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[SM=g1740733] 6° PRINCIPIO: i cattivi pensieri

Dio non ha soltanto proibito gli atti impuri, ma anche le immaginazioni, i pensieri e i desideri. Bada bene a distinguere questi tre casi:

1 - Pensare una cosa che ha un lato impuro. Molte volte questo è necessario che lo faccia il medico, il teologo, lo scienziato, ecc.

2 - Pensare ad una cosa mediante questo lato impuro. Spesso è cosa legittima, per esempio nello studio. Dio, che conosce tutto, conosce anche questo aspetto delle realtà.

3 - Pensare a una cosa in vista di questo lato impuro. Questo è male, e si chiama immagine, pensiero, desiderio cattivo.


Dio sa (come sappiamo anche noi) che l'azio­ne è lo sbocco logico dell'idea. Per questo non si limitò a tagliare solamente la pianta velenosa dell'impurità, ma volle discendere fino alla stes­sa radice, per estirparla dal cuore umano.

Ascolta queste parole decisive di Gesù: «Voi avete imparato (parlava agli Ebrei, i quali cono­scevano i comandamenti dati da Dio a Mosè) che fu detto agli antichi: Non commettere adulterio. Ma io vi dico: Chiunque guarda una donna con desiderio impuro, ha già commesso l'adulterio nel suo cuore» (Vangelo di Matteo 5, 27).

È molto utile esaminare non solo il principio dei nostri pensieri, ma tutto il loro procedimen­to, perchè i pensieri possono nascere innocenti e, cammin facendo, deviare e degenerare in cattivi.

«È cosa propria dell'angelo cattivo, dice sant'Ignazio, quando si vuol mascherare in ange­lo di luce, entrare da principio nei sentimenti dell'anima pia e finire con l'ispirare i suoi propri sentimenti diabolici. Così comincia col suggerire pensieri buoni e santi, conformi alle disposizioni virtuose di quell'anima; ma a poco a poco si sfor­za di attirarla nei suoi segreti tranelli e di farla acconsentire ai suoi colpevoli disegni.

Per questo noi dobbiamo esaminare con gran­de cura il percorso e la direzione dei nostri pen­sieri; se il principio, il mezzo e la fine sono buoni in se stessi e tendono puramente al bene, è que­sta una prova che vengono dall'angelo buono».

Quali sono i principi di responsabilità nelle tentazioni che si chiamano cattivi pensieri?

Sono possibili, di fronte ai cattivi pensieri, due maniere di comportarsi:

1 - Cercar di accontentare tali pensieri.

2 - Trattenere volontariamente tali pensieri. Esaminiamo ciascuno di questi modi di com­portarsi:

Primo modo di comportarsi. Quando uno si sforza di respingere pensieri cattivi non soltanto non commette colpa, ma acquista meriti, poichè riporta una vittoria sopra se stesso.

L'esperienza però dimostra che il migliore e più efficace modo di "respingere" i cattivi pensie­ri è quello di "dimenticarli", pensando subito a qualche altra cosa, leggendo un libro, facendo un atto di amore a Gesù...

La formula vincitrice è quindi duplice: è «di­menticare ed amare», ossia lasciar cadere subi­to nel dimenticatoio il pensiero cattivo e fare subito un atto di amore verso Gesù.

Si applica qui alla perfezione il proverbio che dice "chiodo scaccia chiodo": il nuovo pensiero (buono) scaccia il vecchio (cattivo) che cade nel dimenticatoio.

Secondo modo di comportarsi. Se uno s'accorge che certi pensieri o desideri sono malsani e liberamente li trattiene e vi acconsente, in questo momento preciso, e non prima, comincia la sua responsabilità.

Come non si ha il diritto di conservare una sporca immagine in un album segreto, così non si può conservare uno sporco fantasma nell'al­bum segreto della fantasia.

Vicino alle brutture esteriori, ci sono le brut­ture interiori: nella memoria o nella immagina­zione.

La parte della fantasia, nelle tentazioni impu­re, è purtroppo grandissima. L'azione colpevole è ordinariamente accompagnata da rappresenta­zioni che la provocano o l'alimentano. Perfino nelle impressioni subìte durante i fenomeni del sonno, la fantasia interviene in larga misura, alle volte come causa, altre volte come effetto.

