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[SM=g1740758] 1° FATTORE DI RELATIVITA’: il temperamento

Certi giovani sono molto impressionabili e certi altri non lo sono affatto; ecco alcuni che si commuovono rapidissimamente ed ecco i calmi, «i freddi».

Ma fra questi due termini estremi si estende tutta una scala di temperamenti intermedi. Come la natura non passa bruscamente dalla piena luce meridiana alla completa oscurità di mezzanotte, come la temperatura non salta dai calori estivi ai freddi invernali, ma lo fa attraver­so una lenta «degradazione», così fra i due estre­mi nettamente tagliati, s'intercalano tutte le tappe di un lento passaggio.

Da questo voi comprendete quanto divenga complesso il problema. Non si ha da fare con due soli termini: i soprasensibili e i sottosensibili, ma si ha da fare con un numero incalcolabile di tipi mediani. In due parole: tanti casi quanti individui!



2° FATTORE DI RELATIVITA’: le crisi

Dunque, un individuo non somiglia mai ad un altro, riguardo al grado di sensibilità.

Facciamo ora un passo avanti e diciamo an­che: un individuo non somiglia sempre a se stes­so. Egli passa infatti attraverso stati di crisi: crisi d'età, crisi di depressione fisica, crisi di tentazio­ni, ecc.

Osservate ciò che accade agli ammalati di emofilia. Se il loro corpo riceve una anche picco­lissima piaga, non riesce a rimarginarla o vi rie­sce male, al punto che le piaghe si possono com­plicare e diventare cancrene. Lo stesso accade in certi periodi morali d'un individuo: sono così disposti che una piccolissima graffiatura può diventare fatale.

Oltre a queste crisi, che si dicono crisi per brusco attacco, abbiamo anche le crisi periodi­che. Certi scienziati e studiosi di fisiologia dicono che l'istinto di cui ora parliamo è soggetto ad una legge detta del circolo mensile. In altre parole, la passione avrebbe un massimo d'intensità in ogni mese (per esempio al principio) e ciò indipen­dentemente dall'influenza delle stagioni, di cui parleremo più oltre. Questo massimo d'intensità è seguito da una quindicina di giorni di lento decrescendo, poi da un'altra quindicina di lento crescendo, fino ad arrivare a un nuovo punto massimo, in modo che questo doppio movimen­to discendente o ascendente si può paragonare al flusso e al riflusso del mare.



3° FATTORE DI RELATIVITA’: l'eredità

Noi tutti portiamo il peso della nostra eredità. Il nostro presente è caricato col peso del pas­sato. « Il passato! ... Noi eravamo già tanto vecchi quando siamo nati! ».

Napoleone Bonaparte diceva un giorno: «Sapete quando comincia l'educazione d'un fan­ciullo? Cento anni prima della sua nascita! ».

Ed infatti la nostra struttura fisiologica, pas­sionale e mentale è come uno di quei terreni alluvionali molto complessi: dentro abitano le abitudini sane o malsane, non soltanto dei nostri genitori, ma degli antenati dei nostri antenati. Non esiste infatti solamente l'eredità stretta­mente intesa, ossia una dipendenza dall'ascen­dente immediato: padre o madre; ma esiste anche l'atavismo, ossia il ritorno ai tipi anteriori.

Per usare un'espressione matematica, dire­mo: noi operiamo in funzione dei nostri antena­ti.

Se questo è vero in generale, diventa ancor più vero in modo specialissimo riguardo la ten­denza alle cose sensuali. Questa è, in modo spa­ventevole, trasmissibile.

Intendiamoci però: il vizio, come vizio non può essere ereditato, perchè il vizio è peccato, e il peccato essendo una deviazione della nostra volontà, è sempre personale e libero.

Ma purtroppo questa volontà trova un poten­te invito nel temperamento, il quale si riceve in eredità, come viene dimostrato dall'esperienza quotidiana.

Giovane! Non dimenticare che il problema del­l'eredità è doppio: tu sei, nel medesimo tempo, un punto di arrivo ed un punto di partenza. Come figlio, tu hai ricevuto.

Come padre, fra un po' di tempo, tu trasmet­terai.

