, per non nominare la folta schiera di teologi e polemisti.

    [4] Ricordiamo i cosiddetti “martiri domenicani di Colonia” nel sec.XVI, tra i quali appunto S.Giovanni di Colonia.

    [Modificato da Caterina63 16/09/2013 21:00]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 11/10/2013 16:36

    [SM=g1740758] PRESENTAZIONE DELLA GIORNATA MARIANA

    Città del Vaticano, 11 ottobre 2013 (VIS). Questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, è stato presentata la "Giornata Mariana", celebrazione nell'ambito dell'Anno della Fede, in programma a Roma il 12 e 13 ottobre. Alla Conferenza Stampa hanno partecipato l'Arcivescovo Salvatore Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, il Vescovo José Octavio Ruiz Arenas, Segretario e il Monsignor Graham Bell, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

    "Nella Lettera apostolica 'Porta fidei', con la quale si indiceva l'Anno della Fede - ha ricordato l'Arcivescovo Fisichella nel suo intervento - si legge: 'Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede'. In questo contesto, Benedetto XVI poneva in primo luogo la figura di Maria come icona insuperabile della fede in Gesù Cristo.

    La Vergine Maria rappresenta per i credenti la prima risposta di fede, piena e totale, con la quale ci si abbandona totalmente a Dio. (...) In forza di questo, non poteva mancare durante l’Anno della Fede, un evento da dedicare alla pietà mariana. Ciò che caratterizza in modo del tutto particolare lo svolgimento di queste giornate sarà la presenza della statua originale della Madonna di Fatima. Giungerà a Roma, domani sabato 12 ottobre e ritornerà a Fatima la sera di domenica".

    L'Arcivescovo Fisichella ha sottolineato l'importanza dell'evento precisando che "la statua della Vergine di Fatima non lascia mai il Santuario. È solo per eventi del tutto eccezionali e straordinari. L’ultima volta è accaduto nel Grande Giubileo dell’Anno 2000 quando il Beato Giovanni Paolo II il 13 maggio compì l’Atto di affidamento alla Madonna". La scelta della Giornata mariana è stata intenzionalmente voluta il 13 ottobre perché quella data ricorda l’ultima apparizione della Vergine ai pastorelli Giacinta, Francesco e Maria nel 1917.

    All'arrivo della statua della Vergine di Fatima in Vaticano da Fiumicino, sabato pomeriggio, si snoderà una piccola processione interna. La statua della Vergine farà una sosta presso la cappella dell'abitazione di Papa Benedetto XVI per un suo breve momento di preghiera personale e quindi si dirigerà verso la Casa Santa Marta dove, all'ingresso, la Statua della Madonna sarà accolta direttamente da Papa Francesco.

    Le due giornate si svolgeranno secondo un tradizionale programma.
    Nel mattino del sabato il pellegrinaggio alla Tomba di Pietro, nel pomeriggio, Piazza San Pietro aperta ai pellegrini a partire dalle 14:30.
    L'accoglienza dei pellegrini inizierà alle 15:00 con un momento di animazione e riflessione;
    alle 16:00 inizierà la processione della statua della Vergine attraverso i vari settori della Piazza.
    "Come è tradizione per la Madonna di Fatima, chiediamo ai pellegrini - ha ricordato l'Arcivescovo Fisichella - di salutare con il fazzoletto bianco il passaggio della Statua".
    Alle 17:00 il Santo Padre accoglierà la statua della Vergine sul Sagrato della Basilica di San Pietro.

    Dopo il momento di preghiera in Piazza San Pietro, la statua della Vergine sarà trasportata al Santuario del Divino Amore, dove alla recita del Santo Rosario farà seguito una Veglia di preghiera che si estenderà per tutta la notte. La domenica mattina la statua della Vergine ritornerà in Vaticano per ripetere la processione attraverso Piazza San Pietro a partire dalle ore 9:30 con la successiva Santa Messa presieduta da Papa Francesco. Al termine il Papa compirà l’Atto di Affidamento alla Madonna concludendo con l’Angelus.

    È prevista la partecipazione di 150.000 pellegrini di tutto il mondo con 48 rappresentanze internazionali del movimento mariano.


    [SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

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    00 23/10/2013 14:30

    "la faranno, ma sarà tardi"


    Suor Lucia disse che Nostro Signore un giorno si lamentò con Lei perché la consacrazione della Russia non era stata fatta: Ecco le parole ascoltate da suor Lucia “Non hanno voluto ascoltare la mia richiesta!… Come il re di Francia, se ne pentiranno, e la faranno, ma sarà tardi"



    FATIMA e PAPA FRANCESCO
     
    di Roberto de Mattei
     
    C’è stata molta attesa, ma anche grande delusione per la cerimonia svoltasi in San Pietro domenica 13 ottobre. L’attesa nasceva dalla notizia che circolava: Papa Francesco avrebbe consacrato il mondo al Cuore Immacolato di Maria, davanti alla statua della Madonna di Fatima giunta dal Portogallo. Le speranze sembravano avere conferma dal fatto che il Papa aveva chiesto al cardinale José Policarpo, patriarca di Lisbona, di consacrare il suo ministero petrino alla Madonna di Fatima.

    L’afflusso dei fedeli è iniziato il sabato, quando la statua della Madonna, giunta in elicottero, è stata venerata dalla folla e poi è stata trasferita al santuario mariano del Divino Amore. La domenica sono stati oltre centomila i fedeli che hanno gremito la piazza antistante la Basilica, per assistere alla cerimonia. Molti speravano che la consacrazione di Papa Francesco comprendesse una menzione specifica della Russia. A Fatima infatti la Madonna ha chiesto un atto solenne e pubblico di riparazione e consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria, compiuto dal Papa in unione con i vescovi del mondo. Pio XII nel Radiomessaggio al Portogallo del 31 ottobre 1942, consacrò al Cuore Immacolato di Maria la Chiesa e il genere umano.

    Lo stesso Papa Pacelli, il 7 luglio 1952, con la lettera apostolica Sacro Vergente Anno, consacrò tutti i popoli della Russia alla Madre di Dio. La Russia venne esplicitamente nominata, ma mancò l’unione solenne con i vescovi cattolici di tutto il mondo.

    Il Concilio Ecumenico Vaticano II sarebbe stata un’occasione straordinaria per adempiere alla richiesta della Madonna.
    Nel 1965, ben 510 arcivescovi e vescovi di 78 paesi sottoscrissero una petizione in cui si chiedeva che il Papa, in unione con i Padri conciliari, consacrasse al Cuore Immacolato di Maria il mondo intero, ed in modo speciale la Russia e le altre nazioni dominate dal comunismo.


    Paolo VI non accolse però la richiesta.
    Giovanni Paolo II, dopo essere stato drammaticamente ferito nell’attentato del 13 maggio 1981, attribuì alla Madonna di Fatima una miracolosa protezione e il 13 maggio 1982 si recò pellegrino al suo santuario, dove affidò e consacrò alla Madonna «quegli uomini e quelle nazioni che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno». Un’analoga consacrazione fu da lui ripetuta il 25 marzo 1984, in piazza San Pietro, alla presenza della statua della Vergine giunta appositamente dal Portogallo. Il Papa aveva scritto ai vescovi di tutto il mondo chiedendo di unirsi a lui, ma non tutti ricevettero l’invito e pochi lo fecero proprio. Neanche in questa occasione fu espressamente nominata la Russia, ma ci fu solo un riferimento «ai popoli di cui tu ti aspetti la nostra consacrazione e il nostro affidamento».

    Un terzo atto di affidamento della Chiesa e dell’umanità alla Vergine Maria, fu pronunciato l’8 ottobre 2000, davanti alla statua della Madonna di Fatima, da Giovanni Paolo, insieme ad oltre 1500 vescovi rappresentanti dell’episcopato mondiale. Benedetto XVI fece divulgare il Terzo segreto di Fatima (il cui testo viene però da molti giudicato incompleto) e il 12 maggio 2010, inginocchiandosi davanti all’immagine della Madonna nella cappella delle Apparizioni di Fatima, elevò a Lei una preghiera di affidamento, chiedendo la liberazione «da ogni pericolo che incombe su di noi».

    I devoti di Fatima attendevano da Papa Francesco un passo avanti, rispetto ai suoi predecessori, ma sono stati profondamente delusi.
    Il Papa ha pronunciato in tono stanco una formula più debole di quelle precedenti, senza usare la parola consacrazione, e senza citare né Fatima, né il Cuore Immacolato, né il mondo, né la Chiesa, e tantomeno la Russia. Il Papa, in una parola, contrariamente a quanto era stato annunciato (cfr. ad esempio www.zenit.org/it/articles/l-importanza-di-consacrare-il-mondo-al-cuore-immacolato-di... non ha consacrato il mondo al Cuore Immacolato di Maria. C’è stato un generico accenno a «Dio, che mai si stanca di chinarsi con misericordia sull’umanità, afflitta dal male e ferita dal peccato, per guarirla e per salvarla», ma senza richiamare i pericoli che oggi incombono sull’umanità impenitente.


    La Beata Vergine Maria non fu una donna verbosa e sentimentale, e i suoi messaggi, quando sono autentici, vanno dritto all’essenziale.
    Le sue parole sono un dono del Cielo per confermare gli uomini nella fede o per dar loro orientamento e conforto nelle difficoltà. A Lourdes, nel 1858, Maria suggellò il dogma dell’Immacolata Concezione, promulgato quattro anni prima da Pio IX. A Fatima, nel 1917, annunziò un grande castigo per il mondo, se non si fosse pentito per i propri peccati. In questa profezia che Benedetto XVI ha definito «incompiuta», la Madonna ha voluto farci comprendere come il mondo vive un’ora tragica della sua storia, richiamando ognuno alle proprie responsabilità.


    Un insegnamento forte, sulla stessa linea di quello di Fatima, ci viene da un altro messaggio mariano, poco conosciuto, di cui proprio il 13 ottobre 2013 è caduto il quarantesimo anniversario: quello di Akita.
    Akita è il nome del luogo, in Giappone, in cui avvennero le apparizioni della Madonna alla suora Agnese Katsuko Sasagawa, dell’ordine delle Serve dell’Eucarestia.


    Il 13 ottobre 1973, la religiosa ricevette l’ultimo e più importante messaggio nel quale la Madonna descrive il castigo che attende l’umanità con queste parole:
    «Se gli uomini non si pentiranno e non miglioreranno se stessi, il Padre infliggerà un terribile castigo su tutta l’umanità. Sarà un castigo più grande del Diluvio, tale fino al suo trionfo finale.

     
    Tratto da http://www.corrispondenzaromana.it/fatima-e-papa-francesco


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    00 12/11/2013 13:24
       IL PAPA LIQUIDA LE COSIDETTE “CHIESE LIBERE” E CHI SI RIFA’ AD ESSE


    Contro Lutero e la Riforma, e la suggestione e anche l’equivoco (e spesso l’inganno), ingenerato negli ultimi anni da una miriade di “chiese”, gruppi e gruppuscoli ma anche movimenti di una certa consistenza, che hanno affollato il già tanto variegato, quanto confuso, nebuloso, errore, in sapor di scisma eretico, ingenerato da quello che giustamente, ad uopo, gli esperti in teologia hanno definito: “Supermarket” della fede, finalmente scende in campo la Santa Romana Chiesa Cattolica, con un pronunciamento della Congregazione della Dottrina per la fede.

    Si tratta di quel fantasmagorico, quanto “fantastico”, miracolistico-falsamente carismatico- a volte ingannevole mondo della “fauna” di matrice “pentecostale” che partendo dall’America si è diffusa a macchia d’olio in grandi regioni del mondo: dalle Americhe all’Inghilterra, all’Olanda, alla Spagna, e ovviamente all’Italia, che ha suggestionato e continua a suggestionare migliaia di fedeli, spesso con risultati disastrosi: famiglie divise, truffe a suon di miliardi, gravi danni esistenziali; movimenti che si organizzano come vere e proprie sette (con lavaggio del cervello, svuotamento di senso critico), con violazione di leggi civili e penali, (Specialmente in Italia: violazione della legge penale per quanto riguarda truffe (“miracoli”, in cambio di milioni); violazioni delle leggi civili e costituzionali: violazione dell’articolo 21 della Costituzione Italia (per un abuso illecito della cosiddetta libertà di culto), violazione degli articoli civili e di natura religiosa (Catechismo della Chiesa cattolica).
    Articolo 2059 del codice civile (danno esistenziale) annullamento del senso critico, lavaggio del cervello, violazione degli articoli 130 e 131 del Testo Unico di Pubblica sicurezza che viete l’attività di “ciarlatano”, “Preti”, mezzi cattolici e mezzi protestanti che in disobbedienza alle gerarchie ecclesiali, fatta eccezione di qualche sparuta approvazione vengono messi sotto processo e condannati per aver promesso miracoli in cambio di soldini. Miracoli che ovviamente non ci sono mai stati. Gente senza scrupoli che si approfitta dei più deboli, delle persone più fragili e indifese, come si è manche visto negli ultimi servizi televisivi.

    Ambigui figuri rispetto ai quali istituzioni ed enti hanno gia’ realizzato copiosi dossier che sono all’esame delle gerarchie ecclesiali cattoliche, a cavallo tra uno pseudo cattolicesimo e un protestantesimo d’ultima generazione, quello delle “cosiddette “chiese libere”, che di fatto più che problemi dottrinali (pure grandi come voragini), sono causa di gravissimi problemi sociali, come il “trituramento” di decine di povere famiglie o singoli. Tutta gente fragile, povera, debole, assetata di fede e di risoluzione di problemi che cade nella trappola delle sette di stampo pentecostale, come le ha giustamente definite Benedetto XVI. “Lupi travestiti da agnelli”. “Falsi profeti”, li definisce Gesù nei Vangeli, per affermare invece il primato del Papa e dei vescovi, (al quale e ai quali tali lupi sempre irridono o si fanno beffa). Perché Cristo ha costituito solo la Chiesa cattolica e non nelle altre “comunità” o chiese cristiane. E' quanto afferma il documento "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa" redatto dalla Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede, diffuso oggi dalla Santa Sede e approvato dal Papa che ne ha ordinato la pubblicazione.

    Il testo è firmato dal Prefetto della Congregazione, il cardinale William Levada, e dal segretario, monsignor Angelo Amato e porta la data del 29 giugno 2007, solennità dei santi Pietro e Paolo, scelta, evidentemente, non a caso. Come non a caso arriva una precisazione sul Concilio Vaticano II: "Nel periodo postconciliare - dice l'articolo - la dottrina del Vaticano II è stata oggetto, e continua ad esserlo, di interpretazioni fuorvianti e in discontinuità con la dottrina cattolica tradizionale sulla natura della Chiesa: se, da una parte, si vedeva in essa una 'svolta copernicana', dall'altra, ci si è concentrati su taluni aspetti considerati quasi in contrapposizione con altri. In realtà - spiega la congregazione - l'intenzione profonda del Concilio Vaticano II era chiaramente di inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio".

    Nel testo si legge anche che il Vaticano riconosce nelle altre comunità cristiane non cattoliche, in particolare nella Chiesa ortodossa, l'esistenza "numerosi elementi di santificazione e di verità". Ma vi sono anche - indica il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicato oggi - "carenze", in quanto tali confessioni non riconoscono "il primato di Pietro", ovvero del Papa di Roma. Tale primato - avverte tuttavia la nota - "non deve essere inteso in modo estraneo o concorrente nei confronti dei vescovi delle Chiese particolari".

    Sì al dialogo anche con le chiese "particolari" ma, afferma l'ex Sant'Uffizio, "perché il dialogo possa veramente essere costruttivo, oltre all'apertura agli interlocutori, è necessaria la fedeltà alla identità della fede cattolica". Le comunità protestanti, nate dalla riforma luterana del XVI secolo, non possono essere considerate, dalla dottrina cattolica, "chiese in senso proprio", in quanto non contemplano il sacerdozio e non conservano più in modo sostanziale il sacramento dell'Eucarestia. "L'identificazione della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica - è quanto afferma in un'intervista monsignor Angelo Amato - non è da intendersi come se al di fuori della chiesa cattolica ci fosse un 'vuoto ecclesiale', dal momento che nelle chiese e comunità ecclesiali separate si danno importanti 'elementa ecclesiae'". "Il volto nuovo della Chiesa - aggiunge - non implica rottura ma armonia in una comprensione sempre più adeguata della sua unità e della sua unicità".

    Il segretario della Congregazione spiega anche perché sia stato scelto, nel documento, lo stile delle domande con risposte. "E' un genere - osserva - che non implica argomentazioni diffuse e molto articolate, proprie ad esempio delle Istruzioni o delle Note dottrinali. Nel nostro caso invece si tratta di alcune brevi risposte a dubbi relativi alla corretta interpretazione del Concilio".

    Ora dunque, si apre un nuovo orizzonte. Se (e chi scrive parla per esperienza personale), si deve riconoscere un contributo, alla crescita e alla propagazione del Vangelo a tante realtà cattoliche e soprattutto pentecostali di matrice protestante nel territorio italiano, e anche all’avvicinamento alla fede i tanti pagani che hanno scoperto Gesù Cristo, Unico Salvatore e Messia, Figlio di Dio, attraverso queste espressioni cristiane sparse a centinaia nel territorio italiano, occorre d’altro canto prendere atto del pronunciamento del Papa e della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    Se si vogliono fare passi in avanti concreti, nel dialogo e nella riconciliazione, sforzi affinché le ultime parole di Cristo sulla Croce: “Che tutti (i cristiani, ndr), siano uno”, non rimangano come dire, parole al vento, tenuto conto i cristiani credono che Gesù dopo la morte terribile in croce e la Passione, perché, come dice San Paolo, “se Cristo non è risorto, la nostra fede e’ vana”, sforzi nel mondo Cristiano a cominciare dall’Italia, ma subito dopo passando per Los Angeles, Stati Uniti, America Latina (Messico, in primo luogo), le comunità, i gruppi pentecostali, definite dal Papa Bendetto XVI°, “Non chiesa”, ma semplici movimenti o “espressioni”, si faccia un atto d’umiltà, e per primi coloro che si sono scissi, allontanati, (i ribelli, come certi pseudo “illuminati”, scelti” da rivelazioni private che lasciano il tempo che trovano, che li assurgono addirittura a “nuovi pastori”, eccetera, si riavvicinino all’unico vero Vicario di Cristo, la cui Chiesa è e rimane solo una: quella che recitiamo nel Credo: Uno santa, cattolica e apostolica.. Umilmente umiliandosi sotto la potente mano di Dio ubbidendo ai vescovi delle diocesi di appartenenza. Non è più tempo di fare capricci, ora o mai piu’. Ognuno si assuma le proprie responsabilità.

    Gian Carlo Padula (x)

    (x) Premio Astro Nascente per una trilogia di libri sul film di Mel Gibson The Passion

    Gian Carlo Padula
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    00 20/12/2013 10:27


       Presenza efficace nella nostra storia


    Maria è posta nell'intimo della confessione cristiana nel Dio vivente, che non può essere pensato senza la Vergine di Nazaret.

    Mai forse come il 26 giugno 2000 la sala stampa vaticana è stata affollata da giornalisti a nome di testate diffuse in tutto il mondo. Clamore mediatico comprensibile perché stava per essere rivelato il terzo segreto di Fatima. E, come si sa, un segreto suscita sempre curiosità.

    Lo stesso attentatore Alì Agcà nel colloquio a quattr'occhi con Giovanni Paolo II a Rebibbia nel 1983 gli chiede espressamente: «Che cos'è il terzo segreto di Fatima?», nell'intento di trovare una spiegazione al suo gesto criminale. Scriverà nel libro farneticante Io, Gesù Cristo: «Ho capito di essere al centro di un mistero che cominciava il 13 maggio 1917».

    Altri, come il tedesco L. Einrich, giungono a pubblicare nel 1963 in Neues Europa un testo inventato del segreto di Fatima che contiene notizie allarmanti circa cataclismi universali («catastrofe di fuoco e di fiamme») e lotte all'interno della Chiesa, dove «cardinali saranno contro cardinali e vescovi saranno contro vescovi. Satana si metterà in mezzo a loro».

    Beato Angelico, Il paradiso, part. del Giudizio universale (1430 ca.), Museo di San Marco, Firenze (foto LORES RIVA).

    Beato Angelico, Il paradiso, part. del Giudizio universale (1430 ca.), Museo di San Marco, Firenze (foto LORES RIVA).

    Dal segreto alla rivelazione. La rivelazione della terza parte del segreto di Fatima è affidata da Giovanni Paolo II al card. J. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Tale rivelazione sconfigge ugualmente la mania del sensazionale e il facile allarmismo, suscitando in alcuni delusione, in altri soddisfazione, in altri infine indifferenza.

    Delusi rimangono quanti si aspettavano annunci di cataclismi universali e di mali catastrofici. soddisfatti invece si dichiarano quanti vivevano il segreto come un incubo da cui sono finalmente liberati. Indifferenti quanti pensano che nel Vangelo c'è già tutto ciò che è necessario per la salvezza dei singoli e del mondo, incorrendo verosimilmente nel rimprovero biblico a quanti sono insensibili a visioni e profezie: «Eppure il Signore, per mezzo di tutti i suoi profeti e dei veggenti, aveva ordinato…: Convertitevi dalle vostre vie malvagie» (2Re 17,13).

    Da vero teologo, il card. Ratzinger ha distinto i due livelli della rivelazione, rivendicando il primato assoluto a quella definitiva, pubblica e necessaria avvenuta una volta per tutte in Cristo, mentre le ulteriori comunicazioni celesti hanno funzione sussidiaria: «L'autorità delle rivelazioni private è essenzialmente diversa dall'unica rivelazione pubblica», ma «la rivelazione privata è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibile proprio perché mi rimanda all'unica rivelazione pubblica».

    In ciò che egli chiama «un tentativo di interpretazione del "segreto" di Fatima », Ratzinger spiega innanzitutto come possa costituire «una via di salvezza» qualcosa di «sorprendente per persone provenienti dall'ambito culturale anglosassone e tedesco: la devozione al Cuore immacolato di Maria».

    Essa consiste praticamente in un'opzione fondamentale, che sulla scia di Maria inserisce la disponibilità al volere di Dio nel nucleo profondo dell'io umano. Per capire questo può bastare qui una breve indicazione. «Cuore» significa nel linguaggio della Bibbia il centro dell'esistenza umana, la confluenza di ragione, volontà, temperamento e sensibilità, in cui la persona trova la sua unità ed il suo orientamento interiore. Il «cuore immacolato» è secondo Mt 5,8 un cuore, che a partire da Dio è giunto ad una perfetta unità interiore e pertanto «vede Dio». «Devozione» al Cuore immacolato di Maria pertanto è avvicinarsi a questo atteggiamento del cuore, nel quale il Fiat – «Sia fatta la tua volontà» – diviene il centro informante di tutta quanta l'esistenza.

    Continuando nell'analisi, il Cardinale comprende che come parola chiave della prima e della seconda parte del «segreto » è quella di «salvare le anime», così la parola chiave della terza parte è il triplice grido: «Penitenza! Penitenza! Penitenza! ».

    Tale grido dev'essere situato nel momento storico attuale, «caratterizzato da grandi pericoli, i quali verranno delineati nelle immagini successive». Ed ecco balzare con evidenza la figura luminosa di Maria come efficace antidoto alle perniciose tendenze necrofile in atto nel mondo. Esaminiamo ora un poco più da vicino le singole immagini.

    L'Angelo con la spada di fuoco a sinistra della Madre di Dio ricorda analoghe immagini dell'Apocalisse. Esso rappresenta la minaccia del giudizio, che incombe sul mondo. La prospettiva che il mondo potrebbe essere incenerito in un mare di fiamme, oggi non appare assolutamente più come pura fantasia: l'uomo stesso ha preparato con le sue invenzioni la spada di fuoco.

    La visione mostra poi la forza che si contrappone al potere della distruzione – lo splendore della Madre di Dio – e, proveniente in un certo modo da questo, l'appello alla penitenza.

    Ritornare al cuore di Maria. Come si può notare, esiste uno scontro frontale tra le forze di morte(necrofile), rappresentate dalla spada di fuoco che vorrebbe incenerire il cosmo, e le pulsioni di vita(biofile), condensate paradigmaticamente nello «splendore della Madre di Dio».

    Il ritorno al Cuore immacolato di Maria è inevitabile quanto benefico: tutto si risolve con il richiamo alla libertà umana affinché si orienti decisamente al volere divino «in una direzione positiva » per la salvezza e la vita, e non per la distruzione e la morte. In tal modo viene sottolineata l'importanza della libertà dell'uomo: il futuro non è affatto determinato in modo immutabile e l'immagine, che i bambini videro, non è affatto un film anticipato del futuro, del quale nulla potrebbe più essere cambiato.

    Tutta quanta la visione avviene in realtà solo per richiamare sullo scenario la libertà e per volgerla in una direzione positiva. Il senso della visione non è quindi quello di mostrare un film sul futuro irrimediabilmente fissato. Il suo senso è esattamente il contrario, quello di mobilitare le forze del cambiamento in bene. La salvezza è dunque ancorata ad un'autentica antropologia, secondo cui al fatalismo si sostituiscono la responsabilità e l'impegno, capaci di cambiare il volto degli esseri umani e il movimento della storia.

    L'arcangelo Michele pesa le anime, part. del Giudizio universale (sec. XII), Cattedrale di Autun (Francia, foto BONOTTO).

    L'arcangelo Michele pesa le anime, part. del Giudizio universale (sec. XII), Cattedrale di Autun (Francia, foto BONOTTO).

    Il problema dell'essere umano. Con lucida visione il filosofo M. Heidegger presenta il problema dell'uomo come la questione fondamentale del nostro tempo. Nessuna epoca ha accumulato conoscenze tanto numerose e diverse concernenti l'uomo come la nostra. Ma nello stesso tempo nessuna epoca ha saputo meno che cos'è l'uomo. Mai l'uomo è apparso tanto misterioso. La ragione del mistero dell'uomo è la sua condizione di essere tra gli estremi: «L'uomo è l'essere della frontiera (Tommaso d'Aquino) tra natura e spirito, tempo ed eternità, tra Dio e il mondo ».

    Si comprende perciò perché l'uomo è celato a se stesso e agli altri. È un homo absconditus. È un mistero della speranza e al tempo stesso un mistero della malvagità. Proprio in questa problematica s'innesta la figura di Maria che contribuisce con Cristo a rivelare l'uomo all'uomo. Questo homo revelatus, questa creatura manifestata a se stessa trova la sua icona nella Vergine Maria: su di lei si riverbera come primizia lo splendore del nuovo Adamo, che ella porta nel grembo; in lei, la plasmata dalla grazia, rifulge la creatura «ricreata» nell'immagine perfetta di Dio, il Cristo (cf Gv 1,18; 14,9; Col 1,15).

    Beato Angelico (1395 ca.-1455), Cristo giudice, Museo di San Marco, Firenze (foto LORES RIVA).

    Beato Angelico (1395 ca.-1455), Cristo giudice, Museo di San Marco, Firenze (foto LORES RIVA).

    In questa linea teo-antropologica e storico-salvifica si era posto il contributo di J. Ratzinger, tanto da suscitare una ammirazione per il teologo tedesco che elabora con perspicacia e coerenza unamariologia essenzialmente teologica, più che mai necessaria oggi nell'ambiente della boriosaintellighentia incline a dileggiare la mariologia riducendola al ruolo di cenerentola o disciplina para-teologica.

    Di fondamentale significato è da una parte il fatto che Maria con la sua maternità verginale strappa definitivamente il velo del nascondimento di Dio: ormai da Dio lontano egli «diventa il nostro Dio, l'Emmanuele, "Dio con noi"».

    D'altra parte non meno pregno di senso è il consenso della Vergine, che mentre rivela il Dio del dialogo nella libertà, manifesta l'essere umano non già come una marionetta mossa dall'alto senza risposta propria, ma come assunto da Dio unitrino alla partecipazione attiva nell'opera di salvezza.

    G.B. Tiepolo (1696-1770), La Penitenza e l'Umiltà, Santa Maria del Carmelo, Venezia (foto BONOTTO).

    G.B. Tiepolo (1696-1770), La Penitenza e l'Umiltà, Santa Maria del Carmelo, Venezia (foto BONOTTO).

    Maria diviene specchio dell'uomo che risponde a Dio offrendo la propria attività per la salvezza del mondo. Ne consegue che eliminare oppure obnubilare Maria immette nella negazione della creazione e nella negazione della realtà della grazia, in una concezione dell'attività solitaria di Dio che trasforma la creatura in una maschera e disconosce quindi anche il Dio della Bibbia, caratterizzato dal fatto che egli è il Creatore e il Dio dell'alleanza.


    Padre Stefano de Fiores

    da Madre di Dio maggio 2011



     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 26/12/2013 15:52
     arriva da... Mosca la denuncia di una grave crisi morale quale atto per gli auguri di questo Natale....

    Messaggio di Natale del Patriarca Kirill a Papa Francesco e agli altri leader cristiani



    Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill ha inviato un messaggio di auguri per il Natale ai capi delle Chiese cristiane. In particolare, riferisce l’agenzia Interfax, il messaggio è stato indirizzato a Papa Francesco, all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, ai capi delle altre comunità protestanti e ai patriarchi delle altre Chiese ortodosse. “Vi auguro la gioia del Natale – scrive Kirill – e l’aiuto di Dio nel vostro altro servizio e auguro al gregge di cui siete i pastori pace e benessere”. Oltre alla crisi socio-economica, aggiunge il Patriarca di Mosca, la società moderna “sta sperimentando una profonda crisi morale”. E per questo, la Chiesa deve “levare la sua voce, chiamando la gente alla sequela di Cristo”. (A.G.)




     
    del sito Radio Vaticana 




     

    Maria... un culto (dovuto) da ripristinare
       

    La pietà mariana «ha grande efficacia pastorale... Forza rinnovatrice del costume cristiano»
    (Paolo VI).

      

    Ha sbagliato chi dopo il Vaticano II (1962-65), riferendosi alla pietà mariana, ripeteva: «Lutero (+1546) sarà finalmente soddisfatto nella tomba». È vero che Lutero dichiarò: «Io vorrei sopprimere la Vergine a causa degli abusi», ma è pure vero, sostiene l’eminente mariologo R. Laurentin, che Lutero fu «molto moderato nella sua critica» alla Vergine e «Calvino (+1564) si tiene più indietro, ma mantiene quasi tutto l’essenziale». E poi – fa notare l’evangelico Gottfried Hammann – il Montfort nel 1700 fa proprio il noto aforisma: «De Maria numquam satis» (Vera devozione, 10), ma «prima di lui si avvicina alla formula Lutero che afferma: "Creatura Maria non potest satis laudari"». Pertanto – continua Hammann – il vuoto mariano dei luterani è un’«inescusabile mancanza, anzi un errore della teologia e della prassi protestanti posteriori alla Riforma».

    Dopo quattro secoli, conclude Hammann, la Riforma fa «una critica alla propria critica della mariologia». Questa critica intanto ha lambito anche i terreni cultuali e pastorali della Chiesa cattolica. Il dogmatico G. Söll nel 1971 scriveva: «Il culto mariano, tipico della fede e della pietà cattolica, si trova oggi nella Chiesa, come altre cose, in crisi... Purtroppo le aspettative dei Padri conciliari non si sono adempiute ovunque, così che qualche fedele o pastore pensa di poter o dover parlare oggi di una "epoca mariana glaciale"».

    Fratelli Limbourg, La Vergine Maria visita Elisabetta, miniatura del sec. XV, museo Condé, Chantilly (Francia).
    Fratelli Limbourg, La Vergine Maria visita Elisabetta, miniatura del sec. XV,
    museo Condé, Chantilly (Francia – foto Ettore Colombo).

    1Persistente crisi mariana. La preoccupante crisi mariana del decennio dopo il Concilio (1964-74), nonostante poi l’autorevole magistero mariano di Giovanni Paolo II (1978-2005), nella pastorale ordinaria stenta a riprendere quota e rinnovato vigore. Se Paolo VI (1963-1978) nell’Ecclesiam suam(1964) aveva constatato: «È felicemente in fiore il culto a Maria», già nel 1965 raccomandava: «Dobbiamo restaurare il culto dovuto a Maria». Nell’esortazione Signum magnum (1967) Paolo VI chiedeva: il popolo mediante i pastori dimostri «verso la Vergine Madre di Dio una più ardente pietà e una confidenza più ferma» (n. 27).

    Col pretesto che «non c’è bisogno di devozioni», neppure di quelle mariane, in quanto «c’è già tutto nella liturgia», in seguito al Vaticano II, teologi e pastoralisti, disattendendo al magistero conciliare e pontificio, in vari modi hanno emarginato Maria dal culto ecclesiale. Ignorando poi la pietà popolare, hanno impoverito lo stesso culto mariano. Mentre nei secoli passati la pietà mariana, in mirabile osmosi, ha arricchito la liturgia, e questa si è felicemente aperta al culto popolare.

    Provvidenzialmente a partire dalla Marialis cultus (= MC, 1974) di Paolo VI c’è stata un’apprezzabile rifioritura del culto mariano, sebbene S. Perrella nel 2004 osservasse: «La pietà mariana oscilla tra emarginazione e rilancio teologico».

    2. Restaurare il culto liturgico e devozionale. Agli operatori pastorali e ministri del culto va ricordato l’avvertimento di Paolo VI: la pietà mariana «ha grande efficacia pastorale e costituisce una forza rinnovatrice del costume cristiano» (MC 57). Poi il Pontefice ribadiva: se sarà «sempre più limpida e vigorosa», la pietà mariana porterà «un indubbio profitto per la Chiesa e la società umana» (MC 58).

    Paolo VI così iniziava la MC: «Fin da quando fummo assunti alla Cattedra di Pietro, ci siamo costantemente adoperati per dare incremento al culto mariano» (Introduzione). Egli intendeva restaurare il culto mariano sia liturgico che popolare. Mentre auspicava: «Non sia attenuato il carattere singolare» del culto dovuto alla Vergine (MC 32), proponeva un «corretto incremento» (MC,Introduzione), un «salutare incremento» del culto mariano (MC 58). E, citando la Lumen gentium 67 (= LG), il Pontefice invitava a «promuovere il culto, specialmente liturgico, della beata Vergine: esortazione, che vorremmo vedere dappertutto accolta senza riserve e tradotta in pratica con zelo» (MC 23). Poi rifacendosi ancora al Vaticano II, che esorta a «promuovere, accanto al culto liturgico, altre forme di pietà» (LG 67), invitava «ad una diligente revisione degli esercizi di pietà verso la Vergine» (MC 24), e precisava: «La vigile difesa da... errori e deviazioni renderà il culto alla Vergine più vigoroso e genuino» (MC 38).

    La Basilica dell'Annunciazione (1960-1969) a Nazaret.
    La Basilica dell’Annunciazione (1960-1969) a Nazaret (foto Lores Riva).

    3. Il volto mariano della liturgia. S. Marsili nel 1972 rilevava: le devozioni, pur essendo utili, non sono necessarie, anzi tendono a sostituirsi alla liturgia che è necessaria. L’affermazione è vera, ma la matrice del culto mariano è proprio la liturgia: Maria sta nella prima comunità dei credenti che celebra il Signore (cf At 1,13-14; 2,42). La liturgia «è il luogo naturale e più appropriato del culto mariano».

    Non invano Paolo VI rilevava: lo sviluppo del culto mariano deve avvenire «nell’alveo dell’unico culto che a buon diritto è chiamato cristiano – perché da Cristo trae origine ed efficacia, in Cristo trova compiuta espressione» (MC, Introduzione). In questo senso il culto mariano è «elemento qualificante» (MC, Introduzione), «elemento intrinseco» (MC 56) e «parte integrante del culto cristiano» (MC 58).