Abbiamo già veduto che i piaceri sensuali sono di ordine nervoso. Il sistema nervoso è in comunicazione con quell'ufficio centrale che si chiama il cervello. Ora, formare le immagini è una maniera di operare che ha il cervello. È dun­que naturale che i movimenti impuri e le imma­gini impure vadano quasi sempre di pari passo.

Ma ora voglio dare a te la parola, o giovane amico, perchè so che hai molte difficoltà da farmi.

- I pensieri o le immagini che mi perseguita­no sono orribili.

- Sia pure, ti rispondo, e che importa? La colpa non consiste nel gioco dell'immaginazione o dell'intelligenza, ma nel consenso della volon­tà. C'è a questo proposito un vecchio proverbio latino: «Non nocet sensus, ubi non est consen­sus», che si potrebbe tradurre in questi due versi, non certo degni di Dante: È nulla il tuo sentire, è tutto acconsentire.

- Ma questi pensieri girano come una ruota, fino ad ossessionarmi, e mi tormentano giorno e notte.

- E con questo?

Vuol dire che ti sei fatto maggiori meriti; per­chè è più glorioso resistere due ore che resistere due minuti. Lotta più lunga, palma più bella!

Noi possiamo meritare in due maniere, quan­do dal di fuori ci viene un cattivo pensiero. Anzitutto, se, quando si presenta il pensiero di commettere una colpa grave, io resisto (dimentico!) subito e così riporto la vittoria. Secondariamente, se questo cattivo pensiero, respinto in principio, ritorna una o più volte e io resisto, sempre fisso a cacciarlo completamente, questa seconda maniera è molto più meritoria che non la prima».

- Ma io, quando mi vengono questi pensieri cattivi, provo un diletto proibito.

- La cosa è fatale ed inevitabile, ti rispondo, ma tu non sei responsabile finchè lo risenti senza averlo cercato e senza portarvi un volontario compiacimento.

- Io tremo, quando considero che basta un istante per commettere una colpa grave di pen­siero.

- Ti rispondo che basta un sol istante anche per lacerare una tela di Raffaello, per schiaffeg­giare un amico o per dire al proprio padre: ti odio.

Temi tu, ciò nonostante, che ti accada di com­mettere queste enormità d'un istante, contro il tuo volere?

Quest'altra enormità d'un istante che si chia­ma la colpa grave, non può essere commessa, contro il tuo volere, poichè la colpa grave suppo­ne essenzialmente, oltre che la materia grave, la perfetta avvertenza e l'intero consenso.

- Il diavolo è tanto forte!

- Il diavolo, ti risponde questa volta S. Bernardo, è un cane che abbaia terribilmente... ma è legato alla catena. Lascia pure che questo impotente rabbioso schiamazzi. Non ti morderà mai, a meno che tu non voglia, proprio tu e colle tue mani, slegargli dal collo la catena.



7° PRINCIPIO: prima della Comunione

Prevengo un'altra tua difficoltà:

- Queste brutte tentazioni m'assalgono di preferenza prima della Comunione.

- Ti credo e ti dico anzi che questo fatto è molto frequente.

Ma si spiega molto bene con due ragioni. Anzitutto vi è una causa affatto naturale. Al mat­tino lo spirito riacquista tutta la sua freschezza e l'immaginazione non ha ancora lavorato; per questo l'uno e l'altro giocano più facilmente. Al mattino le nostre facoltà hanno il loro massimo di plasticità.

In secondo luogo, il nostro nemico sa molto bene che la Comunione è il grande mezzo di san­tificazione, e per questo, allo scopo di allontanar­tene, ti va insinuando: « Come! tu oseresti rice­vere il tuo Dio in un'anima tutta posseduta da desideri malsani e macchiata da simili bruttu­re?».

Che devi fare in questo caso? Astenerti dalla Comunione? Oibò! Mai; se tu facessi così, quan­do sai di non aver acconsentito al male, ti preste­resti mirabilmente al gioco del diavolo.

- Ma, continui forse, io non so, prima della Comunione, se ho acconsentito o non acconsen­tito. Che regola tenere allora?

