00 18/02/2014 13:09





Il Papa: le tentazioni, un contagio che uccide. La Parola di Gesù la cura che salva



Resistere alla seduzione delle tentazioni è possibile solo “quando si ascolta la Parola di Gesù”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta questa mattina 18 febbraio in Casa S. Marta. Nonostante le nostre debolezze, ha ripetuto il Papa, Cristo ci dà sempre “fiducia” e ci schiude un orizzonte più ampio dei nostri limiti. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La tentazione si manifesta come un'innocua attrattiva e finisce per trasformarsi in una gabbia, della quale spesso più che cercare scampo si tenta di minimizzarne la schiavitù, sordi alla Parola di Dio. All’omelia, Papa Francesco riafferma una verità e una sequenza descritte da San Giacomo in un passo della sua Lettera, proposta dalla liturgia. La verità è che non è mai Dio a tentare l’uomo, bensì le sue passioni. La sequenza è quella prodotta dalle passioni stesse le quali, dice l'Apostolo, “concepiscono e generano il peccato. E il peccato, una volta commesso, produce la morte”:

“La tentazione, da dove viene? Come agisce dentro di noi? L’apostolo ci dice che non viene da Dio, ma dalle nostre passioni, dalle nostre debolezze interiori, dalle ferite che ha lasciato in noi il peccato originale: da lì vengono, le tentazioni, da queste passioni. E’ curioso, la tentazione ha tre caratteristiche: cresce, contagia e si giustifica. Cresce: incomincia con un’aria tranquilla, e cresce… Lo stesso Gesù diceva questo, quando ha parlato della parabola del grano e della zizzania: il grano cresceva, ma anche la zizzania seminata dal nemico. E la tentazione cresce: cresce, cresce… E se uno non la ferma, occupa tutto”.

Inoltre, prosegue Papa Francesco, la tentazione “cerca un altro per farsi compagnia, contagia” e “in questo crescere e contagiare, la tentazione ci chiude in un ambiente da dove non si può uscire con facilità”. È l’esperienza degli Apostoli narrata nel Vangelo del giorno, che vede i Dodici incolparsi a vicenda sotto gli occhi del Maestro per non aver portato del pane a bordo della barca. Gesù, ricorda il Papa, forse sorridendo a quel bisticcio, li invita a guardarsi “dal lievito dei farisei, di Erode”. Ma gli Apostoli per un po’ insistono, senza ascoltarLo, “tanto chiusi nel problema di chi avesse la colpa di non aver portato il pane, che – commenta Papa Francesco – non avevano spazio, non avevano tempo, non avevano luce per la Parola di Dio”:

“E così, quando noi siamo in tentazione, non sentiamo la Parola di Dio: non sentiamo. Non capiamo. E Gesù ha dovuto ricordare la moltiplicazione dei pani per farli uscire da quell’ambiente, perché la tentazione ci chiude, ci toglie ogni capacità di lungimiranza, ci chiude ogni orizzonte, e così ci porta al peccato. Quando noi siamo in tentazione, soltanto la Parola di Dio, la Parola di Gesù ci salva. Sentire quella Parola che ci apre l’orizzonte… Lui sempre è disposto a insegnarci come uscire dalla tentazione. E Gesù è grande perché non solo ci fa uscire dalla tentazione, ma ci da più fiducia”.

Questa fiducia, afferma il Papa, è “una forza grande, quando siamo in tentazione: il Signore ci aspetta”, “si fida di noi così tentati, peccatori”, “apre sempre orizzonti”. Viceversa, ripete Papa Francesco, il diavolo con “la tentazione, chiude, chiude, chiude” e fa “crescere” un ambiente simile alla barca degli Apostoli. E non lasciarsi “imprigionare” da questo tipo di ambiente, conclude, è possibile soltanto “quando si ascolta la Parola di Gesù”:

“Chiediamo al Signore che sempre, come ha fatto con i discepoli, con la sua pazienza, quando siamo in tentazione ci dica: ‘Fermati, stai tranquillo. Ricordati cosa ho fatto con te in quel momento, in quel tempo: ricordati. Alza gli occhi, guarda l’orizzonte, non chiudere, non chiuderti, vai avanti’. E questa Parola ci salverà dal cadere in peccato nel momento della tentazione”.