    A. Tessuto mariano della liturgiaLa celebrazione del Figlio e il culto della Madre si intrecciano tra loro. La Chiesa bizantina prega: «Mentre celebriamo il Figlio, veneriamo la Madre» (inno Akathistos,stanza XXIII). In modo complementare la Chiesa latina prega: «Celebriamo la festa di Maria, inneggiamo al Signore» (antifona all’invitatorio del Comune BVM e memoria di Santa Maria in sabato, in Liturgia delle Ore 3,1545 e 1571). Se per l’Oriente «non è comprensibile una celebrazione del Signore senza la memoria costante della Theotokos, per invocarne la potente e materna intercessione», l’Occidente parla del «volto mariano della liturgia»: riscontra in essa una precisa atmosfera mariana.

    B. Continuità tra storia salvifica e azione liturgicaLa tradizione patristica e liturgica sostiene: quanto fu compiuto da Gesù nella sua vita storica con la collaborazione della Madre, continua nei riti della Chiesa. Lo attesta un aforisma dell’antica liturgia ispanica: «È concesso alla Chiesa quanto fu concesso alla Madre».

    Vari eventi storici di Cristo con accanto la Madre continuano nell’azione rituale della Chiesa. Alcuni esempi: l’Annunciazione è vera Liturgia della Parola; la Presentazione di Gesù al Tempio è autentica prefigurazione della Liturgia eucaristica; la missione mariana nella Visitazione continua nella missione della Chiesa dopo la Messa; la prima comunione eucaristica avviene all’Annunciazione tra Maria e il Verbo di Dio; la prima processione eucaristica ha luogo alla Visitazione: la Vergine, primo tabernacolo eucaristico della storia, reca con sé il Signore verso la Giudea dalla famiglia di Zaccaria.

    P. da Cailina il giovane, Presentazione di Gesù al Tempio (sec. XVI), chiesa di san Giovanni evangelista, Brescia.
    P. da Cailina il giovane, Presentazione di Gesù al Tempio (sec. XVI), chiesa di san Giovanni evangelista,
    Brescia (foto M. Bonotto).

    C. La maternità divina di Maria e il Corpo sacramentale di Cristo. Sant’Ambrogio di Milano (+397), illustrando il miracolo dell’Eucaristia che rende presente Cristo nella celebrazione, affermava: «Quello che noi ripresentiamo è il corpo nato dalla Vergine». Testo ripreso ad litteram da san Tommaso d’Aquino (+ 1274): «Ciò che noi consacriamo è il corpo nato dalla Vergine».

    Leone XIII nella Mirae caritatis (1902) presentava l’Eucaristia come il prolungamento sacramentale dell’incarnazione storica del Signore. Il beato I. Schuster (+1954) scriveva: l’Eucaristia ci "imparenta" con Maria; in essa la Madre del Signore «riconosce in noi qualche cosa che è sua e che le appartiene». Alla Madre va reso onore nell’Eucaristia, poiché Cristo sacerdote è figlio del Fiat del Padre celeste e del Fiat della Madre terrena.

    D. Tonalità mariana dell’anno liturgico. Considerato quale «spazio sacramentale» per la memoria della Madre del Signore, l’Avvento è celebrato dalla Chiesa di Roma, dai copti alessandrini (mese diKiahk), caldei (siri orientali), antiocheni (siri occidentali) e maroniti, quale tempo del Subbara oAnnunciazione.

    La Chiesa latina celebra maggio come mese mariano. La liturgia bizantina il mese di agosto. Ma sia in Occidente che in Oriente l’intero arco dell’anno liturgico rivela una duplice tonalità mariana: la Vergine venerata nelle azioni propriamente liturgiche e nelle forme devozionali inserite armonicamente nel tessuto celebrativo delle rispettive Chiese.

    Sergio Gaspari

     
     
     




    Un tassello necessario della fede 
       

    «La questione mariana oggi in ambito ecumenico è questa: la consapevolezza che la figura di Maria e la riflessione sulla figura di Maria è un dato che ci riguarda tutti da vicino: cattolici, ortodossi, protestanti, per la semplice ragione che Maria è una figura biblica»
    (Giancarlo Bruni, osm).

      

    La prima di copertina del volume edito dalle Emp.«Quando Dio si fa vicino all’uomo in modo sconvolgente, il mondo lo accusa di promiscuità».

    L’ambizione di Maria, ciò che dice la fede (B. Sesboüé, Emp 2010, pp. 79, € 9,00), è chiara: fare il punto sull’attualità della riflessione riguardante la Vergine. Senza la pretesa di rendere semplice ciò che è complesso e basandosi su una seria rilettura biblica, storica e teologica, l’autore presenta i progressi compiuti dall’ecumenismo su un argomento così delicato che scoraggiò ogni dialogo, non evitando tuttavia il contenzioso secolare sulle definizioni cattoliche dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione al cielo, né i dibattiti relativi al ruolo di Maria nell’incarnazione, la questione della sua verginità, quella dei «fratelli e delle sorelle» di Gesù e il difficile rapporto fra la Scrittura e la Tradizione.

    In un’intervista rilasciata a Madre di Dio (marzo 2008), l’illustre Gesuita, tra l’altro, affermava: «La questione mariana che si pone nel dialogo ecumenico parte dalle differenze dogmatiche tra la Chiesa cattolica da una parte e l’Ortodossia e le Chiese nate dalla Riforma dall’altra. I due punti controversi con l’Oriente – i dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, promulgati nel 1854 e nel 1950 – pongono il problema della definizione pontificia e dell’autorità del Papa e dell’infallibilità pontificia.

    Bernard Sesboüé, sj.
    Bernard Sesboüé, sj.

    Il dogma dell’Immacolata pone un’altra questione, perché è legato alla concezione occidentale del peccato originale, che ci viene da sant’Agostino, mentre l’Ortodossia si riferisce alla concezione più orientale di san Giovanni Crisostomo.

    Ma gli ortodossi hanno mantenuto la realtà dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione ben prima degli occidentali! Essi hanno, in un’altra formulazione, l’equivalente dell’Immacolata Concezione: essi celebrano Maria come la "Tuttasanta", qualcosa che a loro è molto cara.

    Quanto all’Assunzione, anche qui sono gli orientali che hanno posto la questione per primi e che nelle cosiddette "Omelie bizantine" dei secoli XVII-XVIII hanno sviluppato la prospettiva della dormizione di Maria e poi della sua Assunzione».

    Ignoto ligure, Immacolata Concezione (sec. XVI), Pinacoteca civica, Savona.
    Ignoto ligure, Immacolata Concezione (sec. XVI), Pinacoteca civica, Savona (foto Bonotto).

    Una seconda domanda: in Occidente, quale difficoltà si pone?

    «Qui la questione mariana è ancora diversa, perché il problema posto dalle Chiese della Riforma viene dal fatto che la Chiesa cattolica ha definito come dogmi di fede degli eventi spirituali che non sono attestati nella Scrittura.

    A loro appare impossibile passare dal silenzio totale della Scrittura a delle affermazioni dogmatiche così precise. La loro reazione? La Chiesa cattolica cade nell’eresia...».

    f.m.

     
     
     
     
     
     

     

    [Modificato da Caterina63 16/01/2014 12:04]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 21/03/2014 14:14



    Ci stiamo avvicinando al 2017 anno in cui noi, volendo festeggiare degnamente il primo Centenario delle Apparizioni di Fatima, le cui profezie sono ancora in atto, come ebbe a dire Benedetto XVI in visita a Fatima, altri vorrebbero la canonizzazione di Lutero e festeggiare così la "riforma luterana", Protestante, della quale (ma tu guarda la coincidenza) cade l'anniversario nel 2017. Se a Maria santissima tutti ci affidiamo e a Lei ricorriamo affidando tutti, ragione vuole che cerchiamo di comprendere anche chi era Lutero e l'origine della sua "riforma". Se l'argomento vi interessa, leggete in basso, altrimenti restate pure comodi nella vostra ignoranza  ma non dite "io non lo sapevo".

    Partiamo da un aspetto fondamentale riprendendo in prestito dal libro “Ripensando Lutero” di Padre Roberto Coggi O.P. (del quale raccomandiamo a tutti la lettura) quanto esaustivamente spiega a riguardo proprio dei primi momenti di Lutero e della sua dottrina. [1]

    «È molto importante sottolineare che il lusso e lo sfarzo, come pure anche la corruzione di buona parte della Curia Romana, non scandalizzarono più di tanto Lutero (come oggi si vuol far credere, n.d.a.), il quale, a quanto ci risulta, non trasse da ciò alcun turbamento nella sua fede cattolica e nella sua fedeltà nel Romano Pontefice. È quindi falso attribuire la ribellione di Lutero all’autorità ecclesiastica, quale si verificò pochi anni più tardi, a una sua indignazione contro i costumi corrotti del clero»

    Senza dubbio questa è una interpretazione del tutto rispettabile e pertinente, tuttavia è utile ricordare che altri sostengono l’esatto contrario, ossia che Lutero cominciò a dare in escandescenze proprio dinanzi a questi malcostumi. Noi preferiamo abbracciare la tesi di questa corrente perché in certe cose si può scegliere l’interpretazione che meglio si preferisce e costruire su di essa il discorso soprattutto oggettivo dei fatti. Non vogliamo infatti trattare qui la questione “luterana” ma approfondire la figura di Lutero alle origini dei suoi disagi personali per poi lasciare a voi lettori l'arduo compito di proseguire gli approfondimenti.

     

    I veri motivi, spiega poi nel libro Padre Coggi, furono di natura strettamente teologica e soprattutto legati al dramma interiore che egli viveva.

    La “nascita della nuova dottrina” Lutero inizia a svilupparla, o meglio a metterla in embrione, dal momento in cui inizia ad abbandonare, a distanziarsi dall'usuale metodo allegorico-mistico dell'interpretazione, volgendosi di proposito al metodo “letterale-storico” della Scrittura.

    La prima testimonianza che troviamo di questo processo in Lutero, e che lo porterà lentamente e drammaticamente a staccarsi dalla Chiesa, la troviamo nel suo “Commento alla Lettera ai Romani” (15,15-16), il dramma di Lutero è l'intestardirsi, producendo un lungo travaglio interiore, circa il problema della “grazia, della giustificazione, e della predestinazione”. Ci troviamo così di fronte ad una pretestuosa esperienza personale elevata ad interpretazione comunitaria, ossia, troviamo qui l'impronta personale di Lutero e della sua ansia, della sua disperata ricerca di salvarsi ben lontane dalla Tradizione della Chiesa, dai Padri, lontana o assente anche dalla tradizione dell’Ordine a cui apparteneva, e assente anche in altri Autori della Scolastica.

     

    In sostanza Lutero impone una nuova visione interpretativa al passo scritturale di Romani 1,17 sulla “Giustizia di Dio”: non una giustizia di Dio che premia il bene e punisce il male, ma un’assolutoria completa da parte di Dio, senza alcun merito in corrispondenza alle azioni dell’uomo.

     

    Siamo alle fondamenta del “Sola Scriptura” del “Sola Fidei” del “Solo Christo”.

     

    Per Lutero l’uomo, corrotto dal Peccato Originale, non ha in verità alcun modo di riscattarsi, nessuna azione che potrà compiere, per quanto egli si sforzi di fare il bene, potrà meritargli la redenzione, siamo di fronte alla filosofia del pessimismo che da questo momento impernierà gran parte della stessa teologia protestante.

     

    Ogni opera che l’uomo compie è, in sostanza, ammalata, è peccato! La concupiscenza è per Lutero il vero tarlo insuperabile, insanabile (motivo per cui non crederà più nella grazia del celibato), invincibile che perdura per sempre allo stato di vero peccato personale anche dopo il Battesimo. Quindi ogni azione dell'uomo è per lui inutile in rapporto alla salvezza.

     

    Di conseguenza la “sola fede” nei meriti della morte in croce di Cristo, è quella che ci salva e ci rende beati, indipendentemente dalle nostre azioni. In sostanza la giustizia di Cristo viene applicata “esteriormente” al peccatore in modo da coprire e nascondere i suoi peccati, mentre in realtà egli rimane tale e quale, ossia peccatore “giusto e peccatore al tempo stesso”, indipendentemente dal suo convertirsi (l’uomo è per lui incapace di convertirsi e la conversione si intende solo in una accettazione del “sola fidei” passiva).

     

    La giustificazione, perciò, non consiste più come insegna la dottrina cattolica nella purificazione, rigenerazione-conversione e santificazione interiore dell'anima, ma in una “non imputazione” del peccato; l'anima quindi resta passiva perché la grazia non agisce sull'anima, ma solo il “favore di Dio” che non condanna (se proclami la fede in Lui), che “fa grazia”.

     

    Con queste basi Lutero inizia la sua personale, all’inizio, battaglia contro l’insegnamento della Chiesa fino ad allora conosciuto.

     

    Nei vari racconti biografici e storici, si evincono due periodi di Lutero durante la sua permanenza da monaco: la prima parte molto regolare e serena, ma sopraggiunta una certa rilassatezza e a causa di un temperamento eccitabile e nervoso, cominciò a non sopportare più le privazioni soprattutto quelle legate al celibato e dunque alla continenza e piuttosto che ammettere di non essere magari portato alla vita monastica, tentò di trovare nella Scrittura una sorta di “nuova giustificazione” ai suoi tormenti e tentazioni legate sempre alla concupiscenza, alla carne. Lutero era tormentato dal sentimento di trovarsi sempre in uno stato di peccato e fatte le dovute confessioni, penitenze, digiuni ripetuti con ansia sempre più inquieta, cede davanti al dubbio atroce di non poter resistere davanti all'inesorabile maestà di Dio; di qui inizia l'atroce dubbio di ritrovarsi nel numero dei dannati. Questa tensione crebbe a livelli davvero esasperati da farlo diventare davvero morbosamente angoscioso ed inquieto.


    Da qui inizia – ma solo qualche anno più avanti dando il via alla seconda parte della complessa figura di Lutero – la sua critica aspra e amara contro gli abusi veri o presunti degli uomini di Chiesa, da qui la sua autoaffermazione di “riformatore”.

     

    Naturalmente qui, come abbiamo spiegato all’inizio, non ci soffermeremo a quella che era la situazione veramente e straordinariamente grave dei malcostumi ecclesiastici dell’epoca e delle corruttele legate alle cariche ecclesiastiche, ci basti citare il caso del Savonarola che abbiamo approfondito in questa sede [2] per comprendere che la situazione, nella Chiesa, era scandalosa sotto tutti gli aspetti.

     

    Con queste basi dunque, Lutero inizia le sue prediche contro la dottrina cattolica sulla santificazione mediante atti di volontà, contro l'efficacia delle opere buone mettendo da parte, diceva, in secondo piano la fede e la grazia.


    Lutero voleva ritornare alla purezza originale di Sant’Agostino, ma di fatto finì con l’esasperare la dottrina antipelagiana di Agostino circa il peccato, la grazia e la predestinazione. Di fatto la teologia di Lutero fu uno specchio fedele alla sua personale battaglia interiore per la salvezza della sua anima: la sua nuova concezione teologica fu per lui, di fatto, un atto di vera liberazione dai tormenti che viveva dando origine, così, ad una nuova forma di fede.

     

    Seguendo ciò, tre sono i punti fondamentali della nuova dottrina luterana:

    1. la giustificazione mediante la sola fede;
    2. la negazione del libero arbitrio;
    3. la certezza di essere salvati solo per chi crede con fiducia, indipendentemente dalle opere e dalle azioni che si compiono.

    Oggi molti onesti studiosi di Lutero concordano nel dire che probabilmente egli non si rese conto, nell'immediato, della portata delle sue affermazioni, come pure non ebbe probabilmente chiaro le conseguenze che questo pensiero avrebbe avuto sul piano soggettivo, così come su altri aspetti.

     

    Le sue tesi comportavano già alla radice il ripudio ai Sacramenti, al Sacerdozio Ordinato, alle indulgenze contenute persino nella Messa, in sostanza a tutto il sistema di un Chiesa, l’unica Chiesa di Cristo della quale egli stesso faceva parte, fondata sul diritto divino, affidata a Pietro e al collegio degli Apostoli.

     

    L'iniziativa, poi, delle famose 95 Tesi di Lutero spostarono la discussione per le strade e nella politica, il successo che egli raccolse non è che avveniva perché chi le accoglieva volesse abbandonare la Chiesa, ma perché attraverso queste Tesi la Chiesa si attivasse per una autentica e sospirata Riforma.

     

    Lutero divenne l’eroe del giorno contro gli abusi e l'immoralità interna alla Chiesa.

     

    E se l’iniziativa conquistava consensi, favorita dagli antiromani della nazione germanica e dunque si spostava ad un uso politico, si prestava di fatto poca attenzione alle gravissime conseguenze dottrinali che scaturivano dall'accettare queste Tesi.

     

    Nel testo firmato oggi in ambito ecumenico nel giugno 2013 [3] si riporta una rilettura storica atta ad addolcire in un certo senso i rapporti fra luterani e cattolici, cercando di riscrivere la storia, per questo il testo è più addetto agli addetti ai lavori che non come testo di evangelizzazione vera e propria.

     

    Leggiamone un passo:

    «Le indulgenze furono soltanto un pretesto, una sorta di capro espiatorio dell'inquietudine vissuta da Lutero anche se, è giusto dirlo, in molte parti della Chiesa, si era giunti a veri abusi delle indulgenze. Secondo l’opinione di Lutero, la pratica delle indulgenze nuoceva alla spiritualità cristiana. Egli si chiedeva se le indulgenze potessero liberare i penitenti dalle pene inflitte da Dio; se le pene inflitte dai sacerdoti fossero trasferite in purgatorio; se il fine delle pene, cioè di risanare e purificare l’anima, non comportasse che un penitente sincero preferisse subirle piuttosto che esserne liberato; e se il denaro dato per le indulgenze non dovesse invece essere dato ai poveri. Lutero inoltre si interrogava sulla natura del tesoro della Chiesa, a motivo del quale il papa offriva le indulgenze. In sostanza si trattava di chiarire meglio la questione, combattere gli abusi, insomma fare un riforma dei costumi e non il mettere in dubbio la materia, l'indulgenza in se stessa.

     

    Infatti, in un primo momento, Lutero rimase stupito dalla reazione che le sue tesi suscitarono, dal momento che non aveva previsto un evento pubblico ma piuttosto una discussione accademica. Egli temeva che le sue tesi potessero essere facilmente fraintese qualora lette da un pubblico più ampio. Così verso la fine di marzo 1518 pubblicò un sermone in lingua volgare, “Sull’indulgenza e la grazia” (Sermo von Ablass und Gnade). Questo pamphlet ebbe uno straordinario successo e procurò rapidamente a Lutero larga fama in tutta la Germania. Egli insisté più e più volte sul fatto che, fatta eccezione per le prime quattro proposizioni, le tesi non erano sue affermazioni definitive, ma piuttosto proposizioni scritte allo scopo di essere discusse».

     

    Tuttavia, riporta Padre Coggi, che la reazione della Curia Romana del tempo si prodigò per ricondurre Lutero sulla retta dottrina intervenendo prima sui superiori del monaco agostiniano, ma il tentativo fallì perché Lutero non volle sentire ragioni. Nel testo sopra ricordato: “Sull’indulgenza e la grazia” Lutero vi accompagnò una lettera indirizzata a Papa Leone X la quale, seppur conteneva toni rispettosi, fu intransigente nella sostanza, in essa Lutero non lasciava intravvedere alcuna possibilità di una ritrattazione del suo pensiero.

     

    Le "discussioni" che Lutero voleva erano quelle che avrebbero dovuto spingere la Chiesa a modificare alcune dottrine, e questo era inaccettabile per la Chiesa.

     

    Riporta il testo ecumenico di giugno 2013:

    «Roma era preoccupata che le idee espresse da Lutero potessero minare la dottrina della Chiesa e l’autorità del papa. Per questo Lutero venne convocato a Roma per rispondere davanti al tribunale ecclesiastico della sua visione teologica. Tuttavia su richiesta del principe elettore di Sassonia, Federico il Saggio, il processo fu trasferito in Germania, alla Dieta imperiale di Augusta, dove il mandato di interrogare Lutero venne affidato al card. Caietano. Nel mandato papale era scritto che Lutero doveva ritrattare o, nel caso si fosse rifiutato, al cardinale veniva conferita la facoltà di metterlo immediatamente al bando o di arrestarlo e condurlo a Roma. Dopo l’incontro il legato pontificio stilò la bozza di una dichiarazione per il magistero, e il papa la promulgò immediatamente dopo l’interrogatorio ad Augusta senza dare alcuna risposta agli argomenti di Lutero.

    Roma promise a Lutero un processo equo, e ciò avvenne, ma il 13 ottobre 1518, in una solenne protestatio, Lutero dichiarò di essere in accordo con la santa Chiesa di Roma, ma di non potere ritrattare se non fosse stato convinto di essere in errore. Il 22 ottobre di nuovo insistette sul fatto che ciò che pensava e insegnava non era in contrasto con il magistero della Chiesa Cattolica».

     

    Ma, riporta Padre Coggi:

    «Lutero, dopo essersi rifiutato di ritrattare i suoi errori, riuscì a fuggire da Augusta e, con un atto notarile, richiese che il Papa venisse informato meglio sulle sue Tesi e il 9 novembre del 1518 la Santa Sede pubblicò una Bolla sulle indulgenze per togliere a Lutero il pretesto che la Chiesa non si era ancora pronunciata ufficialmente su questo punto, come sosteneva invece Lutero. E non solo sulle indulgenze, ma anche sul Primato Petrino che Lutero aveva incluso nelle Tesi da discutere e da modificare dottrinalmente. Sarà Lutero stesso ad appellarsi niente meno che ad un Concilio Ecumenico affinché si pronunciasse sulle sue Tesi».

     

    La dottrina cattolica, altro esempio, afferma che i Sacramenti sono sette e lo insegna già dal primo secolo, ma Lutero non ci crede e sostiene che la Cresima, l'Unzione degli infermi (che troviamo letteralmente nella Lettera di Giacomo 5, 14-15). l'Ordine e Matrimonio, non sono “scritturali” nella Scrittura e perciò non sono fondati in essa. Per sostenere la negazione dell'Unzione degli infermi, arriva a mettere in dubbio, in un primo momento, la Lettera stessa di Giacomo, ma non gli riesce.

     

    In particolare Lutero finisce per accanirsi sul Sacramento dell’Ordine insistendo sull'unica lettura scritturale accettabile, per lui, della Scrittura nella quale si parla del “sacerdozio universale” dei fedeli, ossia, di ogni battezzato. Di conseguenza veniva a minare irrimediabilmente la realtà del sacerdozio stesso, la figura del pastore nella Chiesa, fino ad intaccare la Liturgia e il Culto a Dio, la Messa.

     

    Per Lutero la Messa è una “ripetizione” in cui Cristo è presenza spirituale, mentre la Chiesa insegnava già da 1500 anni che la Messa è una attuazione (incruenta) del sacrificio di Cristo.

     

    Per la Chiesa dunque solo un uomo consacrato (Sacramento dell’Ordine) può compiere il miracolo rituale della transustanziazione, Lutero invece afferma che la messa non è un sacrificio offerto sull’altare, ma la ripetizione di un ricordo che “solo la fede” rende utile e mantiene il comando del Cristo: “Fate questo in memoria di me”.

     

    Se dunque il Sacramento è ricevuto solo dalla fede, a questo punto non è più necessario ne il Sacramento e neppure un sacerdote che lo amministri. In realtà per Lutero tutti i fedeli, i credenti sono “sacerdoti” perciò è la loro “sola fede” che attua i sacramenti.

     

    Anche a riguardo della Confessione, in quel rimettere i peccati (Gv 20,23) Lutero dice “Cristo non parla mai di dominio, ma di fede”; certo dice Lutero, la confessione è comandata da Dio – è letterale e scritturale, non poteva negarla – e tuttavia egli nega che soltanto i Sacerdoti siano i detentori della confessione e parla di dominio in riferimento all’assoluzione.

     

    In definitiva è di Lutero l’iniziativa, oggi assai in voga, della confessione pubblica dei peccati in sostituzione di quella privata anche, purtroppo, in campo cattolico.

     

    Lutero capovolge di fatto la dottrina e la prassi della Chiesa. Per lui i Sacramenti sono il fondamento del potere sacro.

     

    Attenzione: qui non possiamo dilungarci troppo, ma è importante per una corretta valutazione storica-dottrinale che Lutero non mise mai in dubbio il senso del ministero sacerdotale e della Presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche, usò “solo” un altro termine, quello di consustanziazione – della cui conseguenza dottrinale bene spiegò Paolo VI nella “Mysterium Fidei” – [4] anziché il termine di impianto metafisico-tomista di “transubstantiatione”.

     

    A questo scempio dottrinale non giunse Lutero, ma Huldrych Zwingli travisando il suo pensiero. Così, come a riguardo della Confessione, sembra accertato che Lutero, benché sposato con la ex monaca cistercense Katharina von Bora, ebbe vicino a se per tutta la vita un confessore.

     

    E a buona ragione il testo ecumenico del giugno 2013 riporta:

    «Così il papa pubblicò la bolla Exsurge Domine (15 giugno 1520), che condannava 41 proposizioni tratte da varie pubblicazioni di Lutero. Anche se si possono trovare tutte negli scritti di Lutero e sono citate correttamente, sono estrapolate dai loro rispettivi contesti. Exsurge Domine definisce questi articoli come “eretici, scandalosi, falsi, offensivi per le orecchie pie, o (…) capaci di sedurre le menti degli uomini semplici o in contraddizione con la fede cattolica” senza specificare quale di queste qualificazioni si applichi all’uno o all’altro articolo. Alla fine della bolla, il papa si rammaricò che Lutero avesse evitato di rispondere a tutte le sue offerte di discussione, e dichiarò di conservare la speranza che Lutero facesse esperienza di una conversione del cuore e si ravvedesse dei suoi errori. Papa Leone concesse a Lutero 60 giorni per ritrattare i suoi “errori”, o sarebbe incorso nella scomunica.

     

    Quando Lutero non vide un fondamento biblico nelle dichiarazioni di Roma o ritenne che tali dichiarazioni addirittura contraddicessero il messaggio biblico, egli cominciò a pensare al papa come all’Anticristo. Con questa accusa, certamente scioccante, Lutero intendeva che il papa non permetteva a Cristo di dire quanto Cristo voleva dire e che il papa si era posto al di sopra della Bibbia anziché sottomettersi alla sua autorità. Il papa sosteneva che il suo ministero era istituito iure divino (“per diritto divino”), mentre Lutero non riusciva a trovare la dimostrazione biblica di questa affermazione».

     

    Su questa evoluzione dei fatti, Padre Coggi riporta:

    «Nell’ottobre del 1520, cedendo ad alcune istanze, Lutero accettò di indirizzare un’altra Lettera al Papa Leone X, nella quale affermava di non aver voluto offendere la sua persona, anzi, di stimarlo; contemporaneamente però, si abbandonava a violenti oltraggi contro la Chiesa romana, e continuava a rifiutare ogni altra ritrattazione.

     

    Poco dopo, novembre dello stesso anno, sfogò il suo odio antipapale con lo scritto “Contro la Bolla dell'Anticristo”, in cui rinnovava l'appello a un Concilio ecumenico.

     

    Il 10 dicembre 1520 suggellò la sua ribellione all'autorità ecclesiastica con il rogo inscenato nella piazza pubblica di Wittenberg, in cui bruciò come “nemici di Dio” i libri del Diritto Canonico e la Bolla papale con la quale si firmava la sua scomunica, scomunica che divenne formale nel gennaio 1521 dopo aver atteso invano, un ulteriore ritrattazione che non venne mai.

     

    In tutta la sua attività letteraria, da un certo punto in poi, Lutero non ebbe riguardo di trattare in modo brutale e violento il Papa e i “papisti”. Al termine dell’adunata di Smalkalda egli gridava ai predicatori: “Dio vi riempia di odio contro il Papa”. Con l’avanzare degli anni e l’evolversi della situazione quell’odio lungi dal cessare, non farà altro che crescere e dilagare».

     

    Il testo stesso, quello ecumenico del giugno 2013, riporta ancora:

    «L’interpretazione del Vangelo che Lutero proponeva convinse un numero crescente di preti, monaci e predicatori, che cercavano di introdurla nei loro sermoni. Segni visibili dei cambiamenti che stavano avvenendo furono il fatto che i laici ricevevano la comunione sotto le due specie, che alcuni preti e monaci si sposarono, che certe regole di digiuno non vennero più osservate e che talvolta si manifestò irriverenza nei confronti di immagini sacre e reliquie. Lutero non aveva alcuna intenzione di fondare una nuova Chiesa, ma era espressione di un ampio e sfaccettato desiderio di riforma. Egli ebbe un ruolo sempre più attivo nel tentativo di contribuire a una riforma di pratiche e dottrine che sembravano essere basate sulla sola autorità umana ed essere in tensione o addirittura in contraddizione con le Scritture. [5]


    Il Concilio (di Trento), nel desiderio di preservare, “una volta tolti di mezzo gli errori, la stessa purezza del Vangelo”, l’8 aprile 1546 approvò il suo decreto sulle fonti della rivelazione. Pur senza nominarlo in maniera esplicita, il Concilio rifiutò il principio della “sola Scriptura”, dichiarando che era inammissibile scindere la Scrittura dalla tradizione. Decretò che il Vangelo, “quale fonte di ogni verità salvifica e di ogni norma morale”, era conservato “nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte”, senza tuttavia risolvere il rapporto tra Scrittura e tradizione. Inoltre dichiarò che le tradizioni apostoliche riguardanti la fede e la morale erano “conservate nella Chiesa cattolica in forza di una successione mai interrotta”. La Scrittura e la tradizione dovevano essere accolte “con uguale pietà e venerazione”».


    Conclusione
    Siamo partiti dall'identificare il problema luterano da un problema personale di Lutero e finiremo per ribadire lo stesso concetto: Lutero pur partendo da un suo problema esistenziale rivela, senza alcun dubbio alcuno, un punto fondamentale che è l'essenza del Cristianesimo stesso: “Come posso salvarmi? Come posso trovare un Dio propizio? Come posso ottenere il perdono dei peccati? Come posso essere certo di averlo ottenuto?”.


    Queste erano le grandi domande che angustiavano Lutero, e lui ha creduto di trovarle nella sua dottrina; la Chiesa invece dal canto suo, in questi secoli, ha dimostrato che ciò che insegna non solo è ancora valido, ma è a tutt'oggi fondamentale.


    Per Lutero ciò che conta non è tanto conoscere “chi è” Dio o “che cosa” Egli ha fatto per noi, quanto sapere semplicemente “in che modo io posso raggiungere la salvezza”.

     

    La prospettiva luterana è apparentemente la via più pratica, forse anche più facile. Ma anche la più pericolosa perché in sostanza Lutero dice: “Che Gesù sia o non sia il Figlio di Dio non è importante; importa solo che Egli sia il Salvatore”.

     

    È una affermazione gravida di conseguenze nocive per l’identità stessa del Cristo, per l'identità stessa del Cristianesimo, per l'affermazione stessa della Santissima Trinità e che segna, al di la delle intenzioni stesse di Lutero, un decisivo distacco dalla Tradizione cristiana dei secoli precedenti: si pensi solo ai cristiani del tempo del Concilio di Nicea, disposti a dare la propria vita pur di difendere la divinità ed insieme l’umanità acquisita di Gesù Cristo, Figlio di Dio, ma anche Dio; si pensi ai Padri della Chiesa quanto hanno lottato contro l'eresia ariana e di altre eresie che mettevano a rischio l’identità del Cristo.

     

    Per Lutero non è importante il dogma, non conta la conoscenza della realtà obiettiva, della realtà in se stessa, e neppure di Dio – o di Gesù Cristo – in se stesso, ma conta solo ciò che Dio – o Gesù Cristo – è “per me”.

     

    Non a caso la Chiesa Cattolica ha messo nel Catechismo le tre virtù teologali di cui una è il famoso Atto di fede: “Mio Dio, poiché sei Verità infallibile, credo fermamente tutto quello che Tu hai rivelato, e la Santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in Te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte”. Per Lutero invece la fede non è tanto l’adesione a delle “verità rivelate”, ma semplice abbandono fiducioso in Dio.

     

    Intendiamoci: il concetto di fede in se di Lutero non è del tutto sbagliato, il problema suscitato da lui è quello di una fede affettiva contro quella conoscitiva mentre la Chiesa ha sempre insegnato l’equilibrio di entrambe le sfere: affettiva (ti amo mio Dio, ti dono me stesso) e conoscitiva (ti cerco mio Dio; Dio mio perché mi hai abbandonato?).

     

    Gesù non ha consegnato a Pietro una esclusiva sull'affettività, sul sentimento, sull’emotività, ma ha consegnato “le chiavi”, ha consegnato agli Apostoli “un mandato”, ha dato loro una autorità da custodire, tramandare ed usare: andare ed ammaestrare presuppone anche la conoscenza delle verità rivelate (catechismo-dogma-dottrine), aspetti questi che, alla fine, però lo stesso Luterò userà dal momento che sviluppa ben due catechismi uno maggiore ed uno minore ad uso del popolo, ecco perché avvenne poi la divisione e lo sviluppo di nuove comunità separate. Lutero che non voleva di fatto fondare una “nuova chiesa”, ma pretendeva che la Chiesa si riformasse con le sue dottrine, di fatto, pur senza pensarlo e volerlo, fece sì che i suoi seguaci, in particolare Huldrych Zwingli (Ulderico Zuinglio) e Jean Cauvin (Giovanni Calvino) dessero origine ad una “chiesa parallela senza Sacramenti, senza la Presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, senza Sacerdozio, senza dogmi e – pensava – senza dottrine, ma di fatto ha dato origine a dottrine nuove; senza Tradizione, ma di fatto dando origine alla sua tradizione che è il mondo variegato del protestantesimo oggi conosciuto come “mondo evangelico”. Insomma, più che una “chiesa riformata”, Lutero si trovò a dare inconsapevolmente vita a nuova forma e visione di cristianesimo fondato sul suo specifico soggettivismo.

     

    Nel saggio “Lutero e la salvezza dell’anima”, riporta sempre Padre Coggi nel suo “Ripensando Lutero” – dopo aver ribadito che “il vero motivo dell’abbandono della Chiesa cattolica da parte di Lutero non sta […] nella grave crisi morale e anche, se vogliamo, dottrinale, che travagliava il cattolicesimo dell’epoca del Rinascimento, e neppure nella scarsa conoscenza che Lutero avrebbe avuto della genuina dottrina cattolica” – l’autore sottolinea come molto spesso non sia stato tenuto nella dovuta considerazione l’aspetto del temperamento e della costituzione psichica dell’eretico di Eisleben.

    Così, molto opportunamente, riporta questo giudizio del teologo luterano Gerhard Ebeling: “Lutero appare una personalità prevalentemente ciclotimica, di costituzione picnica e di una scala alternante nell’umore fra gli stadi iper e ipotimici, combinata in pari tempo con una costituzione stenica degli impulsi”.

     

    Commenta padre Coggi: “Questo referto medico, per chi sa leggerlo, è notevolmente preoccupante” (p. 66).

     

    E ancora a pag. 73: «Lutero è irremovibile nella sua idea. Egli scrive nel 1522: “Io non ammetto che la mia dottrina possa venire giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”».

     

    Non crediamo sia necessario ulteriore commento alla frase.

     

    Infine la realtà odierna è assai diversificata poiché con il concetto del “Sola Scriptura” il mondo Protestante non ha un unica guida, un unico “magistero”, piuttosto esistono attualmente circa 36 mila denominazioni evangeliche ognuna indipendente dall'altra, nelle quali la propria interpretazione delle Scritture garantisce la comunione a seconda di come la si pensa.

     

    Grazie al processo dell’Ecumenismo si è riusciti oggi ad avere almeno dei grandi gruppi più o meno riconosciuti e fra i quali si sono costruiti ottimi rapporti, ma non basta.

