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7. L’altro è quello della speranza, che a Roma anche se ivi non sempre avvertita sembra correre in cerca del suo domicilio. Una speranza, che sa di messianico, di escatologico. Non è esatto definire Roma soltanto una città dell’antichità, sopravvissuta come capitale moderna (Cfr. Gregorovius, Storia della Città di Roma nel Medio Evo, 1, 5-6). Roma contiene un destino che si proietta nel futuro. La sua storia non è finita, e non basta quella presente a realizzare la potenzialità della sua missione nel tempo. Vi è un’attesa, a Roma, vi è una logica che deve svolgersi ed arrivare a qualche nuovo fine. Tali sono le premesse, a Roma, che si devono ritenere promesse.

A Roma niente è finito, tutto è incominciato. A Roma la istanza dei bisogni umani trova la suprema sede di appello. A Roma la fiducia e l’arte della perfettibilità umana sono nel loro castello, nella loro officina.

Il pessimismo non ha stanza sul suo suolo. Qui è la redenzione, sempre possibile; qui è la pace, sempre raggiungibile; qui il progresso umano sempre perseguibile. Qui l’umanesimo vero sembra trovare il suo perenne svolgimento. La parola biblica è di casa: «Facciamo l’uomo» (Gen. 1, 26) a somiglianza di Dio, cioè secondo il prototipo più alto, e nello sforzo non mai soddisfatto dei suoi risultati, è programma.

Perché qui , Cristo è in divenire: «…finché si formi Cristo in voi» (Gal. 4, 19) e la fatica, e la missione di Roma cattolica; predicare e comunicare Cristo, con impassibile incuria delle difficoltà e delle persecuzioni e con inconcussa fiducia nel suo glorioso ritorno finale. E che il Concilio, cioè tutta la Chiesa predicante e evangelizzante, si raccolga a Roma dà l’impressione che la sua speranza spieghi, come una bandiera al vento della storia, e che si diffonda nel mondo inquieto e incerto come un segno orientatore e confortatore.

8. Grande argomento e vario e lungo discorso sarebbe dunque il Concilio ecumenico. Ai fini di questa nostra semplice Lettera pastorale basti ricordare la complessità profonda ed augusta del tema, affinché non sia alcuno di noi troppo facile a darne frettolosa e superficiale sentenza; e basti ancora accennare ad alcuni aspetti di esso, in modo che qualche preciso concetto aiuti la nostra pietà a partecipare spiritualmente al grande avvenimento, a scoprire ed a meditare ciò che del Concilio crediamo importante per la nostra edificazione di fedeli della Chiesa e per la nostra cultura di figli del secolo presente.

9. L’aspetto più evidente che il Concilio offre di sè è la sua stessa convocazione. Essa avviene, per sola e libera volontà del Sommo Pontefice, quando nessuno lo supponeva. E bastò l’annuncio (il 25-I-1959) per dare a tutta la Chiesa e al mondo intero la sensazione che un evento straordinario stava per compiersi, come se fosse precisamente aspettato. E l’evento assumeva subito l’aspetto e la forza d’una chiamata veramente universale. E fu come un suscitare un’onda di risveglio e di vitalità in tutta la Chiesa. Il Papa avrebbe preso contatto con tutto l’Episcopato, al di là del circolo canonico della Curia romana, per arrivare direttamente al grande orizzonte della Gerarchia universale. Si potrebbe dire che se la concatenazione esteriore dei fatti, che chiamiamo storia, non attendeva un simile avvenimento, lo attendeva e quasi lo maturava, senza forse darsene piena coscienza, lo stato d’animo della cattolicità. Essa aveva bisogno di questa vocazione. La cattolicità, soggetta in questa generazione alle esperienze più ricche, più strane, più drammatiche, provata dalle sofferenze e dalle conseguenze delle guerre, tormentata in molti paesi da crude oppressioni e persecuzioni, corrosa dalle crisi di pensiero e di costume dell’evoluzione moderna, aggredita dalle forme più radicali del laicismo e dell’ateismo e ciò non ostante viva, palpitante di nuove energie in ogni settore del suo essere, nel pensiero, nella fede, nella santità, nella celebrazione del mistero liturgico, nella cura pastorale, nelle missioni, nello sviluppo organizzativo,. nelle opere di carità, nella promozione del laicato per l’incremento della comunità ecclesiastica, nell’irradiazione dei principi cristiani su i vari campi della società temporale., la cattolicità, dicevamo, piena di sofferenze e di energie, ascoltava Roma parlare con gaudio e venerazione, riceveva norme e istruzioni e obbediva volentieri, ma aveva spesso l’impressione che le mancasse la facilità d’un dialogo e l’invito a collaborare, e che l’unità della Chiesa dovesse essere vissuta piuttosto in passiva accettazione, che in celebrata fraternità, promossa dal cardine della stessa unità. Sentiva in tanti settori del suo essere mondiale un’esperienza esuberante un desiderio di aprirsi, di chiedere e di riferire con più vivo linguaggio; e non solo con Roma, ma anche con se stessa.

Quando perciò il Papa annunciò il Concilio ecumenico parve ch’Egli avesse indovinato una segreta attesa non solo del Collegio episcopale, ma della intera cattolicità. Una fiamma d’entusiasmo percorse tutta la Chiesa. Egli ebbe l’intuizione, l’ispirazione forse, che convocando il Concilio suscitava in essa una vitalità senza pari. Non mai la Chiesa cattolica fu sorpresa. da una tale chiamata, in eguale stato di buona volontà, in simile bisogno di comunicare col Vicario di Cristo e con i fratelli tutti sparsi per il mondo. Questo primo aspetto del Concilio costituisce da sè un fatto storico di prima importanza storica e di sommo valore spirituale per tutta la cattolicità. È la chiamata al grande dialogo dell’unità interiore della Chiesa.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)