Pesa dunque la tua prossima responsabilità. L'uomo non pecca mai per sé solo, ma pecca anche per i suoi discendenti. Non diventare adunque, tu, la sorgente d'una razza avariata! Pensa quanto deve essere orribile per un padre scorgere nei propri figli certi coloriti palli­di del volto, certe nervosità, se egli dovrà metter­si la mano sul petto e confessare tristemente: «Sono io, sono io ... ».

Légouvé dice questa straziante cosa nel suo libro «I padri e i figli nel secolo decimonono». Il duca di Candé visse disordinatamente e cre­dette che tutto fosse finito in lui. Ma egli comu­nicò un'umiliante malattia a suo figlio e dovette assistere al crescere del male.

«Sono io, gridava, sono io che l'uccido!» Ed era vero. Il giorno in cui un giovane fa entrare questo germe corruttore nel proprio sangue, non colpisce soltanto se stesso, ma anche i suoi figli e i figli dei suoi figli.

Oh! certo, è cosa dura essere un figlio di Adamo. Ma io conosco qualche cosa di più orri­bile ancora: diventare un altro Adamo e creare in se stesso un nuovo peccato originale. Se tu, o giovane, ti senti vicino a tentennare, pensa al duca di Candé ... rispetta in te il padre futuro!

Si, rispetta in te il padre futuro!

Sarebbe orribile che tuo figlio dovesse accu­sarti come fa Daniele Rovère, l'eroe del dramma «L'immolato» di E. Baumann: «Io metto fine ad alcune generazioni maledette».

Gli ebrei dicevano tristemente: «I nostri padri hanno mangiato l'uva acerba e noi abbiamo i denti legati! » (Ezechiele 28,2).



4° FATTORE Di RELATIVITA’: lo stato generale

«Il desiderio di cose sensuali - scrive il dott. Ferré - è dominato dallo stato dell'intero orga­nismo. Tutte le cause che portano una debolezza generale possono portare un'attenuazione in questo campo, mentre, tutte le cause eccitanti possono portare un'esaltazione».

Ecco perchè gli studenti e gli universitari durante la preparazione agli esami, o dopo le notti passate in buona parte al tavolino, provano maggiori tentazioni. Sono in uno stato di eccita­zione che porta facilmente a questa particolare ripercussione.

La conseguenza è inevitabile: facilmente l'ec­citazione nervosa diffusa si applica e si precisa con sensazioni impure, poichè queste provengo­no dal medesimo sistema.

E ora tiriamo le conseguenze o i corollari da questo principio, sul quale abbiam dovuto, ben­chè a malincuore fermarci. In un tempo in cui tante cause si raccolgono intorno e fan perdere l'equilibrio alla delicata macchina nervosa, chi può misurarne le conseguenze? Di più, oggi la nostra riserva energetica è spesso in quantità deficiente. Di qui si spiegano molte tentazioni: la depressione come l'esaltazione dei nervi, il difet­to come l'eccesso ne sono la causa.

Come? direte voi. Così come una pila di Volta o un accumulatore che rapidamente si scarichi; perchè simili individui hanno il sistema nervoso paragonabile ad un accumulatore che all'im­provviso si esaurisce. Questi deboli non hanno più la forza, per così dire, di resistere: in loro il potere e il volere non sono coestensivi. La volon­tà riguardo al potere inibitore sembra in loro un freno Westinghouse che non funziona più.

Parlando di questi giovani così anemici, un professore di teologia morale diceva: la cura non dev'essere soltanto morale ma anche corporale: bisogna consigliar loro cotolette e buon vino.

Vi fa meraviglia che io parli così? S. Teresa ha scritto con umiltà e con finezza: «In certi giorni io mi credo trascurata; ma studiandomi un poco vengo a scoprire che sono piuttosto indisposta e che ho digerito e dormito male. In altri giorni io mi credo fervorosa; ma esaminando le cose più da vicino, vedo che sto meglio, perchè ho digeri­to e dormito meglio».

Se una S. Teresa diceva così, che cosa dobbia­mo dire noi povera gente? L'uomo è un compo­sto indivisibile di anima e di corpo. Queste due realtà vengono a fondersi in un'unione non sol­tanto intima, ma «sostanziale». Per questa ragione è facile comprendere che in generale la volontà avrà il pieno dominio quando si verifica­no certe condizioni di qualità, di equilibrio psi­chico, e, come dicono adesso un po' più di solen­nemente, condizioni di eufonia.