     

    Tanto per fare un esempio: nel 1999 è stato firmato un importante Documento sulla Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della giustificazione fra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale. Tuttavia non tutte le comunità luterane lo ritengono vincolante per loro. La sintesi che segue si basa su questa Dichiarazione, che offre un consenso differenziante costituito da enunciazioni comuni accanto ad accentuazioni differenti di ciascuna parte, con la specificazione che queste differenze non invalidano i punti di vista comuni. Si tratta, pertanto, di un consenso che non elimina le differenze, ma piuttosto le include in maniera esplicita.

     

    Sull’Eucaristia e sugli altri Sacramenti non ci sono stati passi ulteriori, la grave divisione resta, al di la di ogni, seppur legittimo, tentativo di dialogo, tenendo bene a mente che il sincretismo religioso non giova a nessuno e non risolve alcun problema.

     

    NOTE
    1] "Ripensando Lutero", di Padre Roberto Coggi O.P.
    2] Il caso del Savonarola e di Papa Alessandro VI (Borgia).
    3] Testo firmato oggi in ambito Ecumenico giugno 2013.
    4] «Ma perché nessuno fraintenda questo modo di presenza, che supera le leggi della natura e costituisce nel suo genere il più grande dei miracoli, è necessario ascoltare docilmente la voce della Chiesa docente e orante. Ora questa voce, che riecheggia continuamente la voce di Cristo, ci assicura che Cristo non si fa presente in questo Sacramento se non per la conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue; conversione singolare e mirabile che la Chiesa Cattolica chiama giustamente e propriamente transustanziazione» (Lettera Enciclica "Mysterium Fidei" di Paolo VI del 3 settembre 1965)

    5] Decreto congiunto sulla Dottrina della Giustificazione del 31 ottobre 1999.






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 26/03/2014 20:31


        MARIA UNISCE, NON DIVIDE.... e il Suo Cuore Immacolato comincia a trionfare....

    LA VERGINE MARIA E IL DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO

    Città del Vaticano, 26 marzo 2014 (VIS). "La Vergine Maria e il dialogo islamo-cristiano" è stato il tema dell'intervento di Padre Miguel Angel Ayuso Guixot, Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, all'VIII Incontro di Preghiera Islamo-Cristiana svoltosi ieri a Beirut (Libano), in occasione della Festa Nazionale del 25 marzo, Solennità dell'Annunciazione del Signore, celebrata da cristiani e musulmani. La Solennità è così importante che nel 2010 il governo libanese ha proclamato tale data Festa Nazionale islamo-cristiana. In un discorso - dedicato sia alla figura di Maria che alla missione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso - Padre Ayuso sottolinea che la festa del 25 marzo "è un vero esempio della lunga convivenza di musulmani e cristiani che caratterizza la storia del Libano, fra tante difficoltà, e che costituisce anche una testimonianza per tanti altri popoli".

    "Dal Concilio Vaticano II - ha proseguito Padre Ayuso - la Chiesa cattolica riconosce che i musulmani 'onorano la Vergine Madre di Gesù, Maria, e la invocano con pietà anche nella preghiera'. (...) Maria è menzionata varie volte nel Corano: il rispetto che le si porta è così evidente che, quando ella è nominata nell'Islam, si aggiunge 'Alayha l-salam' (su di Lei sia la pace'. Anche i cristiani si associano volentieri a questa invocazione. Vorrei anche menzionare i Santuari consacrati a Maria dove si recano musulmani e cristiani. In Libano, in particolare, come non ricordare il Santuario di Notre-Dame du Liban a Harissa!".

    "La devozione crea sentimenti di amicizia: è un fenomeno aperto a tutti e a tutte. Le esperienze culturali che le nostre comunità possono condividere incoraggiano la collaborazione, la solidarietà, il riconoscimento reciproco di figlie e figli di un Dio unico appartenente alla stessa famiglia umana. È dunque con stima che la Chiesa si rivolge ai credenti dell'Islam. Con essi nel corso di questi cinquanta anni, ha cercato di costruire un dialogo di amicizia e di rispetto reciproco".

    "Relativamente al dialogo fra musulmani e cristiani - Padre Ayuso ha spiegato che "il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso cerca di stabilire rapporti regolari con le istituzioni e gli organismi musulmani in modo da favorire la conoscenza e la fiducia reciproca, l'amicizia e, dove possibile, la collaborazione. Infatti esistono accordi con diverse istituzioni musulmane per assicurare la possibilità di incontri regolari, in funzione di programmi e di modalità concordate delle due parti. (...) Riguardo alla metodologia del dialogo interreligioso e del dialogo islamo-cristiano, bisogna ricordare che il dialogo è una comunicazione duplice. (...) Si fonda sulla testimonianza della propria fede e su di una apertura alla religione dell'altro. Non si tratta di tradire la missione della Chiesa e ancor meno di un nuovo metodo di conversione al cristianesimo. Nel documento 'Dialogo e annuncio', pubblicato congiuntamente nel 1991, dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, sono messi in evidenza quattro modi diversi di dialogo interreligioso: il dialogo della vita; il dialogo delle opere; il dialogo degli scambi teologici e il dialogo dell'esperienza religiosa. Queste quattro forme di dialogo testimoniano dunque che non si tratta di un'attività riservata a degli specialisti".

    Padre Ayuso ha concluso il suo intervento esaminando il ruolo di Maria alla luce del tema della festa nazionale del Libano: "Insieme attorno a Maria, Nostra Signora". "Nell'Esortazione apostolica 'Marialis Cultus', promulgata nel 1974 da Papa Paolo VI, Maria è presentata come 'la Vergine che ascolta', 'la Vergine che prega', (...) 'la Vergine in dialogo con Dio' (...) Ella è anche l'immagine di un modello di dialogo di ricerca quando, rivolgendosi all'Arcangelo Gabriele, domanda: 'Come è possibile?'. Maria, modello per i musulmani e per i cristiani, è anche modello di dialogo perché insegna a crescere, a non chiudersi in certezze acquisite ma ad aprirsi agli altri e ad essere disponibili".


    IL PAPA AFFIDA A MARIA TUTTI GLI ABITANTI DEL LIBANO

    Città del Vaticano, 26 marzo 2014 (VIS). Nel pomeriggio di ieri, Papa Francesco, tramite il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ha fatto pervenire un Messaggio ai partecipanti all'VIII Incontro di Preghiera Islamo-Cristiana "Insieme attorno a Maria, Nostra Signora". L'Incontro che si svolge a Beirut (Libano), in occasione della Solennità dell'Annunciazione del Signore, e festa nazionale del Paese, è stato organizzato dall'Associazione degli Ex-Alunni dell'Università Saint-Joseph e del Collegio Notre Dame de Jamhour.

    Il Santo Padre "si rallegra nel vedere cristiani e musulmani uniti nella devozione alla Vergine Maria. Il Santuario di Notre-Dame du Liban a Harissa è un luogo benedetto dove tutti possono venire ad invocare la Vergine". Nel contempo il Papa incoraggia "cristiani e musulmani a lavorare insieme per la pace e il bene comune contribuendo così allo sviluppo integrale delle persone e all'edificazione della società" ed affida tutti i partecipanti all'Incontro "e tutti gli abitanti del Libano alla materna intercessione della Vergine Maria, Regina della Pace, Protettrice del Libano".

     

     

    Il secolo di Satana finirà col trionfo del Cuore Immacolato di Maria

    Fotor0420235552Durante una visione del 1820, fu rivelato alla beata Anna Caterina Emmerick che Satana sarebbe stato liberato dalla catene circa ottanta o settant’anni prima dell’anno 2000. Tale periodo di libertà per il serafino decaduto sarebbe durato un secolo.

    Forse la Strega ha scoperto il giorno, il mese, e l’anno esatti in cui Satana è stata sciolto dalle catene.

    La mattina del 13 ottobre 1884, al termine della Santa Messa, papa Leone XIII rimase immobile davanti al Tabernacolo per circa 10 minuti. Quando si “riprese”, il suo volto era preoccupato e angosciato. Raccontò ai suoi collaboratori che aveva assistito ad un “colloquio” tra Nostro Signore e Satana. Quest’ultimo dichiarava con orgoglio che avrebbe potuto facilmente distruggere la Chiesa, se avesse avuto maggiore potere su coloro che si mettono al suo servizio, e più libertà per circa 100 anni. Il Signore rispose a Satana che gli avrebbe concesso sia più libertà che i cento anni necessari.

    Leone XIII rimase così sconvolto da questo “colloquio” che scrisse la famosa preghiera a San Michele Arcangelo per la protezione della Chiesa

    e volle che fosse recitata, in ginocchio, dopo ogni Santa Messa. Purtroppo, però, con la riforma liturgica post-conciliare, questo dono che Cristo ci fece tramite il suo Vicario, fu messo nel cassetto. La preghiera non è stata più recitata e la stragrande maggioranza dei fedeli nati dagli anni ’70 in poi del secolo scorso non ne conoscono neppure l’esistenza.
    La Emmerick parla di circa 80 anni prima dell’anno 2000, dunque verso la fine degli anni ’10 e gli inizi degli anni ’20 del XX secolo. Leone XIII vide quell’insolito “dialogo” un 13 ottobre. Pensateci bene. Non vi viene in mente nulla? Satana è stato liberato dalle catene il 13 ottobre del 1917, giorno dell’ultima apparizione mariana a Fatima, quando ci fu il “miracolo del sole”, e la Madonna promise che «il mio Cuore Immacolato trionferà».

    Oltre a queste coincidenze di date, me lo confermano altri due elementi.

    Benedetto XVI durante il suo viaggio apostolico a Fatima (11-14 maggio 2010) ricordò l’importanza del centenario delle apparizioni.

    Recentemente ho studiato la figura di Teresa Neumann (1898-1962), la “stigmatizzata bavarese”, la quale ebbe dal Cielo anche il dono delle profezie. In una delle ultime profezie prima della morte disse che il maggior periodo di dominio sul mondo da parte di Satana – potere che avrebbe usato per scagliare un attacco, secondo lui, mortale alla Chiesa, in particolare al papato – sarebbe durato circa 18 anni, dal 1999 al 2017.

    Nelle scuole pubbliche italiane viene insegnato che il Medioevo è il periodo storico peggiore di tutti i tempi. Un’accusa implicita alla Chiesa, poiché il Medioevo è l’epoca più cristiana della storia. Ma qualcuno sa cosa è veramente accaduto nel XX secolo, il “secolo del progresso”? Il secolo di Satana è il secolo della distruzione dell’uomo. Cantavano e cantano “Dio è morto” e non si accorgono di essere cadaveri che camminano.

    Mancano quattro anni al centenario di Fatima. Saranno anni durissimi, perché Satana si scatenerà prima di tornare completamente prigioniero. Il giorno stesso in cui fu liberato la Madonna ci promise che il suo Cuore Immacolato, alla fine, avrebbe trionfato. Allora non dimentichiamo cosa chiese a Fatima ai tre pastorelli e a tutti noi: preghiera, penitenza e sacrificio.

    *] San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia contro le insidie e la malvagità del demonio, sii nostro aiuto. Te lo chiediamo supplici che il Signore lo comandi. E tu, principe della milizia celeste, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione della anime. Amen.


     



    [Modificato da Caterina63 08/04/2014 23:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 11/06/2014 17:52

    Card. Koch: ecumenismo è sincerità non cortesia di facciata




    Il cardinale Kurt Koch





    11/06/2014



    L’esteriorità, l’accontentarsi della facciata e non sondare invece la realtà di un rapporto – riconoscendone con sincerità i pregi ma anche i suoi limiti – non fa bene al dialogo ecumenico. È il pensiero di fondo del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, letto in apertura, lunedì scorso, della “Receptive Ecumenism Conference”, in corso fino al 12 giugno alla Fairfield University del Connecticut, negli Stati Uniti.


    Parlando del suo essere stato al fianco di Papa Francesco nel recente pellegrinaggio in Terra Santa – e in particolare nel momento del suo abbraccio al Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I, 50 dopo l’analogo gesto fra Paolo VI Atenagora – il cardinale Koch osserva che il mezzo secolo trascorso ha visto portare “molto frutto” a un dialogo basato sulla “verità” e sull’“amore”. In uno dei suoi sermoni sulla “simpatia, il cardinale John Henry Newman, ricorda il presidente del dicastero per l’Unità dei cristiani,  si disse convinto che i “cristiani fossero molto più simili l'un l'altro, anche nelle loro debolezze, di quello che spesso si era immaginato”.


    In particolare, il Beato Newman descriveva la tendenza dei cristiani di diversa confessione a “non sondare completamente le ferite” della loro natura, preferendo  piuttosto mostrarsi “amabili e cordiali a vicenda in parole e le opere”, senza che il loro amore fosse “più grande”. “Le viscere del nostro affetto – affermava il Beato – sono ristrette”, “temiamo” un rapporto che “inizi alla radice” e “di conseguenza, la nostra religione, vista come un sistema sociale, è vuota”.


    Una constatazione, quella del cardinale Newman, applicabile non solo ai singoli cristiani ma anche – afferma il cardinale Koch – al loro essere comunità: “Lo ‘standard della nostra santità’ è diminuito”, sostiene, e anche “la ‘nostra visione della verità’ è inibita”. Viceversa, il porporato riconosce l’efficacia del “dialogo di verità” proposto dal “Receptive Ecumenism”, nel quale l’onesta ammissione delle “debolezze” si trasformi in “un vincolo di unione”.


    “Siamo di fronte oggi – conclude il cardinale Koch – a tanti problemi comuni nella nostra vita ecclesiale, eppure nei nostri dialoghi ci accontentiamo troppo ‘dell'esterno delle cose’, di essere ‘amabile e cordiali l’un l’altro in parole e opere’. Ma il dialogo che inizia alla radice delle cose, con le sfide reali e le ferite della nostra vita ecclesiale, è quello in cui le nostre relazioni crescono e si approfondiscono. È davvero un dialogo d'amore”.









    Fraternamente CaterinaLD

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    00 14/11/2014 16:01



     

    CON LUTERO L'EUROPA PERDE LA SUA UNITA' E APRE LE PORTE AL TOTALITARISMO

    Finisce l'esperienza del sovrano medievale e inizia quella del re moderno che esprime un potere assoluto che sarà la base dei totalitarismi del XX secolo

     

    di Mario Palmaro

    Martin Lutero non è solo un teologo rivoluzionario. Il suo pensiero determina, infatti, il cambiamento radicale della concezione politica che la cristianità aveva ereditato dal Medioevo. Con Lutero cambia la concezione dello Stato, come conseguenza della mutata relazione fra Chiesa e società civile. 

    CONTRO IL PAPA E LA CHIESA 
    Questa trasformazione ha origine innanzitutto dall'idea che Lutero ha del papato: nelle 95 tesi che affigge il 31 ottobre 1517 sul portale della chiesa di Wittemberg vi è infatti una frontale contestazione della plena potestas del Papa e della Chiesa romana. Basti pensare alla ventesima tesi, in cui si afferma che il Papa può rimettere solo le pene da lui promulgate; o alla sesta tesi, secondo cui il Papa può solo dichiarare e confermare il perdono di Dio. 
    Per Lutero il Papa è "l'uomo della perdizione", e la Chiesa è il luogo in cui gli uomini più scellerati della terra si sono dati convegno. Il monaco agostiniano definisce la Chiesa «la cloaca in cui è incarcerato lo Spirito Santo». E ciò dipende dal fatto che la "pietra" su cui la si vuole fondata è un uomo, e dunque un peccatore. 
    Per Lutero, invece, la pietra su cui si fonda la Chiesa è Cristo stesso. La conseguenza è che la Chiesa "non può essere vista ma soltanto creduta attraverso il segno del Verbo". Dunque, secondo il fondatore del protestantesimo, la Chiesa romana, al cospetto della chiesa fondata sulla "petra certa" che è Cristo e la sua parola, appare una realtà capovolta. La Chiesa si erge su un uomo, cioè su un corpo di un peccatore che è il Vicario di Cristo; e si erge su un luogo, Roma. Questa subordinazione dell'annuncio del Verbo a un luogo e a un corpo è, per Lutero, il segno di un'inversione intollerabile. Da qui deriva il rifiuto "degli statuti, dei canoni, e di tutte le cose del Papa", e della sua giurisdizione: la Chiesa di Roma non può essere la Chiesa di Cristo. 

    IL PECCATO ORIGINALE E LA NATURA DELL'UOMO 
    Questa dottrina anticattolica produce profondissime e radicali trasformazioni nella concezione politica europea. L'origine di questo sconquasso è antropologica: per Tommaso D'Aquino, nel mondo esistono e convivono un ordine naturale e un ordine soprannaturale. Secondo Lutero, invece, l'originaria dignità dell'uomo, il suo essere a immagine e somiglianza di Dio, è andata perduta attraverso il peccato originale. Di conseguenza, il mondo dell'uomo e della natura è consegnato radicalmente al maligno, che diviene "princeps mundi, deus huius seculi". E l'uomo è completamente incapace di fare il bene con il suo libero arbitrio. 
    Secondo San Tommaso, la natura irredenta non è completamente consegnata al maligno, ed è quindi ancora possibile distinguere un fine naturale e un fine soprannaturale della redenzione. Invece, in Lutero creazione e redenzione si immedesimano in un'unica opera che accade attualmente nella Chiesa. Per Lutero la natura umana non deve essere solo redenta, ma creata. 

    LA CIVITAS: DA TOMMASO A LUTERO 
    Ora, questa divaricazione teologica produce conseguenze politiche enormi. Secondo Tommaso D'Aquino - e dunque secondo la civiltà medievale - la civitas, cioè la città degli uomini, è opera della ragione del re, che partecipa per irradiationem alla lex aeterna. Ciò significa che il sovrano costruisce lo Stato e la sua autorità con la sua intelligenza, ispirandosi alla legge eterna. Dunque, la civitas è anche merito dell'uomo. 
    Per Lutero è vero esattamente il contrario: lo Stato terreno e civile da un lato, e l'istituzione della Chiesa dall'altro, sono entrambi immediatamente creature di Cristo. «Così - scrive il riformatore tedesco - Dio è fondatore, signore, maestro, auspice e premio di entrambe le giustizie, di quella spirituale e di quella corporale, e in loro non è alcun ordinamento o potere umano, ma sono unicamente cosa di Dio». 
    Questa distinzione è epocale: per la tradizione cattolica, espressa dal genio di Tommaso, l'ordinamento terreno è un prodotto della ragione umana, rettamente ispirata dalla legge naturale; per Lutero l'ordinamento terreno non è prodotto dalla ragione umana, ma creato. 
    Che cosa cambia in questo scenario politico? Tutto. Non c'è più una istituzione visibile - la Chiesa cattolica - che interviene per contestare un sovrano ingiusto o empio, ma ora è il re che agisce affermando di operare nella sottomissione a Cristo. È il nuovo sistema del cosiddetto "reggimento spirituale". In questo scenario politico luterano, il sovrano viene illuminato direttamente dal Signore, che gli ispira eventuali modifiche delle stesse leggi fondamentali. Le istituzioni sono così non solo create ma anche riformate da Cristo stesso: anche qui la distanza dal sistema tomista è totale. Nella visione di Lutero è sempre Cristo ad affidare la spada al re affinché egli conservi il giusto ordinamento. Per il monaco agostiniano, tramite l'ufficio della spada Cristo avoca a sé la vendetta e sottomette all'autorità gli uomini "con il corpo e i beni temporali". 
    Questa visione spiega anche la posizione di Lutero nei confronti della rivolta dei contadini: a chi vorrebbe che i principi fossero misericordiosi con i rivoltosi, Lutero fa sapere che la spada non è un ufficio della misericordia ma dell'ira, al punto che un servitore dell'ira di Dio diviene un peccatore "nello stesso modo di chi uccide" qualora non punisca secondo il proprio ufficio. 

    LA LEGGE INGIUSTA 
    È lecito ribellarsi a un sovrano? Per Martin Lutero si tratta di un grave peccato contro il Creatore. La spada separa i giudici dai giudicati, i liberi dai prigionieri, i signori dai sudditi; e ogni volta all'ufficio della spada corrisponde l'obbedienza di chi è sottomesso. «La mano che brandisce questa spada e massacra, non è più - scrive Lutero - la mano di un uomo ma la mano di Dio, e non l'uomo ma Dio impicca, arrota, decapita, strangola e fa la guerra». 
    Il rivoltoso è particolarmente colpevole perché aggredisce la spada, cioè lo strumento con cui Cristo regna sulla società. Scrive Lutero: «Ora, è meglio patire ingiustizia da parte di un tiranno ovvero da parte dell'autorità, che ad opera di innumerevoli tiranni ossia dal volgo». Dunque, in questa visione non vi è più spazio per la dottrina cattolica e tomista della legge ingiusta, cioè di quella legge umana che contraddicendo la legge naturale cessa di esser legge e di avere forza obbligante sulla coscienza dei singoli. 

    LA SOVRANITÀ DELLA CHIESA E GLI STATI 
    Prima di Lutero, la Chiesa è il punto di riferimento della vita pubblica, anche quando questo status sfocia in conflitti e dissidi con l'autorità politica. Prima della Riforma, valeva per le coscienze dell'uomo l'idea espressa da San Cipriano: «Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre». Le costituzioni medioevali predisponevano appelli all'autorità ecclesiastica e specialmente al papato contro la tirannia dei sovrani civili. Il re non è assoluto finché è costretto a riconoscere che sopra di lui c'è la Chiesa. Il re francese Carlo il Calvo riconosce «che da nessuno io potrei essere rimosso dall'altezza del potere reale senza almeno l'esame e il giudizio dei vescovi, dal cui ministero fui creato re». I Germani nel Codice Svevo affermano che «solo il Papa può mettere al bando l'Imperatore». Questo armonioso ordine medievale viene però messo in discussione nel XIV secolo, quando i primi pensatori umanisti cominciano a emergere - para-dossalmente all'ombra delle corti papali - e alcuni sovrani, come ad esempio Ludovico il Bavaro, iniziano a sfidare l'autorità del Pontefice. Emblematico in tal senso il Defensor Pacis scritto da Marsilio da Padova, nel quale il Papa veniva ridotto a istituzione meramente umana e causa delle "civili discordie". 
    Questi orientamenti furono certamente funzionali a Lutero e alla sua Riforma. 
    Il monaco eretico riteneva i Sacramenti inutili: dunque, a che scopo conservare gerarchia, clero e una Chiesa esteriore e visibile? Teologia e dottrina politica si intersecano in modo coerente. 

    IL CESAROPAPISMO LUTERANO E I TOTALITARISMI MODERNI 
    Inizialmente Lutero aveva in animo di costituire comunque una "chiesa separata", con una propria struttura organizzativa. Con il passare del tempo, però, di fronte ai disordini con gli Anabattisti e ai dissidi con gli stessi teologi compagni di strada, optò per assegnare al sovrano il compito di designare sovrintendenti e ministeri. Nasceva così il cesaropapismo luterano, che sostituiva allo Stato della Chiesa le "chiese di stato", legate a filo doppio al protestantesimo. In questo modo, quell'idea della centralità della spada diventava visibile sia per il governo del popolo che per il reggimento spirituale dei cristiani. 
    Paradossalmente, questa strada avrebbe comportato con passare del tempo la secolarizzazione, cioè il bando della religione dalla vita pubblica. Del resto, è lo stesso Lutero a dichiarare: «Un principe può essere cristiano, ma non deve governare da cristiano». 
    Finisce l'esperienza del sovrano medievale, che otteneva la plena potestas a seguito di una serie di atti di sottomissione feudale, e inizia quella del re moderno, che esprime un potere assoluto frutto della sua volontà trascendente. Si gettano così le basi del moderno totalitarismo, che ha infestato il XX secolo: se il sovrano non ha più un'autorità superiore visibile cui deve rendere pubblicamente conto - cioè la Chiesa - allora significa che il suo potere della spada è ab-solutus, è sciolto da ogni vincolo. La sovranità diviene per un verso "forte", nel senso che legittima se stessa; dall'altro diviene "debole", nel senso che il sovrano, immaginato da Lutero come "inviato da Cristo", può in ogni momento rivendicare questo ruolo, orientando però il suo potere verso gli atti più efferati. È il trionfo del positivismo giuridico, che identifica la legge con la volontà dell'autorità. 
    Dopo Lutero, l'Europa perde l'unità religiosa, e non la ritroverà più. Verrà anzi percorsa da sanguinose guerre di religione, frutto di quella frattura epocale.

    Nota di BastaBugie
    : per approfondire la figura di Lutero cliccare sui seguenti link

    LUTERO FU LA PEGGIORE SCIAGURA DEL 2° MILLENNIO
    Manipolatore delle Scritture, nemico della bellezza nel culto e nell'arte sacra, fautore della statolatria, devastatore degli ordini religiosi, legittimatore dello sterminio dei contadini...
    di Raffaella Frullone
    http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3468
    LUTERO ERA ANTISEMITA (E MOLTO ALTRO...)
    Lutero auspicava la distruzione di tutte le sinagoghe e delle stesse case private degli ebrei ed infatti Hitler fece ristampare le sue opere chiamandolo ''Propheta Germaniae''
    di Angela Pellicciari
    http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2554

     
    Titolo originale: La rivoluzione politica
    Fonte: Il Timone, Aprile 2013

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 01/03/2015 12:44

      Fatima, Padre G. Elia (Esorcista): “Avanzano tenebre e tribolazioni. Ma non si sente il grido della Chiesa”

     
    maxresdefaultE’ stato il Servo di Dio Candido Amantini, Santo esorcista, a renderlo partecipe del suo ministero e a condurlo su questa strada. Padre Giacobbe Eliaaveva infatti con lui un legame non solo di amicizia, ma anche spirituale e fortissimo. Grazie a quest’incontro ha cambiato la sua vita di medico ed esperto di bioetica. Nel 1987 viene incaricato esorcista per la Diocesi di Roma (sarà il primo sacerdote dopo P. Candido Amantini a ricevere questo mandato). Da allora la sua vita è fatta di preghiere, iniziative, scrittura: tanta.

    L’ultimo libro è “L’inganno delle ideologie,  Il graffio del diavolo”, edito Koinè e ha al suo attivo numerosi articoli e pubblicazioni tra cui: “L’urlo muto”, “La caduta del Diavolo di sant’Anselmo d’Aosta”, “Le preghiere del popolo di Dio”“Le preghiere della Tradizione Cristiana”, “Il segreto di Fatima”, “Salvati da una profezia”. A lui abbiamo chiesto di chiarire e interpretare il momento che stiamo vivendo, con l’Isis “a Sud di Roma”, e che significato dare alle persecuzioni fisiche e culturali che i cristiani stanno subendo.

     

    La persecuzione cristiana da parte dell’Isis. Come va letta, è diabolica Padre o cos’altro? 

    A mio avviso la persecuzione contro i cristiani è nel Dna stesso dell’islamismo e affonda le radici in Maometto, ed è sbagliato considerarla una rivendicazione contro le Crociate. Questo può farlo chi non ha alcuna cognizione storica. Le Crociate sono state una risposta all’invasione islamica in luoghi che storicamente erano cristiani.
    Secondo: la prima ondata che vide Maometto stesso vincitore con la quinta colonna costituita dagli ebrei si risolse in una decapitazione totale di tutta questa tribù ebraica che poi non volle aderire a Maometto. Quindi la persecuzione non è solo contro i cristiani ma anche contro gli ebrei.
    Certo con  una differenza: per loro, lo ricorda proprio una loro notissima ammonizione, i cristiani sono considerati dei blasfemi idolatri perché adorano un Dio che non è unico ma è Trino e quindi come tali degni di morte. A questo punto parlare delle varie fazioni è sbagliato perché al massimo possono avere al loro interno leggere sfumature di differenza”
    .

    Ha esperienza di quanto dice? Davvero ci considerano idolatri blasfemi senza possibilità di salvezza? 

    Io ero amico di mons. Luigi Padovese (il 3 giugno 2010 fu ucciso a coltellate dal suo autista a Iskenderun. ndr)  con cui feci il giro della Turchia. Bene, quando lui fu fatto Vescovo fu decapitato. Fu detto al suo inserviente, l’autista, di fare quest’operazione e fu fatta. Hanno detto che era matto… ma bisogna ricordare i fatti, la storia spiega“.

    La persecuzione fisica che i cristiani stanno subendo non solo in Medio Oriente, ma anche in Africa, nasce dall’odio alla fede cattolica o è altro? 

    “Assolutamente sì. Una delle scrittrici più note che se ne accorse fu proprio la Fallaci. Guerra culturale e di costumi? Rispose che è stupido chi parla di questo, e che non avevamo ancora capito che era in atto una guerra di religione. E come tale per lei 192trascinava gli aspetti culturali, ma era un effetto questo. Per lei l’Islam non poteva considerarsi una religione vera e propria perché non aveva prodotto cultura”.

    La persecuzione fisica è una cosa. Però c’è chi denuncia anche una persecuzione culturale in Occidente nei confronti del cristianesimo. Lei la rintraccia? E dove? 

    “L’Occidente sta andando incontro a un desiderio di suicidio. Il mio pensiero poggia sempre su una base storica. Papa Paolo VI, al di là della considerazione di questa figura, da Sommo Sacerdote parlò di un fumo di Satana penetrato nel Tempio stesso di Dio. Bene: questo avanzare delle tenebre non è altro che rifiutare la luce, che è Dio. Tanto è vero che si stanno distruggendo i segni, il Cristianesimo è fatto di Chiese e Cattedrali che hanno fatto lo splendore dell’Europa e che non si rispettano più. Si sta cercando di cancellare ciò che rimarrà incancellabile. Per dirla con Goethe l’Europa si è costituita camminando in latino. Però c’è questo desiderio di distruzione, che è nato con il Comunismo e… qua torniamo a Fatima. Ormai c’è una sorta di senso di colpa di cui l’Occidente si è fatto carico quasi avesse commesso un delitto”.

    Fatima annuncia tribolazioni per il mondo. Dopo di che trionferà il Cuore Immacolato di Maria. Lei lo rintraccia in questa fase storica? E’ questo il periodo di sofferenze e atrocità? 

    “Assolutamente sì. Ci siamo. In pieno”.

    Passiamo all’apparizione a Leone XIII che vede  Satana che chiede a Gesù di concedergli il mondo per 100 anni. Facendolo partire dall’apparizione di Fatima ad oggi sembrerebbe che ci siamo dentro… Per chi crede e ci crede, come può prepararsi un cristiano a fuggire il male? 

    La Madonna appare nel ’17 a maggio e poco dopo c’è l’ingresso di Lenin. E dà un rimedio: il Santo rosario. E’ l’unico rimedio contro i mali che verranno.   Per questo ho scritto un libro su Fatima, l’ha detto Lei che Satana avrebbe sparso i suoi errori nel mondo. Io commentando ho scritto che gli errori nel mondo vanno intesi anche all’interno della Chiesa. Se c’è un momento dove il Magistero e chi dovrebbe dare grande forza e orientamento chiaro ai cristiani non grida è questo… Mi viene in mente la grande Santa Caterina da Siena quando parlando al Papa disse: “Voglio che voi facciate sentire il mugghio vostro”, rifacendosi a quell’idea antica che il leone ruggendo potesse ridar vita ai morti, “perché loro possano reagire e seguirti” disse. E ancora: “Voglio che tornate a Roma”. Lo squillo della tromba, per usare la metafora di San Paolo, non si sente. Per cui c’è una frantumazione tra i cristiani e un individualismo accentuato”.

    Parlo all’esorcista prima ancora che all’uomo di cultura: il male è facilmente rintracciabile a livello mondiale, ma a livello personale dove lavora?

    “Nell’infelicità. In maniera anche molto chiara. L’ho scritto nel libro di Fatima. Silvano Areti, tra i più grandi psichiatri mondiali e inattaccabile in quanto si professa ateo, riconosce che la nostra società per la prima volta nella storia viene aggredita da una delle peggiori malattie: la depressione. Io da medico posso dire che la depressione aggredisce le persone chiesaquando incorrono in una perdita di senso. Perché se la persona ha un senso nella sua vita e lo persegue quel senso ha la capacità di risollevarla continuamente. Senza senso è tutto senza luce”.

    Considerando che ha scritto il libro su Fatima… il Terzo Segreto è stato rivelato completamente? 

    “Paradossalmente, mentre aumenta da parte dei fedeli la richiesta degli esorcisti e di sacerdoti preparati a fare esorcismi siamo in un campo lasciato assolutamente al fai da te. Di fronte a una battaglia vera c’è la diserzione da parte nostra. Da parte della Chiesa e dei sacerdoti. C’è un deserto: dov’è la dottrina che viene presentata nella sua genuinità? Se la fede è una proposta la proposta deve essere totale. Il peccato implica un cammino ed è previsto, ma in questo modo non ci viene più detto che via seguire. Ma semplicemente si è fatta la retorica del dialogo che non ha nulla a che fare con la fede: Dialogo è un termine che non è mai presente in nessuno dei libri della Scrittura. Non esiste proprio. Nei libri c’è l’Annuncio. Quando una mamma vede che il figlio è in pericolo sull’orlo del precipizio e sta andando di sotto non gli dice di non fare quella cosa ma grida!”








    Fraternamente CaterinaLD

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    00 11/03/2015 20:24
    <header class="entry-header">

      Fatima, l’urgenza della conversione


    </header>

    L’Inferno, la conversione della Russia e il trionfo del Cuore Immacolato, la grande persecuzione: le sei apparizioni del 1917 di Maria ai tre pastorelli portoghesi, vanno inserite nel contesto della grande battaglia tra l’impero delle Tenebre e le forze del Bene, cioè Cristo vincitore della morte.

    DIEGO MANETTI

    Continuiamo la pubblicazione delle conversazioni (questo è il sedicesimo appuntamento) che Diego Manetti tiene ogni primo sabato del mese a Radio Maria, alla scoperta dei santuari più importanti dedicati alla Vergine.

    Per salvarci, la Madonna scelse tre piccoli pastorelli.

    Per salvarci, la Madonna scelse tre piccoli pastorelli.

    La traccia mariana che andiamo a esaminare questa volta ci porta a Fatima, un villaggio situato al centro del Portogallo, a circa 125 km a nord di Lisbona. Anche se il nome che è tanto caro alla devozione popolare è proprio quello di “Fatima”, i fatti che andremo a esaminare questa sera non si sono svolti precisamente nel villaggio, bensì in una limitrofa località denominata Cova da Iria.

    Partiamo dunque dai fatti, riassumendo quanto sono certo sarà noto a tutti voi: il 13 maggio 1917 la Vergine Maria si presenta come “Regina del Santo Rosario”, apparendo a tre pastorelli del posto: Lucia dos Santos, Francesco e Giacinta Marto, rispettivamente di dieci, nove e sette anni. In tutto ci saranno 6 apparizioni, il 13 di ogni mese, fino ad ottobre del 1917. Prima di queste apparizioni, i tre fanciulli avevano ricevuto una sorta di preparazione tramite apparizioni da parte dell’Angelo della Pace. Al termine delle apparizioni della Vergine, i ragazzi si trovano a custodire messaggi e segreti di importanza mondiale, facendosi portatori di uno specifico invito da parte della Madonna: occorre pregare il Santo Rosario e fare penitenza per la conversione dei peccatori, in particolare per la Russia.

    Nello svolgersi dei fatti, in quel 1917, si assiste a un concorso sempre maggiore di folle, fino al notissimo miracolo del sole che contraddistingue l’ultima apparizione, il 13 ottobre 1917, e avviene dinnanzi a circa 70.000 fedeli.

    Dopo un approfondito esame dei fatti, le apparizioni vengono riconosciute come autenticamente soprannaturali nel 1930. Questo dà ulteriore impulso alla edificazione del complesso sacro che comprende una basilica maggiore, intitolata a Nostra Signora di Fatima, e alcuni conventi.

    Il 13 maggio 2000 Giovanni Paolo II a Fatima ha beatificato Francesco e Giacinta, morti rispettivamente nel 1919 e nel 1920. Lucia, entrata nel 1925 nel convento della Dorotee, si trasferisce nel 1948 nel monastero di Coimbra. Suor Lucia è morta nel 2005.