- Finché rimane solidamente probabile che tu sia ancora in stato di grazia, conservi il diritto di accostarti alla Sacra Mensa. Sarebbe cosa pru­dente che tu facessi un atto di contrizione perfet­ta, ma non ti può essere imposta come obbligato­ria la confessione. Perchè? Perchè la legge della confessione non vale se non per il caso di colpa grave e, nella tua ipotesi, la colpa grave è molto seriamente dubbia e quindi la legge stessa diven­ta dubbia. Ora la legge dubbia non obbliga: «Lex dubia, lex nulla».

Tuttavia, se il timore di una colpa grave è abbastanza fondato, sarebbe molto desiderabile ed anche più conveniente e più pacificante, pas­sare dal confessore.

Certamente noi abbiamo detto che non vi sarebbe obbligazione stretta, finchè resta solida­mente probabile il fatto di non aver acconsenti­to, ma è proprio questo il caso in cui bisogna distinguere fra la legge stretta ed il consiglio. Nei rapporti con Nostro Signore, come nei rapporti con gli uomini, vicino a ciò che bisogna fare si estende tutto il largo campo delle delica­tezze e delle convenienze.

Il dubbio di cui ora parliamo potrà avere più facilmente fondamento in colui che resta per­plesso sullo stato dell'anima sua, benchè la sua coscienza sia grossolana, che non in colui che esita perchè è inclinato agli scrupoli. Ora, nota bene, i miei consigli, in questo momento sono indirizzati alle anime delicate, le quali possono applicarsi il principio: «In dubiis iudicandum est ex ordinarie contingentibus», «Nel dubbio si deve stare a ciò che faccio ordinariamente»; esse possono cioè pensare che nel loro dubbio, la convinzione è in loro favore.

Tutti i principi che ho esposto finora sono molto ben riassunti dal più soave maestro della vita spirituale: S. Francesco di Sales. Eccoti una pagina scritta con molta grazia e pensata con molto buon senso.

«Siete voi bersagliati dalle tentazioni?

Non bisogna per questo nè che v'inquietiate nè che cambiate posizione. È il diavolo che va dappertutto intorno al vostro spirito, frugando per vedere se può trovare qualche porta aperta.

Faceva così anche con Giobbe, con S. Antonio, con S. Caterina da Siena e con moltissime altre anime buone.

Bisogna forse inquietarsi per questo?

No: lasciatelo crepar di freddo; tenete ben chiuse tutte le porte ed egli si stancherà finalmen­te o, se non si stanca, Dio gli farà levare l'assedio.

È buon segno ch'egli vada facendo tanto fra­casso e tanta tempesta intorno alla vostra volon­tà: è segno cioè che non vi è entrato. Guardatevi bene dall'adirarvi col vostro cuore per questi disgustosi pensieri che gli stanno tutto all'intor­no; perchè il tuo povero cuore non ne ha proprio colpa e Dio stesso non lo rimprovera affatto, anzi il contrario! la divina sapienza si compiace nel vedere che andate tremando alla sola ombra del male come un pulcino trema all'ombra del nib­bio che gli sta roteando sopra.

Ricorriamo alla croce, baciamola di cuore; restiamo in pace all'ombra di questo santo albe­ro. È impossibile che qualche cosa ci manchi fin­chè conserviamo una vera risoluzione di essere tutti di Dio. Non bisogna adunque agitarsi nelle tentazioni, ma restare in una gaia e dolce rasse­gnazione al beneplacito di Dio.

Le tentazioni non possono togliere nulla alla purezza di un cuore che non le ama affatto. Non teniamo lo sguardo volto verso di loro, ma guar­diamo fissamente il nostro Salvatore che ci aspetta al di là della tormenta.

Sapete perchè le tentazioni ci turbano? Perchè vi pensiamo troppo e le temiamo troppo! ».

Meditate queste ultime righe di san Francesco di Sales, voi che vi preoccupate eccessivamente per l'assalto dei desideri importuni.

Perchè perdere la padronanza della vostra anima e così infiacchirvi?

L'affanno conserva ed intensifica queste ten­tazioni. Conservate la vostra volontà molto gene­rosa, ma il vostro cuore se ne stia molto calmo.

L'agitarsi è un impiegar la forza fuori di posto! Sforzatevi invece di trascurare, di disprez­zare, di dimenticare.


Voglio esprimere tutto il mio pensiero.

La cosa essenziale sarebbe questa: Pensare il meno possibile all'impurità.

Certuni finiscono col patire le allucinazioni davanti a queste miserie e concentrano talmente la loro attenzione su tutto quello che riguarda la purezza che finiscono per credere che la religio­ne consista solamente in questo!