5° FATTORE DI RELATIVITA’: le circostanze esteriori

Ma non siamo soltanto dipendenti dagli ele­menti interni che abbiamo numerato (tempera­mento, crisi, eredità, sanità); bisogna attribuire una larga parte d'influenza, anche alle circostan­ze estrinseche, le quali sono tanto numerose, che non si può neppure sognare d'indicarle tutte, e tanto varie che non si possono ridurre l'una nel­l'altra. Eccone alcune: vestiti troppo chiusi, abi­tudine di tener le mani in tasca, poca pulizia personale, il che favorisce il prurito, esercizi di ginnastica, cibo lauto, dieta troppo carnea quan­do bisognerebbe piuttosto aumentare la quantità di frutta e di legumi, nutrimenti eccitanti, come i gamberi marini, cibi drogati, abuso di caffè for­tissimo, di vino o di bevande spiritose, special­mente quando si prendono di sera.

Notate in modo speciale l'azione che può eser­citare il clima. Gli abitanti dei paesi tropicali sono più portati all'impurità che non gli abitanti dei paesi temperati. In via generale possiamo dire che il calore è uno stimolante e il freddo un calmante. Le statistiche dimostrano che si com­mettono più delitti passionali nell'estate che non nell'inverno. Sopra tutte le altre condizioni, il ritorno della primavera segna l'epoca dei senti­menti erotici.

A suo tempo parleremo delle occasioni che sono eccitazioni di ordine più artificiale, inventa­te dalla passione come il ballo, il cinema, le rivi­ste, ecc.



6° FATTORE DI RELATIVITA’: il sesso

In fatto di purezza, ordinariamente il giovane ha più tentazioni violente (e per conseguenza più merito) che non la giovane. Certe manifestazioni tenere possono essere prive d'inconvenienti fra ragazze, mentre fra gio­vani adolescenti presentano molti pericoli.

Parlando in generale e tenendo conto delle eccezioni, in questa più che in altre materie, pos­siamo dire che la passione, per lo meno sotto il suo aspetto di brutale ardore, è piuttosto maschile che femminile. Ma, voi mi chiederete, la giovane non è forse sensibile all'amore?

Vi rispondo: è sensibile sì, ma per un'altra ragione: per le manifestazioni affettuose e lusin­ghiere, per l'ambita vanità che essa sente nel lasciarsi adulare. Basta osservare come essa arrossisce di piacere quando viene complimenta­ta per la sua avvenenza.

Tutta la sua strategia, le sue furbizie, le sue azioni civettuoli non sono in generale indice di passione propriamente detta, ma del desiderio che riassume tutta la sua vita e tutta la sua ambi­zione: piacere agli altri.

Giulio Lemaitre ha finemente analizzato que­sta psicologia nel libro «La vecchiaia di Elena»: «Elena, scrive, era adorata dai Greci e dai Frigi; per essa (come dice la favola di Omero) Europa ed Asia s'erano sgozzate l'un l'altra. La sua gloria era al colmo; la sua avvenenza aveva arricchito la lingua greca di molti motti e pro­verbi. In realtà aveva scatenato le più furiose passioni, senza esserne molto commossa, eccetto che dal piacere di essere tanto ammira­ta».

Ma io prevedo una vostra obiezione: «Non vi sono forse molte cadute femminili? E se questo è vero, come è verissimo, la vostra tesi rimane smentita dai fatti».

Questi fatti, vi rispondo, il più delle volte si possono spiegare senza bisogno di ricorrere alla passione: la giovane cade per cause diverse: per denaro, per desiderio di gioielli e di vestiti, per gelosia contro una rivale, per curiosità, per stan­chezza, per timore, per imprudenza, perfino per ingenuità.



7° FATTORE DI RELATIVITA’: l'età

Questo fattore è forse il principale, e per que­sto l'abbiamo riservato per ultimo.

La tentazione non è un fenomeno sconosciuto al fanciullo e neppure al bimbo? Parrebbe di no, ma è certo che in loro esiste questa attrattiva, sebbene allo stato potenziale. Il ragazzo dorme e non si sveglia veramente che in quell'età di tran­sizione che si chiama pubertà.