    Seguendo il criterio evangelico del “vieni e vedi”, anche questa volta vi invito a seguirmi in questo particolare pellegrinaggio spirituale verso Fatima, raccontandovi quanto ho visto quando mi ci sono recato, insieme ad alcuni amici, alcuni anni or sono. Anzitutto bisogna precisare che il cuore del complesso sacro, che negli anni è venuto ampliandosi notevolmente, è la Cappellina delle Apparizioni. In essa si venera la statua che è opera dello scultore José Ferreira Thedim e che è fatta in legno, precisamente con cedro proveniente dal Brasile, misurando 1,10 mt di altezza. Posta nella cappellina il 13 giugno 1920, nel corso delle celebrazioni solenni è incoronata con una corona realizzata a Lisbona da 12 artisti che vi lavorarono gratuitamente per 12 mesi, fino a fabbricare il prezioso monile – arricchito da 313 perle e 2679 pietre preziose – offerto il 13 ottobre 1942 dalle donne portoghesi come ringraziamento per la mancata inclusione del Portogallo nel secondo conflitto mondiale. In essa è incastonata la pallottola che, utilizzata per colpire il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nel corso del fallito attentato del 13 maggio 1981, fu offerta dallo stesso Santo Padre come ringraziamento alla Regina del Rosario per la protezione accordatagli.

    Se la cappellina è il cuore del santuario, non si può però trascurara la basilica vera e propria. Iniziata nel 1928, fu consacrata il 7 ottobre 1953. All’interno ospita 15 altari, dedicati ai 15 misteri del Santo Rosario, come omaggio alla dedicazione alla Regina del Rosario. Le bellissime vetrate rappresentano scene delle apparizioni e invocazioni e litanie della Madonna. Sempre in linea con la devozione al Santo Rosario, nella basilica trovano posto le statue dei grandi apostoli del Rosario e della devozione al Cuore Immacolato di Maria: S. Antonio Maria Claret, S. Domenico di Guzmán, S. Giovanni Eudes e S. Stefano di Ungheria. Nel 1952 fu installato nella basilica il monumentale organo da 12.000 canne.

    I veggenti di Fatima: i tre pastorelli Giacinta, Lucia e Francisco.

    I veggenti di Fatima: i pastorelli Giacinta, Lucia e Francisco.

    Il santuario ospita le tombe di Giacinta, Francesco e Suor Lucia.

    La grande spianata dinnanzi alla basilica, sulla quale si effettuano le solenni processioni con la statua della Madonna ogni 13 maggio, conduce fino a un edificio detto della riconciliazione, ove si trovano confessionali e spazi per la meditazione e il raccoglimento, quasi che si volesse dare ai pellegrini l’occasione di prepararsi prima di dirigersi alla cappellina delle apparizioni – sulla sinistra della grande piazza, a circa 200 mt dai confessionali – e successivamente alla grande Basilica centrale. Quando mi trovavo a Fatima sono stato colpito dal fatto che a ogni ora del giorno e delle notte era possibile notare pellegrini che avanzavano in ginocchio lungo una sorta di striscia di marmo lucido che segna la pavimentazione della spianata fino alla cappellina, itinerario penitenziale che permette di compiere un pellegrinaggio nel pellegrinaggio.

    A tre km circa dalla basilica è possibile ripercorrere il cammino dei pastorelli, rivivendo le atmosfere e i luoghi dell’epoca, immergendosi nella campagna – brulla e sassosa – limitrofa al complesso sacro del santuario. La povertà del luogo è una ulteriore conferma di come la Madonna scelga davvero le persone e le situazioni più umili per rivolgere i suoi messaggi d’amore all’umanità…

    Questi i tratti principali del santuario, in sintesi. Proviamo ora a ripercorrerne in dettaglio alcune tappe dei fatti, per cogliere il cuore del messaggio che, consegnato al popolo portoghese in quel 1917, tocca ancora noi oggi. E facciamo questo privilegiando quello già adottato nel libro pubblicato qualche tempo fa con Padre Livio, I segreti di Medjugorje, laddove, nel trattare di Fatima, abbiamo cercato anzitutto di mettere in rilievo gli aspetti salienti di questo ciclo di apparizioni mariane che maggiormente ci permettessero di comprendere il senso dei tempi che stiamo vivendo, collocandoli nella prospettiva della storia della salvezza.

    Potremmo infatti dire che – a partire dalle apparizioni di Rue du Bac, nel 1830, passando per le apparizioni di La Salette (1846), fino a giungere a Fatima – si dipana un contesto di profezie mariane che svelano il progredire del Male e preparano l’uomo alla fase più acuta del combattimento escatologico. Vediamo dunque più da vicino come Fatima possa inserirsi in questo cammino che la Madonna percorre tra gli uomini, in modo particolare nel XIX e XX secolo, per svelare, anticipandoli, i piani del Diavolo che vuole attaccare l’umanità, per portarla alla distruzione e alla morte eterna.

    Rappresentazione della visione profetica della terza parte del segreto di Fatima.

    Rappresentazione della visione profetica della terza parte del segreto di Fatima.

    Ci troviamo dunque in Portogallo, come già ricordato, e nel 1917 la Madonna appare a tre pastorelli – Giacinta, Francesco e Lucia – consegnando loro messaggi e segreti, proprio come già avvenuto per Massimino e Melania a La Salette. Prima di esaminare più da vicino quelli che sono i testi che hanno per noi forse l’interesse profetico più elevato, cioè i segreti di Fatima – o, meglio, il segreto, suddiviso poi in tre parti, che sono state rivelate dalla Chiesa in diversi momenti storici -, vorrei però partire da una parte del messaggio pubblico che ritengo carico di valore profetico.

    Quando pensiamo a Fatima abbiamo infatti presente il messaggio della Vergine, fatto di richiamo alla conversione, alla penitenza, al sacrificio per i peccatori, alla preghiera, e tutto questo in perfetta continuità con le apparizioni mariane da Rue du Bac in avanti. Però non dobbiamo dimenticare che prima delle apparizioni del 1917 i pastorelli ricevono un dono particolare, quasi di preparazione, che è la visita dell’Angelo della Pace, nel 1915, cui già abbiamo accenato. Questo Angelo comunica loro una preghiera che credo possa anticipare, svelare, quello che sarebbe stato poi tutto il secolo a venire: «Mio Dio, credo, adoro, spero e vi amo, domando perdono per tutti quelli che non credono, non adorano, non sperano, e non vi amano». Ecco, in questa piccola preghiera, che più volte i pastorelli fin da allora useranno ripetere, sembra quasi adombrarsi il rischio della perdita della fede, che sarà poi un segno distintivo del periodo del combattimento escatologico e dello scatenamento del male.

    Quanto sia rischiosa la perdita della fede lo si capisce poi semplicemente richiamando alla memoria l’esortazione evangelica di Gesù: «Se non vi convertite, perirete tutti» (Lc 13, 3). Questo drammatico ammonimento lega una catastrofe spirituale (la mancanza di conversione) ad una catastrofe materiale (la morte), come espressione non tanto del potere punitivo del Signore – che domina la storia e il mondo – quanto piuttosto della sua misericordia: se infatti il male non fosse sanzionato da conseguenze negative, ecco che ciascuno di noi si sentirebbe ancora più attratto dal peccato, scivolando in breve verso la perdizione eterna. In fondo, è quanto abbiamo visto anche nel caso di La Salette, quando la Madonna dice: «Se non vi convertirete, il grano diventerà polvere».

    Allora, dobbiamo saper leggere le vicende umane nella loro connessione con gli avvenimenti spirituali. Il mondo tronfio di oggi, che nel nome della scienza umana pretende di fare a meno di Dio, pecca di presunzione, rinnovando la vana pretesa del volo di Icaro, allorché l’uomo voleva, con ali fatte di cera, raggiungere il cielo. Ma le ali si sono sciolte e l’uomo è precipitato. Ecco: la presunzione di essere padroni del mondo porta alla catastrofe. Proprio in collegamento con gli ammonimenti di La Salette, anche a Fatima l’Angelo ci mette su questa dimensione d’onda, dicendoci di fare attenzione all’ateismo, alla perdita della fede, all’apostasia, poiché creano le premesse che ci han portato prima a due conflitti mondiali e, ora, al pericolo dell’autodistruzione.

    È dunque nell’ottica spirituale che vanno compresi i fatti del mondo e le possibili conseguenze materiali: in fondo l’Angelo della Pace annuncia proprio il rischio della perdita della fede, ponendo subito al centro quella che è la questione decisiva, cioè il conservare la fede.

    Credo che, nella stessa ottica, le tre parti del segreto di Fatima mettano in evidenza proprio quelle che sono le conseguenze di ordine spirituale più importanti. A beneficio dei nostri ascoltatori, vorrei dunque presentare la prima parte di questo segreto, che è la visione dell’Inferno. Scrive dunque Suor Lucia:

    «La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio, portate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demoni si riconoscevano dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri. Questa visione durò un momento. E grazie alla nostra buona Madre del Cielo, che prima ci aveva prevenuti con la promessa di portarci in Cielo (nella prima apparizione), altrimenti credo che saremmo morti di spavento e di terrore».

    San Giovanni Paolo II e suor Lucia dos Santos.

    San Giovanni Paolo II e suor Lucia dos Santos.

    Si tratta di un drammatico richiamo al rischio estremo che si corre nel continuare da impenitenti a perseverare nella via del male. Un rischio che è tanto maggiore se si cconsideracome oggi sia mancante nella Chiesa una specifica catechesi sull’Inferno che sia teologicamente fondata, rispettosa delle parole di Cristo e dei pronunciamenti dei Concili e del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ci sono autorevoli vescovi che hanno dichiarato che su questo punto si parla troppo poco, e giustamente, mentre dalla parte opposta abbiamo una sorta di contro-catechesi ad opera di teologi e predicatori che tendono a eliminare l’Inferno dalla prospettiva della teologia.

    Se dovessimo parlare di una odierna “lobby anti-infernista”, potremmo dire che essa si esprime non sempre in attacchi espliciti al dogma dell’Inferno, limitandosi a volte a seminare dubbi, insistendo sul fatto che non possiamo dire quanti o chi siano all’Inferno. Se questo è vero, è però indubitabile che la via che percorrono quelli che vanno all’Inferno sia molto larga, come dice il Signore. Allora, potremmo anche mettere in dubbio che Giuda, per fare un caso estremo, sia all’Inferno, benché le parole del Vangelo: «Sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato» (Mt 26, 24) siano tali per cui io non vorrei mai essere nei suoi panni. Ma non possiamo dubitare che all’Inferno ci siano degli uomini, oltre ai demoni, secondo quanto dice Gesù stesso: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25, 41). Negare questa certezza di fede significa oscurare la verità, ecco perché è una grave colpa passare sotto silenzio la realtà dell’Inferno. Neppure si dovrebbero tacere le condizioni per cui si va all’Inferno, perché il Catechismo della Chiesa Cattolica dice chiaramente che uno che muore impenitente, anche con un solo peccato mortale, non si salva. Ma deve essere ben chiaro cos’è l’impenitenza: essa consiste nel rifiuto radicato della Divina Misericordia per cui anche all’ultimo istante si resiste all’amore di Dio, scegliendo l’Inferno.

    Tutte queste sono verità di cui oggi sempre meno si parla e sempre più si dubita, per quanto con papa Francesco si debba registrare una importante inversione di tendenza poiché sovente il Pontefice affronta il tema “demonio” o “inferno” nelle sue catechesi. Ma sono pochi i sacerdoti e i pastori che lo imitano, per cui non mi meraviglio che la Madonna – già un secolo fa – a Fatima abbia ribadito evangelicamente la verità dell’Inferno. «Molte anime vanno all’Inferno, perché non c’è nessuno che prega per loro»: Maria ci dice che proprio questo oscuramento della verità sull’Inferno allarga la via delle anime che vanno all’Inferno, perché non ci si prepara più al combattimento spirituale, non si prega più perché la gente non vada all’Inferno. Questo severo ammonimento sulla realtà dell’Inferno contraddistingue le moderne apparizioni mariane poiché questo è in particolare il tempo in cui le anime vanno all’Inferno.

    Come ha detto Giovanni Paolo II, il mondo d’oggi rischia il peccato dall’impenitenza finale, perché dicendo che non c’è Dio, oscurandosi la Fede, dicendo che non c’è il peccato, dicendo che l’Uomo è padrone del mondo, uno muore impenitente, muore senza chiedere il perdono dei peccati. Questo non succedeva nel Medioevo, quando c’era la fede, quando c’erano grandi peccatori, ma anche grandi penitenti, perché comunque il peccato era rischiarato dalla fede, c’era la malvagità ma comunque sotto il cielo della fede che portava alla Penitenza. Oggi invece c’è la malvagità sotto il cielo dell’incredulità che porta all’impenitenza e quindi al pericolo dell’Inferno: ecco perché la Madonna sottolinea così fortemente la presenza dell’Inferno, ripetendo all’uomo che un mondo senza Dio significa che non c’è né felicità, né salvezza eterna, ma anzi porta con sé l’Inferno già su questa terra.

    Il silenzio sull’Inferno fa parte di quel falso profetismo che viene denunciato da Gesù nel Vangelo e che in fondo rappresenta un volto dell’inganno Satanico, una parte dell’Impostura anticristica. Lo ha capito bene Giovanni Paolo II quando ha detto: «L’umanità è giunta al bivio della vita e della morte»; in fondo è quello che diceva anche la Madonna a Fatima. Nell’attuale momento storico, ritengo che l’umanità abbia scelto decisamente la via della morte, perché ha scelto la via dell’incredulità, e su questa strada rischia l’autodistruzione. La Madonna a Fatima evidenzia dunque quella che è la sua più grande preoccupazione, cioè che noi viviamo il tempo dello scatenamento Satanico, in cui molte anime rischiano la Perdizione Eterna. Il drammatico paradosso è che siamo in tempi in cui l’Inferno rischia di riempirsi, mentre mai come in questo tempo si è detto che l’Inferno, se c’è, è vuoto!

    In questo momento di grave rischio di dannazione per l’umanità, credo che un ruolo importante giochi proprio l’invito della Madonna a fare molta attenzione perché l’Inferno ce lo costruiamo già noi su questa terra. A questo proposito penso che la seconda parte del segreto di Fatima sia illuminante, perché fa capire le conseguenze del peccato degli uomini. Scrive infatti Lucia:

    «In seguito alzammo gli occhi alla Madonna che ci disse con bontà e tristezza: Avete visto l’Inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace. La guerra sta per finire (è vero, termina infatti nel 1918, ndr); ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il Pontificato di Pio XI (che sarà Papa dal 1922, dopo Bendetto XV, ndr) ne comincerà un’altra ancora peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta (il cielo rosso fuoco visibile nella notte tra il 24 e 25 gennaio 1938, ndr), sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre. Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace».

    È un messaggio dal grande valore profetico, anche per l’effettivo riscontro storico delle predizioni in esso contenute. La Madonna non si limita a svelare il combattimento escatologico, ma ne indica, diciamo così, anche i protagonisti: abbiamo la Russia da una parte, il Santo Padre dall’altra. E ne indica anche le fasi e gli eventi, entrando addirittura in particolari – ad esempio nominando Pio XI quando ancora non si sapeva che Achille Ratti avrebbe assunto tale nome salendo al soglio pontificio nel 1922, dopo Benedetto XV – che hanno uno straordinario valore profetico e ci fanno capire il profondo dominio del futuro da parte di Dio, oltre a costituire un elemento di veridicità di queste apparizioni.

    Vaticano, 13 maggio 1981: attentato a Giovanni Paolo II.

    Vaticano, 13 maggio 1981: attentato a Giovanni Paolo II.

    Vorrei però mettere in rilievo il tema del castigo divino, su cui spesso si corre il rischio di pericolosi fraintendimenti. Quando la Madonna dice che Dio punirà il mondo per mezzo della guerra, non dobbiamo dimenticare che sono gli uomini all’origine di ogni conflitto armato. La guerra dunque è un castigo di Dio nel senso che è causata dall’uomo che, rifiutando Dio, cade in preda all’odio e alla malvagità. Il Cielo vuole evitare questa guerra, per cui la Madonna profetizza: «Se non vi convertirete, ci sarà una guerra», preannunciando le conseguenze del peccato e dell’impenitenza. La Vergine non si limita a mettere in guardia l’umanità del rischio che sta correndo, ma offre altresì la possibilità di evitare la guerra attraverso la consacrazione della Russia al Suo Cuore Immacolato. Ecco, avremmo potuto evitare la Seconda Guerra Mondiale se la Russia si fosse convertita, e non perché Dio avrebbe arbitrariamente sospeso il corso delle vicende umane, ma perché questo riavvicinamento degli uomini a Dio avrebbe di per sé impedito l’esplosione del conflitto.

    Confrontando gli avvenimenti di allora con i nostri tempi, dobbiamo rilevare che il segreto di Fatima si colloca in un tempo in cui non c’è ancora l’odierna potenza atomica, per cui la Seconda Guerra Mondiale si è fermata proprio allo scoppio di due bombe atomiche, evitando però l’autodistruzione del mondo. Oggi invece, se ci fosse un’altra guerra globale sarebbe l’ultima, sarebbe la fine del mondo.

    Se non si deve tacere la drammatica prospettiva che abbiamo appena presentato, occorre però non dimenticare il contesto in cui emerge la consapevolezza di questi rischi: è la Madonna che è venuta a Fatima ad avvisare l’umanità – mettendola in guardia dalla prospettiva di una Seconda Guerra Mondiale, ma dicendo anche chiaramente che il rischio vero è l’Inferno, cioè la morte eterna. Se poniamo mente al fatto che la Vergine, per comando di Dio, si è presentata agli uomini per svelare il piano di Satana – cioè il condurre l’umanità all’autodistruzione materiale e spirituale attraverso la ribellione e il rifiuto di Dio – non possiamo non sentirci confortati. Potrei dire forse che proprio il percorrere insieme a voi le tracce mariane che di volta in volta presento sia proprio un modo per ricordare a me e a voi che se è vero che stiamo camminando su un terreno minato, con il rischio della vita, è anche più vero che la Madonna è qui per avvertirci, per guidarci fuori dalle sabbie mobili, conducendoci sicuri al porto della salvezza.

    La prospettiva alla luce della quale dunque noi camminiamo è quella di un Amore Materno, che è chinato sul cammino del mondo. Sull’iniquità del mondo veglia la Divina Misericordia che ha inviato Maria, Madre di Misericordia, per portare il mondo alla salvezza. Con questa speranza noi camminiamo, sempre pronti comunque alla conversione, alla testimonianza, alla resistenza della fede fino al martirio.

    Dopo aver esaminato le prime due parti del segreto di Fatima – quella sull’Inferno e quella relativa invece alla Seconda Guerra Mondiale all’invito di Maria alla Consacrazione della Russia al Suo Cuore Immacolato – siamo finalmente giunti alla terza parte di questo segreto, che è quella che forse ha suscitato più discussioni e polemiche in passato, perché forse più ricca di elementi profetici. Seguiamo dunque insieme quanto scrisse Suor Lucia in merito:

    «Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti un Vescovo vestito di Bianco – abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre. Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi, i Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio. (Tuy, 3-1-1944)».

    Quando si parla del terzo segreto di Fatima credo che si debba tener presente quello che aveva detto nel 2000 Giovanni Paolo II, quando fu svelato il terzo segreto. Quel giorno, era il 13 maggio, si teneva la celebrazione per la beatificazione di Giacinta e Francesco. Dinnanzi alla piazza del santuario, gremita di pellegrini, il cardinale Sodano enunciava i contenuti fondamentali del terzo segreto, il cui testo sarebbe stato pubblicato di lì a poco. In quell’occasione, per l’omelia Giovanni Paolo II scelse di commentare il brano dell’Apocalisse che descrive la lotta fra la Donna vestita di sole e il Dragone infernale (Ap 12). Ecco, credo che questa sia la corretta interpretazione del terzo segreto di Fatima.

    San Giovanni infatti, alla luce della parola di Dio e con la diretta illuminazione del cielo, ha svelato il senso degli avvenimenti del suo tempo – cioè la grande persecuzione che si stava abbattendo contro la Chiesa da parte dell’Impero Romano – inserendoli nel quadro del grande combattimento escatologico fra le forze del Bene – cioè Cristo vincitore del male e della morte, e Maria al suo fianco in quanto Corredentrice e Regina – e l’impero delle Tenebre. Come ha fatto San Giovanni, occorre inserire in questa prospettiva escatologica i contenuti dei segreti di Fatima, altrimenti se ne perde il vero significato. Certo, questo conflitto che precede la venuta di Cristo nella Gloria ha già comunque la sentenza finale che è la vittoria di Cristo Risorto e il Giudizio finale, di cui parla l’Apocalisse e di cui parla anche Gesù Cristo nei Vangeli: alla fine dei tempi, il Diavolo e le bestie, e tutti i loro seguaci verranno gettati nello stagno di fuoco e di zolfo, con tutti i malvagi. In questa prospettiva, Maria, profetessa degli ultimi tempi, ci svela il combattimento che è in atto, affinché ne siamo coscienti e attivi protagonisti.

    In questo disvelamento del piano satanico, Maria offre indicazioni storiche concrete, che nel tempo acquistano sempre più forza a mano a mano che si realizzano. Dinnanzi alla predizione del Comunismo, negli anni Trenta molti ebbero a lamentare l’assenza di una profezia sul Nazismo. Eppure abbiamo visto quanto è successo: il Nazismo è stato spazzato via in pochi anni, mentre il Comunismo si è diffuso nel mondo, impregnando l’umanità di una visione atea e materialistica. Quindi la Madonna aveva ragione a puntare il dito sul comunismo sovietico, che ha prodotto conseguenze più nefaste e perduranti, provocando oltre cento milioni di morti.

    "Finalmente, il mio Cuore Immacolata trionferà"

    “Finalmente, il mio Cuore Immacolata trionferà”

    Mentre la Madonna esorta a guardarsi dallo scatenamento diabolico, al tempo stesso assicura che il Suo Cuore Immacolato trionferà. Questa è la grande luce che illumina il terzo segreto di Fatima: il combattimento escatologico viene rivelato in tutta la sua drammaticità, ma ci viene altresì ricordato che la vittoria finale è (già) di Dio.

    Il sangue dei martiri, di cui si parla nel testo che abbiamo appena letto, è quello che Dio chiede alla Chiesa perché si salvino la anime dall’Inferno, quindi la persecuzione della Chiesa, come la persecuzione di Cristo, è una persecuzione Redentrice ed è permessa da Dio per salvare le anime. Il sangue dei martiri è dunque la chiave per comprendere il terzo segreto, poiché in virtù di questo sangue fedele la Madonna ferma la spada di fuoco dell’Angelo e il mondo evita il castigo divino. Questo significa che il sangue dei martiri è l’antidoto a quell’umanità perversa e corrotta che, mettendo se stessa al posto di Dio, genera l’Inferno sulla terra. Mi torna in mente un’espressione di Benedetto XVI: «Togliete Dio dalle prigioni dove l’hanno rinchiuso». Ecco, mentre Satana è sciolto dalle catene, Dio è chiuso in prigione, per opera dell’uomo che vuol prendere il posto di Dio. Quindi quando la Madonna ferma la spada di fuoco evita la distruzione del mondo, non intesa come arbitrario castigo divino, ma come l’autodistruzione che l’umanità impenitente infligge a se stessa.

    Tornando alla promessa del trionfo del Cuore Immacolato di Maria, da più parti si lamenta il fatto che, crollato il comunismo e tornata la fede in Russia, di tale trionfo non se ne scorge traccia. A questi io ribatto che il crollo del Comunismo sovietico è una grandissima vittoria della Madonna, come pure lo è il fatto che il mondo sia sopravvissuto fino a oggi. Questi sono indizi del trionfo del Cuore Immacolato di Maria che va compiendosi nella storia.

    Ma è una storia in cui il mistero di Iniquità è drammaticamente scatenato. Ricordiamoci i due volti di Satana come li descrive il Vangelo di Giovanni: menzognero e omicida fin dal principio (Gv 8, 44), il Diavolo diffonde il proprio fumo ingannatore anche nella Chiesa, oltre che nel mondo con la dittatura del relativismo, spargendo semi di menzogna. L’inganno più letale è che l’uomo può salvarsi da solo, senza Dio. Un tempo c’erano le eresie, che confondevano i tratti del Cristo Redentore, sul cui ruolo fondamentale però non si dubitava; adesso invece l’impostura mira ad eliminare completamente la figura del Salvatore, facendo dell’uomo il nuovo dio.

    Il secondo tratto satanico è l’omicidio: se guardiamo agli ultimi cento anni notiamo come la guerra sia una caratteristica permanente, con un crescendo di vittime e di potenziale distruttivo delle armi impiegate che fa pensare che la terza guerra mondiale, se ci sarà, sarà senz’altro l’ultima, quella in grado di annientare il mondo. Non dimentichiamoci che la Regina della Pace ha proprio detto che il diavolo vuole distruggere persino il pianeta su cui viviamo, poiché distruggendo l’opera della Creazione e della Redenzione recherebbe spregio a quel Creatore che non può in alcun modo superare. E qui, lo ripeto, si parla della distruzione del mondo, del rischio più grave che l’umanità abbia mai corso, in uno scenario di morte e disfacimento che l’uomo si è costruito con le proprie mani. Ecco, in questa situazione la Madonna ci dice che è venuta a fermare la spada dell’Angelo, cioè la mannaia che noi stessi, scegliendo il peccato e rifiutando Dio, abbiamo sospeso sulla nostra testa.

    Alla luce di tutto questo, mi pare giusto citare le parole dell’allora cardinale Ratzinger che, in un’intervista pubblicata l’11 Novembre 1984 su Jesus, disse che il terzo segreto non era stato ancora pubblicato per «evitare di far scambiare la profezia religiosa con il sensazionalismo». Mi sembra che, nell’opera di menzogna satanica, ci siano dunque questi due estremi: da una parte chi riduce tutto a termini spiritualistici, cioè di pura astrattezza; dall’altro invece chi lancia messaggi apocalittici o catastrofici, fomentando l’ansia e la paura, ma senza incidere sulla reale conversione dell’uomo, ed è il timore che emerge dalle parole di Ratzinger.

    Ora, credo che la menzogna diabolica abbia colpito anche il messaggio di Fatima. Penso a un punto in particolare, sul quale è dovuta intervenire la stessa Suor Lucia. Si tratta dell’invito, che la Madonna ha rivolto, di consacrarle la Russia per evitare una serie di errori e orrori anche ben peggiori. Ebbene, il 13 Maggio 1982, un anno dopo il famoso attentato contro Giovanni Paolo II, e poi il 25 Marzo 1984, il Santo Padre ha consacrato il mondo al Cuore Immacolato di Maria. In particolare nella seconda occasione, in Piazza San Pietro, davanti a 250.000 fedeli presenti, Giovanni Paolo II disse: «Illumina specialmente quei popoli di cui tu aspetti la nostra consacrazione e il nostro affidamento». Bastarono queste poche parole – «aspetti la nostra consacrazione» – per far dire ad alcuni: ecco, allora la Consacrazione in realtà non è stata ancora fatta, non è stata ancora compiuta.

    Si sono aperti ampi dibattiti, al punto che è dovuta intervenire Suor Lucia con un opuscoletto pubblicato dalle edizioni Carmelo di Coimbra, che si intitola Come vedo il messaggio nel corso del tempo e degli avvenimenti, in cui si trova il seguente brano:

    «Questa promessa di pace si riferisce alle guerre promosse in tutto il mondo dagli errori diffusi dalla Russia. Questa consacrazione è stata fatta pubblicamente dal Santo Padre Giovanni Paolo II a Roma, il 25 marzo 1984, davanti alla statua della Madonna che si venera nella Cappellina delle Apparizioni in Cova d’Iria a Fatima. Il Santo Padre – dopo aver scritto a tutti i vescovi del mondo chiedendo che si unissero a lui in quest’atto di consacrazione che stava per realizzare – la fece portare a Roma, di proposito, per mettere bene in evidenza che la consacrazione che stava per compiere dinnanzi a questa statua era quella richiesta dalla Madonna a Fatima».

    Ora, nessuna persona ha più autorità di Lucia per dire se la consacrazione è valida o non è valida, quindi atteniamoci a quello che dice Suor Lucia, anche perché se la Madonna l’ha tenuta in vita per così tanto tempo – rispetto a Giacinta e Francesco che sono invece morti in tenere età – è perché voleva fare di lei la sua messaggera. Ritengo che Lucia, oltre a essere una veggente e una religiosa, è anche una figura di valore come donna, è straordinaria, fedele, combattiva. Aggiungo questo per ribadire che non c’è dubbio che la consacrazione, se Suor Lucia ha detto così, è stata fatta secondo la richiesta della Madonna.

    Il problema di maggior rilievo non è se la modalità con cui è stata fatta la consacrazione, quanto piuttosto capire perché Dio ha voluto che fosse consacrata la Russia alla Madonna, ispirando poi la consacrazione a Maria del mondo e del nuovo millennio. Dio ha voluto tale consacrazione per far capire che il mondo, al di là di tutti i falsi ottimismi diffusi dalle menzogne diaboliche, corre il serio pericolo di cadere preda dei piani satanici. Quindi la Madonna, che è incaricata da Dio di schiacciare la testa al serpente, per vincerlo, è Colei cui l’umanità tutta deve affidarsi, consacrandosi al Suo Cuore Immacolato. Sul capo di ogni uomo grava infatti una mannaia, una spada di fuoco, che è il rischio dell’autodistruzione del mondo: dietro a tutto questo c’è Satana, ci sono le porte dell’Inferno, da cui ci salva Maria per incarico di Dio. Ecco perché la Madonna raccomanda la consacrazione: perché è la via di salvezza che Dio stesso ha scelto, come preannunciato fin dal protovangelo della Genesi in cui la Donna si oppone al serpente. Di questo era ben consapevole Giovanni Paolo II che, ispirato dal cielo, ha consacrato anche il terzo millennio alla Madonna.

    Per entrare in quest’ottica sarebbe sufficiente prendere sul serio il monito di Gesù: «Se non vi convertite, perirete tutti» (Lc 13, 3). Infatti, quando chiesero a Pio IX, che ne aveva letti i testi, che cosa contenessero i segreti di La Salette, questi disse proprio che non facevano che riportare quello che c’è scritto nel Vangelo: se l’uomo non si converte, è morto. Notiamo qui una profonda continuità con i messaggi profetici dei segreti svelati dalla Madonna e le profezie bibliche, come ulteriore prova di veridicità delle apparizioni mariane.

    Il monito di Gesù – convertitevi o perirete tutti – è quanto mai vero in questa fase della storia, in cui il mondo corre il rischio dell’autodistruzione. Il rischio è così elevato in questi tempi che la Madonna ha moltiplicato le occasioni per esortare alla conversione: da Fatima ai giorni nostri, passando per Amsterdam, per Garabandal, per Ghiaie di Bonate, per Kibeho… Ecco, questo moltiplicarsi delle apparizioni è un indizio della gravità della situazione presente: o l’umanità si converte e ritorna a Dio, e allora questo secolo sarà un tempo di pace, oppure se si persiste nel voler costruire un mondo nuovo senza Dio non ci sarà futuro, né vita eterna, bensì il fuoco dell’autodistruzione e dell’Inferno. Questo è il bivio di fronte al quale ci troviamo e che Fatima ben preannuncia con l’immagine di Maria che trattiene la spada di fuoco sospesa sul mondo.

    Tornando al tema del trionfo del Cuore Immacolato di Maria, da più parti a un certo punto si obiettò che non si poteva certo scorgere un tale trionfo fintanto che nel mondo c’erano delitti, guerre e malvagità. A questi Suor Lucia, nell’opuscoletto già citato, rispondeva così:

    «Dopo tutto questo (cioè dopo la consacrazione della Russia alla Madonna, ndr) ci sono ancora ciechi che non vedono o non vogliono vedere e dicono: ma ci sono ancora guerre nel mondo e la Madonna ha promesso la pace. Sì, la Madonna ha promesso la pace riguardo alle guerre promosse in tutto il mondo dal comunismo ateo, ma non riguardo alle guerre civili che sempre ci furono e sempre ci saranno fino a quando Dio non trasformerà questo mondo – come disse Gesù Cristo – in una nuova terra e un nuovo cielo. (…) Ma questo giorno non è ancora arrivato, sarà quando Dio lo avrà stabilito, nei piani della sua immensa misericordia. (…) ed è a riguardo di queste guerre (quelle promosse dal comunismo ateo, ndr) che la Signora dice che il suo Cuore Immacolato trionferà (…) Vedo nel messaggio come una preparazione per liberare il popolo di Dio dalla maggiore eresia apparsa nel mondo (il comunismo, ndr) (…) e liberarlo dal pericolo di una guerra nucleare (atomica) che avrebbe distrutto gran parte dell’opera creatrice e redentrice di Dio: il suo popolo scelto per la vita eterna».

    Credo che Suor Lucia, benché fosse reclusa nel Carmelo, sapesse leggere la storia molto meglio di tanti analisti di politica internazionale. Al di là delle sue giuste precisazioni rispetto alla consacrazione e alle conseguenze del comunismo, come si potrebbe obiettare che la Madonna non ha mantenuto le sue promesse? Chi un po’ conosce la storia sa benissimo che tutti gli sconvolgimenti politici sono avvenuti con massacri immani. Bene, quando è crollato il Comunismo sovietico – un impero che controllava mezzo mondo, che aveva armi nucleari da distruggere tutta la terra, che sembrava immortale – esso è caduto come sono cadute le mura di Gerico al suono della tromba, senza che si scatenasse quel terzo conflitto mondiale che ovunque si temeva.

    Giovanni Paolo II nel suo Testamento ringrazia Dio perché ha salvato il mondo dalla distruzione, per ora, facendo cadere il comunismo senza che ci fosse spargimento di sangue. E dopo questo, ecco che si sono liberate tutte quelle Chiese a lungo soggiogate e adesso la fede sta rifiorendo. Certo, ci vorrà tempo per guarire le ferite, ma intanto i segnali di pronta ripresa già ci sono: tutti i Paesi dell’Est hanno i seminari pieni, mentre noi all’Ovest, liberi da ogni dittatura politica, siamo stati sedotti da Satana, dal mentitore, e l’ateismo l’abbiamo scelto democraticamente, con il risultato che le vocazioni sono calate ovunque in maniera drammatica.

    Ma per scorgere tutto questo occorre un grande discernimento e una lettura della storia alla luce della fede. Ma non dobbiamo avere paura: la Madonna conosce il cuore dell’uomo e sa quello che si prepara per l’umanità, occorre solo fidarsi. In quest’ottica l’immagine del Santo Padre colpito a morte, che si ritrova nel testo del terzo segreto, appare già una chiave di lettura delle presenti persecuzioni contro la Chiesa, per quanto non si possa escludere, al di là di questa lettura simbolica, che la visione conservi anche un carattere profetico destinato specificamente a compiersi sulla scena della storia.

    Per concludere l’esame delle apparizioni di Fatima, possiamo dire che la Madonna prepara dunque con la sua intercessione l’intervento in aiuto dell’umanità sofferente e della Chiesa perseguitata, ma il mondo – e noi stessi – spesso neppure se ne accorge. Alla luce di quello che è veramente il cuore del messaggio di Fatima, dobbiamo sentirci richiamati senz’altro all’urgenza della conversione di ogni giorno, alla preoccupazione sincera per quello che è il nostro futuro, ma al tempo stesso siamo esortati a confidare sempre con grande speranza in Maria che intercede per noi.

    PREGHIERE DI FATIMA

    Dio mio, io credo, adoro, spero e Vi amo. Io Vi domando perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano, non Vi amano.

    [Prima Preghiera, l’Angelo nella primavera 1916 a Fatima]

    Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, io Vi adoro profondamente e Vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in ripazione degli oltraggi, dei sacrilegi, delle indifferenze da cui Egli medesimo è offeso. Per i meriti infiniti del suo Sacro Cuore e del Cuore Immacolato di Maria io Vi domando la conversione dei poveri peccatori.