Esaminiamo le cose con calma.

Quando a Nostro Signore fu domandato quale era la prima virtù, rispose: «La carità». Ama Dio e tutto il resto sarà assicurato. Il giorno in cui l'amore di Dio diventerà la nota fondamentale della nostra anima le altre virtù ne diventeranno naturalmente le note armoniche!

Pensa un poco meno ai cento e cento punti interrogativi: «non si può far questo, non si può far quello» e pensa un po' di più al grande punto affermativo: «Ama Dio con tutto il tuo cuore! ».

Dal momento che un figlio ama sinceramente il proprio padre, c'è forse ancor bisogno d'infilar­gli venti raccomandazioni: di non dargli noia, non picchiarlo, ecc? «Ama Dio e fa' quello che vuoi! ».

Ama il Signore con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e questa generosa nobiltà di­scenderà dall'alto in tutti i piani. Nell'edificare la santità bisogna fare a rovescio di quanto si fa nel costruire le case: non bisogna cominciare dal basso, ma cominciare dall'alto.

S. Ignazio quando vuol concludere i suoi Esercizi Spirituali e dare il colpo decisivo, pro­pone una contemplazione sull'amore divino.

«Richiamerò alla memoria, scrive, i benefici che ho ricevuto... Considererò molto affettuosa­mente tutto quello che Iddio Nostro Signore ha fatto per me ... ».



8° PRINCIPIO: il 6° comandamento

Avrai udito spesse volte enunciare questo principio: «in materia d'impurità non si dà pic­colezza di materia, cioè ogni colpa è grave». Come si deve interpretarlo?

Bisogna intenderlo come lo spiegano i teologi, se non si vuole falsarsi la coscienza.

- Cominciamo coll'osservare che anche quando la materia è grave la colpa può restare leggera, perchè la colpa mortale suppone, oltre a questo primo elemento della materia grave, due altre condizioni: conoscenza perfetta e consenso intero. Ciò posto, in molti casi vi sarà soltanto «materia» per una colpa grave, ma non un'effet­tiva colpa grave.

- In secondo luogo: quando la teologia inse­gna che non esiste «materia» leggera in fatto di castità, che cosa vuol indicare con questa parola «materia»?

Certo non vuoi indicare una semplice sensua­lità, perchè è evidente che ci può essere materia leggera in una certa lettura un po' libera, in una certa allusione fuori di posto, in un certo sorriso indulgente, ecc. Ma si deve trattare, nel principio enunciato, della lussuria propriamente detta (che è un vizio disordinato) e che, se direttamen­te cercata, è peccato.

Esaminiamo una per una queste due espres­sioni. «La lussuria propriamente detta» consiste in quei movimenti sregolati delle parti sessuali (spesso chiamati ribellioni della carne) accom­pagnati da soddisfazioni d'ordine venereo e genesiaco, in modo che lo sbocco logico (che sia raggiunto o no, non importa) sarebbe la soddi­sfazione completa della passione.

Conviene badare a tre cose: 1) Si può peccare contro la purezza senza che vi sia movimento, ma allora sono peccati interni (pensieri, deside­ri). 2) La parola venereo viene da Venere, che secondo le favole mitologiche era la dea del pia­cere. 3) La parola genesiaco, vuol dire: relativo alla generazione. Si possono provare in quegli organi delle impressioni che non sono d'ordine genesiaco, per es. il calore, il freddo, la pressio­ne, anche un certo qual benessere che non ha affatto carattere venereo.

L'argomento come vedi, è molto delicato, ma se ne può parlare con tutta purezza. Dio prevede quanto coraggio è necessario all'uomo e alla donna per accettare i pesi della famiglia, e per questo ha messo provvidenzialmente un'attratti­va ed un compenso di piacere nell'esercizio delle funzioni generative.

Negli esseri umani troviamo soprattutto due tendenze: la tendenza alla conservazione dell'indi­viduo che spinge alla nutrizione, e la tendenza alla conservazione della specie, che spinge alla riprodu­zione. L'individuo muore, ma bisogna che l'uma­nità viva. L'umanità, la specie umana, deve restare ed è per questo che gli esseri umani hanno così profondo istinto del loro prolungarsi nei posteri.

