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Lutero, una differenza incolmabile
di Luigi Negri*26-09-2016

Martin Lutero

In occasione dei 500 anni della Riforma Luterana, il mensile di apologetica cattolica il Timone ha prodotto un dossier sulla figura di Lutero sviscerando in dettaglio le principali problematiche che la sua “rivoluzione” ha portato nella vita della Chiesa e nella società. Nel numero di settembre-ottobre il dossier, chiamato provocatoriamente "Lutero in affitto" ribadisce che «i cattolici non devono appropriarsi di chi ha creato una Chiesa alternativa fondata su una libertà senza verità e una fede senza ragione». Il dossier di 12 pagine si avvale dei contributi di Angela Pellicciari ("Gli amari frutti della dottrina luterana"), Riccardo Barile ("Ha demolito i Sacramenti"), Samuele Ceccotti (“La Scrittura strappata alla Tradizione"), Claudio Crescimanno (“Ha negato la successione apostolica”) e ha nel suo incipit una riflessione di Luigi Negri il quale spiega come quella luterana sia una fede del tutto alternativa a quella cattolica in cui la dinamica del credere si fa evento eminentemente soggettivo. Per gentile concessione dell'editore Il Timone, la Nuova BQ vi propone l'articolo integrale del vescovo di Ferrara e Comacchio.   

Nella particolare contingenza storica in cui si muove il mondo ecclesiale ed ecclesiastico mi sembra giusto indicare una linea di lettura del fenomeno di Lutero e, al di là di essa, del fenomeno del Protestantesimo, in modo che siamo attrezzati a vivere quel passaggio che si prospetta così significativo dell’ottobre 2016.

Tenendo presente che al riguardo la migliore storiografia ha già da tempo superato la distinzione fra riformatore ed eretico, si può affermare con evidenza che Lutero si caratterizza per la volontà di introdurre una concezione della fede radicalmente alternativa a quella cattolica.

La fede, nella dottrina cattolica, è l’esperienza di un’appartenenza al mistero di Cristo nel mistero del suo popolo e quindi ha un essenziale riferimento alla struttura sacramentale della Chiesa e una dipendenza concreta della persona dal contesto ecclesiale come condizione della sua maturazione.

La visione dell’uomo a cui fa riferimento Lutero non è più quella della persona in rapporto col mistero di Cristo nel mistero della Chiesa; la sua è un’antropologia di carattere, anticipatamente ma realisticamente, individualistico- soggettivistica. 

La fede non è più la chiamata ad un cambiamento totale dell’intelligenza e del cuore al mistero di Cristo ma, in Lutero, diventa il tentativo di salvaguardare una sostanziale sicurezza nella vita, il superamento di un’angoscia ricorrente, legata alla paura del giudizio universale e alla difficoltà di riuscire a superare l’esperienza di quella incoerenza etica che caratterizza sempre la vita di ogni uomo.

La fede - che tutta la tradizione cristiana aveva visto in sintonia profonda con la ragione e l’affettività - non può più fare riferimento ad una ragione che, come esito del nominalismo a cui Lutero si era formato, è eminentemente dialettica, negativa, per cui non si possono chiedere ragioni per la fede: la ragione demolisce e decostruisce la pretesa di certezze reali e radicali, comprese quelle della fede. Il tutto viene ridotto ad un fatto sentimentale e l’esperienza della fede, colta nella sua ultima irriducibilità, diventa il sentimento irresistibile provocato dalla lettura delle Sacre Scritture di essere stati salvati dal mistero di Dio con una giustificazione che è assolutamente gratuita, totalmente svincolata da ogni tipo di opera dell’uomo: sola scriptura, sola fide, sola gratia.

La fede, dunque, con Lutero subisce una modificazione sostanziale e dall’essere partecipazione ad un avvenimento oggettivo diventa esperienza di carattere psicologico e soggettivo. La chiesa degli eletti è la chiesa di coloro che si sentono chiamati a fare esperienza della fede e come tale sono una realtà eminentemente invisibile, che non ha nessuna espressione di carattere sociale ovvero una chiesa invisibile o degli eletti.

Questo salto nella percezione dell’evento cristiano, o dell’evento della fede, porta poi, come è ovvio e comprensibile, alla demolizione sia dell’organismo sacramentale che della realtà della Chiesa stessa, intesa come presupposto essenziale per la custodia, la comunicazione e l’educazione della fede. 

La dinamica del credere, come ho già sottolineato, diventa un evento eminentemente soggettivo, in cui il singolo è il padrone dall’inizio alla fine. Una posizione come questa non può avere la pretesa di attuare un’autentica riforma della Chiesa, perché qui stiamo parlando - e la storiografia più importante e più significativa, cattolica e non, lo ha sempre riconosciuto – di una precisa volontà eversiva.