    [Seconda Preghiera, l’Angelo nell’autunno 1916 a Fatima]

    O Santissima Trinità, vi adoro! Mio Dio, mio Dio, Vi amo nel Santissimo Sacramento!

    [Terza Preghiera, la Madonna il 13 maggio 1917 a Fatima]

    O Gesù è per amor vostro, per la conversione dei peccatori, ed in riparazione per i peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria.

    [Quarta Preghiera, la Madonna il 13 luglio 1917 a Fatima]

    [Quando reciterete il Rosario dite dopo ogni decina:] Gesú mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia.

    [Quinta Preghiera, la Madonna il 13 luglio 1917 a Fatima]

    Maria, Madre di Gesù e della Chiesa, noi abbiamo bisogno di Te. Desideriamo la luce che s’irradia dalla tua bontà, il conforto che ci proviene dal tuo Cuore Immacolato, la carità e la pace di cui Tu sei Regina. Ti affidiamo con fiducia le nostre necessità perché Tu le soccorra, i nostri dolori perché Tu li lenisca, i nostri mali perché Tu li guarisca, i nostri corpi perché Tu li renda puri, i nostri cuori perché siano colmi d’amore e di contrizione, e le nostre anime perché con il tuo aiuto si salvino. Ricorda, Madre di bontà, che alle tue preghiere Gesù nulla rifiuta. Concedi sollievo alle anime dei defunti, guarigione agli ammalati, purezza ai giovani, fede e concordia alle famiglie, pace all’umanità. Richiama gli erranti sul retto sentiero, donaci molte vocazioni e santi Sacerdoti, proteggi il Papa, i Vescovi e la santa Chiesa di Dio. Maria, ascoltaci e abbi pietà di noi. Volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi. Dopo questo esilio mostra a noi Gesù, frutto benedetto del tuo grembo, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. Amen.

     LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA (07/12/2014)


    [Modificato da Caterina63 11/03/2015 20:25]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 03/01/2016 00:58


    Vogliamo cominciare facendo memoria di una delle più grandi (insieme a Lourdes e a La Salette, perché non è possibile fare paragoni o graduatorie) Apparizioni del secolo scorso a partire non dal solo 1917, ma ben prima, tra il 1915 e il 1916 quando l’Angelo della Pace a Fatima scese dal cielo per preparare i tre Pastorelli all’incontro con Maria.


    È Suor Lucia Dos Santos a raccontare nelle sue memorie che nel 1915, mentre si trovava con alcune compagne (Maria Rosa, Maria Justino e Teresa Matias) a pascolare le greggi presso i possedimenti paterni, aveva visto una misteriosa figura “simile ad una statua di neve”. Fuggita, non volle raccontare nulla ai familiari, cosa che invece fecero le compagne. Fu per questo che Lucia preferì recarsi al pascolo di “Cabeço” con i due cugini, Francisco e Giacinta. Mentre essi si riparavano dalla pioggia e giocavano, era apparsa nuovamente quella figura, “un giovane fra i quattordici e i quindici anni, che il sole rendeva trasparente come se fosse di cristallo”, interpretato come un angelo e precisamente, rivelatosi poi, l’Angelo della pace.


    Questi aveva invitato i bambini a pregare prostrati (in ginocchio e con la fronte chinata per terra) insieme a lui in riparazione delle offese subite da Dio da parte dei peccatori, e in particolare con le parole: “Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima, divinità di Gesù Cristo presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze con cui Egli stesso è offeso, e per i meriti infiniti del Suo Santissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria vi chiedo la conversione dei poveri peccatori”. Lucia narra che sia lei che Giacinta potevano udire le parole dell’angelo, solo a Francisco risultava impossibile: egli ascoltava le parole ripetute dalle due compagne.


    Riapparso nuovamente nell’estate del 1916, si sarebbe rivelato quale Angelo protettore del Portogallo, ordinando ai pastorelli di fare sacrifici per la salvezza della loro patria, devastata dalle guerre civili.


    Nell’ultima manifestazione, l’angelo sarebbe apparso ai tre pastorelli con un Calice e un’Ostia sanguinante tra le mani: porgendo il calice a Francisco e Giacinta, aveva ordinato a Lucia di consumare l’Ostia, invitando a fare sacrifici in riparazione degli oltraggi al sacramento dell’Eucaristia. Scomparso l’angelo, i pastorelli non avrebbero avuto più visioni fino a quelle del 1917 a Cova d’Iria.


    Ora, tutti noi conosciamo la storia di Fatima e delle Apparizioni a grandi linee, conosciamo i travagli del famoso Terzo Segreto di Fatima che, a torto o a ragione - integrale o alterato o dimezzato, è stato comunque disvelato. Ciò che invece farebbe bene a noi meditare è il contenuto di Fatima che deve ancora compiersi con il trionfo del Cuore Immacolato di Maria.


    Se c'è un punto sul quale Maria Santissima è severa, è quello contro certa curiosità... sì, a Maria non piace affatto che si seguano delle Apparizioni per la curiosità dei contenuti o per la strumentalizzazione dei famosi “segreti”, per il “prurito di sentire qualcosa di nuovo”, come ammonisce san Paolo in 2Tim 4,1-5. La Vergine Santissima è così attenta e severa a questi particolari da impedire che il piccolo Francisco possa ascoltare quanto Ella dirà a Giacinta e a Lucia e questo per il semplice fatto che trova Francisco ancora incompleto e perfino “impreparato”, dirà la Madonna: “deve dire ancora molti rosari...”.


    Questa severità del Cielo nei confronti del piccolo Francisco - che è stato poi beatificato - ci deve rammentare sempre quale deve essere il nostro comportamento nei confronti di questi eventi particolari e soprannaturali, deve insegnarci la vera umiltà e discernimento, deve infonderci l’autentico atteggiamento che dobbiamo assumere: silenzio, preghiera, ascolto, sacrificio, fede. Diversamente la Madonna non ci farà ascoltare, né vedere nulla.



    Che cosa sono, dunque, queste Apparizioni? Che cosa comporta questo Centenario? Cosa dobbiamo attenderci? Perché dobbiamo consacrarci al Cuore Immacolato di Maria?


    È fondamentale partire da San Luigi Maria Grignon de Montfort (Montfort-la-Cane, 31 gennaio 1673 – Saint-Laurent-sur-Sèvre, 28 aprile 1716 - presbitero francese, fondatore della Compagnia di Maria e delle Figlie della Sapienza), consacrato anche come terziario domenicano scrisse il famoso “Trattato della Vera Devozione a Maria” e il “Segreto ammirabile del Santo Rosario” con l’annessa Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria anticipando, in questo senso, la richiesta di Maria stessa nelle Apparizioni di La Salette, Lourdes e Fatima.


    28 aprile 1716 ... sì, in questo Anno del Giubileo e a ridosso del Centenario di Fatima, ricordiamo anche 300 anni dalla morte di San Grignon de Montfort e non la riteniamo una casualità.


    Questo “Trattato” è di fondamentale importanza per comprendere tutte le recenti Apparizioni approvate dalla Chiesa, semplicemente perché anticiparono questi eventi. San Grignon de Montfort scrisse questo Trattato intorno al 1712, ma non si sa molto della sua composizione dal momento che rimase sepolto e nascosto per circa 130 anni anzi, fu lui stesso a scrivere dentro al Trattato, come i nemici della Vergine Maria avrebbero occultato e perseguitato i suoi Figli e Figlie, leggiamo questo passo:


    “114. Prevedo molte belve arrabbiate, che arriveranno con furia per strappare con i loro denti diabolici questo piccolo scritto e colui del quale lo Spirito Santo si è servito per scriverlo, o almeno per avvolgerlo nelle tenebre e nel silenzio di un baule, affinché non venga Lui conosciuto; costoro anzi attaccheranno e perseguiteranno quelli e quelle che lo leggeranno e cercheranno di metterlo in pratica. Ma non importa! Anzi, tanto meglio! Questa previsione mi incoraggia e mi fa sperare un grande successo, cioè una grande schiera di valorosi e coraggiosi soldati di Gesù e di Maria, dell'uno e dell'altro sesso, per combattere il mondo, il demonio e la natura corrotta, nei tempi difficili che sempre più si avvicinano! «Chi legge comprenda». «Chi può capire, capisca» (Trattato della Vera Devozione a Maria)”.


    La profezia del Montfort è chiarissima e, soprattutto, la stiamo vivendo noi oggi contro la schiera dei nemici della Vergine Santa che sono tutti coloro che si oppongono alle sue Apparizioni (almeno quelle approvate), si oppongono ai Suoi Appelli e Messaggi, ai Suoi moniti e richiami. Ecco allora il “Totus tuus ego sum”, tutto Tuo io sono


    La Salette, Fatima, Lourdes ed altre moderne Apparizioni, che seppur talune non confermate dalla Chiesa sono però approvate dai vescovi del luogo come Anguera in Brasile, o quelle dal 2009 a Brindisi (la Vergine della Riconciliazione) dove sembra che il vescovo del luogo le stia accettando avendo affiancato al veggente alcuni sacerdoti, insomma da tutte queste Apparizioni appare evidente come la profezia del Montfort si stia realizzando pienamente: la Vergine Santa aveva promesso e annunciato che Lei personalmente avrebbe dato origine a gruppi di Preghiera del Rosario e a Veggenti che istruiti da Lei avrebbero così messo riparo al fatto che troppi sacerdoti non insegnano più il vero Vangelo, non più la sana dottrina e la Madonna è in ansia e preoccupata di questo abbandono dell'ortodossia, dunque, guidando Lei in persona questi gruppi sparsi nel mondo, fare in modo che in qualche modo il vero Messaggio del Vangelo possa raggiungere tutte le anime di buona volontà, anime davvero umili e povere in spirito.


    Il perché sia necessario e proficuo consacrarsi al Cuore di Maria è presto detto, lo spiega bene il Monfort sempre nel “Trattato”:


    “119. Poiché la sostanza di questa devozione consiste nell’interiorità che deve formare, essa non sarà compresa da tutti nella stessa misura: alcuni si fermeranno a quanto essa propone di esteriore e non andranno oltre, e saranno i più; altri, un piccolo numero, arriveranno alla sua interiorità, ma non vi saliranno che un gradino. Chi salirà al secondo? Chi arriverà fino al terzo? E infine chi vi dimorerà in modo stabile? Solo colui al quale lo Spirito di Gesù Cristo rivelerà questo segreto. Sarà lui a guidare l’anima fedele, per farla avanzare di virtù in virtù, di grazia in grazia e di luce in luce, per arrivare fino alla trasformazione di se stessi in Gesù Cristo e alla pienezza della sua età sulla terra e della sua gloria in cielo...”.



    Queste “guide” di cui parla il Montfort sono state, fino ad oggi, tutte anime consacrate al Cuore di Maria. Basti pensare alla Veggente di La Salette, Melania Calvat consacrata a Maria e terziaria domenicana, la stessa Bernadette di Lourdes consacrata a Maria mediante la Medaglia miracolosa, i Pastorelli di Fatima che dopo le istruzioni della Madonna del Rosario si consacrarono al Suo Cuore Immacolato; basti pensare a san Padre Pio fondatore dei primi Gruppi di Preghiera così come li voleva la Madonna ed egli stesso consacrato al Suo Cuore Immacolato; la stessa Madre Teresa di Calcutta – a breve sarà canonizzata – era consacrata a Maria tanto che ha stabilito nello Statuto della Congregazione da lei fondata che tutte le Suore devono uscire dalla casa nel prestare l’opera di carità recitando il santo Rosario... e così questi giovani Veggenti del nostro tempo sono tutti consacrati al Cuore di Maria.


    Le Apparizioni mariane di questi Tempi e del passato nulla hanno aggiunto ai Vangeli e nulla vi hanno tolto anzi, riportano proprio ciò che una certa teologia modernista nella Chiesa sta oggi cercando di cancellare. La Vergine Santa, insigne Dottore della Chiesa, Regina dei Santi e degli Apostoli, Regina dei Confessori e degli stessi Dottori della Chiesa, sta facendo e sta svolgendo il ruolo di quei tanti sacerdoti che oggi non operano più come dovrebbero, non insegnano più la dottrina, non insegnano più i Sacramenti, non insegnano più la vera devozione... Ella, quale Madre premurosa, sta intervenendo per prepararci non ad una catastrofe, al contrario, ad un evento che per chi crede non può che essere gioioso e di vittoria: il Suo trionfo, il trionfo e la vittoria di Cristo Re.


    Ma quale è questa necessità per la quale sembra impossibile accedere a Dio senza Maria? Non è un eccesso questo? NO! non è un eccesso se lo leggiamo come spiegato bene dal Monfort quando dice, sempre nel “Trattato”:


    Ogni volta che tu pensi a Maria, è Maria che pensa a Dio al tuo posto; quando tu lodi e onori Maria, Maria con te loda e onora Dio. Maria è tutta relativa a Dio e potrei dire: ella è la relazione a Dio, che esiste solo in rapporto a Dio; è l’eco di Dio, che non fa che ripetere Dio. Se tu dici Maria, ella risponde Dio. Santa Elisabetta lodò Maria e le disse beata per aver creduto; Maria, eco fedele di Dio, intonò: «L’anima mia magnifica il Signore». Ciò che Maria ha fatto quella volta, lo fa tutti i giorni; quando la si loda, la si ama, la si onora, o ci si dona a lei, è Dio che viene lodato, Dio che è amato, Dio che è onorato ed è a Dio che ci si dona per mezzo di Maria e in Maria...”.


    Cosa sta cercando di dirci la Vergine Santa? Intanto ci sta mettendo in guardia dal baratro che non vediamo e dove ci stiamo per cadere inesorabilmente... così dice da Anguera (apparizioni ancora attive e accettate dal Vescovo del luogo che le sta seguendo):


    “Cari figli, date al Signore la vostra esistenza. Non vivete fermi nel peccato. Pentitevi con sincerità e tornate a colui che è il vostro unico e vero Salvatore. Assumete il vostro vero ruolo di cristiani. Con i vostri esempi e parole, testimoniate che state nel mondo, ma non siete del mondo. L’umanità percorre le strade dell’auto-distruzione che gli uomini hanno preparato con le proprie mani. Sono vostra Madre. Quelli che resteranno fedeli fino alla fine, nella grande tribolazione saranno protetti. Verranno giorni difficili per gli uomini e le donne di fede. Momenti di gioia diventeranno di lacrime per molti. Inginocchiatevi in preghiera. Qualunque cosa accada, restate con Gesù...” (messaggio del 01-12-2015).


    Interessante, tra i tanti, è un passo del Messaggio del 2011 da Brindisi:


    “Il Mio Cuore sanguina per i figli ministri corrotti e corruttori. Invece di portare anime al Mio Divin Figlio Gesù, loro le allontanano e con preferenza di persone e durezza di cuore, escludono e criticano tutti i Miei veri figli che amano la preghiera, la penitenza, la riparazione eucaristia e che Mi imitano nell’esercizio delle sante virtù cristiane con una vita santa, quale antidoto al veleno dell’Antico Serpente. Insultano e allontanano dal Mio Cuore Immacolato tutti i figli che amano le Mie Apparizioni e corrispondono ai Miei Ultimi Appelli, non avendo compreso che Io sono l’Arca della Salvezza Eterna e chi si rifugerà nel Mio Cuore Materno sarà preservato da ogni male e pericolo dell'anima e del corpo”.


    E ancora dice:


    “Figli Miei, i tempi dell'apostasia e dell'Anticristo giungono e vedrete marcire i fiori più belli della Santa Casa e udrete eresie mai udite prima, talmente il Malefico avrà conquistato i loro cuori. Tutto ciò attirerà grandi flagelli, poiché l'abominio si vedrà proprio nei luoghi santi. I flagelli si susseguiranno velocemente. Molti paesi spariranno, poiché terribili terremoti li inghiottiranno. Diverse città saranno sommerse dall'acqua e il fango trascinerà con sé migliaia di persone. Terribili uragani distruggeranno case e palazzi e cadranno anche le opere più ammirate dagli uomini, poiché il fuoco incendierà alcune città, e tali opere costruite dall'orgoglio dell'uomo saranno distrutte.


    Giungeranno i Tre Giorni di Buio su tutta l'umanità e sarà allora che si compirà il Grande Castigo Divino, annunciato già da tempo per bocca di tutti i Miei confidenti per purificare la Terra. In quei Tre Giorni di Buio, in cui la Terra conoscerà l'oscurità, ogni luce terrestre e ogni fonte di luce sarà rapidamente estinta e si sentiranno le urla, poiché gli avversari dell'Agnello Divino saranno annientati per la loro empietà. L'oscurità avvolgerà le Nazioni e il sole non darà luce per Tre Giorni e tali giorni vi ricorderanno i tre giorni di morte di Cristo; poi verrà la Luce e la Pace.


    Anche il Vaticano sarà messo a dura prova, a motivo dei ministri corrotti giunti sino alla Santa Sede di Pietro. Il Santo Padre soffrirà e verserà lacrime, poiché conoscerà fino in fondo cosa avviene tra le Sacre Mura di Roma, ma manterrà il segreto di ciò che vedrà, non comunicandolo a nessuno, ma invocherà la Misericordia del Padre e resterà attorniato da lupi rapaci; che ambiscono unicamente al potere e alla distruzione del Vangelo. Ciò che il Vicario di Cristo vedrà lo terrà per sé, altrimenti sareste uccisi dentro e la fede vi sarebbe spenta. Le Mura di Roma gronderanno sangue.


    La Bestia prenderà potere grande e perseguiterà il Vicario di Cristo e cercherà di distruggere tutto e portare disordine e fratture all’interno della Santa Casa e vorrà mettere a morte tutti coloro che adoreranno l’Agnello e invocheranno il Suo Santo Nome...” (Messaggio del 28 aprile 2011).



    In tutte queste Apparizioni nell’arco di due secoli e terzo con il Nuovo Millennio che stiamo vivendo oggi, ci sono alcuni punti intrecciati tra loro, fusi, anzi, un unico messaggio che continua a ripetersi instancabilmente da una Apparizione all’altra:


    1. la conversione dei cuori, la vera conversione e dunque la Confessione dei peccati;


    2. la preghiera, la preghiera del Rosario, i Sacramenti, adorazione Eucaristica, la Santa Messa liberata da ogni abuso e da ogni personalismo;


    3. la denuncia dei peccati (non dei peccatori), discernimento di ciò che è peccato e chiamarlo per nome per abbatterlo e distruggerlo, per vincerlo;


    4. Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria;


    5. la fedeltà alla vera Chiesa di Cristo che ha quale guida il Sommo Pontefice, non esiste altra chiesa, spiega spesso la Vergine Santa. Un conto sono i ministri traditori ai quali penserà Dio la giusta punizione se non si convertiranno, altra cosa è che nonostante l'infedeltà di tanti ministri noi dobbiamo rimanere fedeli alla Chiesa e al Papa, pregando per lui e per tutti i sacerdoti;


    6. nessun catastrofismo per l’Anima retta e timorata di Dio, ciò che Maria annuncia è dove l’uomo, abbandonando Dio, sta trascinando il mondo: in quella catastrofe che l’uomo stesso si sta creando con le sue mani, con l’immoralità, con l’abbandonare le Leggi di Dio, con le bestemmie e l’idolatria del danaro e dei nuovi idoli mondani, con gli aborti (che gridano vendetta davanti al trono di Dio) ai divorzi con la distruzione della famiglia, ecc.


    7. la famosa profezia dei tre giorni di buio, per la quale non pochi teologi e marianisti dileggiano e denunciano come falsa, è stranamente però annunciata da molti beati e santi sia del passato quanto del presente, annunciata da Anime timorate di Dio e consacrate al Cuore di Maria. Una profezia che viene ripetuta da tutte le Apparizioni che si rispettano, raccontata magari in modi e toni diversi, ma sempre con la stessa sostanza, non può essere una insulsa coincidenza o una semplice scopiazzatura da un veggente all’altro;


    8. la confusione e l'apostasia dentro la Chiesa è una delle caratteristiche che più unisce l’essenza di tutte queste Apparizioni. Tutte parlano e disegnano una Chiesa divisa al suo interno, apostata, traditrice del Vangelo e dei Comandamenti, in sostanza tutte parlano di una “falsa chiesa” dentro la Santa Chiesa di Cristo, la cui falsità e tradimento è dato dalle false dottrine che da tempo sentiamo e vediamo essere imposte attraverso la pastorale. In tutte queste Apparizioni la Madonna UNISCE i veggenti e i gruppi di fedeli nell'unica ortodossia vera e praticabile dentro la Chiesa, difende la Tradizione catechetica e magisteriale bimillenaria della Chiesa, difende i dogmi e la dottrina. Queste Apparizioni stanno diventando un punto di raccolta fondamentale per quanti vogliono essere e rimanere cattolici sia dentro il cuore quanto nella vita quotidiana. La Madonna insegna e guida questi gruppi nel mondo indirizzando queste Anime laddove sacerdoti e vescovi non fanno più quanto dovrebbero fare;


    9. la richiesta di sacrifici personali, digiuni, silenzi, atti di riparazione costanti, sollecitudine a diventare propagatori dei Messaggi del Cielo;


    10. infine ma non per ultimo, tutte queste Apparizioni sono unite dall'annuncio del trionfo del Cuore Immacolato di Maria, dalla vittoria del Cristo, dalla vittoria della vera Chiesa sulla falsa chiesa.


    “Ti prego di notare – dice il Montfort nel Trattato – ciò che ho detto: i santi sono modellati in Maria. C’è una grande differenza tra lo scolpire un'immagine in rilievo, a colpi di martello e scalpello, e il produrla gettandola in un modello. Gli scultori e gli statuari lavorano molto per realizzare le immagini nel primo modo e impiegano molto tempo; ma nel secondo modo, ci mettono poco tempo e faticano meno. Sant’Agostino chiama la Santa Vergine stampo di Dio, uno stampo adatto a dare forma e a modellare degli esseri divini. Chi viene gettato in questo divino stampo, viene presto formato e modellato in Gesù Cristo e Gesù Cristo in lui: con poca spesa e in poco tempo, diventerà dio, poiché è stato gettato nel medesimo stampo che ha dato forma a un Dio...”.



    Vogliamo concludere questo primo articolo in preparazione al Centenario del 2017 di Fatima, con le parole pronunciate dal Santo Padre Francesco in occasione della Solennità della Madre di Dio di questo primo gennaio 2016, Anno del Giubileo straordinario della Misericordia e apertura dell'ultima Porta Santa, quella della Basilica di Santa Maria Maggiore.


    “La grazia di Cristo, che porta a compimento l’attesa di salvezza, ci spinge a diventare suoi cooperatori nella costruzione di un mondo più giusto e fraterno, dove ogni persona e ogni creatura possa vivere in pace, nell’armonia della creazione originaria di Dio.


    All’inizio di un nuovo anno, la Chiesa ci fa contemplare la divina Maternità di Maria quale icona di pace. La promessa antica si compie nella sua persona. Ella ha creduto alle parole dell’Angelo, ha concepito il Figlio, è diventata Madre del Signore. Attraverso di lei, attraverso il suo «sì», è giunta la pienezza del tempo. Il Vangelo che abbiamo ascoltato dice che la Vergine «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Ella si presenta a noi come vaso sempre colmo della memoria di Gesù, Sede della Sapienza, da cui attingere per avere la coerente interpretazione del suo insegnamento. Oggi ci offre la possibilità di cogliere il senso degli avvenimenti che toccano noi personalmente, le nostre famiglie, i nostri Paesi e il mondo intero. Dove non può arrivare la ragione dei filosofi né la trattativa della politica, là può giungere la forza della fede che porta la grazia del Vangelo di Cristo, e che può aprire sempre nuove vie alla ragione e alle trattative.


    Beata sei tu, Maria, perché hai dato al mondo il Figlio di Dio; ma ancora più beata tu sei per avere creduto in Lui. Piena di fede hai concepito Gesù prima nel cuore e poi nel grembo, per diventare Madre di tutti i credenti (cfr Agostino, Sermo 215, 4). Estendi, Madre, su di noi la tua benedizione in questo giorno a te consacrato; mostraci il volto del tuo Figlio Gesù, che dona al mondo intero misericordia e pace. Amen.


    Attraversiamo, dunque, la Porta Santa della Misericordia con la certezza della compagnia della Vergine Madre, la Santa Madre di Dio, che intercede per noi. Lasciamoci accompagnare da lei per riscoprire la bellezza dell’incontro con il suo Figlio Gesù. Spalanchiamo il nostro cuore alla gioia del perdono, consapevoli della fiduciosa speranza che ci viene restituita, per fare della nostra esistenza quotidiana un’umile strumento dell’amore di Dio.


    E con amore di figli acclamiamola con le stesse parole del popolo di Efeso, al tempo dello storico Concilio: «Santa Madre di Dio!». E vi invito, tutti insieme, a fare questa acclamazione tre volte, forte, con tutto il cuore e l’amore. Tutti insieme: «Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio!»”.


    Saluto del Santo Padre all’uscita dalla Basilica:


    “Questa è una bella e buona serata, davanti alla casa di Maria, nostra Madre, la Madre di Dio. Lei ci ha portato la misericordia di Dio, che è Gesù. Ringraziamo la Madre nostra; ringraziamo la Madre di Dio. E tutti insieme, un’altra volta, diciamo come gli antichi fedeli della città di Efeso: «Santa Madre di Dio!». Tre volte, tutti insieme: «Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio!». Vi auguro un buon anno, pieno della misericordia di Dio, che perdona tutto, tutto. Aprite il vostro cuore a questa misericordia, spalancate il vostro cuore, perché ci sia la gioia, la letizia del perdono di Dio”.


     


    Ave Maria! Sia lodato Gesù Cristo +



        


    ATTENZIONE:  ci è stato comunicato che il Vescovo del luogo avrebbe condannato già le presunte Apparizioni di Brindisi da noi riportate nell'articolo - vedi qui - verissimo, rispondiamo a riguardo del comunicato a mezzo stampa (anche se ci risulta che due sacerdoti seguono il veggente con il permesso del vescovo), ma non a caso è stato riportato da noi anche il monito di San Luigi M. Grignon de Montfort e nessun Vescovo può o potrebbe dare un parere definitivo a delle apparizioni ancora in corso. Lo stesso sta accadendo a Medjugorje dove, la Conferenza Episcopale del luogo pur esprimendosi negativamente sulle Apparizioni, non ha emesso alcun giudizio definitivo perchè ancora in corso.....

    L'articolo lo dice espressamente, fa differenza tra le Apparizioni riconosciute e non, il punto è la sostanza della messaggistica che ci giunge dal Cielo raccolta in 10 punti che nessun Vescovo può contestare, o meglio, dovrebbe contestare per dichiarare invalide alcune Apparizioni. Un punto è davvero strano: tutte quelle Apparizioni nelle quali la Vergine Santissima denuncia la decadenza del Clero e dei Vescovi, dove si denuncia una "falsa chiesa" nella Chiesa, stranamente vengono condannate dai Vescovi del luogo senza però portare spiegazioni e con le Apparizioni ancora in corso. Noi non vogliamo trarre alcuna conclusione, ma assumendo l'atteggiamento di Maria "conservare e serbare tutti questi fatti nel nostro cuore e meditarli, fare discernimento, attendere con pazienza diventando comunque sia DISCEPOLI DI MARIA...."

     


    [Modificato da Caterina63 03/01/2016 19:09]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 28/01/2016 22:00

      Commemoriamo Lutero con le parole di Santa Teresa d'Avila la " riformatrice".



      

    … in questo tempo mi giunse notizia dei danni e delle stragi che avevano fatto in Francia i luterani e di quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Mi sembrava che avrei dato mille volte la vita per salvare una fra le molte anime che là si perdevano.
    Ma, vedendomi donna e dappoco, nonché incapace a essere utile in ciò che avrei voluto a servizio del Signore, poiché tutta la mia ansia era, come lo è tuttora, che avendo egli tanti nemici e così pochi amici, decisi di fare quel poco che dipendeva da me.

    Decisi cioè di seguire i precetti evangelici con tutta la perfezione possibile e di adoperarmi perché queste religiose che son qui facessero lo stesso. Fiduciosa nella grande bontà di Dio, che aiuta sempre chi decide di lasciar tutto per amor suo, pensai che, essendo tali le mie consorelle come io le avevo immaginate nei miei desideri, le loro virtù avrebbero compensato i miei difetti e così io avrei potuto contentare in qualche cosa il Signore; infine pensavo che, tutte dedite alla preghiera per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i teologi che la sostengono, avremmo aiutato come meglio si poteva questo mio Signore, così perseguitato da coloro che ha tanto beneficato, da sembrare che questi traditori lo vogliano crocifiggere di nuovo e che egli non abbia dove posare il capo.

    Oh, mio Redentore, il mio cuore non può giungere a tanto, senza sentirsi spezzare dalla pena! Che cos’è oggi questo atteggiamento dei cristiani? Possibile che a perseguitarvi siano sempre coloro che più vi devono? Coloro ai quali concedete le vostre migliori grazie, che scegliete per vostri amici, fra i quali vivete e ai quali vi comunicate con i sacramenti? Non sono essi sazi dei tormenti che avete patito per loro?

    4. Certamente, Signor mio, non fa proprio nulla chi oggi abbandona il mondo; poiché esso è così poco fedele a voi, cosa possiamo sperare noi? Forse che meritiamo maggior fedeltà di quanta ne ha mostrato a voi? Forse che lo abbiamo gratificato con maggiori benefici, perché ci debba serbare amicizia? Dunque? Che cosa ci possiamo aspettare noi che per bontà del Signore siamo esenti da quel contagio pestilenziale, mentre coloro che vi si trovano son già preda del demonio? Un bel castigo si son guadagnati con le loro mani e un buon profitto di fuoco eterno hanno tratto dai loro piaceri! Se la vedano loro, anche se continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono. Del male ch’è stato non mi affliggo tanto, ma vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime.

    5. Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere; non quello, sorelle mie, di interessi mondani. Quando ci vengono a chiedere di pregare Sua Maestà perché conceda rendite e denaro, io me ne rido, ma ne sono anche addolorata. Tale richiesta viene proprio da alcune persone che io vorrei supplicassero Dio di poter calpestare tutto. Esse hanno buone intenzioni e, in fondo, si finisce col tener conto della loro devozione, anche se io sono sicura di non essere mai ascoltata in questo genere di preghiere. 

    Il mondo è in fiamme; vogliono nuovamente condannare Cristo, come si dice, raccogliendo contro di lui mille testimonianze; vogliono denigrare la sua Chiesa, e dobbiamo sprecare il tempo nel chiedere cose che, se per caso Dio ce le concedesse, ci farebbero avere un’anima di meno in cielo? No, sorelle mie, non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza.

    Tornando al tema principale, che è il fine per il quale il Signore ci ha riunite in questa casa dove io desidero ardentemente che noi siamo almeno un po’ tali da contentare Sua Maestà, dico che nel vedere mali tanto grandi e l’impotenza delle forze umane a isolare il fuoco acceso da questi eretici, benché si sia cercato di radunare soldati nell’intento di porre rimedio con la forza delle armi a tale calamità che si estende ogni giorno di più, mi è sembrato necessario seguire la tattica a cui si ricorre in tempo di guerra.

    Quando i nemici hanno fatto irruzione in tutto il paese, il signore della regione, vedendosi alle strette, si ritira in una città che fa assai ben fortificare; di là piomba, di quando in quando, su di essi e coloro che sono nella città, essendo soldati scelti, combattono in modo tale da fare più loro da soli di quel che potrebbero fare molti, se codardi. E così spesso si guadagna la vittoria, o almeno, se non la si ottiene, non si è vinti; infatti, poiché non vi sono traditori, non si può cedere che per fame. Qui, da noi, non ci può essere neppure questa fame a farci arrendere: possiamo, sì, morire, ma essere vinte, mai.

    2. Ma perché ho detto questo? Affinché voi intendiate, sorelle mie, che ciò di cui abbiamo supplicare Dio è che nessuno dei buoni cristiani ora rinchiusi in questo piccolo castello passi al nemico e che egli faccia avanzare molto nella via del Signore i capitani di tale castello o cittadella che sono i predicatori e i teologi. E poiché la maggior parte di essi appartiene agli Ordini religiosi, dobbiamo pregarlo affinché possano raggiungere un alto grado di perfezione del loro stato, essendo ciò particolarmente necessario. Infatti, come ho detto, chi ci deve salvare è il braccio ecclesiastico e non quello secolare. E, poiché noi non possiamo nulla, sia con l’uno sia con l’altro, per aiutare il nostro Re, procuriamo di essere tali che le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio i quali, a prezzo di tante fatiche, si sono fortificati con dottrina, virtù e difficili prove, per venire ora in aiuto del Signore.

    Santa Teresa d' Avila: " Cammino di perfezione ", cc. 1-3





    e farà bene rileggere quanto segue.... qui c'è il vero ecumenismo   


    LETTERA ENCICLICA
    MORTALIUM ANIMOS
    DI SUA SANTITÀ 
    PIO XI
    AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, 
    PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI 
    ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI 
    CHE HANNO PACE E COMUNIONE 
    CON LA SEDE APOSTOLICA

    SULLA DIFESA DELLA VERITÀ
    RIVELATA DA GESÙ
     


     

    Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

    Forse in passato non è mai accaduto che il cuore delle creature umane fosse preso come oggi da un così vivo desiderio di fraternità — nel nome della stessa origine e della stessa natura — al fine di rafforzare ed allargare i rapporti nell’interesse della società umana. Infatti, quantunque le nazioni non godano ancora pienamente i doni della pace, ed anzi in talune località vecchi e nuovi rancori esplodano in sedizioni e lotte civili, né d’altra parte è possibile dirimere le numerosissime controversie che riguardano la tranquillità e la prosperità dei popoli, ove non intervengano l’azione e l’opera concorde di coloro che governano gli Stati e ne reggono e promuovono gli interessi, facilmente si comprende — tanto più che convengono ormai tutti intorno all’unità del genere umano — come siano molti coloro che bramano vedere sempre più unite tra di loro le varie nazioni, a ciò portate da questa fratellanza universale.

    Un obiettivo non dissimile cercano di ottenere alcuni per quanto riguarda l’ordinamento della Nuova Legge, promulgata da Cristo Signore. Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio.

    Ma dove, sotto l’apparenza di bene, si cela più facilmente l’inganno, è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti i cristiani. Non è forse giusto — si va ripetendo — anzi non è forse conforme al dovere che quanti invocano il nome di Cristo si astengano dalle reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta con i vincoli della vicendevole carità? E chi oserebbe dire che ama Cristo se non si adopera con tutte le forze ad eseguire il desiderio di Lui, che pregò il Padre perché i suoi discepoli « fossero una cosa sola»? [1]. E lo stesso Gesù Cristo non volle forse che i suoi discepoli si contrassegnassero e si distinguessero dagli altri per questa nota dell’amore vicendevole: « In ciò conosceranno tutti che siete miei discepoli se vi amerete l’un l’altro»? [2]. E volesse il Cielo, soggiungono, che tutti quanti i cristiani fossero « una cosa sola »; sarebbero assai più forti nell’allontanare la peste dell’empietà, la quale, serpeggiando e diffondendosi ogni giorno più, minaccia di travolgere il Vangelo.

    Questi ed altri simili argomenti esaltano ed eccitano coloro che si chiamano pancristiani, i quali, anziché restringersi in piccoli e rari gruppi, sono invece cresciuti, per così dire, a schiere compatte, riunendosi in società largamente diffuse, per lo più sotto la direzione di uomini acattolici, pur fra di loro dissenzienti in materia di fede. E intanto si promuove l’impresa con tale operosità, da conciliarsi qua e là numerose adesioni e da cattivarsi perfino l’animo di molti cattolici con l’allettante speranza di riuscire ad un’unione che sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, alla quale certo nulla sta maggiormente a cuore che il richiamo e il ritorno dei figli erranti al suo grembo. Ma sotto queste insinuanti blandizie di parole si nasconde un errore assai grave che varrebbe a scalzare totalmente i fondamenti della fede cattolica.

