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Il Papa: esultiamo per un goal ma spesso lodiamo il Signore con freddezza



La preghiera di lode ci fa fecondi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani 28 gennaio alla Casa Santa Marta. Il Papa, commentando la danza gioiosa di Davide per il Signore di cui parla la Prima Lettura, ha sottolineato che, se ci chiudiamo nella formalità, la nostra preghiera diventa fredda e sterile. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questa immagine gioiosa, raccontata nel Secondo Libro di Samuele. Tutto il Popolo di Dio, ha rammentato, era in festa perché l’Arca dell’Alleanza tornava a casa. La preghiera di lode di Davide, ha proseguito, “lo portò a uscire da ogni compostezza e a danzare davanti al Signore” con “tutte le forze”. Questa, ha commentato, “era proprio la preghiera di lode!” E ha confidato che, leggendo questo passo, ha “pensato subito” a Sara, dopo aver partorito Isacco: “Il Signore mi ha fatto ballare di gioia!”. Questa anziana. come il giovane Davide – ha evidenziato – “ha ballato di gioia” davanti al Signore. “A noi – ha poi osservato – è facile capire la preghiera per chiedere una cosa al Signore, anche per ringraziare il Signore”. Anche capire la “preghiera di adorazione”, ha detto, “non è tanto difficile”. Ma la preghiera di lode “la lasciamo da parte, non ci viene così spontanea”:

“‘Ma, Padre, questo è per quelli del Rinnovamento nello Spirito, non per tutti i cristiani!’. No, la preghiera di lode è una preghiera cristiana per tutti noi! Nella Messa, tutti i giorni, quando cantiamo il Santo… Questa è una preghiera di lode: lodiamo Dio per la sua grandezza, perché è grande! E gli diciamo cose belle, perché a noi piace che sia così. ‘Ma, Padre, io non sono capace… Io devo…’. Ma sei capace di gridare quando la tua squadra segna un goal e non sei capace di cantare le lodi al Signore? Di uscire un po’ dal tuo contegno per cantare questo? Lodare Dio è totalmente gratuito! Non chiediamo, non ringraziamo: lodiamo!” 

Dobbiamo pregare “con tutto il cuore”, ha proseguito: “E’ un atto anche di giustizia, perché Lui è grande! E’ il nostro Dio!”. Davide, ha poi rammentato, “era tanto felice, perché tornava l’arca, tornava il Signore: anche il suo corpo pregava con quella danza”: 

“Una bella domanda che noi possiamo farci oggi: ‘Ma come va la mia preghiera di lode? Io so lodare il Signore? So lodare il Signore o quando prego il Gloria o prego il Sanctus lo faccio soltanto con la bocca e non con tutto il cuore?’. Cosa mi dice Davide, danzando qui? E Sara, ballando di gioia? Quando Davide entra in città incomincia un’altra cosa: una festa!”

“La gioia della lode – ha ribadito – ci porta alla gioia della festa. La festa della famiglia”. Il Papa ha così ricordato che quando Davide rientra nel palazzo, la figlia del re Saul, Mikal, lo rimprovera e gli domanda se non provi vergogna per aver ballato in quel modo davanti a tutti, lui che è il re. Mikal “disprezzò Davide”: 

“Io mi domando quanto volte noi disprezziamo nel nostro cuore persone buone, gente buona che loda il Signore come le viene, così spontaneamente, perché non sono colti, non seguono gli atteggiamenti formali? Ma, disprezzo! E dice la Bibbia che Mikal è rimasta sterile per tutta la vita per questo! Cosa vuol dire la Parola di Dio qui? Che la gioia, che la preghiera di lode ci fa fecondi! Sara ballava nel momento grande della sua fecondità, a novant’anni! La fecondità che ci dà la lode al Signore, la gratuità di lodare il Signore. Quell’uomo o quella donna che loda il Signore, che prega lodando il Signore, che quando prega il Gloria si rallegra di dirlo, quando canta il Sanctus nella Messa si rallegra di cantarlo, è un uomo o una donna fecondo”. 