Il Papa: per conoscere Gesù non basta il catechismo, bisogna seguirlo come discepoli



Gesù si conosce seguendolo, prima che studiandolo. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina 20 febbraio in Casa Santa Marta. Ogni giorno, ha spiegato, Cristo ci domanda "chi" Lui sia per noi, ma la risposta è possibile darla vivendo come suoi discepoli. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

È una vita da discepolo, più che una vita da studioso, che permette a un cristiano di conoscere davvero chi sia Gesù per lui. Un cammino sulle orme del Maestro, dove possono intrecciarsi testimonianze limpide e anche tradimenti, cadute e nuovi slanci, ma non solo un approccio di tipo intellettuale. Per spiegarlo, Papa Francesco prende a modello Pietro, che il Vangelo del giorno ritrae contemporaneamente nelle vesti di “coraggioso” testimone – colui che alla domanda di Gesù agli Apostoli: “Chi dite che io sia per voi?”, afferma: “Tu sei il Cristo” – e subito dopo in quelle di avversario, quando ritiene di dover rimproverare Gesù che ha appena annunciato di dover soffrire e morire, per poi risorgere. “Tante volte”, osserva il Papa, “Gesù si rivolge a noi e ci domanda: ‘Ma per te chi sono io?’”, ottenendo “la stessa risposta di Pietro, quella che abbiamo imparato nel catechismo”. Ma non basta:  

“Sembra che per rispondere a quella domanda che noi tutti sentiamo nel cuore – ‘Chi è Gesù per noi?’ – non è sufficiente quello che noi abbiamo imparato, studiato nel catechismo, che è importante studiarlo e conoscerlo, ma non è sufficiente. Per conoscere Gesù è necessario fare il cammino che ha fatto Pietro: dopo questa umiliazione, Pietro è andato con Gesù avanti, ha visto i miracoli che Gesù faceva, ha visto il suo potere, poi ha pagato le tasse, come gli aveva detto Gesù, ha pescato un pesce, tolto una moneta, ha visto tanti miracoli del genere. Ma, a un certo punto, Pietro ha rinnegato Gesù, ha tradito Gesù, e ha imparato quella tanto difficile scienza – più che scienza, saggezza – delle lacrime, del pianto”.

Pietro, prosegue Papa Francesco, chiede perdono a Gesù e nonostante ciò, dopo la Risurrezione, si sente interrogare per tre volte da Lui sulla spiaggia di Tiberiade, e probabilmente – dice il Papa – nel riaffermare l'amore totale per il suo Maestro piange e si vergogna nel ricordare i suoi tre rinnegamenti:

“Questa prima domanda – ‘Chi sono io per voi, per te?’ – a Pietro, soltanto si capisce lungo una strada, dopo una lunga strada, una strada di grazia e di peccato, una strada di discepolo. Gesù a Pietro e ai suoi Apostoli non ha detto 'Conoscimi!' ha detto ‘Seguimi!’. E questo seguire Gesù ci fa conoscere Gesù. Seguire Gesù con le nostre virtù, anche con i nostri peccati, ma seguire sempre Gesù. Non è uno studio di cose che è necessario, ma è una vita di discepolo”.

Ci vuole, insiste Papa Francesco, “un incontro quotidiano con il Signore, tutti i giorni, con le nostre vittorie e le nostre debolezze”. Ma, aggiunge, è anche “un cammino che noi non possiamo fare da soli”. È necessario l’intervento dello Spirito Santo:

“Conoscere Gesù è un dono del Padre, è Lui che ci fa conoscere Gesù; è un lavoro dello Spirito Santo, che è un grande lavoratore. Non è un sindacalista, è un grande lavoratore e lavora in noi, sempre. Fa questo lavoro di spiegare il mistero di Gesù e di darci questo senso di Cristo. Guardiamo Gesù, Pietro, gli apostoli e sentiamo nel nostro cuore questa domanda: ‘Chi sono io per te?’. E come discepoli chiediamo al Padre che ci dia la conoscenza di Cristo nello Spirito Santo, ci spieghi questo mistero”.