    Pertanto, poiché la coscienza del Nostro Apostolico ufficio ci impone di non permettere che il gregge del Signore venga sedotto da dannose illusioni, richiamiamo, Venerabili Fratelli, il vostro zelo contro così grave pericolo, sicuri come siamo che per mezzo dei vostri scritti e della vostra parola giungeranno più facilmente al popolo (e dal popolo saranno meglio intesi) i princìpi e gli argomenti che siamo per esporre. Così i cattolici sapranno come giudicare e regolarsi di fronte ad iniziative intese a procurare in qualsivoglia maniera l’unione in un corpo solo di quanti si dicono cristiani.

    Dio, Fattore dell’Universo, Ci creò perché lo conoscessimo e lo servissimo; ne segue che Egli ha pieno diritto di essere da noi servito. Egli avrebbe bensì potuto, per il governo dell’uomo, prescrivere soltanto la pura legge naturale, da lui scolpitagli nel cuore nella stessa creazione, e con ordinaria sua provvidenza regolare i progressi di questa medesima legge. Invece preferì imporre dei precetti ai quali ubbidissimo e nel corso dei secoli, ossia dalle origini del genere umano alla venuta e alla predicazione di Gesù Cristo, Egli stesso volle insegnare all'uomo i doveri che legano gli esseri ragionevoli al loro Creatore: « Iddio, che molte volte e in diversi modi aveva parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del figlio » [3]. Dal che consegue non potersi dare vera religione fuori di quella che si fonda sulla parola rivelata da Dio, la quale rivelazione, cominciata da principio e continuata nell’Antico Testamento, fu compiuta poi nel Nuovo dallo stesso Gesù Cristo. Orbene, se Dio ha parlato, e che abbia veramente parlato è storicamente certo, tutti comprendono che è dovere dell’uomo credere assolutamente alla rivelazione di Dio e ubbidire in tutto ai suoi comandi: e appunto perché rettamente l’una cosa e l’altra noi adempissimo, per la gloria divina e la salvezza nostra, l’Unigenito Figlio di Dio fondò sulla terra la sua Chiesa. Quanti perciò si professano cristiani non possono non credere alla istituzione di una Chiesa, e di una Chiesa sola, per opera di Cristo; ma se s’indaga quale essa debba essere secondo la volontà del suo Fondatore, allora non tutti sono consenzienti. Fra essi, infatti, un buon numero nega, per esempio, che la Chiesa di Cristo debba essere visibile, almeno nel senso che debba apparire come un solo corpo di fedeli, concordi in una sola e identica dottrina, sotto un unico magistero e governo, intendendo per Chiesa visibile nient’altro che una Confederazione formata dalle varie comunità cristiane, benché aderiscano chi ad una chi ad altra dottrina, anche se dottrine fra loro opposte.

    Invece Cristo nostro Signore fondò la sua Chiesa come società perfetta, per sua natura esterna e sensibile, affinché proseguisse nel tempo avvenire l’opera della salvezza del genere umano, sotto la guida di un solo capo [4], con l’insegnamento a viva voce [5], con l'amministrazione dei sacramenti, fonti della grazia celeste [6]; perciò Egli la dichiarò simile ad un regno [7], a una casa [8], ad un ovile [9], ad un gregge [10]. Tale Chiesa così meravigliosamente costituita, morti il suo Fondatore e gli Apostoli, che primi la propagarono, non poteva assolutamente cessare ed estinguersi, poiché ad essa era stato affidato il compito di condurre alla salvezza eterna tutti gli uomini, senza distinzione di tempo e di luogo: « Andate adunque e insegnate a tutte le genti » [11]. Ora, nel continuo adempimento di questo ufficio, potranno forse venir meno alla Chiesa il valore e l’efficacia, se è continuamente assistita dallo stesso Cristo, secondo la solenne promessa: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo »? [12].

    Necessariamente, quindi, non solo la Chiesa di Cristo deve sussistere oggi e in ogni tempo, ma anzi deve sussistere quale fu al tempo apostolico, se non vogliamo dire — il che è assurdo — che Cristo Signore o sia venuto meno al suo intento, o abbia errato quando affermò che le porte dell’inferno non sarebbero mai prevalse contro la Chiesa [13].

    E qui si presenta l’opportunità di chiarire e confutare una falsa opinione, da cui sembra dipenda tutta la presente questione e tragga origine la molteplice azione degli acattolici, operante, come abbiamo detto, alla riunione delle Chiese cristiane.

    I fautori di questa iniziativa quasi non finiscono di citare le parole di Cristo: « Che tutti siano una cosa sola … Si farà un solo ovile e un solo pastore » [14], nel senso però che quelle parole esprimano un desiderio e una preghiera di Gesù Cristo ancora inappagati. Essi sostengono infatti che l’unità della fede e del governo — nota distintiva della vera e unica Chiesa di Cristo — non sia quasi mai esistita prima d’ora, e neppure oggi esista; essa può essere sì desiderata e forse in futuro potrebbe anche essere raggiunta mediante la buona volontà dei fedeli, ma rimarrebbe, intanto, un puro ideale. Dicono inoltre che la Chiesa, per sé o di natura sua, è divisa in parti, ossia consta di moltissime chiese o comunità particolari, le quali, separate sinora, pur avendo comuni alcuni punti di dottrina, differiscono tuttavia in altri; a ciascuna competono gli stessi diritti; la Chiesa al più fu unica ed una dall’età apostolica sino ai primi Concili Ecumenici. Quindi soggiungono che, messe totalmente da parte le controversie e le vecchie differenze di opinioni che sino ai giorni nostri tennero divisa la famiglia cristiana, con le rimanenti dottrine si dovrebbe formare e proporre una norma comune di fede, nella cui professione tutti si possano non solo riconoscere, ma sentire fratelli; e che soltanto se unite da un patto universale, le molte chiese o comunità saranno in grado di resistere validamente con frutto ai progressi dell’incredulità.

    Così, Venerabili Fratelli, si va dicendo comunemente. Vi sono però taluni che affermano e ammettono che troppo sconsigliatamente il Protestantesimo rigettò alcuni punti di fede e qualche rito del culto esterno, certamente accettabili ed utili, che la Chiesa Romana invece conserva. Ma tosto soggiungono che questa stessa Chiesa corruppe l’antico cristianesimo aggiungendo e proponendo a credere parecchie dottrine non solo estranee, ma contrarie al Vangelo, tra le quali annoverano, come principale, quella del Primato di giurisdizione, concesso a Pietro e ai suoi successori nella Sede Romana. Tra costoro ci sono anche alcuni, benché pochi in verità, i quali concedono al Romano Pontefice un primato di onore o una certa giurisdizione e potestà, facendola però derivare non dal diritto divino, ma in certo qual modo dal consenso dei fedeli; altri giungono perfino a volere lo stesso Pontefice a capo di quelle loro, diciamo così, variopinte riunioni. Che se è facile trovare molti acattolici che predicano con belle parole la fraterna comunione in Gesù Cristo, non se ne rinviene uno solo a cui cada in mente di sottomettersi al governo del Vicario di Gesù Cristo o di ubbidire al suo magistero. E intanto affermano di voler ben volentieri trattare con la Chiesa Romana, ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e certamente se potessero così trattare, lo farebbero con l’intento di giungere a una convenzione la quale permettesse loro di conservare quelle opinioni che li tengono finora vaganti ed erranti fuori dell’unico ovile di Cristo.

    A tali condizioni è chiaro che la Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata? Ché qui appunto si tratta di difendere la verità rivelata. Gesù Cristo inviò per l’intero mondo gli Apostoli a predicare il Vangelo a tutte le nazioni; e perché in nulla avessero ad errare volle che anzitutto essi fossero ammaestrati in ogni verità, dallo Spirito Santo [15]; forse che questa dottrina degli Apostoli venne del tutto a meno o si offuscò talvolta nella Chiesa, diretta e custodita da Dio stesso? E se il nostro Redentore apertamente disse che il suo Vangelo riguardava non solo il periodo apostolico, ma anche le future età, poté forse l’oggetto della fede, col trascorrere del tempo, divenire tanto oscuro e incerto da doversi tollerare oggi opinioni fra loro contrarie? Se ciò fosse vero, si dovrebbe parimenti dire che la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e la perpetua permanenza nella Chiesa dello stesso Spirito e persino la predicazione di Gesù Cristo da molti secoli hanno perduto ogni efficacia e utilità: affermare ciò sarebbe bestemmia. Inoltre, l’Unigenito Figlio di Dio non solo comandò ai suoi inviati di ammaestrare tutti i popoli, ma anche obbligò tutti gli uomini a prestar fede alle verità che loro fossero annunziate «dai testimoni preordinati da Dio » [16], e al suo precetto aggiunse la sanzione « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato » [17].

    Ma questo doppio comando di Cristo, da osservarsi necessariamente, d’insegnare cioè e di credere per avere l’eterna salvezza, neppure si potrebbe comprendere se la Chiesa non proponesse intera e chiara la dottrina evangelica e non fosse immune da ogni pericolo di errore nell’insegnarla. Perciò è lontano dal vero chi ammette sì l’esistenza in terra di un deposito di verità, ma pensa poi che sia da cercarsi con tanto faticoso lavoro, con tanto diuturno studio e dispute, che a mala pena possa bastare la vita di un uomo per trovarlo e goderne; quasi che il benignissimo Iddio avesse parlato per mezzo dei Profeti e del suo Unigenito perché pochi soltanto, e già molto avanzati negli anni, imparassero le verità rivelate, e non per imporre una dottrina morale che dovesse reggere l’uomo in tutto il corso della sua vita.

    Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: « Amatevi l’un l’altro »), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: « Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno » [18]. Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede.

    Come dunque si potrebbe concepire una Confederazione cristiana, i cui membri, anche quando si trattasse dell’oggetto della fede, potessero mantenere ciascuno il proprio modo di pensare e giudicare, benché contrario alle opinioni degli altri? E in che modo, di grazia, uomini che seguono opinioni contrarie potrebbero far parte di una sola ed eguale Confederazione di fedeli? Come, per esempio, chi afferma che la sacra Tradizione è fonte genuina della divina Rivelazione e chi lo nega? Chi tiene per divinamente costituita la gerarchia ecclesiastica, formata di vescovi, sacerdoti e ministri, e chi asserisce che è stata a poco a poco introdotta dalla condizione dei tempi e delle cose?

    Chi adora Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia per quella mirabile conversione del pane e del vino, che viene detta transustanziazione, e chi afferma che il Corpo di Cristo è ivi presente solo per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento? Chi riconosce nella stessa Eucaristia la natura di sacrificio e di Sacramento, e chi sostiene che è soltanto una memoria o commemorazione della Cena del Signore? Chi Stima buona e utile la supplice invocazione dei Santi che regnano con Cristo, soprattutto della Vergine Madre di Dio, e la venerazione delle loro immagini, e chi pretende che tale culto sia illecito, perché contrario all’onore « dell’unico mediatore di Dio e degli uomini » [19], Gesù Cristo?  
    Da così grande diversità d’opinioni non sappiamo come si prepari la via per formare l’unità della Chiesa, mentre questa non può sorgere che da un solo magistero, da una sola legge del credere e da una sola fede nei cristiani; sappiamo invece benissimo che da quella diversità è facile il passo alla noncuranza della religione, cioè all’indifferentismo e al cosiddetto modernismo, il quale fa ritenere, da chi ne è miseramente infetto, che la verità dogmatica non è assoluta, ma relativa, cioè proporzionata alle diverse necessità dei tempi e dei luoghi e alle varie tendenze degli spiriti, non essendo essa basata sulla rivelazione immutabile, ma sull’adattabilità della vita. Inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano.
    Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse.

    Pertanto, Venerabili Fratelli, facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono: a quella sola vera Chiesa di Cristo che a tutti certamente è manifesta e che, per volontà del suo Fondatore, deve restare sempre quale Egli stesso la istituì per la salvezza di tutti. Poiché la mistica Sposa di Cristo nel corso dei secoli non fu mai contaminata né giammai potrà contaminarsi, secondo le parole di Cipriano: «Non può adulterarsi la Sposa di Cristo: è incorrotta e pudica. Conosce una casa sola, custodisce con casto pudore la santità di un solo talamo » [20]. Pertanto lo stesso santo Martire a buon diritto grandemente si meravigliava come qualcuno potesse credere « che questa unità la quale procede dalla divina stabilità ed è saldata per mezzo di sacramenti celesti, possa scindersi nella Chiesa e separarsi per dissenso di volontà discordanti » [21]. Essendo il corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa [22] uno, ben connesso [23]; e solidamente collegato, come il suo corpo fisico, sarebbe grande stoltezza dire che il corpo mistico possa essere il risultato di componenti disgiunti e separati. Chiunque perciò non è con esso unito, non è suo membro né comunica con il capo che è Cristo [24].

    Orbene, in quest’unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l’ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. E al Vescovo Romano, come a Sommo Pastore delle anime, non ubbidirono forse gli antenati di coloro che sono annebbiati dagli errori di Fozio e dei riformatori? Purtroppo i figli abbandonarono la casa paterna, ma non per questo essa andò in rovina, sostenuta come era dal continuo aiuto di Dio. Ritornino dunque al Padre comune; e questi, dimenticando le ingiurie già scagliate contro la Sede Apostolica, li riceverà con tutto l’affetto del cuore. Che se, come dicono, desiderano unirsi con Noi e con i Nostri, perché non si affrettano ad entrare nella Chiesa, « madre e maestra di tutti i seguaci di Cristo » [25]?

    Ascoltino le affermazioni di Lattanzio: a « Soltanto … la Chiesa cattolica conserva il culto vero. Essa è la fonte della verità; questo è il domicilio della fede, questo il tempio di Dio; se qualcuno non vi entrerà, o da esso uscirà, resterà lontano dalla speranza della vita e della salvezza. E non conviene cercare d’ingannare se stesso con dispute pertinaci. Qui si tratta della vita e della salvezza: se a ciò non si provvede con diligente cautela, esse saranno perdute e si estingueranno » [26].

    Dunque alla Sede Apostolica, collocata in questa città che i Prìncipi degli Apostoli Pietro e Paolo consacrarono con il loro sangue; alla Sede « radice e matrice della Chiesa cattolica » [27], ritornino i figli dissidenti, non già con l’idea e la speranza che la « Chiesa del Dio vivo, colonna e sostegno della verità » [28] faccia getto dell’integrità della fede e tolleri i loro errori, ma per sottomettersi al magistero e al governo di lei.

    Volesse il cielo che toccasse a Noi quanto sinora non toccò ai nostri predecessori, di poter abbracciare con animo di padre i figli che piangiamo separati da Noi per funesta divisione; oh! se il nostro divin Salvatore « il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità » [29], ascoltando le Nostre ardenti preghiere si degnasse richiamare all’unità della Chiesa tutti gli erranti! Per tale obiettivo, senza dubbio importantissimo, disponiamo e vogliamo che si invochi l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della divina grazia, debellatrice di tutte le eresie, aiuto dei Cristiani, affinché quanto prima ottenga il sorgere di quel desideratissimo giorno, quando gli uomini udiranno la voce del Suo divin Figlio « conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace » [30].

    Voi ben comprendete, Venerabili Fratelli, quanto desideriamo questo ritorno; e bramiamo che ciò sappiano tutti i figli Nostri, non soltanto i cattolici, ma anche i dissidenti da Noi: i quali, se imploreranno con umile preghiera i lumi celesti, senza dubbio riconosceranno la vera Chiesa di Cristo e in essa finalmente entreranno, uniti con Noi in perfetta carità. Nell’attesa di tale avvenimento, auspice dei divini favori e testimone della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro impartiamo di tutto cuore l’Apostolica Benedizione.

     Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio, festa della Epifania di N.S. Gesù Cristo, l’anno 1928, sesto del Nostro Pontificato.

     

    PIUS PP. XI 


    [1Ioann., XVII, 21.

    [2Ioann., XIII, 35.

    [3Hebr., I, 1 seq.

    [4] Matth., XVI, 18 seq.: Luc., XXII, 32; Ioann., XXI, 15-17.

    [5Marc., XVI, 15.

    [6Ioann., III, 5; VI,48-59; XX, 22 seq.; cf. Matth., XVIII, 18; etc.

    [7Matth., XIII

    [8] Cf. Matth., XVI, 18.

    [9Ioann., X, 16.

    [10Ioann., XXI, 15-17.

    [11Matth., XXVIII, 19.

    [12Matth., XXVIII, 20.

    [13Matth., XVI, 18.

    [14Ioann., XVII, 21; X, 16.

    [15] Ioann., XVI, 13. 1

    [16Act., X, 41.

    [17Marc., XVI, 16.

    [18II Ioann., 10.

    [19] Cf. I Tim., II, 5.

    [20De cath. Ecclesiae unitate, 6.

    [21Ibidem.

    [22I Cor., XII, 12.

    [23Eph., IV, 15.

    [24] Cf. Eph., V, 30; I, 22.

    [25] Conc. Lateran. IV, c. 5.

    [26Divin instit., IV, 30, 11-12.

    [27] S. Cypr., Ep. 48 ad Cornelium, 3.

    [28I Tim., 111, 15.

    [29I Tim., II, 4.

    [30] Eph., IV, 3.

     





    IL PASTORE LUTERANO CHE STA DIVENTANDO CATTOLICO: «NEL CATTOLICESIMO SÌ CHE C'È "QUALCOSA"»

    Il pastore luterano che sta diventando cattolico: «Nel cattolicesimo sì che c&#039;è &quot;qualcosa&quot;»

    di Russell E. Saltzman *

    Per trent’anni mi sono impegnato nel ministero parrocchiale come pastore luterano, poi per altri quattro anni sono stato decano di distretto per la Chiesa Luterana Nordamericana (un lavoro di supervisione che mi piaceva quanto le carie ai denti).

    Ora, mentre scrivo alla vigilia della Settimana Santa, sto per diventare cattolico romano insieme a mia moglie; io per la prima volta, lei per la seconda.

    Potete biasimare lei per la mia conversione (anche se penso che sia una transizione naturale, come potrete verificare). Lei è stata cresciuta come cattolica romana ed è poi diventata luterana.

    Suo padre è stato cresciuto come luterano ed è diventato cattolico. A volte la vita è proprio strana. Suo padre è morto due anni fa, e nell’agonia di guardare quel brav’uomo mentre si arrendeva alla SLA si è sentita spinta a tornare alla fede della sua infanzia.

    Con mia sorpresa – e penso anche con la sua – ho detto che l’avrei seguita. In realtà non mi ha sorpreso molto. Fin dal seminario, mentre rimanevo invischiato nei documenti confessionali luterani del XVI secolo, sono diventato sempre più cattolico nel mio modo di pensare. Cercavo per la mia fede una densità ecclesiale, il senso che ci sia “qualcosa”. Lo stato dei corpi ecclesiali luterani in America non ne tiene conto.

    Ma non sto diventando cattolico romano solo per delusione nei confronti del luteranesimo. C’è una convinzione dietro questa mossa che nasce da vari elementi.

    1) Parte dei miei esami al seminario – parliamo della fine degli anni Settanta – si svolgeva presso il Collegio Pontificio Josephinum dell’Ohio. Ho seguito lezioni di Sacramentologia e Studi Mariani, impartite da due gesuiti della vecchia guardia. Mi sono ritrovato ad essere l’unico luterano in un’orda di seminaristi salesiani. Era emozionante.

    Quello che mi ha colpito è quanto luterani e cattolici siano vicini a livello di dottrine di base e delle rispettive formulazioni teologiche. Noi – romani e luterani – facciamo teologia allo stesso modo, e probabilmente come nessun altro. Facciamo attenzione alle parole. Ogni parola è soppesata e paragonata a parole alternative che potrebbero essere usate ma con minor precisione. Sembra che la precisione nel vocabolario possa tenerci fuori dall’inferno teologico, e se le parole non sono quelle esatte e messe nell’esatto ordine allora non c’è dubbio che verremo condannati.

    A pensarci, è un approccio piuttosto affascinante. Significa anche che quando luterani e cattolici siedono insieme hanno un linguaggio comune, e usarlo porta spesso a risultati sorprendenti, come nel 1999 con la dottrina della giustificazione.

    Questo è un livello. A livello parrocchiale, la differenza sta nella densità – i cattolici ce l’hanno, i luterani no.

     

    2) Quando mia moglie ha detto che stava pensando di ritornare cattolica romana, ho iniziato a chiedermi quanto fossi ancora luterano. L’influenza di padre Richard John Neuhaus era forte. Ero il suo successore a Forum Letter, una pubblicazione luterana che ha guidato per 16 anni (io per 17). Negli anni in cui è stato sacerdote cattolico mi ha spesso spinto a tornare a casa. L’ultima corrispondenza che ci siamo scambiati era su questo argomento. Dopo la sua morte, ci sono state un paio di notti in cui nei miei sogni mi rimproverava per non averlo fatto. Negli anni in cui è stato luterano ha avuto un profondo impatto sulla mia vita pastorale, e questo si è intensificato negli anni in cui è stato sacerdote. Mi piace dire alla gente che ha influito su di me dopo la morte quanto aveva fatto in vita.

    Più ci pensavo, più capivo che i chierici luterani che ammiravo di più – e con i quali condividevo il cameratismo dell’officio pastorale luterano – erano tornati uno dopo l’altro a Roma. Sembrava che conoscessi tanti sacerdoti quanti pastori, e dopo un po’ non pochi di quei pastori erano diventati sacerdoti. E io ero lì sulla riva, a salutarli mentre partivano.

    Per un po’, dopo la morte di Neuhaus, ho aiutato a pubblicare la rivista che ha fondato, First Things. Anche se non esplicitamente cattolica, è in genere considerata tale. Per gli ultimi sei anni, quasi sette, sono stato un contributore regolare sul sito; ero uno scrittore luterano, ora sono uno scrittore cattolico.

    3) Per me è stato molto facile diventare cattolico romano, ma ovviamente la chiave non è la convenienza ma la convinzione. Sono arrivato a credere che l’essenza, la pienezza, della Chiesa di Cristo si trovi nelle Chiese in comunione con la Chiesa di Roma.

    Non rinnego il fatto di essere stato luterano. È la transizione, non la conversione; mi sto spostando, ma la fede cristiana che ha caratterizzato la mia vita sta venendo con me. Ho imparato le preghiere da luterano, ho memorizzato il catechismo, e quando lottavo per uscire dal pozzo dell’agnosticismo che tendeva all’ateismo Dio ha messo nella mia vita qualche pastore luterano esigente, appassionato e autentico che mi ha dato lezioni importanti. Ero un uomo che non credeva che Cristo fosse risorto, ed è stato in una comunità luterana basata sulla Resurrezione di Cristo che ho creduto per la prima volta che c’era stata una resurrezione. Cosa posso fare, se non lodare Dio?

    Essere cattolico non è un compito esaurito – non per me, né per nessuno di noi. Non facciamo parte di una Chiesa perfetta, ma non è compito nostro renderla tale; è responsabilità di Dio. Ma ci viene promessa una Chiesa santa perfetta. C’è sempre qualche scoperta di fede che ci aspetta.

     

    * Russell E. Saltzman è web columnist a "Firs Things"  e vive a Kansas City (Missouri, Stati Uniti).

    [Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]





    [Modificato da Caterina63 21/03/2016 17:30]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 01/04/2016 18:37

    Lutero, Cantalamessa, e la Resurrezione dal modernismo

     
     


     
    L'ultima predica del venerdì santo 2016, pronunciata nella basilica di S. Pietro dal P. Raniero Cantalamessa, contiene affermazioni che feriscono profondamente il cuore dei buoni cristiani.
    Si tratta di un'interpretazione falsa della dottrina della giustificazione di Lutero, ascrivendo allo stesso eresiarca un merito, quando invece il suo pensiero in materia è un grandissimo errore contro la Misericordia divina.
    Riporto le gravi affermazioni del Predicatore della Casa Pontificia:
    "…la giustizia di Dio è l’atto mediante il quale Dio rende giusti, a lui graditi, quelli che credono nel Figlio suo. Non è un farsi giustizia, ma un fare giusti.
    Lutero ha avuto il merito di riportare alla luce questa verità, dopo che per secoli, almeno nella predicazione cristiana, se ne era smarrito il senso. E’ di questo soprattutto che la cristianità è debitrice alla Riforma, di cui il prossimo anno ricorre il quinto centenario. “Quando scoprii questo, scrisse più tardi il riformatore, mi sentii rinascere e mi pareva che si spalancassero per me le porte del paradiso”. Ma non sono stati né Agostino né Lutero a spiegare così il concetto di “giustizia di Dio”; è la Scrittura che lo ha fatto prima di loro…"
    Perché queste affermazioni sono così gravi? 
     
    Quando insegno il catechismo ai bambini della I Comunione, e devo loro spiegare cosa vuol dire che la Grazia ci fa santi, faccio loro questo esempio:
    "Una ricca signora aveva nella sua villa due domestiche: una si chiamava Linda l'altra Polverosa. Quando Polverosa spazzava, non avendo voglia di portare via la sporcizia, la nascondeva sotto il tappeto. Invece Linda puliva a fondo e portava via subito nell'inceneritore lo sporco raccolto. Chi delle due è la domestica migliore?"
    I bambini rispondono in coro: "Linda!"
     
    Al che pongo una seconda domanda:
    "Secondo voi, quando Gesù ci lava con il suo Sangue nel Battesimo e nella Confessione, distrugge i nostri peccati per davvero, oppure li mette sotto un tappeto, facendo finta di 
    non vederli?"
    E i bambini in coro: "Li distrugge!"
     
    Adesso traduco il tutto per i lettori "grandi". Polverosa rappresenta la dottrina della giustificazione di Lutero, l'imputazione estrinseca della giustizia: secondo questa teoria (1), il buon Dio non distruggerebbe i peccati dell'uomo, ma gli imputerebbe - estrinsecamente e arbitrariamente - la sua giustizia; è così il predestinato (colui a cui è capitato in mano il più fortunato dei gratta e vinci, nella lotteria del servo arbitrio) si ritrova ad essere simul iustus et peccator, nello stesso tempo giusto e peccatore.
    La giustificazione dell'uomo si riduce così ad essere un velo pietoso su un cadavere putrefatto.
     
    Come può permettersi di asserire,  il noto frate cappuccino, che "Lutero ha avuto il merito di riportare alla luce questa verità"?
     
    Ad errore particolarmente grave, lo Spirito Santo ha suggerito a suo tempo un formidabile antidoto: il decreto sulla giustificazione (la Linda dell'aneddoto), promulgato dal Concilio di Trento, in data 13 gennaio 1547:
    "Mediante la libera accettazione della grazia, l'uomo da ingiusto diventa giusto, da nemico amico, ed erede secondo la speranza della vita eterna".
    Possiamo e dobbiamo dunque credere fermamente che il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, ogni qual volta gli chiediamo perdono, distrugge radicalmente i nostri peccati, bruciandoli nel fuoco della fornace ardente della carità del suo Cuore; giacché una sola goccia del suo Sangue - che pur Egli ha voluto versar tutto quanto ne scorreva nel suo Corpo -salvum facere totum mundum quit ab omni scelere, può salvare tutto il mondo (e non solo pochi predestinati), da ogni peccato (numero, genere, varietà e profondità di radicamento nell'anima).
     
    Questo i cattolici credono; Lutero non lo ha mai creduto.
     
    Il pensiero di Lutero, tanto decantato dal P. Cantalamessa, è quanto di più subdolo si possa opporre alla vera Misericordia di Dio, quasi che questa possa lasciare il peccatore nella sua miseria, simul obiectum misericordiae et peccator; la vera misericordia non è quella che semplicemente ha compassione di Maria di Magdala, ma quella che ha fatto di lei un grandissima santa, avendone cacciato sette demoni; è quella che ha fatto sì che il ladrone Disma, che aveva riconosciuto la giustezza del supplizio a cui era sottoposto, entrasse per primo in Paradiso tra i figli di Adamo; è quella che ha fatto, del soldato che ha colpito - a nome di tutta l'umanità peccatrice - il Divin Cuore, San Longino...
     
    La radicale sfiducia nella grazia di chi ha pur fatto del sola gratia la sua bandiera, fa capolino negli interventi di chi vuole sovvertire la dottrina della Chiesa sull'Eucarestia e sul matrimonio; si rivede un radicato pessimismo nei confronti di quei fratelli verso i quali si vorrebbe esercitare la misericordia. Da un lato le persone con tendenza omosessuale e i divorziati risposati sarebbero soggetti ad una concupiscenza invincibile - sempre di sapore luterano - giansenista -, per cui si ha persino paura a proporre loro la Verità di Cristo; dall'altro lato si dimentica che non c'è più nessuna condanna per coloro che sono di Cristo Gesù, che cioè la Misericordia di Dio non solo ci accoglie come siamo (lasciandoci simul iusti et peccatores), ma ci  vuole veramente liberare, guarire, bruciare il nostro stato di peccato... far di noi dei grandi santi.
     
    "Anziché gustarmi il gaudio della Resurrezione - mi vien da dire - mi ritrovo con le mani in mezzo alla sporcizia?"
    Mi rispondo: "Gesù, attendo in questa notte non solo la Tua Resurrezione, ma anche quella della tua Chiesa. Lo so che questa, a differenza Tua, non è mai morta e non può morire; ma come il Tuo Corpo unito alla Divinità giaceva tutto legato dalle bende, così il Corpo della Chiesa, pur non esanime, giace come legato dai lacci del modernismo.
    Come il Tuo Corpo reale è passato attraverso le bende, che non lo hanno potuto imprigionare, così  il Tuo Corpo mistico possa svincolarsi oggi dai lacci del modernismo.
     
    Buona Pasqua a tutti!
     
    NOTE
     
    (1) Riprendo qui ampi stralci di un mio precedente articolo: L'imputazione estrinseca della misericordia.








    Müller, Riforma: nulla da celebrare per i cattolici
    Non c’è nessuna ragione, per un cattolico, per celebrare l’inizio della Riforma protestante. Questa è l’opinione espressa dal Prefetto della Congregazione della Fede, il card. Gerhard Müller.

     
     

    Non c’è nessuna ragione, per un cattolico, per celebrare l’inizio della Riforma protestante. Questa è l’opinione espressa dal Prefetto della Congregazione della Fede, il card. Gerhard Müller, in una lunga intervista-libro “Informe sobre la Esperanza”. I cattolici, ha detto il porporato “non hanno nessuna ragione per celebrare” l’inizio della Riforma.  

    Il 31 ottobre 1517 è la data, normalmente considerata l’inizio del movimento protestante; l’anniversario verrà celebrato con particolare solennità quest’anno. “Noi cattolici non abbiamo nessuna ragione per celebrare il 31 ottobre 1517 la data che è considerata l’inizio della Riforma che avrebbe condotto alla rottura della cristianità occidentale”. Fu allora che Martin Lutero rese pubbliche le sue 95 tesi, affisse alla porta della chiesa di Wittemberg. In esse non veniva proposta una separazione dalla Chiesa, ma le tesi ne furono certamente il punto di inizio.  

    Afferma il card. Müller: “Se siamo convinti che la divina rivelazione è custodita intera e immutata nella Scrittura e nella Tradizione, nella dottrina della Fede, nei sacramenti, nella costituzione gerarchica della Chiesa per diritto divino, fondato sul sacramento dei sacri ordini, non possiamo accettare che esistano ragioni sufficienti per separarsi dalla Chiesa”.  

    E’ probabile che le sue affermazioni faranno rumore, dal momento che fra qualche mese verrà celebrato il primo mezzo millennio dalla Riforma. Fra l’altro, il Pontefice si recherà in Svezia a ottobre per una commemorazione ecumenica insieme con i rappresentanti della Federazione Luterana mondiale e altre confessioni cristiane. Il cardinale ricorda che molti esponenti della Riforma definirono il papa come Anticristo per “giustificare la separazione” dalla Chiesa cattolica. 




    Sì, fratelli e sorelle, non lasciamoci impressionare da certi membri del clero che, per delle ragioni pastorali, pretendono di cambiare l’insegnamento di Gesù e la dottrina plurisecolare dei sacramenti della Chiesa


    Omelia del Cardinale Robert Sarah, del 10 aprile 2016, nella Basilica di Argenteuil, Francia. 
    In occasione dell’ostensione della Sacra Tunica.
    Terza Domenica di Pasqua

    Riportata il 14 aprile dal sito francese Le Salon Beige


     




    Cari fratelli e sorelle,
    il vostro vescovo, Mons. Lalanne, ha voluto che la Sacra Tunica di Cristo fosse esposta in occasione dell’Anno Giubilare della Misericordia, decretato dal Santo Padre Francesco, ed anche per il cinquantesimo anniversario della vostra diocesi, quella di Pontoise, e per il centocinquantesimo anniversario di questa Basilica.
    Come sapete, nel racconto della Passione del Signore, San Giovanni attira la nostra attenzione sulla Tunica di Gesù (19, 23-24). Egli afferma che le Sacre Scritture, e cioè le parole del Salmo 22 (18) che lui stesso cita: “Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte”, si sono compiute il Venerdì Santo sul Calvario. I soldati romani presero le vesti di Gesù, ne fecero quattro parti, una per ogni soldato. Presero anche la Tunica, quella Tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca.

    L’episodio della divisione tra i soldati romani delle vesti e della Tunica senza cuciture, è stato considerato dai Padri – in particolare da Sant’Agostino e da San Giovanni Crisostomo – come un’espressione dell’unità della Chiesa. Per Sant’Agostino, le vesti, di cui i soldati fecero quattro parti, figurano l’universalità della Chiesa che si estende ai quattro angoli del mondo e che si trova ugualmente presente in ciascuna delle sue parti.

    Così, come dice la costituzione dogmatica del concilio Vaticano II, Lumen Gentium: «le Chiese particolari» - e la diocesi di Pontoise ne è una - «sono formate ad immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica» (23). 
    Ma la Chiesa è cattolica fin dal primo istante della sua esistenza: essa abbraccia tutte le lingue. Come si può vedere, la Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste possono rimanere delle Chiese solo in comunione con la cattolicità. D’altronde, la cattolicità esige la molteplicità delle lingue, la messa in comunione e l’armonia delle ricchezze dell’umanità nell’amore del Crocifisso.
    La cattolicità, dunque, non è solo qualcosa di esteriore, ma deve diventare una delle caratteristiche della fede personale: noi dobbiamo credere con la Chiesa di tutti i tempi, di tutti i continenti, di tutte le culture, di tutte le lingue.
    È per questo che la Tunica senza cuciture tirata a sorte – aggiunge Sant’Agostino – raffigura l’unità di tutte le parti della Chiesa, e cioè delle Chiese particolari unite tra loro dal legame della carità.

    Facendo coincidere due avvenimenti della vostra Chiesa particolare – i cinquant’anni della vostra diocesi e i centocinquant’anni di questa Basilica – con l’Anno Giubilare, che viene celebrato nella Chiesa intera, voi desiderate affermare la vostra comunione con la Chiesa di Roma che, dice Sant’Ignazio d’Antiochia, presiede alla carità.
    Concretamente, si tratta della vostra comunione col Santo Padre Francesco, il successore di San Pietro. Si può dunque dire che Roma è il nome concreto della cattolicità.
    La Tunica senza cuciture che noi veneriamo in questa Basilica è un appello a non lacerare l’unità della Chiesa, al contrario, essa ci ricorda che vi è «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.» (Ef. 4, 5-6).

    Ora, noi constatiamo che il Corpo Mistico di Cristo, la Sua Sposa Santissima, è ferito dall’egoismo e dalle debolezze dei suoi membri, pastori e fedeli. 
    Come non pensare ai movimenti di disobbedienza e anche agli scandali che costellano la vita della Chiesa?
    La sacra Tunica indivisa è un avvertimento lanciato alla nostra Chiesa cattolica, cioè universale, e dunque anche alla Chiesa particolare, alla vostra diocesi, perché prenda coscienza della sua unità intorno al suo vescovo, che è lui stesso in comunione «cum et sub Petro», e cioè con e sotto l’autorità di Pietro, del Papa.