Udite le parole d'uno scrittore: «Alla bellezza morale del fanciullo manca ciò che deve comple­tarla e renderla virile: i segni della lotta e della tentazione vinta. Il momento sta per arrivare, e viene, se già non è per voi arrivato, in cui quella purezza che è soltanto un tranquillo possesso deve cambiarsi in una faticosa conquista... Si nota un turbamento come una nazione tranquil­la che si sente sorpresa nella sua pace da som­mosse popolari.

«La pubertà, dice il dottore Beaums, è una seconda nascita».

Sotto l'aspetto morale notate quanto segue: l'adolescente prova misteriose commozioni, desideri di vaghe avventure; il suo è il tempo delle fantasticherie, delle sentimentalità, dei pianti senza motivo e degli improvvisi rossori di volto. Le passioni cominciano a far sentire il loro pungolo. La purezza finisce d'essere innocenza, per diventare virtù.

Riguardo al lato fisico, il corpo subisce pro­fonde mutazioni, cessa d'essere un corpo di fan­ciullo per diventare un corpo d'uomo. Come disse Chateaubriand: «Ci corichiamo ragazzi e ci svegliamo uomini».

In questo periodo si nota il cambiamento di voce, incomincia a nascere sulle labbra quella leg­gera lanugine di pesca, che l'adolescente chiama con presunzione « i baffi» e di cui è tanto orgo­glioso da ricorrere al rasoio per farli crescere più in fretta. Notiamo, tra parentesi, che più tardi ne sarà meno incantato quando dovrà radersi ogni due giorni, per essere presentabile.

I fenomeni della pubertà non sono improvvi­si, ma si rivelano lentamente; in generale verso i quattordici anni per il giovane e verso i dodici anni per la fanciulla.

Possono però artificialmente venir affrettati da certe cause: per esempio dall'ambiente; il clima, ad esempio, rende un meridionale più precoce che non un russo.

Ogni educatore sa e deve sapere che bisogna esser molto pazienti con i giovani arrivati a que­sto critico periodo. Sono nervosi non perchè siano ribelli, ma perchè sono ammalati.

La passione, svegliata nella pubertà, cresce di violenza durante la giovinezza e nel primo perio­do dell'età virile, poi diminuisce lentamente fino a calmarsi o perfino ad estinguersi completa­mente nella vecchiaia.

Ecco la curva normale: prima ascendente, poi discendente: è questo, per così dire, il suo dia­gramma.

Ripeto però ciò che dissi già: bisogna tener conto delle eccezioni, delle irregolarità, perchè tutti i casi non si possono inquadrare dentro una legge semplicistica.

Così, per esempio, può scoppiare verso la fine della virilità, come si vede nel romanzo di Paolo Bourget Il demonio di mezzogiorno, nel quale non si parla d'un mezzogiorno solare, ma d'un mezzogiorno della vita.

Durante la pubertà il giovane apprezza di più le realtà sensibili, diventa meno idealista e più positivo nel senso cattivo della parola. La golosi­tà, per esempio, va crescendo con l'età, come sant'Agostino stesso racconta nel libro decimo delle sue confessioni.

E ora, o giovane amico, ecco una conclusione importantissima per te: Non devi rimandare all'età virile e neppure alla vecchiaia la correzio­ne dei tuoi difetti e dei tuoi vizi, quali che siano. Non dire: più tardi!

L'esperienza insegna che, spessissimo, più l'uomo avanza nella vita e meno si corregge; le probabilità di convertirsi sono in ragione inversa degli anni.

Certo, il giovane è più tentato; ma egli com­prende anche bene che si tratta di una questione di vita o di morte. Ha più slancio naturale, non si è ancora familiarizzato col peccato e general­mente i primi periodi di cadute sono accompa­gnati da rimorsi.

Ma col tempo, l'uomo ottunde il proprio corpo e i propri sentimenti e si immerge, senza grazia e senza vergogna, nei piaceri grossolani. È più difficile correggersi a trent'anni che non a venti! È più difficile correggersi a quarant'anni che non a trenta! È più difficile correggersi verso i cinquanta che non verso quaranta.

