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L’origine, lo sviluppo dell’amicizia e la legge

Aelredo: Mi sembra che il sentimento di amicizia sia stato anzitutto impresso nell’animo umano dalla stessa natura; l’esperienza poi lo ha sviluppato e, infine, l’autorità della legge ne ha stabilito le regole. Dio, infatti, che è infinitamente buono e potente, è un bene che basta a se stesso: è lui il proprio bene, la propria gioia, la propria gloria, la propria beatitudine. Non ha bisogno di nient’altro all’infuori di sé, né di un uomo, né di un angelo, né del cielo, né della terra, né di alcuna delle cose che vi si trovano. Davanti a lui ogni creatura riconosce: Sei tu il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni. Non solo Dio basta a se stesso, ma è anche ciò che costituisce la pienezza di tutti gli esseri: ad alcuni dà l’esistenza, ad altri la vita sensitiva, ad altri ancora l’intelligenza, ed è lui la causa di tutto ciò che esiste, la vita di tutto ciò che è sensibile, la sapienza di tutto ciò che è intelligente. Lui, che è il sommo bene, ha stabilito tutte le cose, le ha disposte con ordine e armonia, ciascuna al suo posto, e le ha distinte e distribuite ciascuna nel suo tempo definito. Ma volle pure, perché così stabilì la sua eterna sapienza, che tutte le sue creature si armonizzassero nella pace, si unissero in società, cosicché tutte traessero da lui, che è la perfetta unità, una qualche unità. Per questo motivo non ha lasciato nella solitudine nessuna specie creata, ma di ogni moltitudine ha saputo fare una sorta di corpo solidale.
Se vogliamo cominciare dalle cose insensibili, chiediamoci in quale terreno, o in quale fiume, si trovi un’unica pietra di un solo tipo, o quale foresta abbia un unico albero di una sola specie. Così, tra le stesse creature insensibili si nota una sorta di amore della compagnia, dato che nessuna di queste creature è sola, ma è creata e mantenuta in società con qualche altra della sua specie. E come descrivere in modo adeguato con quale bellezza risplende nelle creature sensibili l’immagine dell’amicizia, della compagnia e dell’amore? In molte cose le creature sensibili si rivelano irrazionali, ma sotto questo aspetto imitano a tal punto l’animo umano da sembrare spinte dalla ragione. Si inseguono, giocano tra di loro, esprimono e manifestano l’affetto che le lega con movimenti e suoni, godono della reciproca compagnia con tale avidità e tanta gioia da sembrare che non si curino d’altro che di vivere l’amicizia.
Anche riguardo alle creature spirituali, agli angeli, la divina sapienza ha agito in modo che non ne fosse creato uno solo, ma moltitudini. Tra loro la piacevole compagnia e l’amore perfetto creò una medesima volontà, un medesimo affetto, al punto che nessuno poté sentirsi superiore o inferiore all’altro, e la carità dell’amicizia tolse spazio all’invidia. Così la moltitudine eliminò la solitudine e la comunione della carità aumentò in tutti la gioia.
Infine, quando creò l’uomo, per raccomandare con maggior forza il bene della compagnia disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen 2,18). E la divina bontà non formò questo aiuto con una materia simile o uguale, ma per esprimere in modo più chiaro la sua intenzione di favorire la carità e l’amicizia, creò la donna dalla stessa sostanza dell’uomo. È bello che il secondo essere umano venga tolto dal fianco del primo: così la natura vuole insegnarci che tutti gli esseri umani sono uguali, quasi collaterali, e che nelle cose umane non c’è né superiore né inferiore, il che costituisce l’essenza stessa dell’amicizia. Così, fin dal principio, la natura stessa ha impresso nello spirito umano il desiderio dell’amicizia e della carità, un desiderio che il sentimento interiore dell’amore presto intensificò dandogli un certo gusto di dolcezza.


Ma dopo la caduta del primo uomo, quando con il raffreddarsi della carità subentrò nel mondo l’avidità, che portò a preferire l’egoismo alla solidarietà, l’avarizia e l’invidia offuscarono lo splendore dell’amicizia e della carità, e introdussero nei costumi ormai corrotti dell’umanità contese, rivalità, odi e sospetti. Allora si cominciò a distinguere tra carità e amicizia, avvertendo che l’amore era dovuto anche ai nemici e ai perversi, ma essendo anche evidente che tra i buoni e i malvagi non poteva esserci alcuna comunione di volontà e di propositi. L’amicizia, che all’inizio era vissuta, come la carità, da tutti e con tutti, rimase confinata per legge naturale a pochi. Questi, vedendo come molti violassero le leggi della lealtà e della solidarietà, si legarono tra di loro in un patto più stretto di amore e di amicizia così da trovare, in mezzo ai mali che vedevano e pativano, ristoro e quiete nella grazia dell’amore reciproco. Bisogna dire però che anche nelle persone in cui la vita disonesta aveva cancellato ogni senso di virtù, la ragione, che in essi non poteva spegnersi, lasciò in loro l’inclinazione verso l’amicizia e la compagnia, al punto che le ricchezze non potevano piacere all’avaro, o la gloria all’ambizioso, o il piacere al lussurioso, se non c’era qualcuno insieme al quale goderne. Anche tra le persone peggiori, infatti, si strinsero legami detestabili, che vennero nascosti sotto il nome dell’amicizia, ma che dovettero essere distinti da questa con giuste regole, per evitare che, ingannati da una qualche somiglianza, quelli che cercavano l’amicizia vera cadessero incautamente in quella sbagliata. Così l’amicizia, insita nella natura e rafforzata dall’esperienza, è stata alla fine regolata dall’autorità della legge.