    In più, l’unità della Chiesa e dunque la sua dignità, non possono essere abbandonate al giudizio sommario dell’opinione pubblica, rilanciato da tanti media. Nella prima lettura di questa Messa, noi abbiamo sentito la proclamazione fatta dagli Apostoli di ciò che si chiama «kerigma» della nostra fede, che corrisponde al «Credo», alla professione di fede cattolica, che diremo a voce alta e con tutto il nostro cuore tra pochi minuti. 
    Gli Apostoli si trovano di fronte alla più alta istanza religiosa, il Consiglio supremo e il gran sacerdote Caifa, gli stessi personaggi importanti che hanno condannato a morte Gesù di Nazareth. Invece di tacere, o di edulcorare il messaggio del Vangelo della Vita e della Salvezza, essi scelgono il martirio, e cioè la testimonianza che stanno per firmare subito col loro sangue – essi vengono frustati tutti come Gesù durante la Sua Passione, poi daranno la loro vita come Lui ai quattro angoli della terra – e dichiarano che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini». 
    In altri termini, per riprendere il titolo del mio libro di interviste: essi hanno proclamato di fronte al gran Consiglio, e poi fino ai confini del mondo allora conosciuto, usque ad effusionem sanguinis (fino all’effusione del sangue): «Dio o niente!».

    Sì, fratelli e sorelle, non lasciamoci impressionare da certi membri del clero che, per delle ragioni pastorali, pretendono di cambiare l’insegnamento di Gesù e la dottrina plurisecolare dei sacramenti della Chiesa, o dal relativismo ambientale che, come affermava il Santo Padre Benedetto XVI, è una vera dittatura, quella della controcultura dominante nei paesi dell’Europa occidentale; e non mettiamo la luce della nostra fede sotto il moggio, ma, poiché per il nostro battesimo siamo rivestiti di Cristo come di un vestito senza cuciture, che la nostra fede brilli nelle nostre famiglie e nelle nostre parrocchie, nei nostri posti di lavoro e nelle nostre Università, nelle nostre scuole e nei nostri luoghi di svago e di cultura (teatri e sale di concerto, stadi e ginnasi…), perché i nostri contemporanei, che cercano delle ragioni per vivere e per sperare, siano attratti da Colui che è venuto a liberare l’uomo dal peccato e a «riunire nell’unità i figli di Dio dispersi» (Gv. 11, 52), Lui che «Dio ha innalzato con la sua destra facendo di Lui il Capo e il Salvatore» (Atti 5, 31). 
    Perché è vero che è a Lui, all’Agnello immolato per i nostri peccati, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, che sono sottomesse tutte le creature nel cielo e sulla terra…
    Sì, a Lui solo la lode e l’onore, la gloria e la sovranità!

    Quale contrasto con la sufficienza, con l’orgoglio dell’uomo contemporaneo, che vuole assidersi sul trono di Dio consegnando alla derisione, cioè alla vendetta pubblica, i cristiani che difendono la vita dalla concezione fino alla morte naturale, che rifiutano l’incubo prometeico della manipolazione del genoma umano, che difendono il povero e il rifugiato senza difesa, che difendono le radici cristiane della Francia e dell’Europa…
    Ora, che vuol dire “seguire la Chiesa” se non “imitare Cristo”, che ci dice come a San Pietro: «seguimi», dopo avergli chiesto per tre volte: «mi ami, tu?»?…
    Sì, «mi ami, tu»… più del tuo benessere? «mi ami, tu» più dei beni materiali, della tua carriera, dei giuochi, della televisione, del computer e di internet e dei piaceri del mondo?
    In altri termini, è l’amore per Dio che regola la mia vita? Dio è al centro delle nostre famiglie? Vi è un crocifisso, una statua della Madonna in ogni camera? 
    Preghiamo in famiglia, genitori e figli, insieme nell’“angolo della preghiera” o nell’oratorio famigliare, che è un luogo di silenzio e di raccoglimento?
    E  per voi, giovani qui presenti, sono veramente all’ascolto di Cristo, che mi parla nel mio cuore quando lo prego? Che cos’è che mi impedisce di rispondere: «sì», se Egli mi chiama per seguirLo nella via del più alto servizio, il sacerdozio o la vita consacrata? Ho paura delle difficoltà?

    Troppo spesso l’accessorio ingombra la nostra vita; le riviste che accettiamo idolatrano i successi effimeri, e le informazioni televisive mettono in evidenza ciò che domani sarà già dimenticato… Di fronte a questa cultura del provvisorio si erge la nostra fede in Colui a cui appartengono la gloria e la sovranità.
    La nostra certezza è nella Croce di Cristo Salvatore!
    La nostra certezza è tutta compresa in questa esclamazione di San Giovanni nel Vangelo di oggi: «È il Signore!», e allora Pietro si gettò in mare… Come lui, noi siamo chiamati a gettarci nel Cuore di Gesù, a vivere solo di Lui, per Lui… come Maria, Sua Madre e nostra Madre.

    Secondo un’antica tradizione, la Santa Vergine stessa ha tessuto la sacra Tunica del Signore. In effetti, a quell’epoca, in Palestina, erano le donne che confezionavano i vestiti dei membri delle loro famiglie. Per questo motivo la tradizione locale, qui a Argenteuil, ha sempre considerato le vesti portate da Gesù fino alla Croce, non solo come una reliquia della Passione, ma anche come una reliquia di Maria. E la facciata della vostra Basilica contiene una statua della Vergine Maria intenta a cucire.
    Maria, la Madre di Gesù, è anche la Madre del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa. Proprio perché è la Madre della Chiesa, la Vergine Maria è anche la Madre di ciascuno di noi, che siamo i membri del Corpo Mistico di Cristo.
    Dalla Croce, Gesù ha affidato Sua Madre a ciascuno dei suoi discepoli e insieme ha affidato ciascuno dei suoi discepoli all’amore di Sua Madre. L’evangelista Giovanni conclude il suo racconto della Passione con le seguenti parole: «E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.» (Gv. 19, 27). Nel momento supremo del compimento della Sua missione messianica, Gesù lascia dunque a ciascuno dei Suoi discepoli, come eredità preziosa, la Sua stessa Madre, la Vergine Maria.

    Cari fratelli e sorelle,  noi siamo invitati a considerare attentamente l’importanza della presenza di Maria nella vita della Chiesa e nella nostra esistenza personale. Recitiamo il Rosario, l’Angelus, ogni giorno, nelle nostre famiglie o individualmente… Affidiamoci a Lei, consacriamoci al suo Cuore Immacolato, in particolare tutti questi giovani che si preparano al matrimonio: noi siamo i suoi figli diletti!
    Che Ella ci aiuti ad essere testimoni coraggiosi di suo Figlio, missionari intrepidi della nuova evangelizzazione, perché la Tunica senza cuciture di Cristo possa rivestire ogni uomo assetato di verità.
    Amen.


    [Modificato da Caterina63 15/04/2016 17:13]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 11/06/2016 19:37

    FOCUSdi Angela Pellicciari
    Martin Lutero
     

    Libertà e uguaglianza: le due parole che hanno fatto la storia moderna hanno Lutero come padre. Ma a Lutero interessa quella dei principi. Perché la libertà è da Roma. L’uguaglianza va ristabilita: sacerdozio universale. Papi e vescovi vanno azzerati. Questo ha portato sangue e morte. Non si può fare finta che la storia non sia mai esistita.


    Libertà e uguaglianza: le due parole che hanno fatto la storia moderna hanno Lutero come padre. Solo che bisogna intendersi sul loro significato. Libertà? A Lutero interessa quella dei principi. Papa e vescovi non obbediscono alla sua idea di riforma? Bene, vuol dire che la riforma la faranno i principi da lui investiti dell’autorità spirituale. La libertas ecclesiae scompare? Che importa, trionfa il vero vangelo di Gesù Cristo così come insegnato alla suola di Wittenberg, definita propria della “Chiesa cattolica di Cristo”.

    L’uguaglianza va ristabilita: sacerdozio universale. Papi, vescovi, abati, religiosi, vanno azzerati. Lutero stabilisce che le ricchezze da loro amministrate (si calcola che la chiesa imperiale possedesse un terzo della ricchezza nazionale) vadano regalate ai principi. I cavalieri si ribellano perché vogliono parte del bottino tanto miracolosamente piovuto dal cielo? I cavalieri vanno combattuti così come i contadini. A loro riguardo Lutero stabilisce: “Chiunque lo possa deve colpire, strozzare, accoppare in pubblico o in segreto, convinto che non esiste nulla di più velenoso, nocivo e diabolico di un sedizioso, appunto come si deve accoppare un cane arrabbiato, perché, se non lo ammazzi tu, esso ammazzerà te e tutta la contrada con te”.

    Qualche anno più tardi il più grande rivoluzionario del secondo millennio ammetterà la sua responsabilità nell’eccidio: “Nella sollevazione io ho ammazzato tutti i contadini, tutto il loro sangue è sul mio collo. Ma io lo rovescio su nostro Signore Iddio; egli mi ha imposto di parlare in modo siffatto”. Sì, perché il predicatore della libertà nega il libero arbitrio. Quindi nega la responsabilità individuale e “rovescia” tutto sulle spalle di nostro Signore. Paragonare, come alcuni fanno, Lutero a Francesco d’Assisi è quasi blasfemo.

    Per Lutero la libertà è libertà da Roma. Perché a Roma c’è l’anticristo. Questa convinzione è tanto radicata nel monaco agostiniano da ripeterla dal 1520 –praticamente dall’inizio della sua campagna antiromana- fino alla morte. “Asino, cane, re dei ratti, coccodrillo, larva, bestia, drago infernale, escremento del diavolo, porco epicureo”: questi alcuni degli epiteti che Lutero riserva ai successori di Pietro. Lutero affianca l’allegra spensieratezza delle parole alla pesantezza delle immagini. Come tutti i rivoluzionari vuol far nuove tutte le cose, culto compreso. Una spietata iconoclastia purifica le chiese dalle incrostazioni idolatriche del culto cattolico: statue, affreschi, mosaici, croci, oggetti di culto di varia natura, paramenti, tutto distrutto. Se nelle chiese resta il vuoto, nelle case private Lutero vuole siano ben visibili, per la loro preziosa funzione pedagogica, un nuovo tipo di icone progettate in collaborazione con Lucas Cranagh il Vecchio. Si tratta di xilografie che mostrano al popolo, al popolo ignorante che non sa ben orientarsi, quale sia la vera natura del papa, della chiesa cattolica, degli ordini religiosi: immagini oscene, di rara violenza, che serviranno da falsariga ai rivoluzionari francesi.

    Lutero uomo della misericordia? A parte quella mostrata nei confronti della chiesa di Roma e dei contadini, c’è anche la misericordia riservata agli ebrei: misericordia che farà scuola nella Germania strappata alla tradizione romana. Tre anni prima della morte, nel 1543, Lutero scrive Degli ebrei e delle loro menzogne e offre ai principi sette “consigli salutari” su come comportarsi nei loro confronti. Ne riportiamo tre:

    - primo: “è cosa utile bruciare tutte le loro Sinagoghe, e se qualche rovina viene risparmiata dall’incendio, bisogna coprirla di sabbia e fango, affinché nessuno possa vedere più nemmeno un sasso o una tegola di quelle costruzioni”;

    -secondo: “siano distrutte e devastate anche le loro case private. Infatti, le stesse cose che fanno nelle Sinagoghe, le fanno anche nelle case”;

    -settimo: “sia imposta la fatica ai Giudei giovani e robusti, uomini e donne, affinché si guadagnino il pane col sudore della fronte”.

    Divisione della cristianità, odio per Roma e la sua tradizione, odio per gli ebrei, dilapidazione dell’immenso patrimonio della chiesa tedesca, settarismo, pauperismo, guerre civili, utilizzo spregiudicato della storia ad uso di una propaganda menzognera, totalitarismo fino ad allora sconosciuto nelle nazioni cristiane, disprezzo per il popolo, nazionalismo esasperato. Queste alcune delle conquiste attribuibili alla riforma. Avremmo sperato che fossero i luterani a tornare a Roma, contenti che l’odio verso Pietro, nonostante tutto, non abbia prevalso. Contenti di tornare a casa. Come da qualche anno hanno ricominciato a fare gli anglicani.





    In questo thread al messaggio n.22 abbiamo postato le note stonate del Papa che, purtroppo malamente informato, ha fatto delle affermazioni assai errate sul riavvicinamento dei Protestanti e sul famoso Documento della Giustificazione.... dimenticando però, che già all'epoca furono chiariti dubbi e ambiguità proprio dal Prefetto della CdF con Giovanni Paolo II, rileggiamo il testo 



    25 giugno 1998 
    La "Dichiarazione Congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale circa la Dottrina della giustificazione" ("Gemeinsame Erklärung") rappresenta un progresso notevole nella mutua comprensione e nell'avvicinamento delle parti in dialogo; essa mostra che numerosi sono i punti di convergenza fra la posizione cattolica e quella luterana su una questione così controversa durante secoli. Si può certamente affermare che si è raggiunto un alto grado di accordo, sia per quanto riguarda l'approccio alla questione sia per quanto riguarda il giudizio che essa merita. E' giusta la costatazione che c'è "un consenso in verità fondamentali della Dottrina della giustificazione".

     

    RISPOSTA DELLA CHIESA CATTOLICA ALLA DICHIARAZIONE CONGIUNTA TRA LA CHIESA CATTOLICA E LA FEDERAZIONE LUTERANA MONDIALE CIRCA LA DOTTRINA DELLA GIUSTIFICAZIONE

    Pubblichiamo di seguito il testo originale in lingua italiana e le traduzioni in inglese, francese e tedesco della “Risposta della Chiesa cattolica alla Dichiarazione Congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale circa la Dottrina della giustificazione”:

    DICHIARAZIONE

    La "Dichiarazione Congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale circa la Dottrina della giustificazione" ("Gemeinsame Erklärung") rappresenta un progresso notevole nella mutua comprensione e nell'avvicinamento delle parti in dialogo; essa mostra che numerosi sono i punti di convergenza fra la posizione cattolica e quella luterana su una questione così controversa durante secoli. Si può certamente affermare che si è raggiunto un alto grado di accordo, sia per quanto riguarda l'approccio alla questione sia per quanto riguarda il giudizio che essa merita(1). E' giusta la costatazione che c'è "un consenso in verità fondamentali della Dottrina della giustificazione"(2).

    La Chiesa cattolica ritiene tuttavia che non si possa ancora parlare di un consenso tale che elimini ogni differenza fra i cattolici e i luterani nella comprensione della giustificazione. La stessa Dichiarazione Congiunta fa riferimento a talune di queste differenze. In realtà in alcuni punti le posizioni sono ancora divergenti. Sulla base quindi dell'accordo già raggiunto su molti aspetti, la Chiesa cattolica intende contribuire al superamento delle divergenze ancora esistenti offrendo qui di seguito un elenco di punti, citati secondo un ordine di importanza, che su questo tema impediscono ancora una intesa in tutte le verità fondamentali fra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale. La Chiesa cattolica spera che le seguenti indicazioni potranno essere uno stimolo per continuare lo studio di tali questioni, nello stesso spirito fraterno che ha caratterizzato negli ultimi tempi il dialogo fra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale.

    PRECISAZIONI

    1. Le difficoltà più grandi per poter affermare un consenso totale tra le parti sul tema della giustificazione si riscontrano nel paragrafo 4.4. Das Sündersein des Gerechtfertigten (nn. 28-30). Pur tenendo conto delle differenze, in sé legittime, risultanti da approcci teologici diversi al dato di fede, dal punto di vista cattolico già il titolo suscita perplessità. Secondo la Dottrina della Chiesa cattolica infatti nel battesimo viene tolto tutto ciò che è veramente peccato, e perciò Dio non odia niente in quelli che sono nati di nuovo(3). Ne consegue che la concupiscenza che rimane nel battezzato non è propriamente peccato. Perciò per i cattolici la formula "zugleich Gerechter und Sünder", così come viene spiegata all'inizio del n. 29 ("Er ist ganz gerecht, weil Gott ihm durch Wort und Sakrament seine Sünde vergibt... In Blick auf sich selbst aber erkennt er... dass er zugleich ganz Sünder bleibt, dass die Sünde noch in ihm wohnt..."), non è accettabile. Questa affermazione non sembra infatti compatibile con la rinnovazione e la santificazione dell'uomo interiore di cui parla il Concilio di Trento(4). Il termine "opposizione a Dio" (Gottwidrigkeit) che si usa nei nn. 28-30 viene inteso in modo diverso dai luterani e dai cattolici, e diventa perciò in realtà un termine equivoco. In questo stesso senso può anche essere ambigua per un cattolico la frase del n. 22, "...rechnet ihm Gott seine Sünde nicht an und wirkt in ihm tätige Liebe durch den Heiligen Geist", in quanto la trasformazione interiore dell'uomo non appare con chiarezza. Per tutte queste ragioni rimane quindi difficile vedere come si possa affermare che questa dottrina sul "simul iustus et peccator", allo stato attuale della presentazione che se ne fa nella Dichiarazione Congiunta, non sia toccata dagli anatemi dei decreti tridentini sul peccato originale e la giustificazione.

    2. Un'altra difficoltà si trova nel n. 18 della Dichiarazione Congiunta, ove si evidenzia una chiara differenza nell'importanza che la dottrina della giustificazione ha per i cattolici e i luterani, in quanto criterio per la vita e per la prassi della Chiesa. Mentre per i luterani questa dottrina ha assunto un significato del tutto singolare, per quanto riguarda la Chiesa cattolica il messaggio della giustificazione, seguendo la Scrittura e fin dai tempi dei Padri, deve essere organicamente inserito nel criterio fondamentale della "regula fidei", cioè la confessione del Dio uno e trino, cristologicamente centrata e radicata nella Chiesa viva e nella sua vita sacramentale.

    3. Come si afferma al n. 17 della Dichiarazione Congiunta, luterani e cattolici condividono la comune convinzione che la vita nuova viene dalla misericordia divina e non da un merito nostro. Occorre però ricordare, come si dice in 2 Cor. 5,17, che questa misericordia divina opera una nuova creazione e rende quindi l'uomo capace di rispondere al dono di Dio, di co-operare con la grazia. A questo riguardo la Chiesa cattolica prende atto con soddisfazione che il n. 21, in conformità con il can. 4 del Decreto sulla Giustificazione del Concilio di Trento (DS 1554) afferma che l'uomo può rifiutare la grazia; ma si dovrebbe anche affermare che a questa libertà di rifiutare corrisponde anche una nuova capacità di aderire alla volontà divina, capacità giustamente chiamata "cooperatio". Questa nuova capacità, data nella nuova creazione, non permette l'uso dell'espressione "mere passive" (n. 21). D'altra parte che questa capacità abbia carattere di dono, lo esprime bene il cap. 5 (DS 1525) del Decreto tridentino quando dice: "ita ut tangente Deo cor hominis per Spiritus Sancti illuminationem, neque homo ipse nihil omnino agat, inspirationem illam recipiens, quippe qui illam et abicere potest, neque tamen sine gratia Dei movere se ad iustitiam coram illo libera sua voluntate possit".

    In realtà anche da parte luterana al n. 21 si afferma una piena partecipazione personale nella fede ("sein volles personales Beteiligtsein im Glauben"). Sarebbe necessario però un chiarimento sulla compatibilità di questa partecipazione con l'accoglienza della giustificazione "mere passive", allo scopo di determinare con più precisione il grado di coincidenza con la dottrina cattolica. Quanto poi alla frase finale del n. 24: "Gottes Gnadengabe in der Rechtfertigung unabhängig bleibt von menschlicher Mitwirkung", essa deve essere intesa nel senso che i doni di grazia di Dio non dipendono dalle opere dell'uomo, ma non nel senso che la giustificazione possa accadere senza la cooperazione umana. La frase del n. 19 secondo la quale la libertà dell'uomo "ist keine Freiheit auf sein Heil hin" analogamente deve collegarsi con l'impossibilità dell'uomo di accedere alla giustificazione con le proprie forze.

    La Chiesa cattolica sostiene anche che le buone opere del giustificato sono sempre frutto della grazia. Ma allo stesso tempo, e senza nulla togliere alla totale iniziativa divina(5), esse sono frutto dell'uomo giustificato e trasformato interiormente. Perciò si può dire che la vita eterna è, allo stesso tempo, sia grazia che ricompensa data da Dio per le buone opere e i meriti (6). Questa dottrina è conseguenza della trasformazione interiore dell'uomo di cui si è parlato nel n. 1 di questa "Nota". Questi chiarimenti aiutano alla giusta comprensione, dal punto di vista cattolico, del paragrafo 4.7 (nn. 37-39) sulle opere buone del giustificato.

    4. Nella continuazione dello studio si dovrà trattare anche del sacramento della penitenza, del quale fa menzione il n. 30 della Dichiarazione Congiunta. Secondo il Concilio di Trento infatti(7), mediante questo sacramento il peccatore può essere nuovamente giustificato(rursus iustificari); il che implica la possibilità, per mezzo di questo sacramento, distinto da quello del battesimo, di recuperare la giustizia perduta(8). Non tutti questi aspetti si trovano sufficientemente rilevati nel suddetto n. 30.

    5. Queste osservazioni intendono precisare l'insegnamento della Chiesa cattolica riguardo a quei punti sui quali non si è giunti a un accordo totale e completare alcuni dei paragrafi che espongono la dottrina cattolica, per meglio mettere in luce la misura del consenso a cui si è arrivati. L'alto livello d'accordo raggiunto non permette ancora di affermare che tutte le differenze che separano i cattolici e i luterani, nella dottrina circa la giustificazione, sono semplici questioni di accentuazione o di linguaggio. Alcune toccano aspetti di contenuto e quindi non sono tutte reciprocamente compatibili, come invece si afferma al n. 40.

    Se è vero inoltre che in quelle verità sulle quali un consenso è stato raggiunto, le condanne del Concilio di Trento non si applicano più, tuttavia le divergenze che riguardano altri punti devono invece essere superate prima di poter affermare, come si dice genericamente al n. 41, che tali punti non ricadono più sotto le condanne del Concilio di Trento. Ciò vale in primo luogo per la dottrina sul "simul iustus et peccator" (cfr n. 1, supra).

    6. Occorre infine rilevare il carattere diverso, dal punto di vista della rappresentatività, dei due firmatari, che hanno siglato questa Dichiarazione Congiunta. La Chiesa cattolica riconosce il grande sforzo fatto dalla Federazione Luterana Mondiale, di arrivare tramite la consultazione dei Sinodi al "magnus consensus", per dare un vero valore ecclesiale alla sua firma; rimane però la questione dell'autorità reale di un tale consenso sinodale, oggi e anche domani, nella vita e nella dottrina della comunità luterana.

    PROSPETTIVE PER IL LAVORO FUTURO

    7. La Chiesa cattolica desidera ribadire il suo auspicio che questo importante passo in avanti verso un accordo nella dottrina circa la giustificazione venga seguito da ulteriori studi che permettano di chiarire in modo soddisfacente le divergenze ancora esistenti. In particolare sarebbe auspicabile un approfondimento del fondamento biblico che costituisce la base comune della dottrina della giustificazione sia per i cattolici che per i luterani. Detto approfondimento dovrebbe estendersi all'insieme del Nuovo Testamento e non soltanto agli scritti paolini. Se è vero infatti che san Paolo è l'autore neotestamentario che ha parlato di più su questo argomento, il che richiede una certa attenzione preferenziale, non mancano consistenti riferimenti al tema anche negli altri scritti del Nuovo Testamento. Quanto ai diversi modi con cui Paolo descrive la nuova condizione dell'uomo, menzionati dalla Dichiarazione Congiunta, si potrebbero aggiungere le categorie della filiazione e dell'eredità (Gal 4,4-7; Rom 8,14-17). La considerazione di tutti questi elementi potrà essere di grande aiuto per la mutua comprensione e permettere di risolvere quelle divergenze nella dottrina circa la giustificazione che ancora sussistono.

    8. Dovrebbe infine essere preoccupazione comune di luterani e cattolici trovare un linguaggio capace di rendere la dottrina della giustificazione più comprensibile anche agli uomini del nostro tempo. Le verità fondamentali della salvezza donata da Cristo e accolta nella fede, del primato della grazia su ogni iniziativa umana, del dono dello Spirito Santo che ci rende capaci di vivere conformemente alla nostra condizione di figli di Dio, ecc. sono aspetti essenziali del messaggio cristiano che dovrebbero illuminare i credenti di tutti i tempi.

    * * *

    Questa Nota, che costituisce la Risposta cattolica ufficiale al testo della Dichiarazione Congiunta, è stata elaborata di comune intesa fra la Congregazione per la Dottrina della Fede ed il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e viene firmata dal Presidente del medesimo Pontificio Consiglio, direttamente responsabile per il dialogo ecumenico.




    Il mistero e l’operazione della grazia
    da 30Giorni 1999


    «È importante questa operazione della grazia. Noi siamo tutti contagiati un po’ dal deismo. Mentre Dio, facendosi uomo, entrando nella carne, unendosi alla carne, continua a operare nel mondo trasformandolo». Intervista con il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede


    Intervista con il cardinale Joseph Ratzinger di Gianni Cardinale

     
    Il cardinale Joseph Ratzinger

    Il cardinale Joseph Ratzinger

    È un primo e importante passo nel dialogo tra cattolici e luterani per un pieno accordo sulla dottrina della giustificazione. Permangono tuttavia questioni che non sono ancora risolte. Rimane poi il grave compito di rendere questa dottrina comprensibile per l’uomo di oggi. Il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, non perde il suo consueto realismo anche nel commentare il penultimo passo dell’iter che il prossimo autunno porterà la Chiesa cattolica e la comunità luterana a firmare una Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione.
    Lo scorso 11 giugno infatti, a Ginevra, sono stati presentati una Dichiarazione ufficiale comune e un Allegato che faranno parte integrante della Dichiarazione congiunta. Successivamente, il 22 giugno, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha emesso un ulteriore comunicato sulla questione. All’indomani della diffusione di questo documento il cardinale bavarese ha accettato di concedere sull’argomento un’intervista a 
    30Giorni (e non si è tirato indietro di fronte ad alcune domande fuori tema…).
    Ratzinger, 72 anni, nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e creato cardinale nel 1977 da Paolo VI, è attualmente l’unico porporato europeo creato da papa Montini che siederebbe in un eventuale conclave. Convocato a Roma da papa Wojtyla nel 1981, presiede da allora l’ex Sant’Uffizio. Dal novembre dello scorso anno è anche vicedecano del Collegio cardinalizio.
     


    Eminenza, a che livello si situa questo accordo tra Chiesa cattolica e luterani? Si sottolinea più volte che si tratta di un accordo “su” verità e non “sulle” verità della dottrina della giustificazione… 
    JOSEPH RATZINGER: Questo è un punto importante. Entrambe le parti hanno sottolineato il fatto che non si ha semplicemente un consenso sulla dottrina della giustificazione come tale ma su verità fondamentali della dottrina della giustificazione. Quindi ci sono settori dove c’è realmente un’intesa, ma rimangono altri problemi che non sono ancora risolti. 


    Quali, ad esempio? 

    RATZINGER: Non si tratta delle formule prese in se stesse, ma considerate nel loro contesto, come nel caso di quella simul iustus et peccator. Per Lutero, perseguitato dal timore della condanna eterna, era importante sapere che, anche se era un peccatore, era tuttavia amato da Dio e giustificato. Per lui c’è questa contemporaneità: di essere vero peccatore e di essere totalmente giustificato. È una espressione della sua esperienza personale, che poi è stata approfondita anche con riflessioni teologiche. Mentre per la Chiesa cattolica è importante sottolineare che non c’è un dualismo. Se uno non è giusto non è neanche giustificato. La giustificazione, cioè la grazia che ci viene data nel sacramento, rende il peccatore nuova creatura, come dice san Paolo. Ma rimane, come afferma il Concilio di Trento, la concupiscenza, cioè una tendenza al peccato, uno stimolo che porta al peccato, ma che, come tale, non è peccato. Queste sono controversie classiche. Il problema diventa più reale se prendiamo in considerazione la presenza della Chiesa nel processo della giustificazione, la necessità del sacramento della penitenza. Qui si rivelano le vere divergenze. 

     

    Nella Risposta della Chiesa cattolica alla Dichiarazione congiunta, resa pubblica lo scorso anno, si chiedeva appunto di approfondire questo argomento… 
    RATZINGER: Sì, ma in questo momento non è possibile. Da entrambe le parti ci siamo accontentati di chiarire alcune formule classiche. Abbiamo lasciato da parte gli aspetti che nella vita cristiana seguono, diciamo così, la giustificazione. 

    Torniamo alla formula simul iustus et peccator. C’è una interpretazione di questa formula secondo cui la grazia non opera un cambiamento reale, rimane una mera copertura del peccato dell’uomo… 
    RATZINGER: Sì. In questo senso è importante notare che Dio agisce realmente nell’uomo. Lo trasforma, crea qualcosa di nuovo nell’uomo, non dà soltanto un giudizio quasi giuridico, esterno all’uomo. Ciò ha una portata molto più generale. C’è una trasformazione del cosmo e del mondo. Penso ad esempio all’Eucarestia. Noi cattolici diciamo che c’è una transustanziazione, che la materia diventa Cristo. Lutero parla invece di coesistenza: la materia rimane tale e coesiste con Cristo. Noi cattolici crediamo che la grazia è una vera trasformazione dell’uomo e una trasformazione iniziale del mondo e non è, come lei dice bene, soltanto una copertura aggiunta che non entra realmente nel vivo della realtà umana. 

    Il poeta francese Charles Péguy circa un secolo fa coglieva la radice della scristianizzazione nel fatto di non riconoscere l’operazione della grazia… 
    RATZINGER: È importante questa operazione della grazia. Noi siamo tutti contagiati un po’ dal deismo. Dio rimane un po’ fuori. Mentre la fede cattolica – questa grande fiducia, questa grande gioia che Dio, facendosi uomo, entrando nella carne, unendosi alla carne, continua a operare nel mondo trasformandolo – ha la potenza, la volontà, la radicalità dell’amore, per entrare nel nostro essere e trasformarlo. 

    Avvenire ha accolto la Dichiarazione ufficiale comune dell’11 giugno col titolo Cattolici-luterani, scomuniche addio. Il 22 giugno un comunicato del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha ricordato che le scomuniche mantengono «“il significato di salutari avvertimenti” di cui dobbiamo tener conto nella dottrina e nella prassi». Insomma, che fine hanno fatto le scomuniche di Trento? 
    RATZINGER: Il documento dice che le scomuniche di Trento in questo settore non toccano la dottrina così come è esposta oggi. Nello stesso tempo il valore veritativo delle scomuniche, comunque, rimane quello. Chi si oppone alla dottrina esposta a Trento si oppone alla dottrina, alla fede della Chiesa.

     

    Eppure nella Risposta della Chiesa cattolica dello scorso anno si affermava: «…rimane quindi difficile vedere come si possa affermare che questa dottrina sul simul iustus et peccator, allo stato attuale della presentazione che se ne fa nella Dichiarazione congiunta, non sia toccata dagli anatemi dei decreti tridentini sul peccato originale e sulla giustificazione». 
    RATZINGER: All’epoca, il testo della Dichiarazione congiunta non era ancora sufficientemente preciso da permettere un pieno accordo. Adesso con questo nuovo Allegato reso noto lo scorso 11 giugno abbiamo ottenuto delle chiarificazioni che vanno realmente oltre. Adesso si dice esplicitamente che il peccato è una realtà personale, e che quindi l’uomo non è peccatore in senso reale se non commette un peccato personale. Con questo Allegato, che è un elemento molto importante, abbiamo ottenuto le chiarificazioni che mancavano ancora nella Dichiarazione congiunta. 

    Che impressione fa che il primo accordo con i luterani riguardi proprio il tema della giustificazione che fu l’elemento scatenante della Riforma? 
    RATZINGER: Si capisce che per i luterani fosse il punto di partenza di un dialogo, perché era il tema che, come lei ha detto, ha scatenato tutta l’onda della Riforma. Quindi cominciare da qui per poi allargare il consenso era naturale e anche necessario. Anche se oggi, nella vita di ogni giorno, i cristiani sono poco consapevoli di questo punto (anche tra i luterani, se si chiede cosa si intende per giustificazione, le riposte saranno molto manchevoli; e questo ci ha permesso un clima di serenità, un clima pacifico di discussione, perché non è più una ferita attiva), rimane il punto da cui scaturiscono tutti gli altri problemi. Quindi, per avere un cammino anche logico di priorità ecumenica, era ovvio cominciare da quello che per Lutero era il punto della scoperta riformatrice. 

    Non è preoccupante che non solo nel mondo protestante, ma anche nel mondo cattolico, questo tema della giustificazione sia considerato lontano o non considerato affatto? 
    RATZINGER: Questo è il vero problema. Nella Risposta della Chiesa cattolica dello scorso anno stava scritto: «Dovrebbe essere preoccupazione comune di luterani e cattolici trovare un linguaggio capace di rendere la dottrina della giustificazione più comprensibile anche agli uomini del nostro tempo». Penso che la quasi assenza di questa dottrina è causata da un indebolimento del senso di Dio. Se Dio è preso sul serio, il peccato è una cosa seria. E così era per Lutero. Adesso Dio è abbastanza lontano, il senso di Dio è molto attenuato e perciò anche il senso della grazia è attenuato. Adesso dobbiamo trovare insieme in questo contesto attuale il modo di annunciare Dio, Cristo, di annunciare così la bellezza della grazia. Perché se non c’è senso di Dio, se non c’è senso del peccato, la grazia non dice niente. E mi sembra questo il nuovo compito ecumenico: che insieme possiamo capire e interpretare in un modo accessibile, che tocca il cuore dell’uomo di oggi, cosa vuol dire che il Signore ci ha redenti, ci ha dato la grazia. 

    Eminenza, permette alcune “domande extra”, al di fuori del tema trattato finora? 
    RATZINGER: Prego. 

    Nel numero di aprile 30Giorni ha pubblicato un’intervista al cardinale Bernardin Gantin, nella quale il decano del Sacro Collegio auspicava un ritorno alla prassi antica che proibiva il trasferimento di un vescovo da una diocesi all’altra. Cosa pensa a riguardo? 
    RATZINGER: Sono totalmente d’accordo con il cardinale Gantin. Soprattutto nella Chiesa non dovrebbe esistere alcun senso di carrierismo. Essere vescovo non deve essere considerato una carriera con diversi gradini, da una sede all’altra, ma un servizio molto umile. Penso che anche la discussione sull’accesso al ministero sarebbe molto più serena se si vedesse nell’episcopato non una carriera ma un servizio. Anche una sede umile, con pochi fedeli, è un servizio importante nella Chiesa di Dio. Certo, ci possono essere casi eccezionali: una grandissima sede in cui è necessario avere esperienza del ministero episcopale, in questo caso può darsi… Ma non dovrebbe essere una prassi normale; solo in casi eccezionalissimi. Rimane valida questa visione del rapporto vescovo-diocesi come un matrimonio che implica una fedeltà. Anche il popolo cristiano pensa così: se un vescovo viene nominato in una diocesi, giustamente si vede questo come una promessa di fedeltà. Purtroppo anche io non sono rimasto fedele essendo stato convocato qui… 

     

    Il cardinale Gantin auspicava anche un cambiamento del Codice di diritto canonico che proibisse il passaggio di diocesi… 
    RATZINGER: È pensabile, benché difficile. Difficilmente si cambia il Codice a solo sedici anni dalla pubblicazione. In futuro vedrei anch’io bene che fosse aggiunta una frase su questa unicità e fedeltà di un impegno diocesano. 

