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FOCUSdi Francesca Pannuti
Martin Lutero
 

Con l’approssimarsi delle commemorazioni per il quinto centenario delle 95 tesi affisse da Martin Lutero, è tornato d’attualità il tema della “giustificazione”, centrale per comprendere la divisione tra cattolici e luterani. Il tema è stato toccato dapprima dal papa emerito Benedetto XVI e poi da papa Francesco. Sul tema, abbiamo  intervistato monsignor Antonio Livi, professore emerito di Filosofia della conoscenza nella Pontificia Università Lateranense.

Con l’approssimarsi delle commemorazioni per il quinto centenario delle 95 tesi affisse da Martin Lutero, è tornato d’attualità il tema della “giustificazione”, centrale per comprendere la divisione tra cattolici e luterani. Il tema è stato toccato dapprima dal papa emerito Benedetto XVI, con una intervista in occasione di un convegno proprio su questo argomento, e poi   da papa Francesco in una risposta durante la tradizionale conferenza stampa in aereo di ritorno dall’Armenia, il 26 giugno scorso. Abbiamo perciò cercato di approfondire i termini esatti della questione, intervistando monsignor Antonio Livi, professore emerito di Filosofia della conoscenza nella Pontificia Università Lateranense, studioso di fama internazionale, autore di numerose pubblicazioni, tra cui Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un ‘equivoca filosofia religiosa”, Casa editrice Leonardo da Vinci, 2012.

Monsignore, la dottrina della giustificazione che rilievo ha in seno alla fede cattolica?

«Si tratta della grazia santificante, l’azione gratuita e misericordiosa di Dio che redime dal peccato originale e consente il progresso della vita cristiana. Il termine “giustificazione” è biblico, perché nella Scrittura “giusto” vuol dire “santo”: l’uomo giusto è colui che si pone nella giusta posizione davanti a Dio, adorandolo per la sua Maestà divina e immensa Bontà, implorando da Lui la salvezza propria e altrui, ringraziandolo per tutti i suoi benefici e obbedendo gioiosamente ai suoi comandamenti, che sono la vera via della felicità. E Dio può e vuole “giustificare” con la sua grazia l’uomo, redimendolo dal peccato originale, restituendogli l’innocenza perduta con il peccato personale (e in tal modo conservandolo nell’amicizia con Dio stesso). La grazia santificante si chiama per questo gratia gratum faciens, nel senso che rende l’uomo giusto e dunque gradito a Dio (perché Dio, come ripete incessantemente la Scrittura, non tollera il peccato: ama l’uomo peccatore, ma proprio perché lo ama lo vuole liberare dal peccato, che è l’unico ostacolo per la sua felicità temporale ed eterna). Secondo la dottrina cattolica, l’anima del peccatore che diventa giusto passa dallo stato di inimicizia con Dio allo stato d’amicizia: la “giustificazione” è dunque un passaggio dallo stato di peccato a quello di grazia. Come definisce il Concilio di Trento, “la giustificazione del peccatore è il passaggio da quello stato in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio [Rm 8, 15] per mezzo del secondo Adamo Gesù Cristo Salvatore nostro” (Decreto sulla giustificazione). L’uomo rinnovato, risanato quindi ed elevato all’ordine soprannaturale, riacquista la realtà dell’amicizia con Dio, è mondato ed elevato anche perché possa in questa vita accedere degnamente al sommo sacramento, l’Eucarestia, ove si unisce con Gesù Cristo stesso, anticipando già in questa vita l’unione perfetta con Dio nella gloria.»

Centrale, infatti, è la consapevolezza, acutamente precisata da sant’Antonio nei suo Sermoni, che il “giusto” è “colui che accusa se stesso”. Tale dottrina coincide con quanto affermano anche i protestanti?

«Che cosa affermino oggi i protestanti non è facile dirlo, perché in quel campo non c’è un vero e proprio magistero, come non c’è una dottrina teologica riconosciuta da tutte le varie comunità “riformate” o “evangeliche”, le quali non si riconoscono nemmeno in un’unica interpretazione del pensiero del Riformatore. Se però ci si riferisce a quelle che sono state le tesi di Martin Lutero, si deve dire che con la sua “riforma” la dottrina cattolica sulla grazia santificante ne è risultata stravolta e rinnegata nella sua verità più profonda ed essenziale. Lutero, innanzitutto, ha creduto di poter dedurre dalla Lettera ai Romani una concezione della fede come fides fiducialis, ossia come mera fiducia nei meriti di Cristo redentore, la cui grazia non renderebbe giusto il peccatore ma si limiterebbe a “coprirne” i peccati, non imputandoglieli e sottraendolo così al giusto castigo divino».