Certamente in Lutero, resta il problema di quelle realtà sociali di fede ancora legate a formulazioni di carattere nazionale, politico, istituzionale, la cosiddetta chiesa intesa come organismo liturgico e soprattutto come congregazione morale ovvero la chiesa come istituzione. È stupefacente, come osservato da alcuni interventi recenti, la soluzione che nel 1526, all’inizio del suo cammino protestante, Lutero individua e propone, ovvero la nascita di una Chiesa di Stato.

La Chiesa come organismo reale di coloro che vivono una pratica religiosa e di pietà, secondo questa concezione, ha come radice ultima la difesa che lo Stato gli offre.

Con i discorsi ai Principi della nazione tedesca avviene qualche cosa che non era mai accaduta nella storia della Chiesa, anzi, era sempre stato vivacissimamente contestato come una delle eresie più gravi, ovvero  la subordinazione della libertà della Chiesa al volere dello Stato. Nasce dunque la Chiesa di Stato di tipo protestantico, vuoi luterano, vuoi calvinista, vuoi anglicano dopo l’esperienza di Enrico VIII, che non hanno nessuna giustificazione sacramentale, ma soltanto socio-politica.

Molti si sono interrogati sulla singolare debolezza di tutte le formulazioni protestanti nei confronti delle degenerazioni totalitarie ma, probabilmente, non esisteva la possibilità di una alternativa al totalitarismo, perché l’esperienza della chiesa protestante già per sua natura tende a costituirsi all’interno della supremazia del politico su qualsiasi altra dimensione della vita personale e sociale.

Io credo che rendersi conto della lontananza, sia teologica sia dogmatica sia ecclesiale, dalla esperienza luterana e quindi dal protestantesimo possa diventare uno spunto per un approfondimento critico ancora maggiore della nostra identità di fede perché, se il dialogo c’è o deve incrementarsi, come tutti si augurano, deve essere un dialogo fra persone coscienti della loro diversità.

A questo punto, vale un’osservazione che deduco da uno dei più grandi filosofi e storici della nostra esperienza e della nostra cultura cattolica del secolo scorso, Jean Guitton, che nel suo capolavoro, Il Cristo dilacerato - che tratta delle eresie e dei Concili nella storia della Chiesa - alla fine di un capitolo dedicato alla crisi protestantica interpretata come il riproporsi di una gnosi, così scrive: «Se invece si tratta nella questione protestantica -come io ritengo- di una differenza abissale che riguarda l’essenza del cristianesimo, tocca a noi cattolici e protestanti, riuniti attorno allo stesso tavolo, vedere insieme, con uno sforzo di tutto il nostro essere e di tutte le nostre conoscenze, la via che Dio ha voluto. E se, dopo questo dialogo, sussiste una differenza incolmabile, che la soluzione sia rimessa alla profondità del segreto di Dio, e ognuno riprenda il suo cammino, nel dolore della separazione, ma con amore, ormai, e con speranza».

Ritengo che sia con questa chiarezza che il mondo cattolico debba prepararsi ad una celebrazione che non può essere puramente formale e che non può essere irrealisticamente fissata in vicinanze che non esistono. Il Concilio di Trento ha parlato chiaramente, e contro un concilio nessuno può andare. È necessario che prendiamo coscienza delle diversità o della vera e propria alternativa che c’è fra cattolicesimo e protestantesimo, in modo che quello che Guitton suggerisce diventi l’ispirazione reale di tutti i nostri incontri e di tutti i nostri dialoghi.

*Arcivescovo di Ferrara e Comacchio



Lutero ‘commemorato’ come merita nelle parole di S. Teresa d’Avila

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In questo tempo mi giunse notizia dei danni e delle stragi che avevano fatto in Francia i luterani e di quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Mi sembrava che avrei dato mille volte la vita per salvare una fra le molte anime che là si perdevano. Ma, vedendomi donna e dappoco, nonché incapace a essere utile in ciò che avrei voluto a servizio del Signore, poiché tutta la mia ansia era, come lo è tuttora, che avendo egli tanti nemici e così pochi amici, decisi di fare quel poco che dipendeva da me. Decisi cioè di seguire i precetti evangelici con tutta la perfezione possibile e di adoperarmi perché queste religiose che son qui facessero lo stesso. Fiduciosa nella grande bontà di Dio, che aiuta sempre chi decide di lasciar tutto per amor suo, pensai che, essendo tali le mie consorelle come io le avevo immaginate nei miei desideri, le loro virtù avrebbero compensato i miei difetti e così io avrei potuto contentare in qualche cosa il Signore; infine pensavo che, tutte dedite alla preghiera per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i teologi che la sostengono, avremmo aiutato come meglio si poteva questo mio Signore, così perseguitato da coloro che ha tanto beneficato, da sembrare che questi traditori lo vogliano crocifiggere di nuovo e che egli non abbia dove posare il capo.