Il Papa: una fede senza opere, che non coinvolge, sono solo parole



“Una fede che non dà frutto nelle opere non è fede”. È l’affermazione con la quale Papa Francesco ha aperto l’omelia della Messa presieduta questa mattina 21 febbraio in Casa Santa Marta. Il Papa ha offerto la Messa per i 90 anni oggi compiuti dal cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze, ringraziandolo “per il suo lavoro, la sua testimonianza e la sua bontà”. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Il mondo è pieno di cristiani che recitano molto le parole del Credo e molto poco le mettono in pratica. O di eruditi che incasellano la teologia in una serie di possibilità, senza che tale sapienza abbia poi riflessi concreti nella vita.

È un rischio che duemila anni fa San Giacomo aveva già paventato e che Papa Francesco riprende nell’omelia, commentando il passo in cui l’Apostolo ne parla nella sua Lettera. “La sua affermazione – osserva – è chiara: la fede senza il frutto nella vita, una fede che non dà frutto nelle opere, non è fede”:

“Anche noi sbagliamo tante volte su questo: ‘Ma io ho tanta fede’, sentiamo dire. ‘Io credo tutto, tutto…’. E forse questa persona che dice quello ha una vita tiepida, debole. La sua fede è come una teoria, ma non è viva nella sua vita. L’Apostolo Giacomo, quando parla di fede, parla proprio della dottrina, di quello che è il contenuto della fede. Ma voi potete conoscere tutti i comandamenti, tutte le profezie, tutte le verità di fede, ma se questo non va alla pratica, non va alle opere, non serve. Possiamo recitare il Credo teoricamente, anche senza fede, e ci sono tante persone che lo fanno così. Anche i demoni! I demoni conoscono benissimo quello che si dice nel Credo e sanno che è Verità”.

Le parole di Papa Francesco riecheggiano l’asserzione di San Giacomo: “Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano”. La differenza, soggiunge il Papa, è che i demoni “non hanno fede”, perché “avere fede non è avere una conoscenza”, bensì “ricevere il messaggio di Dio” portato da Cristo. Nel Vangelo – prosegue Papa Francesco – si trovano due segni rivelatori di chi “sa quello che si deve credere ma non ha fede”. Il primo segno è la “casistica”, rappresentato da coloro che domandavano a Gesù se fosse lecito pagare le tasse o quale dei sette fratelli del marito avrebbe dovuto sposare la donna rimasta vedova. Il secondo segno è “l’ideologia”:

“I cristiani che pensano la fede ma come un sistema di idee, ideologico: anche al tempo di Gesù, c’erano. L’Apostolo Giovanni dice di loro che sono l’anticristo, gli ideologi della fede, di qualsiasi segno siano. A quel tempo c’erano gli gnostici, ma ci saranno tanti… E così, questi che cadono nella casistica o questi che cadono nell’ideologia sono cristiani che conoscono la dottrina ma senza fede, come i demoni. Con la differenza che quelli tremano, questi no: vivono tranquilli”.

Al contrario, ricorda Papa Francesco, nel Vangelo ci sono anche esempi di “persone che non conoscono la dottrina ma hanno tanta fede”. Papa Francesco cita l’episodio della Cananea, che con la sua fede strappa la guarigione per sua figlia vittima di una possessione, e la Samaritana che apre il suo cuore perché – dice il Papa “ha incontrato non verità astratte”, ma “Gesù Cristo”. E ancora, il cieco guarito da Gesù e che per questo viene interrogato da farisei e dottori della legge finché si inginocchia con semplicità e adora chi lo ha sanato. Tre persone, è la considerazione finale del Papa, che dimostrano come fede e testimonianza siano indissolubili:

“La fede porta sempre alla testimonianza. La fede è un incontro con Gesù Cristo, con Dio, e di lì nasce e ti porta alla testimonianza. E’ questo che l’Apostolo vuole dire: una fede senza opere, una fede che non ti coinvolga, che non ti porti alla testimonianza, non è fede. Sono parole e niente più che parole”.