Ma non si tratta di una palese contraddizione?

«Per questo Lutero immagina che il cristiano sia allo stesso tempo peccatore e giustificato («homo simul iustus et peccator»). Insomma, colui al quale sono imputati i meriti di Cristo - e che sarebbe quindi un “giusto” - non per questo è rinnovato dalla grazia santificante, non è un “homo novus”, ma è una “carogna” (il termine è dello stesso Lutero) avvolta dal manto immacolato dei meriti di Cristo; egli quindi, senza abbandonare il suo peccato, può essere un giustificato. In questa prospettiva non c’è più spazio per la dottrina spirituale cattolica che esige da ogni fedele l’impegno ascetico, in modo che, sostenuto dalle “grazie attuali”, egli abbia sempre la disponibilità alle rinunce e ai sacrifici, ossia a quella “lotta interiore” che serve a evitare il peccato o a emendarsene. La concezione di una radicale corruzione dell’uomo dopo il peccato originale ha portato Lutero alla teorizzazione di una salvezza “sola fide”, una “fede” la cui nozione - che ha oggi invaso il mondo cattolico - è falsa, perché non è la fede dogmatica, per cui è essenziale l’adesione ai contenuti della Rivelazione, ma la fede-fiduciale in cui quel che conta è l’aspetto per così dire “sentimentale”.  Quindi, dice Lutero, “pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente” (“pecca fortiter, sed crede fortius”), ovvero quanto più l’uomo continua a peccare tanto più dimostra la propria assoluta fiducia nei meriti di Cristo, che hanno il potere divino di salvare indipendentemente dal libero arbitrio del credente. Quel che è peggio è che, in questa concezione luterana della giustificazione, i mezzi stabiliti da Dio per concedere la sua grazia, che sono i Sacramenti di Cristo, vengono privati a uno a uno del loro significato propriamente teologico, e alla fine vengono del tutto aboliti, salvo (apparentemente) il Battesimo. Data la gravità di queste interpretazioni eretiche, disastrose per la salvezza delle anime secondo il progetto misericordioso di Dio, la Chiesa ha dovuto condannare come eretica la dottrina luterana sulla giustificazione, e lo ha fatto con precisi e inequivocabili “canoni” o “anatematismi” nel Concilio di Trento (Sessione VI, 13 gennaio 1547)».

C'è stato un riavvicinamento tra le due posizioni nei tempi recenti?

«Premetto che di “due posizioni” non si può parlare. Infatti, la posizione della Chiesa cattolica - che ha un Magistero e una dottrina ben definita, fissata in formule dogmatiche - non si può in alcun modo confrontare con la miriade di varianti interpretative e di sviluppi teoretici delle idee di Lutero, visto che la proliferazione di denominazioni nell’ambito della Riforma, rendono praticamente impossibile individuare una dottrina comune. Ciò nonostante, c’è stata una serie di tentativi di dialogo interreligioso, nell’ambito della quale una commissione di teologi cattolici (designati dalla Santa Sede) ha discusso con una commissione di teologi luterani (designati dalle diverse autorità religiose di ispirazione luterana) la possibilità di trovare dei punti d’incontro tra il dogma cattolico e quello che tale commissione ritiene possa dirsi oggi la dottrina di Lutero. Ma tale convegno di studio, animato da intenzioni più politiche che scientifiche, ha elaborato un documento finale (pubblicato il 31 ottobre 1997) nel quale, con discorsi estremamente ambigui, i luterani hanno presentato gli sviluppi della loro dottrina sulla giustificazione in modo che non assomigli più a ciò che il Concilio di Trento aveva condannato, e i cattolici hanno fatto finta di credere che così non ci sono più divergenze dottrinali tra la Chiesa e le comunità nate dalla Riforma. La stessa Santa Sede (con un documento congiunto della Congregazione per la dottrina della fede e del Segretariato per l’unità dei cristiani) ha negato che le conclusioni raggiunte nel convegno di studi abbiano risolto alcun problema (cfr la Risposta della Chiesa Cattolica alla dichiarazione congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione luterana mondiale circa la dottrina della giustificazione, 25 giugno 1998). Per arrivare a dire che la Chiesa ha finalmente riconosciuto che Lutero aveva ragione e che essa ha sbagliato (perché avrebbe interpretato male le tesi del Riformatore o perché era ancora legata a una teologia tomista che oggi sarebbe superata) bisognerebbe che ciò fosse affermato formalmente, non da una qualsiasi commissione di teologi, ma da un Concilio ecumenico a carattere esplicitamente dogmatico che abolisse gli “anatematismi” del Concilio di Trento. Ma questo è proprio impossibile.  Anche quando c’è una riforma nella Chiesa, essa non riguarda mai il dogma, ossia ciò che è stato “definito” semel pro semper ed è quindi irreformabile: riguarda piuttosto aspetti riformabili (accidentali) della dottrina, della morale e della prassi pastorale, e anche in questi ambiti una riforma promossa dal Magistero va interpretata – lo ha spiegato bene papa Benedetto XV – come “riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa”. E il “soggetto-Chiesa”, aggiungo io, è Gesù in Persona, il quale è l’unico Maestro e non può smentire se stesso, perché la proclamazione della sua verità salvifica ha delle esigenze assolute, infinitamente superiori a ogni esigenza relativa, diplomatica o pastorale, presente nel “dialogo interreligioso”!».