Invece, ha avvertito, “quelli che si chiudono nella formalità di una preghiera fredda, misurata, forse finiscono come Mikal: nella sterilità della sua formalità”. Il Papa ha invitato, dunque, a immaginare Davide che danza “con tutte le forze davanti al Signore e pensiamo che bello sia fare le preghiera di lode”. Ci farà bene, ha concluso, ripetere le parole del Salmo 23 che abbiamo pregato oggi: “Alzate, porte, la vostra fronte; alzatevi soglie antiche ed entri il re della gloria. Il Signore, forte e valoroso, è il re della gloria!”













Papa Francesco: dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa



“Non si capisce un cristiano senza Chiesa”: lo ha affermato stamani 30 gennaio 2014 Papa Francesco durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il Pontefice ha indicato tre pilastri del senso di appartenenza ecclesiale: l’umiltà, la fedeltà e la preghiera per la Chiesa. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

L’omelia del Papa è partita dalla figura del re Davide, come viene presentata dalle letture del giorno: un uomo che parla col Signore come un figlio parla con il padre e anche se riceve un “no” alle sue richieste, lo accetta con gioia. Davide – osserva Papa Francesco – aveva “un sentimento forte di appartenenza al popolo di Dio”. E questo – ha proseguito – ci fa chiedere su quale sia il nostro senso di appartenenza alla Chiesa, il nostro sentire con la Chiesa e nella Chiesa:

“Il cristiano non è un battezzato che riceve il Battesimo e poi va avanti per la sua strada. Il primo frutto del Battesimo è farti appartenere alla Chiesa, al popolo di Dio. Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda”. 

Il “sensus ecclesiae” – ha affermato - è “proprio il sentire, pensare, volere, dentro la Chiesa”. Ci sono “tre pilastri di questa appartenenza, di questo sentire con la Chiesa. Il primo è l’umiltà”, nella consapevolezza di essere “inseriti in una comunità come una grazia grande”:

“Una persona che non è umile, non può sentire con la Chiesa, sentirà quello che a lei piace, a lui piace. E’ questa umiltà che si vede in Davide: ‘Chi sono io, Signore Dio, e che cosa è la mia casa?’. Con quella coscienza che la storia di salvezza non è incominciata con me e non finirà quando io muoio. No, è tutta una storia di salvezza: io vengo, il Signore ti prende, ti fa andare avanti e poi ti chiama e la storia continua. La storia della Chiesa incominciò prima di noi e continuerà dopo di noi. Umiltà: siamo una piccola parte di un grande popolo, che va sulla strada del Signore”. 

Il secondo pilastro è la fedeltà, “che va collegata all’ubbidienza”:

“Fedeltà alla Chiesa; fedeltà al suo insegnamento; fedeltà al Credo; fedeltà alla dottrina, custodire questa dottrina. Umiltà e fedeltà. Anche Paolo VI ci ricordava che noi riceviamo il messaggio del Vangelo come un dono e dobbiamo trasmetterlo come un dono, ma non come una cosa nostra: è un dono ricevuto che diamo. E in questa trasmissione essere fedeli. Perché noi abbiamo ricevuto e dobbiamo dare un Vangelo che non è nostro, che è di Gesù, e non dobbiamo – diceva Lui – diventare padroni del Vangelo, padroni della dottrina ricevuta, per utilizzarla a nostro piacere”. 

Il terzo pilastro – ha detto il Papa – è un servizio particolare: “pregare per la Chiesa”. “Come va la nostra preghiera per la Chiesa? – domanda Papa Francesco - Preghiamo per la Chiesa? Nella Messa tutti i giorni, ma a casa nostra, no? Quando facciamo le nostre preghiere?”. Pregare per tutta la Chiesa, in tutte le parti del mondo. “Che il Signore –ha concluso il Papa - ci aiuti ad andare su questa strada per approfondire la nostra appartenenza alla Chiesa e il nostro sentire con la Chiesa”.