Un fenomeno parallelo si nota in un altro campo: la rinuncia alla vita. Si direbbe che un giovane, avendo davanti la riserva ancora intera degli ardori e delle illusioni, dovesse aver più dispiacere di morire che non un vecchio. Errore! Il giovane è generoso per ogni cosa, compresa l'accettazione della morte. Si vedono ogni giorno ragazzi e giovani fare il sacrificio della vita col sorriso sulle labbra; mentre i vecchi si aggrappa­no disperatamente all'esistenza colle unghie sanguinanti. Pare strano, ma e così. E noi potremmo riprendere le cifre in questo modo: si muore più difficilmente a trent'anni che non a venti; si muore più difficilmente a quaranta che non a trenta, verso i cinquanta che non verso i quaranta. E così di seguito.


Come si spiega questo fenomeno?

Con l'abuso della grazia; col fatto che le abitu­dini diventando un tic morale, prendono i carat­teri di movimenti riflessi, simili al muoversi delle palpebre. Il vizioso ritorna al peccato come l'ubriacone torna all'alcool. Si tratta di un allen­tamento senile.

Tutto il sistema di difesa è indebolito. In un attacco non bisogna soltanto considerare la violenza dell'attacco stesso, ma anche la resistenza delle difese. Anche se l'assalto è poco forte, la fortezza cadrà lo stesso, se la cinta ha delle fendi­ture ed è corrosa dai vermi.



IN GUARDIA!

È questo il grido che si lancia al soldato!

È questo l'avvertimento dato da Nostro Signore ai suoi discepoli: «Vigilate! ».

In guardia! I più forti sono tanto deboli!


Noi non siamo più santi di Davide, e Davide è caduto nel peccato impuro.

Non siamo più sapienti di Salomone, e Salo­mone è caduto nel peccato impuro.

Non siamo più mortificati di san Girolamo nel deserto, e san Girolamo non è caduto nel pecca­to impuro, è vero, ma sappiamo quanto il ricor­do delle danze romane lo ossessionasse.

Non siamo più eloquenti di Lutero, e Lutero è caduto nel peccato impuro. Una sera contempla­va con un'altra disgraziata, la sua amante Caterina Bora, nel cielo limpido e brillante come se fosse il sontuoso scrigno di Dio, le miriadi di stelle, e disse melanconicamente: «Vedi, non è più per noi! noi non andremo lassù, noi due...».

In guardia dunque, o giovane! Chi ama il peri­colo, in quello perirà.

Evita tutto ciò che può accendere la fiamma dell'impurità. Dice la leggenda che le salaman­dre vivono nel fuoco senza bruciare; ma tu, gio­vane amico, sei precisamente il contrario delle salamandre: sei fortemente infiammabile!


[SM=g1740733] Sii prudente!

Scrisse Giuseppe De-Maistre: «Non la sanità ma la malattia è contagiosa».

Giorni sono visitai un istituto di batteriologia, dove mi si mostrarono i brodi di cultura, i tubi pieni di microbi, di bacilli e di cocchi, streptococ­chi e staffilococchi, sarcine e spirilli.

Quante città si sarebbero potute infettare con quegli agenti attivi del colera, del tetano e della tubercolosi... E tutta quella roba brulicava in numero di milioni e milioni in quelle ampolle che noi tenevamo in mano. Per fortuna erano diligentemente chiuse.

Ma ahimè, per certi altri germi le ampolle non sono tappate... anzi sono aperte a piacere, con lo scopo preciso di avvelenare!

Che cosa sono infatti certi chioschi di giornali, certe librerie, certi programmi televisivi, certe navigazioni su Internet, se non altrettante ampol­le da cui si dipartono i germi di tutte le putre­fazioni morali, familiari e sociali?

E dire che contro questi germi si sta poco in guardia, perchè sono molto sottili. Si sarebbe tentati di domandare: «Esistono poi? io non li vedo!».

E non si vedono davvero come non si vedono i microbi micidiali dei micrococchi, gonococchi, staffilococchi, ecc.

Finora solo il microscopio elettronico è tanto forte da farci vedere i virus di molte malattie mortali. Diffidiamo dagli infinitamente piccoli! Il mollusco "teredine" è quasi invisibile; eppure ha messo a repentaglio l'intera Olanda per venti volte. Esso infatti fora quelle dighe che sono le più massicce del mondo, di modo che per quelle fessure, dapprima minuscole, l'acqua fil­tra e poi invade le terre.