Gli organi destinati alla generazione e chia­mati, per questo motivo, genitali o sessuali, hanno diritto al piacere lecito nell'unione legitti­ma del Matrimonio, il quale assicura la trasmis­sione della vita e che da Dio stesso fu elevato alla dignità di Sacramento. Ma, fuori di questo caso, questo piacere è deviato violentemente dal fine che lo giustifica, è privato del suo vero scopo, e perciò diventa un disordine.

Se Dio ha associato la soddisfazione sensibile col fine per cui ci fu data, non è possibile né leci­to giustificare il loro dissociarsi, come non è pos­sibile separare, il nutrirsi dalla soddisfazione del gusto dal dovere di nutrirsi.


Per verificare se la tua anima si tiene in rego­la sarà utile che tu ti faccia, in simili casi, queste due domande:

1°) Sono io in grado di giustificare l'azione che compio? Ha essa un motivo sufficientemen­te serio e diverso da quello che ha di mira la pas­sione?

2°) Sono io in grado di giustificare la mia intenzione? È essa diritta?

Insisto su quest'ultimo punto: può darsi che una cosa sia onesta in se stessa e permessa dalla morale, ma sempre nella supposizione che l'in­tenzione direttrice rimanga buona.

Il bisogno di calmare i pruriti, o il desiderio di aver una bella pulizia o della sanità possono essere motivi seriamente utili o qualche volta necessari, ma possono anche diventare altrettan­ti pretesti della passione.

Attenzione, dunque, e dirittura! niente co­scienza a doppio fondo, come le scatole di certi ciarlatani. Niente pie gherminelle!

Alle volte si vuole giocar d'astuzia con Dio, sforzarsi di scivolargli in mano le monete false d'ingannatrici ragioni.

Ora ciò che Iddio guarda soprattutto, dice la Scrittura, è la lealtà del cuore, la buona volontà; al punto che, perfino in caso d'errore, la respon­sabilità umana è salva quando c'è realmente la buona fede.

Citiamo due filosofi non nostri, ma che pure dissero qualche verità. Fidote scrisse: Il solo dovere è questo: «volere agire conformemente al proprio dovere»; e Kant: «di tutte le cose che si possono pensare nel mondo, ve n'è una sola che si può tener per buona senza restrizione: una buona volontà».


9° PRINCIPIO: la divisione delle cause

Bisogna dividere le cause di certe azioni. Alcune cause di effetti impuri sono cattive in se stesse; altre invece sono cattive soltanto in certe circostanze determinate.

Sono in se stesse colpevoli le cose che, per loro natura, sono inevitabilmente una provoca­zione grave al vizio.

Altre cause invece non sono cattive in se stes­se, ma diventano colpevoli in certe condizioni; dimodochè la stessa azione sarà buona o cattiva, secondo le circostanze.

Facciamo dei casi, che, certo, anche a te ven­gono in mente:

- Un dato sguardo è colpa grave?

Bisogna distinguere: da vicino o da lontano? di sfuggita o con insistenza? per pura curiosità o con intenzione malvagia?

- Una certa conversazione libera è colpa grave?

Colui che la tiene o l'ascolta è un fanciullo? un uomo sposato? un vecchio che percepisce poche sensazioni? una persona più o meno immunizza­ta dall'abitudine?

- I baci sono colpa grave?

Possono essere permessi dall'usanza o dalle relazioni familiari.

Possono essere complicati da esagerazioni sentimentali, e da malizia.

Possono spesso diventare una manifestazione gravemente passionale.

Bisogna dunque sempre badare alle circo­stanze. La circostanza che generalmente influirà di più e la durata.

Certe azioni fatte velocemente (e sempre nella supposizione che si abbia un'intenzione retta) resteranno oneste, mentre le stesse azioni diven­teranno gravi, quando ci si fermi lungamente senza una vera necessità. Concluderò con le parole del Vangelo: «Chi ha orecchie per inten­dere intenda! ».

Dopo aver diviso le cause, diciamo in quale gradazione si presentano.

L'ordine ascendente delle cause eccitanti pare che si potrebbe stabilire così:

al grado inferiore, la parola; perchè il sempli­ce racconto di una cosa impressiona meno che non la cosa stessa;

in secondo luogo, la figura: la statua è più pro­vocatrice della parola, perchè presenta le forme; in terzo luogo, la pittura perché aggiunge l'in­canto del colore;

in quarto luogo, la vista diretta, perché non si tratta più solo delle rappresentazioni con le forme e i colori, ma si tratta della cosa stessa; in quinto luogo: il contatto.



