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XI. - LA DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA

Se il problema di produrre ricchezza è, oggettivamente, il più importante, quello della distribuzione della ricchezza pro­dotta è il più importante soggettivamente: interessa cioè in modo specialissimo tutti coloro che hanno contribuito a produrla. E non è raro il caso che, per non sapersi mettere d'accordo sulla distribuzione, la ricchezza non si produce o si produce in mi­nima parte; ed è pure avvenuto che, nel contrasto tra i diversi interessati alla distribuzione, la ricchezza prodotta s'è distrutta o deteriorata. Appare, perciò, di basilare importanza che gli uomini sappiano stabilire una giusta distribuzione della ricchezza o che, comunque, attuino metodi ed istituti giuridici tali che giungano, con la massima equità possibile e senza danni, a superare le controversie.

Panorama generale.

La distribuzione della ricchezza avviene, nella moderna eco­nomia, con:

- la remunerazione del lavoro (salario, stipendio, coin­teressenza, di cui già s'è parlato);

- il profitto dell'imprenditore;

- la remunerazione del capitale prestato, interesse;

- i contributi versati per le assicurazioni;

- le imposte, esatte dallo Stato per le sue spese generali (ciò di cui si parlerà nel cap. seguente).

 

Il profitto.

È classicamente chiamato così il guadagno dell'imprendito­re. Esso appare nettamente legittimo, anzi risulta evidente che esso deve essere relativamente notevole. Ciò perché:

- l'attività imprenditoriale è un lavoro;

- essa è il lavoro preminente nella ideazione e creazione, come nello svolgimento e nell'affermarsi dell'azienda;

- il rischio dell'imprenditore è grande, specialmente poi se è lui stesso a finanziare l'azienda.

Riconosciuta facilmente la legittimità del profitto, riesce difficile, invece, stabilirne la misura; ad essa si arriverà tenendo conto dell'influsso del suo lavoro nell'azienda, del suo grado di responsabilità, della mole di lavoro e del reddito generale, del rischio di eventuali suoi capitali.

Il profitto qualche volta diventa extraprofitto, in seguito a circostanze fortuite o, comunque, non conseguenti all'attività im­prenditoriale: in tale caso è evidente che I'imprenditore ha, per detta quota, maggiori doveri sociali, come lo Stato ha mag­giori diritti, anche per imposizioni fiscali straordinarie.

Come s'è detto per la proprietà, così bisogna dire per il profitto, e cioè che deve adempiere, oltre che una funzione indi­viduale, anche una funzione sociale. A tale proposito devono essere tenuti presenti:

- il possibile ingrandimento dell'azienda;

- l'ammodernamento degli impianti e dei macchinari;

- il miglioramento, specialmente igienico, degli stabi­limenti;

- la restituzione, totale o parziale, dei prestiti, per ren­dere l'azienda autosufficiente;

- l'aumento delle unità lavorative, particolarmente im. portante se nel paese v'è disoccupazione;

- la concessione di premi agli impiegati e agli operai, l'eventuale diminuzione, a parità di retribuzione, della giornata lavorativa, l'aumento delle retribuzioni o, comunque, dei benefici.

Senza poter scendere qui a maggiori precisazioni, è certo che al lavoro, direttivo ed esecutivo, deve, in genere, concedersi ancora più di quanto è, comunemente, dato; gli imprenditori, da parte loro, debbono, generalmente parlando, diminuire i loro profitti - che pur resteranno sempre ragionevolmente laghi -, realizzandosi così tra tutti i partecipi dell'azienda non un'impossibile, ingiusta ed antieconomica equiparazione, ma un equo raccorciamento delle distanze.

 

L'interesse.

La quota di guadagno spettante a chi presta il capitale è denominata interesse. Essa è lecita:

- perché aiuta veramente a produrre nuova ricchezza, beneficio per chi riceve il prestito come per la società in generale;

- perché rappresenta un sacrificio;

- perché rappresenta un rischio;

- perché l'interesse sprona al risparmio, e, quindi, alla disponibilità di capitali.

Il capitale ha due fonti, in sé eccellenti, il lavoro e il ri­sparmio; esso, se investito, ha molti effetti benefici, tra cui la moltiplicazione del lavoro, la moltiplicazione della ricchezza, l'accelerazione del progresso. Per tutto ciò esso merita un equo interesse.

Anche qui non è facile determinare quando un interesse è equo: ciò dipende dalla quantità della somma che si offre in prestito, dalla durata di esso, dal grado di gravità del rischio, dal guadagno che rende possibile, dalle condizioni di chi chiede, se per bisogno o per piccola o grande industria, ecc.

Tre cose, in tale materia, si possono dire certe:

1) che la Chiesa ha sempre combattuto con la massima energia i prestiti a condizioni usuraie;

2) che lo Stato, enti e privati dovrebbero andare incontro ai bisognosi, nei limiti di modeste necessità, con prestiti ad inte­resse veramente minimo (ad es. perché ogni famiglia possa pos­sedere una modesta abitazione o perché un artigiano possa procurarsi le necessarie, materie prime);

3) che per prestiti poco o nulla rischiosi - come avviene per i Buoni del Tesoro statali e le Obbligazioni societarie garan­tite dallo Stato - un interesse del 5, 6, 6, 5 per cento all'anno, appare lecitissimo; che per prestiti rischiosi la misura va aumen­tata a seconda che aumenta il rischio.

 

Assicurazioni e sicurezza sociale.

Oggi parte del guadagno di un'azienda, in tutte le nazioni progredite, viene destinata ai fondi delle assicurazioni sociali; l'apporto viene prelevato in misura relativamente minima - in Italia - dalle retribuzioni del lavoratore e, in misura assai più ampia, dal reddito generale dell'azienda.

Al lavoratore riesce, in genere, ostico pagare anche una minima quota per le assicurazioni sociali obbligatorie, ma a poco a poco ci si abitua e, col tempo, ne riconosce i benefici, che vera­mente sono notevoli. Esse proteggono dall'incertezza e assicu­rano, dal punto di vista economico, l'avvenire. Disoccupazione, malattia, invalidità, vecchiaia, la stessa morte di un capo famiglia appaiono oggi, col sistema quasi generalizzato delle assicurazioni, prospettive ben meno gravi che in passato.

In varie nazioni si tende addirittura alla « sicurezza sociale » per tutti i cittadini, per ogni genere di rischio, dalla culla alla tomba. Così, ad esempio, è oggi in Inghilterra. Tale mèta ap­pare, evidentemente, buona. Occorre però stare attenti che una tale sicurezza:

a) non incoraggi l'inattività;

b) non crei pretese esagerate e fuori luogo;

c) non distrugga il senso di libertà, responsabilità, perso­nalità, interesse individuale di ciascuno alle proprie cose e a se stesso;

d) non gravi troppo, fino magari a comprometterla, sulla economia di una nazione.

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)