Il Papa: se perdiamo il senso di Dio, il peggiore dei peccati ci appare una piccolezza



Quando viene meno la presenza di Dio tra gli uomini, “si perde il senso del peccato” e così può accadere di far pagare ad altri il prezzo della nostra “mediocrità cristiana”. Lo ha affermato oggi Papa Francesco all’omelia della Messa mattutina, 31 gennaio, in Casa Santa Marta.
Chiediamo a Dio, ha esortato il Papa, la grazia che in noi non diminuisca mai la presenza “del suo Regno”. Il servizio di Alessandro De Carolis:




Un peccato grave, come ad esempio l’adulterio, derubricato a “problema da risolvere”.


La scelta che compie il re Davide, narrata nella prima Lettura di oggi, diventa lo specchio davanti al quale Papa Francesco pone la coscienza di ogni cristiano. Davide si invaghisce di Betsabea, moglie di Uria, un suo generale, gliela prende e spedisce il marito in prima linea in battaglia, causandone la morte e di fatto perpetrando un assassinio. Eppure, adulterio e omicidio non lo scuotono più di tanto. “Davide si trova davanti a un grosso peccato, ma lui non lo sente peccato”, osserva il Papa. “Non gli viene in mente di chiedere perdono. Quello che gli viene in mente è: ‘Come risolvo questo?’”:


“A tutti noi può accadere questa cosa. Tutti siamo peccatori e tutti siamo tentati e la tentazione è il pane nostro di ogni giorno. Se qualcuno di noi dicesse: ‘Ma io mai ho avuto tentazioni’, o sei un cherubino o sei un po’ scemo, no? Si capisce… E’ normale nella vita la lotta e il diavolo non sta tranquillo, lui vuole la sua vittoria. Ma il problema – il problema più grave in questo brano – non è tanto la tentazione e il peccato contro il nono comandamento, ma è come agisce Davide. E Davide qui non parla di peccato, parla di un problema che deve risolvere. Questo è un segno! Quando il Regno di Dio viene meno, quando il Regno di Dio diminuisce, uno dei segni è che si perde il senso del peccato”.

Ogni giorno, recitando il “Padre Nostro”, noi chiediamo a Dio “Venga il Tuo Regno…”, il che – spiega Papa Francesco – vuol dire “cresca il Tuo Regno”. Quando invece si perde il senso del peccato, si perde anche “il senso del Regno di Dio” e al suo posto – sottolinea il Papa – emerge una “visione antropologica superpotente”, quella per cui “io posso tutto”:

“La potenza dell’uomo al posto della gloria di Dio! Questo è il pane di ogni giorno. Per questo la preghiera di tutti i giorni a Dio ‘Venga il tuo Regno, cresca il tuo Regno’, perché la salvezza non verrà dalle nostre furbizie, dalle nostre astuzie, dalla nostra intelligenza nel fare gli affari. La salvezza verrà dalla grazia di Dio e dall’allenamento quotidiano che noi facciamo di questa grazia nella vita cristiana”.

“Il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato”.
Papa Francesco cita questa celebre frase di Pio XII e poi sposta lo sguardo su Uria, l’uomo incolpevole mandato a morte per la colpa del suo re. Uria, dice il Papa, diventa allora l’emblema di tutte le vittime della nostra inconfessata superbia:


“Io vi confesso, quando vedo queste ingiustizie, questa superbia umana, anche quando vedo il pericolo che a me stesso avvenga questo, il pericolo di perdere il senso del peccato, mi fa bene pensare ai tanti Uria della storia, ai tanti Uria che anche oggi soffrono la nostra mediocrità cristiana, quando noi perdiamo il senso del peccato, quando noi lasciamo che il Regno di Dio cada… Questi sono i martiri dei nostri peccati non riconosciuti. Ci farà bene oggi pregare per noi, perché il Signore ci dia sempre la grazia di non perdere il senso del peccato, perché il Regno non cali in noi. Anche portare un fiore spirituale alla tomba di questi Uria contemporanei, che pagano il conto del banchetto dei sicuri, di quei cristiani che si sentono sicuri”.







[Modificato da Caterina63 31/01/2014 12:16]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)