Oh, mio Redentore, il mio cuore non può giungere a tanto, senza sentirsi spezzare dalla pena! Che cos’è oggi questo atteggiamento dei cristiani? Possibile che a perseguitarvi siano sempre coloro che più vi devono? Coloro ai quali concedete le vostre migliori grazie, che scegliete per vostri amici, fra i quali vivete e ai quali vi comunicate con i sacramenti? Non sono essi sazi dei tormenti che avete patito per loro?

Certamente, Signor mio, non fa proprio nulla chi oggi abbandona il mondo; poiché esso è così poco fedele a voi, cosa possiamo sperare noi? Forse che meritiamo maggior fedeltà di quanta ne ha mostrato a voi? Forse che lo abbiamo gratificato con maggiori benefici, perché ci debba serbare amicizia? Dunque? Che cosa ci possiamo aspettare noi che per bontà del Signore siamo esenti da quel contagio pestilenziale, mentre coloro che vi si trovano son già preda del demonio? Un bel castigo si son guadagnati con le loro mani e un buon profitto di fuoco eterno hanno tratto dai loro piaceri! Se la vedano loro, anche se continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono. Del male ch’è stato non mi affliggo tanto, ma vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime.

Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere; non quello, sorelle mie, di interessi mondani. Quando ci vengono a chiedere di pregare Sua Maestà perché conceda rendite e denaro, io me ne rido, ma ne sono anche addolorata. Tale richiesta viene proprio da alcune persone che io vorrei supplicassero Dio di poter calpestare tutto. Esse hanno buone intenzioni e, in fondo, si finisce col tener conto della loro devozione, anche se io sono sicura di non essere mai ascoltata in questo genere di preghiere. Il mondo è in fiamme; vogliono nuovamente condannare Cristo, come si dice, raccogliendo contro di lui mille testimonianze; vogliono denigrare la sua Chiesa, e dobbiamo sprecare il tempo nel chiedere cose che, se per caso Dio ce le concedesse, ci farebbero avere un’anima di meno in cielo? No, sorelle mie, non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza.

Tornando al tema principale, che è il fine per il quale il Signore ci ha riunite in questa casa dove io desidero ardentemente che noi siamo almeno un po’ tali da contentare Sua Maestà, dico che nel vedere mali tanto grandi e l’impotenza delle forze umane a isolare il fuoco acceso da questi eretici, benché si sia cercato di radunare soldati nell’intento di porre rimedio con la forza delle armi a tale calamità che si estende ogni giorno di più, mi è sembrato necessario seguire la tattica a cui si ricorre in tempo di guerra. Quando i nemici hanno fatto irruzione in tutto il paese, il signore della regione, vedendosi alle strette, si ritira in una città che fa assai ben fortificare; di là piomba, di quando in quando, su di essi e coloro che sono nella città, essendo soldati scelti, combattono in modo tale da fare più loro da soli di quel che potrebbero fare molti, se codardi. E così spesso si guadagna la vittoria, o almeno, se non la si ottiene, non si è vinti; infatti, poiché non vi sono traditori, non si può cedere che per fame. Qui, da noi, non ci può essere neppure questa fame a farci arrendere: possiamo, sì, morire, ma essere vinte, mai.

Ma perché ho detto questo? Affinché voi intendiate, sorelle mie, che ciò di cui abbiamo supplicare Dio è che nessuno dei buoni cristiani ora rinchiusi in questo piccolo castello passi al nemico e che egli faccia avanzare molto nella via del Signore i capitani di tale castello o cittadella che sono i predicatori e i teologi. E poiché la maggior parte di essi appartiene agli Ordini religiosi, dobbiamo pregarlo affinché possano raggiungere un alto grado di perfezione del loro stato, essendo ciò particolarmente necessario. Infatti, come ho detto, chi ci deve salvare è il braccio ecclesiastico e non quello secolare. E, poiché noi non possiamo nulla, sia con l’uno sia con l’altro, per aiutare il nostro Re, procuriamo di essere tali che le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio i quali, a prezzo di tante fatiche, si sono fortificati con dottrina, virtù e difficili prove, per venire ora in aiuto del Signore.

Santa Teresa d’ Avila: ” Cammino di perfezione “, cc. 1-3

Fonte






[Modificato da Caterina63 17/10/2016 16:24]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)