Le correnti teologiche oggi più influenti sono in grado di ben armonizzare tra loro temi come la grazia e la natura, la salvezza e la perdizione, il divino e l’umano?

«Se si guarda al panorama della teologia attuale in termini di sociologia della cultura e di sociologia religiosa, non possiamo non constatare che quella “dittatura del relativismo” che Benedetto XVI tanto deprecava e dalla quale voleva liberare la Chiesa è oggi più opprimente che mai. E parte di questa dittatura è proprio l’egemonia politico-ecclesiastica della teologia di ispirazione luterana, la quale ha tra i suoi rappresentanti più influenti, tra gli accademici, Karl Rahner e Hans Küng, e tra i cardinali di Curia Walter Kasper. Questa teologia ripropone sostanzialmente la tesi fideistica sulla giustificazione, e quindi mette in ombra il ruolo primario dei sacramenti della grazia santificante, a cominciare dalla Penitenza e dall’Eucaristia».

Questa teologia ha influenzato anche il Sinodo sulla famiglia?

«Anche il dibattito nei due Sinodi sulla famiglia a proposito dello “stato di peccato”, in cui versano i battezzati che hanno mancato alla fedeltà coniugale e hanno instaurato una convivenza adulterina, ha messo in evidenza come questa mentalità abbia reso molti padri sinodali insensibili alla necessità della riconciliazione di quelle persone con Dio e con la Chiesa mediante il sacramento della Penitenza, che conferisce la grazia di Cristo a condizione che il penitente eserciti il suo libero arbitrio con gli “atti” che il rito cattolico da sempre prescrive (anche dopo la riforma liturgica di Paolo VI), ossia l’esame di coscienza, il pentimento sincero ed efficace, l’accusa dei peccati con il proponimento di non più commetterli, la “soddisfazione” o riparazione.  Ottenuta dal ministro sacro – che è proprio, per esplicito mandato di Cristo, giudice delle debite disposizioni del penitente - l’assoluzione sacramentale, il fedele è nelle condizioni di poter accedere al sacramento dell’Eucaristia, che è molto più di un mero simbolo della presenza spirituale di Cristo nella comunità orante, ma è, in virtù della transustanziazione,  la possibilità di un incontro personale con Gesù presente fisicamente («in corpo, sangue, anima e divinità») sotto le apparenze del pane e del vino. È il dogma della “presenza reale” – che Lutero disconosce espressamente e i filo-luterani di oggi tendono a sottovalutare o addirittura a relegare tra le inutili astruserie – ciò che deve sollecitare gli operatori della pastorale dei “divorziati risposati” ad adoperarsi, in spirito di autentica misericordia, perché queste persone possano accedere alla Comunione eucaristica con le debite disposizioni, ossia già riconciliati e in “stato di grazia”, evitando di profanare il corpo e il sangue del Signore e di tramutare così in “motivo di condanna” ciò che Dio ha disposto per la loro salvezza e santificazione (si veda Dogma e pastorale. L’ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2016)». 