Similmente le fenditure della vita morale si vanno allargando sempre più, fino a compromet­tere ogni cosa.

Dobbiamo dire dei piccoli pericoli ciò che Stahl diceva dei piccoli difetti: «Le malattie leggere che si ripetono e di cui non si diffida gran che, col pre­testo che non sono mortali, sono nemici più ter­ribili che le grosse malattie contro le quali fin da principio si prendono provvedimenti».

Quasi sempre le gravi malattie vengono por­tate dalle piccole malattie trascurate. Le piccole malattie sono lì tutti i giorni, mentre le grandi sono come le stelle filanti che cadono a lunghi intervalli.

Un punto nero sopra un dente non è nulla; ma se non lo fate vedere presto al dentista, in breve il dente è guastato. Se non lo fate cavare si gua­steranno alla loro volta i denti vicini e poi i vici­ni dei vicini. Il grande danno delle piccole malattie sta appunto in questo: nell'essere piccole nella loro aria d'innocenza. Bisogna dunque essere prudenti!

Ora il vero prudente è colui che prevede e che previene la malattia.

Noi non ci limitiamo ad evitare d'essere «un candidato all'artrite o al diabete o alla sifilide; noi ci sforziamo di evitare completamente questi mali!

«Principiis obsta! sero medicina paratur cum mala per longas invaluere moras». Durante gli studi tu hai trovato certo questi due versi di Ovidio, che io, per farti un compli­mento, credo non abbia bisogno che ti siano tra­dotti... Comunque, te li traduco di seguito: "Reagisci subito! la medicina è preparata troppo tardi quando il male agisce da troppo tempo".

Anche senza aver studiato latino, tu compren­di molto bene il principio contenuto in questi versi, quando si tratta della tua sanità corporale: è più da furbo curare la propria sanità che non la propria malattia. E proprio così: l'igiene è da preferirsi alle pil­lole.

Sai che cosa vale più d'una perfetta impiom­batura? Un dente sano.

Domanda un poco ai nostri gloriosi mutilati se la più ammirabile gamba artificiale vale la gamba naturale, e se un cranio ben trapanato o riparato con delle placche d'argento, vale come un buon cranio intatto!



Sii intransigente!

Ho forse detto abbastanza col raccomandarti d'essere «prudente»?

No: per usare la parola adeguata ed appro­priata bisogna che ti raccomandi d'essere piutto­sto «intransigente».

L'argomento di cui parliamo è «lubrico»: e questa parola di origine latina sai che cosa vuol dire? Vuol dire «sdrucciolevole! ».

Ricordi, è vero e con quanto piacere, quando da ragazzo tu correvi pattinando cosi veloce sul ghiaccio? Dimmi: era più facile fermarsi nella strada o non lanciarsi nello sdrucciolo? Il non lan­ciarsi era in tuo potere, ma non era in tuo potere il fermarti; e lo sai tu, ricordando i capitomboli! Ebbene: il vizio è uno «sdrucciolo»!....

Incidi profondamente nel tuo spirito, come se usassi una punta di diamante, queste verità così evidenti tanto per colui che è vissuto poco, quan­to per colui che è vissuto molto.

È più prudente non assaggiare affatto certi frutti e certi veleni, che assaggiarne un poco.

Sant'Ignazio raccomandava vivamente d'es­sere, nella lotta contro il demonio, categorici, o come noi abbiamo detto, intransigenti.

«Il nostro nemico somiglia ad Eva, di cui pos­siede la debolezza e la testardaggine. È proprio di Eva, quando disputa con un uomo, di perdere il coraggio e di darsi alla fuga appena costui gli mostra una faccia decisa; ma se l'uomo comincia a temere e a ritirarsi, la rabbia, lo spirito di ven­detta e la ferocia femminile crescono senza misura.

Ugualmente è proprio del nemico infernale l'indebolirsi, il perdere coraggio e darsi alla fuga con le tentazioni quando si mostra molta fermez­za. Invece se il tentato comincia a temere e ad affrontare l'attacco con meno coraggio, la mali­zia infernale arriva a tale crudeltà da superare ogni animale feroce di questa terra».

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)