    Cambiamo argomento. Non molto tempo fa hanno fatto un certo scalpore alcune frasi scritte da lei nell’introduzione di un libretto della Congregazione per la dottrina della fede 
    Sulla pastorale dei divorziati risposati pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. In particolare ha colpito l’affermazione che il dicastero che lei presiede sta studiando la questione se «veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale» vista la scristianizzazione dilagante di oggi… 

    RATZINGER: Forse era imprudente dirlo. Ma il problema è molto reale, perché abbiamo una situazione sconosciuta fino a cento anni fa. Ci sono tanti battezzati non credenti. Questa è una realtà nuova, da studiare. Non oso adesso fare una previsione su cosa uscirà da questo studio. Volevo solo dire che noi abbiamo percepito questa nuova situazione, ne siamo consapevoli, e vogliamo approfondire il tema per vedere, per verificare se ci sono delle conseguenze giuridiche, sacramentali, teologiche, oppure no.
     

    Un ultimo quesito. È di questi giorni la notizia della citazione presso la Rota romana del presunto autore del volume Via col vento in Vaticano. Alcuni organi di informazione hanno paventato un intervento anche della
    Congregazione da lei presieduta. Le risulta qualcosa?
     

    RATZINGER: Niente. Non mi occupo di pettegolezzi. È un mondo che mi è totalmente estraneo. Ho sentito solo da lontano. A me comunque non risulta niente. 

    [Modificato da Caterina63 01/07/2016 22:10]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 09/07/2016 21:53
    [SM=g1740733] EMERGENZE DOTTRINALI. Un percorso di chiarificazione per quei cattolici che si dicono turbati e confusi..

    noi festeggeremo l'Eucaristia, i Santi, la Vergine del Santo Rosario, il 2017 Centenario delle Apparizioni a Fatima.... [SM=g1740733]

    gloria.tv/video/MNxofJ4vj1F23jLqCataYXYLo







    [SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

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    FOCUSdi Francesca Pannuti
    Martin Lutero
     

    Con l’approssimarsi delle commemorazioni per il quinto centenario delle 95 tesi affisse da Martin Lutero, è tornato d’attualità il tema della “giustificazione”, centrale per comprendere la divisione tra cattolici e luterani. Il tema è stato toccato dapprima dal papa emerito Benedetto XVI e poi da papa Francesco. Sul tema, abbiamo  intervistato monsignor Antonio Livi, professore emerito di Filosofia della conoscenza nella Pontificia Università Lateranense.

    Con l’approssimarsi delle commemorazioni per il quinto centenario delle 95 tesi affisse da Martin Lutero, è tornato d’attualità il tema della “giustificazione”, centrale per comprendere la divisione tra cattolici e luterani. Il tema è stato toccato dapprima dal papa emerito Benedetto XVI, con una intervista in occasione di un convegno proprio su questo argomento, e poi   da papa Francesco in una risposta durante la tradizionale conferenza stampa in aereo di ritorno dall’Armenia, il 26 giugno scorso. Abbiamo perciò cercato di approfondire i termini esatti della questione, intervistando monsignor Antonio Livi, professore emerito di Filosofia della conoscenza nella Pontificia Università Lateranense, studioso di fama internazionale, autore di numerose pubblicazioni, tra cui Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un ‘equivoca filosofia religiosa”, Casa editrice Leonardo da Vinci, 2012.

    Monsignore, la dottrina della giustificazione che rilievo ha in seno alla fede cattolica?

    «Si tratta della grazia santificante, l’azione gratuita e misericordiosa di Dio che redime dal peccato originale e consente il progresso della vita cristiana. Il termine “giustificazione” è biblico, perché nella Scrittura “giusto” vuol dire “santo”: l’uomo giusto è colui che si pone nella giusta posizione davanti a Dio, adorandolo per la sua Maestà divina e immensa Bontà, implorando da Lui la salvezza propria e altrui, ringraziandolo per tutti i suoi benefici e obbedendo gioiosamente ai suoi comandamenti, che sono la vera via della felicità. E Dio può e vuole “giustificare” con la sua grazia l’uomo, redimendolo dal peccato originale, restituendogli l’innocenza perduta con il peccato personale (e in tal modo conservandolo nell’amicizia con Dio stesso). La grazia santificante si chiama per questo gratia gratum faciens, nel senso che rende l’uomo giusto e dunque gradito a Dio (perché Dio, come ripete incessantemente la Scrittura, non tollera il peccato: ama l’uomo peccatore, ma proprio perché lo ama lo vuole liberare dal peccato, che è l’unico ostacolo per la sua felicità temporale ed eterna). Secondo la dottrina cattolica, l’anima del peccatore che diventa giusto passa dallo stato di inimicizia con Dio allo stato d’amicizia: la “giustificazione” è dunque un passaggio dallo stato di peccato a quello di grazia. Come definisce il Concilio di Trento, “la giustificazione del peccatore è il passaggio da quello stato in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio [Rm 8, 15] per mezzo del secondo Adamo Gesù Cristo Salvatore nostro” (Decreto sulla giustificazione). L’uomo rinnovato, risanato quindi ed elevato all’ordine soprannaturale, riacquista la realtà dell’amicizia con Dio, è mondato ed elevato anche perché possa in questa vita accedere degnamente al sommo sacramento, l’Eucarestia, ove si unisce con Gesù Cristo stesso, anticipando già in questa vita l’unione perfetta con Dio nella gloria.»

    Centrale, infatti, è la consapevolezza, acutamente precisata da sant’Antonio nei suo Sermoni, che il “giusto” è “colui che accusa se stesso”. Tale dottrina coincide con quanto affermano anche i protestanti?

    «Che cosa affermino oggi i protestanti non è facile dirlo, perché in quel campo non c’è un vero e proprio magistero, come non c’è una dottrina teologica riconosciuta da tutte le varie comunità “riformate” o “evangeliche”, le quali non si riconoscono nemmeno in un’unica interpretazione del pensiero del Riformatore. Se però ci si riferisce a quelle che sono state le tesi di Martin Lutero, si deve dire che con la sua “riforma” la dottrina cattolica sulla grazia santificante ne è risultata stravolta e rinnegata nella sua verità più profonda ed essenziale. Lutero, innanzitutto, ha creduto di poter dedurre dalla Lettera ai Romani una concezione della fede come fides fiducialis, ossia come mera fiducia nei meriti di Cristo redentore, la cui grazia non renderebbe giusto il peccatore ma si limiterebbe a “coprirne” i peccati, non imputandoglieli e sottraendolo così al giusto castigo divino».

    Ma non si tratta di una palese contraddizione?

    «Per questo Lutero immagina che il cristiano sia allo stesso tempo peccatore e giustificato («homo simul iustus et peccator»). Insomma, colui al quale sono imputati i meriti di Cristo - e che sarebbe quindi un “giusto” - non per questo è rinnovato dalla grazia santificante, non è un “homo novus”, ma è una “carogna” (il termine è dello stesso Lutero) avvolta dal manto immacolato dei meriti di Cristo; egli quindi, senza abbandonare il suo peccato, può essere un giustificato. In questa prospettiva non c’è più spazio per la dottrina spirituale cattolica che esige da ogni fedele l’impegno ascetico, in modo che, sostenuto dalle “grazie attuali”, egli abbia sempre la disponibilità alle rinunce e ai sacrifici, ossia a quella “lotta interiore” che serve a evitare il peccato o a emendarsene. La concezione di una radicale corruzione dell’uomo dopo il peccato originale ha portato Lutero alla teorizzazione di una salvezza “sola fide”, una “fede” la cui nozione - che ha oggi invaso il mondo cattolico - è falsa, perché non è la fede dogmatica, per cui è essenziale l’adesione ai contenuti della Rivelazione, ma la fede-fiduciale in cui quel che conta è l’aspetto per così dire “sentimentale”.  Quindi, dice Lutero, “pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente” (“pecca fortiter, sed crede fortius”), ovvero quanto più l’uomo continua a peccare tanto più dimostra la propria assoluta fiducia nei meriti di Cristo, che hanno il potere divino di salvare indipendentemente dal libero arbitrio del credente. Quel che è peggio è che, in questa concezione luterana della giustificazione, i mezzi stabiliti da Dio per concedere la sua grazia, che sono i Sacramenti di Cristo, vengono privati a uno a uno del loro significato propriamente teologico, e alla fine vengono del tutto aboliti, salvo (apparentemente) il Battesimo. Data la gravità di queste interpretazioni eretiche, disastrose per la salvezza delle anime secondo il progetto misericordioso di Dio, la Chiesa ha dovuto condannare come eretica la dottrina luterana sulla giustificazione, e lo ha fatto con precisi e inequivocabili “canoni” o “anatematismi” nel Concilio di Trento (Sessione VI, 13 gennaio 1547)».

    C'è stato un riavvicinamento tra le due posizioni nei tempi recenti?

    «Premetto che di “due posizioni” non si può parlare. Infatti, la posizione della Chiesa cattolica - che ha un Magistero e una dottrina ben definita, fissata in formule dogmatiche - non si può in alcun modo confrontare con la miriade di varianti interpretative e di sviluppi teoretici delle idee di Lutero, visto che la proliferazione di denominazioni nell’ambito della Riforma, rendono praticamente impossibile individuare una dottrina comune. Ciò nonostante, c’è stata una serie di tentativi di dialogo interreligioso, nell’ambito della quale una commissione di teologi cattolici (designati dalla Santa Sede) ha discusso con una commissione di teologi luterani (designati dalle diverse autorità religiose di ispirazione luterana) la possibilità di trovare dei punti d’incontro tra il dogma cattolico e quello che tale commissione ritiene possa dirsi oggi la dottrina di Lutero. Ma tale convegno di studio, animato da intenzioni più politiche che scientifiche, ha elaborato un documento finale (pubblicato il 31 ottobre 1997) nel quale, con discorsi estremamente ambigui, i luterani hanno presentato gli sviluppi della loro dottrina sulla giustificazione in modo che non assomigli più a ciò che il Concilio di Trento aveva condannato, e i cattolici hanno fatto finta di credere che così non ci sono più divergenze dottrinali tra la Chiesa e le comunità nate dalla Riforma. La stessa Santa Sede (con un documento congiunto della Congregazione per la dottrina della fede e del Segretariato per l’unità dei cristiani) ha negato che le conclusioni raggiunte nel convegno di studi abbiano risolto alcun problema (cfr la Risposta della Chiesa Cattolica alla dichiarazione congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione luterana mondiale circa la dottrina della giustificazione, 25 giugno 1998). Per arrivare a dire che la Chiesa ha finalmente riconosciuto che Lutero aveva ragione e che essa ha sbagliato (perché avrebbe interpretato male le tesi del Riformatore o perché era ancora legata a una teologia tomista che oggi sarebbe superata) bisognerebbe che ciò fosse affermato formalmente, non da una qualsiasi commissione di teologi, ma da un Concilio ecumenico a carattere esplicitamente dogmatico che abolisse gli “anatematismi” del Concilio di Trento. Ma questo è proprio impossibile.  Anche quando c’è una riforma nella Chiesa, essa non riguarda mai il dogma, ossia ciò che è stato “definito” semel pro semper ed è quindi irreformabile: riguarda piuttosto aspetti riformabili (accidentali) della dottrina, della morale e della prassi pastorale, e anche in questi ambiti una riforma promossa dal Magistero va interpretata – lo ha spiegato bene papa Benedetto XV – come “riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa”. E il “soggetto-Chiesa”, aggiungo io, è Gesù in Persona, il quale è l’unico Maestro e non può smentire se stesso, perché la proclamazione della sua verità salvifica ha delle esigenze assolute, infinitamente superiori a ogni esigenza relativa, diplomatica o pastorale, presente nel “dialogo interreligioso”!».

    Le correnti teologiche oggi più influenti sono in grado di ben armonizzare tra loro temi come la grazia e la natura, la salvezza e la perdizione, il divino e l’umano?

    «Se si guarda al panorama della teologia attuale in termini di sociologia della cultura e di sociologia religiosa, non possiamo non constatare che quella “dittatura del relativismo” che Benedetto XVI tanto deprecava e dalla quale voleva liberare la Chiesa è oggi più opprimente che mai. E parte di questa dittatura è proprio l’egemonia politico-ecclesiastica della teologia di ispirazione luterana, la quale ha tra i suoi rappresentanti più influenti, tra gli accademici, Karl Rahner e Hans Küng, e tra i cardinali di Curia Walter Kasper. Questa teologia ripropone sostanzialmente la tesi fideistica sulla giustificazione, e quindi mette in ombra il ruolo primario dei sacramenti della grazia santificante, a cominciare dalla Penitenza e dall’Eucaristia».

    Questa teologia ha influenzato anche il Sinodo sulla famiglia?

    «Anche il dibattito nei due Sinodi sulla famiglia a proposito dello “stato di peccato”, in cui versano i battezzati che hanno mancato alla fedeltà coniugale e hanno instaurato una convivenza adulterina, ha messo in evidenza come questa mentalità abbia reso molti padri sinodali insensibili alla necessità della riconciliazione di quelle persone con Dio e con la Chiesa mediante il sacramento della Penitenza, che conferisce la grazia di Cristo a condizione che il penitente eserciti il suo libero arbitrio con gli “atti” che il rito cattolico da sempre prescrive (anche dopo la riforma liturgica di Paolo VI), ossia l’esame di coscienza, il pentimento sincero ed efficace, l’accusa dei peccati con il proponimento di non più commetterli, la “soddisfazione” o riparazione.  Ottenuta dal ministro sacro – che è proprio, per esplicito mandato di Cristo, giudice delle debite disposizioni del penitente - l’assoluzione sacramentale, il fedele è nelle condizioni di poter accedere al sacramento dell’Eucaristia, che è molto più di un mero simbolo della presenza spirituale di Cristo nella comunità orante, ma è, in virtù della transustanziazione,  la possibilità di un incontro personale con Gesù presente fisicamente («in corpo, sangue, anima e divinità») sotto le apparenze del pane e del vino. È il dogma della “presenza reale” – che Lutero disconosce espressamente e i filo-luterani di oggi tendono a sottovalutare o addirittura a relegare tra le inutili astruserie – ciò che deve sollecitare gli operatori della pastorale dei “divorziati risposati” ad adoperarsi, in spirito di autentica misericordia, perché queste persone possano accedere alla Comunione eucaristica con le debite disposizioni, ossia già riconciliati e in “stato di grazia”, evitando di profanare il corpo e il sangue del Signore e di tramutare così in “motivo di condanna” ciò che Dio ha disposto per la loro salvezza e santificazione (si veda Dogma e pastorale. L’ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2016)». 






     Lutero, un Machiavelli della fede
    di Francesco Agnoli

    18-08-2016
    Il matrimonio di Lutero

    In occasione del cinquecentesimo anniversario della rivoluzione di Martin Lutero lo scontro tra cardinali tedeschi è già da tempo in atto: da una parte i cardinali Kasper e Marx, che di Lutero si dichiarano apertamente ammiratori, dall'altra i porporati Mueller, Brandmuller e Cordes, che si collocano invece nel solco del pensiero cattolico, vedendo in Lutero l'uomo che deformò il Vangelo e spezzò la Chiesa, dividendo così la Cristianità e l'Europa.

    Non si tratta, però, solo di un dibattito teologico "alto"; vi sono implicazioni anche riguardo al diritto naturale ed al modo di concepire il matrimonio cristiano. Kasper e Marx stanno cercando da alcuni anni, dopo l'abdicazione di Benedetto, di limitare la condanna dell'adulterio e di legittimare, più o meno apertamente, le seconde nozze, con aperture  graduali anche al matrimonio gay. Cosa c'entra in tutto ciò Lutero?

    Forse ben più di quanto si creda. Anzitutto, riguardo alla dottrina, perchè egli nega il carattere di sacramento al matrimonio, e lo sottopone alla giurisdizione secolare, cioè al potere dei sovrani, degli Stati. Questa concezione desacralizza il matrimonio e lo priva del suo tradizionale significato soprannaturale. 

    Sul piano dei fatti, la prima cosa da ricordare è il matrimonio di Lutero con una ex suora cistercense, Caterina von Bora, da cui avrà 6 figli. I due vanno ad abitare nell'ex convento agostiniano di Wittenberg, donato loro dal principe elettore di Sassonia (il quale deve a sua volta a Lutero il fatto di essere diventato proprietario dei beni della Chiesa cattolica nelle sue terre). Lutero e Caterina divengono così un modello tanto che, sul loro esempio, i riformati "si adoperarono parecchie volte, spesso in intere comitive, per strappare le religiose dai loro chiostri, per farne le loro spose". Dopo un ratto di religiose che ha luogo la notte del sabato santo 1523, Lutero definisce l'organizzatore dell'impresa "felice ladro" e si congratula con lui per aver "liberato queste povere anime dalla prigionia" (vedi Jacques Maritain, I tre riformatori. Lutero. Cartesio. Rousseau, Morcelliana, Brescia, 1990, p. 215). Sono gli anni in cui molte religiose tedesche vengono costrette a lasciare i monasteri, spesso controvoglia, e a tornare alle proprie case, oppure a sposarsi.

    Il secondo fatto da ricordare è il seguente: Lutero, per non perdere l'appoggio del langravio Filippo d'Assia, "uno dei due pilastri politici sui quali si reggeva il luteranesimo", gli concede di sposare in seconde nozze la damigella diciassettenne Margarete von Saale. Filippo ha già una moglie, Cristina di Sassonia, dalla quale ha avuto sette figli. Siamo nel 1539. Lutero non vuole scandali rumorosi, non vuole giustificare pubblicamente una bigamia, ma deve acconsentire alle richieste di Filippo, libertino incallito, malato di sifilide, ma "necessario per conservare integra la forza militare della riforma". 

    Per questo decide di agire con furbizia: sperando che nessuno lo venga a sapere, comunica segretamente a Filippo che il matrimonio supplementare può essere determinato da una "necessità di coscienza". In altre parole: la bigamia va bene, ma basta che non diventi pubblica. Scrivono Lutero e Melantone: "Se dunque vostra Altezza è definitivamente decisa a prendere una seconda moglie, il nostro parere è che ciò deve rimanere segreto". A nozze avvenute, Filippo invia a Lutero, ormai da tempo dedito a mangiate e bevute imponenti, "una botte di vino, che giunse a Wittenberg quando ormai il segreto della bigamia era trapelato ad opera della sorella del langravio". 

    Sentendosi nei guai, Lutero, che meriterà da Tommaso Campanella il titolo di "Machiavelli della fede", consiglia a Filippo di dichiarare pubblicamente che Margarete non è la sua moglie legittima, "sostituendo l'atto di matrimonio con un altro atto notarile che dichiarasse che Margarete era solo la sua concubina". Filippo rifiuta, ed anzi chiede a Lutero di confermare pubblicamente di aver concesso lui stesso la dispensa. Ma Lutero, che in altre occasioni non esiterà a proporre traduzioni fasulle di passi biblici, pur di avere ragione, risponde che il suo consiglio era segreto, "e ora diventava nullo perchè era stato reso pubblico" (Federico A. Rossi di Marignano, Martin Lutero e Caterina von Bora, Ancora, Milano, 2013, p. 343-347; Angela Pellicciari, Martin Lutero, Cantagalli, Siena, 2013, p. 109-113). 

    Pochi anni prima di questi fatti, nel 1531, Lutero, in una delle sue tante lettere alla ricerca del  favore dei potenti, ha scritto ad Enrico VIII re d'Inghilterra che sì, il matrimonio è indissolubile, però... con il permesso della regina si può sposare una seconda moglie, come nell'Antico Testamento. Come sappiamo, Enrico chiederà la dispensa non a Lutero, ma al papa di Roma, ma non ottenendola, coglierà la palla al balzo: proclamerà la scisma con Roma, e alla fine, di ripudio in ripudio, "in coscienza", arriverrà alla ragguardevole cifra di 6 mogli (alcune delle quali fatte uccidere senza scrupoli).

    Se l'effetto evidente della rivoluzione di Lutero riguardo al matrimonio, è dunque il pretesto fornito a se stesso per gettare la tonaca e il pretesto fornito ai principi per permettere loro di ripudiare le legittime consorti e vivere in poligamia, anche sul piano della dottrina tutto è destinato gradualmente a cambiare. Bisogna sempre tener conto di un fatto: Lutero guarda costantemente alla nobiltà germanica come al suo principale interlocutore, di cui ha bisogno per vincere la sua lotta con Roma. E la nobiltà germanica, come quella di altri paesi, è in lotta con la Chiesa non solo per questioni politiche e di potere, ma anche sulla dottrina del matrimonio: spesso i nobili non accettano l'indissolubilità, nè i vincoli al matrimonio imposti da Roma (divieto di matrimoni combinati, di matrimoni tra consanguinei...).

    Inoltre, per motivi legati alle loro condizioni sociali o ereditarie i nobili reclamano più degli altri il diritto dei genitori di concedere o negare il consenso ai nubendi, mentre la Chiesa romana, al contrario, riconosce solo ai nubendi, in quanto unici ministri dello stesso, il diritto di decidere del loro matrimonio. Cosa rispondono Lutero e i riformati a queste "esigenze" nobiliari, e non solo. Anzitutto criticando l'indissolubilità assoluta. 

    Lutero riconosce così almeno 4 cause per il divorzio: l'adulterio, l'impotenza sopraggiunta durante il matrimonio (mentre quella antecedente è causa di nullità, come per la Chiesa), la "diserzione maliziosa" e l'ostinazione tenace del coniuge nel rifiutare l'amplesso maritale (riguardo a quest'ultima causa, arriva a scrivere: "Se la moglie trascura il suo dovere, l'autorità temporale la deve costringere, oppure metterla a morte").

    Inevitabile che le aperture di Lutero ne generino di ulteriori, come quelle degli anabattisti, favorevoli alla poligamia, o quelle del suo discepolo M. Butzer, per il quale Cristo non avrebbe mai abolito il ripudio, e spetterebbe alle autorità politiche legiferare, senza limiti nè condizioni, riguardo al divorzio. Inoltre Lutero e i riformati insistono, con accenti diversi, sull'opportunità del consenso dei genitori, rimproverando la Chiesa di ridurne l'importanza, e si battono per ridurre gli impedimenti di consanguineità (Jean Gaudemet, Il matrimonio in Occidente, Sei, Torino, 1996, p. 207-2012).  

    La Chiesa cattolica, dal canto suo, con il Concilio di Trento, prenderà in esame la posizione di Lutero, ribadendo una volta per sempre il carattere sacramentale del matrimonio e la sua indissolubilità, negando la liceità del divorzio luterano, ribadendo, nonostante le pressioni della nobiltà francese, che il consenso dei genitori, pur opportuno, non è vincolante e condannando l'assunto luterano secondo cui vivere in castità è impossibile. La posizione espressa dal Concilio di Trento verrà ribadita dalla Chiesa e dai pontefici per 500 anni, senza mutamenti.

     


    [Modificato da Caterina63 19/08/2016 17:50]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 28/09/2016 21:46

    Lutero, una differenza incolmabile
    di Luigi Negri*26-09-2016

    Martin Lutero

    In occasione dei 500 anni della Riforma Luterana, il mensile di apologetica cattolica il Timone ha prodotto un dossier sulla figura di Lutero sviscerando in dettaglio le principali problematiche che la sua “rivoluzione” ha portato nella vita della Chiesa e nella società. Nel numero di settembre-ottobre il dossier, chiamato provocatoriamente "Lutero in affitto" ribadisce che «i cattolici non devono appropriarsi di chi ha creato una Chiesa alternativa fondata su una libertà senza verità e una fede senza ragione». Il dossier di 12 pagine si avvale dei contributi di Angela Pellicciari ("Gli amari frutti della dottrina luterana"), Riccardo Barile ("Ha demolito i Sacramenti"), Samuele Ceccotti (“La Scrittura strappata alla Tradizione"), Claudio Crescimanno (“Ha negato la successione apostolica”) e ha nel suo incipit una riflessione di Luigi Negri il quale spiega come quella luterana sia una fede del tutto alternativa a quella cattolica in cui la dinamica del credere si fa evento eminentemente soggettivo. Per gentile concessione dell'editore Il Timone, la Nuova BQ vi propone l'articolo integrale del vescovo di Ferrara e Comacchio.   

    Nella particolare contingenza storica in cui si muove il mondo ecclesiale ed ecclesiastico mi sembra giusto indicare una linea di lettura del fenomeno di Lutero e, al di là di essa, del fenomeno del Protestantesimo, in modo che siamo attrezzati a vivere quel passaggio che si prospetta così significativo dell’ottobre 2016.

    Tenendo presente che al riguardo la migliore storiografia ha già da tempo superato la distinzione fra riformatore ed eretico, si può affermare con evidenza che Lutero si caratterizza per la volontà di introdurre una concezione della fede radicalmente alternativa a quella cattolica.

    La fede, nella dottrina cattolica, è l’esperienza di un’appartenenza al mistero di Cristo nel mistero del suo popolo e quindi ha un essenziale riferimento alla struttura sacramentale della Chiesa e una dipendenza concreta della persona dal contesto ecclesiale come condizione della sua maturazione.

    La visione dell’uomo a cui fa riferimento Lutero non è più quella della persona in rapporto col mistero di Cristo nel mistero della Chiesa; la sua è un’antropologia di carattere, anticipatamente ma realisticamente, individualistico- soggettivistica. 

    La fede non è più la chiamata ad un cambiamento totale dell’intelligenza e del cuore al mistero di Cristo ma, in Lutero, diventa il tentativo di salvaguardare una sostanziale sicurezza nella vita, il superamento di un’angoscia ricorrente, legata alla paura del giudizio universale e alla difficoltà di riuscire a superare l’esperienza di quella incoerenza etica che caratterizza sempre la vita di ogni uomo.

    La fede - che tutta la tradizione cristiana aveva visto in sintonia profonda con la ragione e l’affettività - non può più fare riferimento ad una ragione che, come esito del nominalismo a cui Lutero si era formato, è eminentemente dialettica, negativa, per cui non si possono chiedere ragioni per la fede: la ragione demolisce e decostruisce la pretesa di certezze reali e radicali, comprese quelle della fede. Il tutto viene ridotto ad un fatto sentimentale e l’esperienza della fede, colta nella sua ultima irriducibilità, diventa il sentimento irresistibile provocato dalla lettura delle Sacre Scritture di essere stati salvati dal mistero di Dio con una giustificazione che è assolutamente gratuita, totalmente svincolata da ogni tipo di opera dell’uomo: sola scriptura, sola fide, sola gratia.

    La fede, dunque, con Lutero subisce una modificazione sostanziale e dall’essere partecipazione ad un avvenimento oggettivo diventa esperienza di carattere psicologico e soggettivo. La chiesa degli eletti è la chiesa di coloro che si sentono chiamati a fare esperienza della fede e come tale sono una realtà eminentemente invisibile, che non ha nessuna espressione di carattere sociale ovvero una chiesa invisibile o degli eletti.

    Questo salto nella percezione dell’evento cristiano, o dell’evento della fede, porta poi, come è ovvio e comprensibile, alla demolizione sia dell’organismo sacramentale che della realtà della Chiesa stessa, intesa come presupposto essenziale per la custodia, la comunicazione e l’educazione della fede. 

    La dinamica del credere, come ho già sottolineato, diventa un evento eminentemente soggettivo, in cui il singolo è il padrone dall’inizio alla fine. Una posizione come questa non può avere la pretesa di attuare un’autentica riforma della Chiesa, perché qui stiamo parlando - e la storiografia più importante e più significativa, cattolica e non, lo ha sempre riconosciuto – di una precisa volontà eversiva.

    Certamente in Lutero, resta il problema di quelle realtà sociali di fede ancora legate a formulazioni di carattere nazionale, politico, istituzionale, la cosiddetta chiesa intesa come organismo liturgico e soprattutto come congregazione morale ovvero la chiesa come istituzione. È stupefacente, come osservato da alcuni interventi recenti, la soluzione che nel 1526, all’inizio del suo cammino protestante, Lutero individua e propone, ovvero la nascita di una Chiesa di Stato.

    La Chiesa come organismo reale di coloro che vivono una pratica religiosa e di pietà, secondo questa concezione, ha come radice ultima la difesa che lo Stato gli offre.

    Con i discorsi ai Principi della nazione tedesca avviene qualche cosa che non era mai accaduta nella storia della Chiesa, anzi, era sempre stato vivacissimamente contestato come una delle eresie più gravi, ovvero  la subordinazione della libertà della Chiesa al volere dello Stato. Nasce dunque la Chiesa di Stato di tipo protestantico, vuoi luterano, vuoi calvinista, vuoi anglicano dopo l’esperienza di Enrico VIII, che non hanno nessuna giustificazione sacramentale, ma soltanto socio-politica.

    Molti si sono interrogati sulla singolare debolezza di tutte le formulazioni protestanti nei confronti delle degenerazioni totalitarie ma, probabilmente, non esisteva la possibilità di una alternativa al totalitarismo, perché l’esperienza della chiesa protestante già per sua natura tende a costituirsi all’interno della supremazia del politico su qualsiasi altra dimensione della vita personale e sociale.

    Io credo che rendersi conto della lontananza, sia teologica sia dogmatica sia ecclesiale, dalla esperienza luterana e quindi dal protestantesimo possa diventare uno spunto per un approfondimento critico ancora maggiore della nostra identità di fede perché, se il dialogo c’è o deve incrementarsi, come tutti si augurano, deve essere un dialogo fra persone coscienti della loro diversità.

    A questo punto, vale un’osservazione che deduco da uno dei più grandi filosofi e storici della nostra esperienza e della nostra cultura cattolica del secolo scorso, Jean Guitton, che nel suo capolavoro, Il Cristo dilacerato - che tratta delle eresie e dei Concili nella storia della Chiesa - alla fine di un capitolo dedicato alla crisi protestantica interpretata come il riproporsi di una gnosi, così scrive: «Se invece si tratta nella questione protestantica -come io ritengo- di una differenza abissale che riguarda l’essenza del cristianesimo, tocca a noi cattolici e protestanti, riuniti attorno allo stesso tavolo, vedere insieme, con uno sforzo di tutto il nostro essere e di tutte le nostre conoscenze, la via che Dio ha voluto. E se, dopo questo dialogo, sussiste una differenza incolmabile, che la soluzione sia rimessa alla profondità del segreto di Dio, e ognuno riprenda il suo cammino, nel dolore della separazione, ma con amore, ormai, e con speranza».

    Ritengo che sia con questa chiarezza che il mondo cattolico debba prepararsi ad una celebrazione che non può essere puramente formale e che non può essere irrealisticamente fissata in vicinanze che non esistono. Il Concilio di Trento ha parlato chiaramente, e contro un concilio nessuno può andare. È necessario che prendiamo coscienza delle diversità o della vera e propria alternativa che c’è fra cattolicesimo e protestantesimo, in modo che quello che Guitton suggerisce diventi l’ispirazione reale di tutti i nostri incontri e di tutti i nostri dialoghi.

    *Arcivescovo di Ferrara e Comacchio



    Lutero ‘commemorato’ come merita nelle parole di S. Teresa d’Avila

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    In questo tempo mi giunse notizia dei danni e delle stragi che avevano fatto in Francia i luterani e di quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Mi sembrava che avrei dato mille volte la vita per salvare una fra le molte anime che là si perdevano. Ma, vedendomi donna e dappoco, nonché incapace a essere utile in ciò che avrei voluto a servizio del Signore, poiché tutta la mia ansia era, come lo è tuttora, che avendo egli tanti nemici e così pochi amici, decisi di fare quel poco che dipendeva da me. Decisi cioè di seguire i precetti evangelici con tutta la perfezione possibile e di adoperarmi perché queste religiose che son qui facessero lo stesso. Fiduciosa nella grande bontà di Dio, che aiuta sempre chi decide di lasciar tutto per amor suo, pensai che, essendo tali le mie consorelle come io le avevo immaginate nei miei desideri, le loro virtù avrebbero compensato i miei difetti e così io avrei potuto contentare in qualche cosa il Signore; infine pensavo che, tutte dedite alla preghiera per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i teologi che la sostengono, avremmo aiutato come meglio si poteva questo mio Signore, così perseguitato da coloro che ha tanto beneficato, da sembrare che questi traditori lo vogliano crocifiggere di nuovo e che egli non abbia dove posare il capo.

    Oh, mio Redentore, il mio cuore non può giungere a tanto, senza sentirsi spezzare dalla pena! Che cos’è oggi questo atteggiamento dei cristiani? Possibile che a perseguitarvi siano sempre coloro che più vi devono? Coloro ai quali concedete le vostre migliori grazie, che scegliete per vostri amici, fra i quali vivete e ai quali vi comunicate con i sacramenti? Non sono essi sazi dei tormenti che avete patito per loro?

    Certamente, Signor mio, non fa proprio nulla chi oggi abbandona il mondo; poiché esso è così poco fedele a voi, cosa possiamo sperare noi? Forse che meritiamo maggior fedeltà di quanta ne ha mostrato a voi? Forse che lo abbiamo gratificato con maggiori benefici, perché ci debba serbare amicizia? Dunque? Che cosa ci possiamo aspettare noi che per bontà del Signore siamo esenti da quel contagio pestilenziale, mentre coloro che vi si trovano son già preda del demonio? Un bel castigo si son guadagnati con le loro mani e un buon profitto di fuoco eterno hanno tratto dai loro piaceri! Se la vedano loro, anche se continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono. Del male ch’è stato non mi affliggo tanto, ma vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime.

    Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere; non quello, sorelle mie, di interessi mondani. Quando ci vengono a chiedere di pregare Sua Maestà perché conceda rendite e denaro, io me ne rido, ma ne sono anche addolorata. Tale richiesta viene proprio da alcune persone che io vorrei supplicassero Dio di poter calpestare tutto. Esse hanno buone intenzioni e, in fondo, si finisce col tener conto della loro devozione, anche se io sono sicura di non essere mai ascoltata in questo genere di preghiere. Il mondo è in fiamme; vogliono nuovamente condannare Cristo, come si dice, raccogliendo contro di lui mille testimonianze; vogliono denigrare la sua Chiesa, e dobbiamo sprecare il tempo nel chiedere cose che, se per caso Dio ce le concedesse, ci farebbero avere un’anima di meno in cielo? No, sorelle mie, non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza.

    Tornando al tema principale, che è il fine per il quale il Signore ci ha riunite in questa casa dove io desidero ardentemente che noi siamo almeno un po’ tali da contentare Sua Maestà, dico che nel vedere mali tanto grandi e l’impotenza delle forze umane a isolare il fuoco acceso da questi eretici, benché si sia cercato di radunare soldati nell’intento di porre rimedio con la forza delle armi a tale calamità che si estende ogni giorno di più, mi è sembrato necessario seguire la tattica a cui si ricorre in tempo di guerra. Quando i nemici hanno fatto irruzione in tutto il paese, il signore della regione, vedendosi alle strette, si ritira in una città che fa assai ben fortificare; di là piomba, di quando in quando, su di essi e coloro che sono nella città, essendo soldati scelti, combattono in modo tale da fare più loro da soli di quel che potrebbero fare molti, se codardi. E così spesso si guadagna la vittoria, o almeno, se non la si ottiene, non si è vinti; infatti, poiché non vi sono traditori, non si può cedere che per fame. Qui, da noi, non ci può essere neppure questa fame a farci arrendere: possiamo, sì, morire, ma essere vinte, mai.

    Ma perché ho detto questo? Affinché voi intendiate, sorelle mie, che ciò di cui abbiamo supplicare Dio è che nessuno dei buoni cristiani ora rinchiusi in questo piccolo castello passi al nemico e che egli faccia avanzare molto nella via del Signore i capitani di tale castello o cittadella che sono i predicatori e i teologi. E poiché la maggior parte di essi appartiene agli Ordini religiosi, dobbiamo pregarlo affinché possano raggiungere un alto grado di perfezione del loro stato, essendo ciò particolarmente necessario. Infatti, come ho detto, chi ci deve salvare è il braccio ecclesiastico e non quello secolare. E, poiché noi non possiamo nulla, sia con l’uno sia con l’altro, per aiutare il nostro Re, procuriamo di essere tali che le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio i quali, a prezzo di tante fatiche, si sono fortificati con dottrina, virtù e difficili prove, per venire ora in aiuto del Signore.

    Santa Teresa d’ Avila: ” Cammino di perfezione “, cc. 1-3

    Fonte






    [Modificato da Caterina63 17/10/2016 16:24]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)