10° PRINCIPIO: la responsabilità

Finisco col prendere in esame una scusa o una difesa assai frequente:

- Io non sono responsabile quando commet­to una colpa impura, perché, durante l'ipnosi sensuale, perdo la mia libertà. « La tentazione, si dice, diventa irresistibile, tanto l'attrattiva scon­volge e quasi ubriaca». Tutti riconoscono, si con­tinua, questa specie di stregamento, a comincia­re da san Clemente Alessandrino il quale dichia­ra che «l'animo viene strappato dall'uomo con violenza»; fino a Paolo Bourget il quale, nel romanzo Il Discepolo, parla di «quell'ubriachez­za da cui noi siamo presi come dal vino» Ecco l'obiezione.

- E io rispondo:

Non dimentichiamo mai che seduzione non è fatalità e che vicino all'azione subìta esiste il principio di reazione, quella libertà del volere il cui privilegio e l'essenza stessa è di poter resiste­re.

La religione ha saputo dominare i più tiranni­ci e i più tenaci vizi: le libertà non pudiche del paganesimo, la sete di vendetta dei selvaggi, l'ubriachezza di molti popoli.

Perchè non sarà capace la religione di trionfa­re sul vizio impuro?

Certo questa passione è focosa ed inebriante. «Io ero diventato un altro, dice qualche volta il povero caduto; mi sembrava d'essere in preda a una breve pazzia».

Lo credo, e dico: può effettivamente succedere che la mancan­za di deliberazione perfetta e di consenso intero, elimini il peccato mortale, se non anche il pecca­to veniale. Ma questo caso di responsabilità sop­pressa si verificherà soprattutto per pura sorpre­sa, che i teologi chiamano con un'espressione poco latina, ma molto suggestiva motus primo primi (=moti imrovvisi, subiti ma non voluti): movimenti cioè talmente rapidi che prevengono ogni deliberazione dell'intelligenza.

L'irresponsabilità viene allora da questa sor­presa e non già dalla violenza: la volontà si può paragonare, in questi casi, ad una piazzaforte che può essere presa a tradimento, ma mai d'assalto. La moderna strategia arriva, è vero, a far crol­lare le più resistenti fortezze; ma c'è un forte che resta sempre inespugnabile: il forte interno della nostra libertà di volere.

L'assalto della concupiscenza sarà certo una circostanza che attenua la sconfitta, ma non sarà mai una circostanza che la giustifichi.

Il timore può ancor di più costringere la nostra libertà. Chi più dei nostri martiri conobbe lo scuotimento quasi pazzo di tutto l'essere? Eppure è apostata, quel cristiano che rinnegasse la fede davanti all'orrore dei supplizi (anche se sarà meno colpevole di colui che rinnega Gesù senza simile pressione morale) ma infine colpe­vole lo stesso.

L'abitudine impura è tirannica, ma si è respon­sabili di averla contratta. L'uomo è figlio delle pro­prie opere, ma è padre delle proprie abitudini.

L'ignoranza scuserebbe più facilmente e più di tutto, perchè non si può volere ciò che non si conosce affatto e nulla è tanto contrario al con­senso quanto l'errore. In questo caso non si trat­ta di cedere, ma di non sapere.

L'ambiente può essere dannoso alla purezza, oppure può essere addirittura corruttore.

Ma ricorda che:

a) L'ambiente invita l'uomo; non lo costringe.


b) Se Dio permise che noi nascessimo e vives­simo in un simile ambiente, allora ci darà le gra­zie corrispondenti. Ma se noi stessi ci siamo messi dentro volontariamente, e per questo solo fatto, siamo diventati colpevoli.

c) Se l'ambiente operasse tutto, come si potrebbe spiegare il fatto che certi giovani edu­cati in ambienti differentissimi si rassomigliano e viceversa due fratelli educati nello stesso ambiente familiare presentano due vite tanto divergenti?

d) Giulio Simon nel libro Dovere ricorda che l'uomo, anche nell'ambiente più depravato, sente sempre la voce della coscienza.

In breve: nella lotta per la purezza, molte cause diminuiscono la libertà umana, ma non la sopprimono del tutto.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)