 Lutero, un Machiavelli della fede
di Francesco Agnoli

18-08-2016
Il matrimonio di Lutero

In occasione del cinquecentesimo anniversario della rivoluzione di Martin Lutero lo scontro tra cardinali tedeschi è già da tempo in atto: da una parte i cardinali Kasper e Marx, che di Lutero si dichiarano apertamente ammiratori, dall'altra i porporati Mueller, Brandmuller e Cordes, che si collocano invece nel solco del pensiero cattolico, vedendo in Lutero l'uomo che deformò il Vangelo e spezzò la Chiesa, dividendo così la Cristianità e l'Europa.

Non si tratta, però, solo di un dibattito teologico "alto"; vi sono implicazioni anche riguardo al diritto naturale ed al modo di concepire il matrimonio cristiano. Kasper e Marx stanno cercando da alcuni anni, dopo l'abdicazione di Benedetto, di limitare la condanna dell'adulterio e di legittimare, più o meno apertamente, le seconde nozze, con aperture  graduali anche al matrimonio gay. Cosa c'entra in tutto ciò Lutero?

Forse ben più di quanto si creda. Anzitutto, riguardo alla dottrina, perchè egli nega il carattere di sacramento al matrimonio, e lo sottopone alla giurisdizione secolare, cioè al potere dei sovrani, degli Stati. Questa concezione desacralizza il matrimonio e lo priva del suo tradizionale significato soprannaturale. 

Sul piano dei fatti, la prima cosa da ricordare è il matrimonio di Lutero con una ex suora cistercense, Caterina von Bora, da cui avrà 6 figli. I due vanno ad abitare nell'ex convento agostiniano di Wittenberg, donato loro dal principe elettore di Sassonia (il quale deve a sua volta a Lutero il fatto di essere diventato proprietario dei beni della Chiesa cattolica nelle sue terre). Lutero e Caterina divengono così un modello tanto che, sul loro esempio, i riformati "si adoperarono parecchie volte, spesso in intere comitive, per strappare le religiose dai loro chiostri, per farne le loro spose". Dopo un ratto di religiose che ha luogo la notte del sabato santo 1523, Lutero definisce l'organizzatore dell'impresa "felice ladro" e si congratula con lui per aver "liberato queste povere anime dalla prigionia" (vedi Jacques Maritain, I tre riformatori. Lutero. Cartesio. Rousseau, Morcelliana, Brescia, 1990, p. 215). Sono gli anni in cui molte religiose tedesche vengono costrette a lasciare i monasteri, spesso controvoglia, e a tornare alle proprie case, oppure a sposarsi.

Il secondo fatto da ricordare è il seguente: Lutero, per non perdere l'appoggio del langravio Filippo d'Assia, "uno dei due pilastri politici sui quali si reggeva il luteranesimo", gli concede di sposare in seconde nozze la damigella diciassettenne Margarete von Saale. Filippo ha già una moglie, Cristina di Sassonia, dalla quale ha avuto sette figli. Siamo nel 1539. Lutero non vuole scandali rumorosi, non vuole giustificare pubblicamente una bigamia, ma deve acconsentire alle richieste di Filippo, libertino incallito, malato di sifilide, ma "necessario per conservare integra la forza militare della riforma". 

Per questo decide di agire con furbizia: sperando che nessuno lo venga a sapere, comunica segretamente a Filippo che il matrimonio supplementare può essere determinato da una "necessità di coscienza". In altre parole: la bigamia va bene, ma basta che non diventi pubblica. Scrivono Lutero e Melantone: "Se dunque vostra Altezza è definitivamente decisa a prendere una seconda moglie, il nostro parere è che ciò deve rimanere segreto". A nozze avvenute, Filippo invia a Lutero, ormai da tempo dedito a mangiate e bevute imponenti, "una botte di vino, che giunse a Wittenberg quando ormai il segreto della bigamia era trapelato ad opera della sorella del langravio". 