L’amicizia e la sapienza

È chiaro quindi che l’amicizia è naturale come la virtù, come la sapienza, e come tutte quelle cose che, per la loro bontà naturale, sono da desiderare e da praticare per se stesse. Tutti quelli che le posseggono, poi, sanno farne un buon uso, e nessuno ne abusa.
Giovanni: Scusami, ma non sono tanti quelli che abusano della scienza o ne traggono motivo per vantarsi di fronte agli altri o si insuperbiscono o se ne servono in modo affaristico e venale, così come altri usano la loro apparente bontà per far soldi?
Aelredo: Qui potrà risponderti sant’Agostino, che ha scritto: “Chi piace a se stesso piace a uno stupido, perché è certamente uno stupido chi si compiace di sé”. Chi è stupido non è sapiente, e chi non è sapiente, non avendo la sapienza, non sa di niente. Come potrebbe dunque usare male la sapienza colui che sapiente non è? Allo stesso modo una castità piena di superbia non è una vera virtù, perché la superbia, che è un vizio, rende conforme a sé quella che era ritenuta una virtù, e perciò questa castità non è una virtù, ma un vizio abilmente camuffato.
Giovanni: Ti dirò con franchezza che non mi sembra logico che tu abbia collegato la sapienza con l’amicizia, dato che non è possibile fare alcun paragone tra le due.
Aelredo: Spesso le cose piccole e le grandi, le buone e le migliori, le deboli e le forti, anche se non coincidono, vengono accostate, soprattutto quando si tratta di virtù: se è vero che sussistono fra loro differenze di grado, ci sono però delle somiglianze che le avvicinano. Per esempio, la vedovanza è vicina alla verginità, la castità coniugale è vicina alla vedovanza, e anche se tra queste virtù c’è una grande diversità, tuttavia, proprio perché sono virtù, si può stabilire tra loro un qualche rapporto. La continenza coniugale non cessa di essere una virtù per il fatto che la castità vedovile sta su un gradino più alto, e anche se la verginità scelta per amore è ancora migliore, non per questo viene eliminata la bontà delle altre due.


Se fai bene attenzione a quanto ho detto dell’amicizia, troverai che essa è così vicina alla sapienza, e ne è così piena, che potrei affermare senza timore che l’amicizia altro non è che la sapienza.
Giovanni: Ti confesso che la cosa mi sorprende, e penso che non ti sarà facile convincermi di quanto hai detto.
Aelredo: Hai dimenticato quello che dice la Scrittura? “Un amico vuol bene sempre” (Pr 17,17). E ti ricordi quello che dice il nostro san Gerolamo: “Un’amicizia che può finire non è mai stata un’amicizia vera”? Che poi l’amicizia non possa sussistere senza la carità lo abbiamo dimostrato molto bene. Visto che l’amicizia è eterna, è fondata sulla verità e vi si gusta la dolcezza della carità, come pensi che sia possibile escludere da queste tre cose la sapienza?
Giovanni: Che discorso è questo? Allora posso dire dell’amicizia quello che l’apostolo Giovanni, l’amico di Gesù, dice della carità, che cioè “Dio è amicizia”?
Aelredo: Veramente non si dice così. Questa espressione non la si trova nella Scrittura. Però non esito ad applicare all’amicizia la frase dove l’apostolo Giovanni parla della carità: “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16). La cosa ti apparirà ancora più chiara quando cominceremo a parlare dei frutti dell’amicizia. Ora, se per quello che ha potuto fare la mia povera intelligenza, ho detto abbastanza su cosa sia l’amicizia, rimandiamo ad altro momento l’esame degli altri punti che mi hai chiesto di analizzare.
Giovanni: A dire il vero, per il desiderio che ho di ascoltarti, questo rinvio mi fa davvero soffrire. Concludiamo, visto che è l’ora della cena. È poi non possiamo far attendere gli altri, visto che devi ancora incontrarli.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)