Sentendosi nei guai, Lutero, che meriterà da Tommaso Campanella il titolo di "Machiavelli della fede", consiglia a Filippo di dichiarare pubblicamente che Margarete non è la sua moglie legittima, "sostituendo l'atto di matrimonio con un altro atto notarile che dichiarasse che Margarete era solo la sua concubina". Filippo rifiuta, ed anzi chiede a Lutero di confermare pubblicamente di aver concesso lui stesso la dispensa. Ma Lutero, che in altre occasioni non esiterà a proporre traduzioni fasulle di passi biblici, pur di avere ragione, risponde che il suo consiglio era segreto, "e ora diventava nullo perchè era stato reso pubblico" (Federico A. Rossi di Marignano, Martin Lutero e Caterina von Bora, Ancora, Milano, 2013, p. 343-347; Angela Pellicciari, Martin Lutero, Cantagalli, Siena, 2013, p. 109-113). 

Pochi anni prima di questi fatti, nel 1531, Lutero, in una delle sue tante lettere alla ricerca del  favore dei potenti, ha scritto ad Enrico VIII re d'Inghilterra che sì, il matrimonio è indissolubile, però... con il permesso della regina si può sposare una seconda moglie, come nell'Antico Testamento. Come sappiamo, Enrico chiederà la dispensa non a Lutero, ma al papa di Roma, ma non ottenendola, coglierà la palla al balzo: proclamerà la scisma con Roma, e alla fine, di ripudio in ripudio, "in coscienza", arriverrà alla ragguardevole cifra di 6 mogli (alcune delle quali fatte uccidere senza scrupoli).

Se l'effetto evidente della rivoluzione di Lutero riguardo al matrimonio, è dunque il pretesto fornito a se stesso per gettare la tonaca e il pretesto fornito ai principi per permettere loro di ripudiare le legittime consorti e vivere in poligamia, anche sul piano della dottrina tutto è destinato gradualmente a cambiare. Bisogna sempre tener conto di un fatto: Lutero guarda costantemente alla nobiltà germanica come al suo principale interlocutore, di cui ha bisogno per vincere la sua lotta con Roma. E la nobiltà germanica, come quella di altri paesi, è in lotta con la Chiesa non solo per questioni politiche e di potere, ma anche sulla dottrina del matrimonio: spesso i nobili non accettano l'indissolubilità, nè i vincoli al matrimonio imposti da Roma (divieto di matrimoni combinati, di matrimoni tra consanguinei...).

Inoltre, per motivi legati alle loro condizioni sociali o ereditarie i nobili reclamano più degli altri il diritto dei genitori di concedere o negare il consenso ai nubendi, mentre la Chiesa romana, al contrario, riconosce solo ai nubendi, in quanto unici ministri dello stesso, il diritto di decidere del loro matrimonio. Cosa rispondono Lutero e i riformati a queste "esigenze" nobiliari, e non solo. Anzitutto criticando l'indissolubilità assoluta. 

Lutero riconosce così almeno 4 cause per il divorzio: l'adulterio, l'impotenza sopraggiunta durante il matrimonio (mentre quella antecedente è causa di nullità, come per la Chiesa), la "diserzione maliziosa" e l'ostinazione tenace del coniuge nel rifiutare l'amplesso maritale (riguardo a quest'ultima causa, arriva a scrivere: "Se la moglie trascura il suo dovere, l'autorità temporale la deve costringere, oppure metterla a morte").

Inevitabile che le aperture di Lutero ne generino di ulteriori, come quelle degli anabattisti, favorevoli alla poligamia, o quelle del suo discepolo M. Butzer, per il quale Cristo non avrebbe mai abolito il ripudio, e spetterebbe alle autorità politiche legiferare, senza limiti nè condizioni, riguardo al divorzio. Inoltre Lutero e i riformati insistono, con accenti diversi, sull'opportunità del consenso dei genitori, rimproverando la Chiesa di ridurne l'importanza, e si battono per ridurre gli impedimenti di consanguineità (Jean Gaudemet, Il matrimonio in Occidente, Sei, Torino, 1996, p. 207-2012).  

La Chiesa cattolica, dal canto suo, con il Concilio di Trento, prenderà in esame la posizione di Lutero, ribadendo una volta per sempre il carattere sacramentale del matrimonio e la sua indissolubilità, negando la liceità del divorzio luterano, ribadendo, nonostante le pressioni della nobiltà francese, che il consenso dei genitori, pur opportuno, non è vincolante e condannando l'assunto luterano secondo cui vivere in castità è impossibile. La posizione espressa dal Concilio di Trento verrà ribadita dalla Chiesa e dai pontefici per 500 anni, senza mutamenti.

 


[Modificato da Caterina63 19/08/2016 17:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)