Papa Francesco: Gesù non ci lascia soli per la strada, seguirlo è avere una casa, la Chiesa



Seguire Gesù non è “un’idea” ma un “continuo rimanere a casa”, la Chiesa, dove Cristo riporta sempre chiunque, anche chi se ne è allontanato. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa di questa mattina 24 febbraio, nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Un ragazzo preso da convulsioni che si rotola a terra schiumando, in un mezzo a una folla sconvolta e inerme. E suo padre che quasi si aggrappa a Gesù, implorandolo di liberare suo figlio dalla possessione diabolica. È il dramma con cui apre il Vangelo di oggi e che Papa Francesco considera punto per punto: il cicaleccio degli astanti, che discutono senza costrutto, Gesù che arriva e si informa, “il chiasso che viene meno”, il padre angosciato che emerge dalla folla e decide contro ogni speranza di sperare in Gesù. E Gesù, che mosso a pietà dalla fede cristallina di quel papà, scaccia lo spirito e poi si china con dolcezza sul giovane, che pare morto, aiutandolo a rialzarsi:

“Tutto quel disordine, quella discussione finisce in un gesto: Gesù che si abbassa, prende il bambino. Questi gesti di Gesù ci fanno pensare. Gesù quando guarisce, quando va tra la gente e guarisce una persona, mai la lascia sola. Non è un mago, uno stregone, un guaritore che va e guarisce e continua: ad ognuno lo fa tornare al suo posto, non lo lascia per strada. E sono gesti bellissimi del Signore”.

Ecco l’insegnamento, spiega Papa Francesco: “Gesù – afferma – sempre ci fa tornare a casa, mai ci lascia sulla strada da soli”. Il Vangelo, ricorda, è disseminato di questi gesti. La risurrezione di Lazzaro, la vita donata alla figlia di Giairo e quella al ragazzo di una mamma vedova. Ma anche la pecora smarrita riportata all’ovile o la moneta perduta e ritrovata dalla donna:

“Perché Gesù non è venuto dal Cielo solo, è Figlio di un popolo. Gesù è la promessa fatta a un popolo e la sua identità è anche appartenenza a quel popolo, che da Abramo cammina verso la promessa. E questi gesti di Gesù ci insegnano che ogni guarigione, ogni perdono sempre ci fanno tornare al nostro popolo, che è la Chiesa”.

Gesù perdona sempre e i suoi gesti – prosegue Papa Francesco – diventano anche “rivoluzionari”, o “inesplicabili”, quando il suo perdono raggiunge chi si è allontanato “troppo”, come il pubblicano Matteo o il suo collega Zaccheo. Inoltre, ripete Papa Francesco, Gesù sempre, “quando perdona, fa tornare a casa. E così non si può capire Gesù" senza il popolo di Dio. È “un’assurdità amare Cristo, senza la Chiesa, sentire Cristo ma non la Chiesa, seguire Cristo al margine della Chiesa”, ribadisce Papa Francesco citando e parafrasando una volta ancora Paolo VI. “Cristo e la Chiesa sono uniti”, e “ogni volta che Cristo chiama una persona, la porta alla Chiesa”. Per questo, soggiunge, “è bene” che un bambino “venga a battezzarsi nella Chiesa”, la “Chiesa madre”:

“E questi gesti di tanta tenerezza di Gesù ci fanno capire questo: che la nostra dottrina, diciamo così, o il nostro seguire Cristo, non è un’idea, è un continuo rimanere a casa. E se ognuno di noi ha la possibilità e la realtà di andarsene da casa per un peccato, uno sbaglio – Dio sa – la salvezza è tornare a casa, con Gesù nella Chiesa. Sono gesti di tenerezza. Uno a uno, il Signore ci chiama così, al suo popolo, dentro la sua famiglia, la nostra madre, la Santa Chiesa. Pensiamo a questi gesti di Gesù”.






Il Papa: bimbi affamati nei campi profughi e i fabbricanti d’armi fanno festa



Bimbi affamati nei campi profughi, mentre i fabbricanti d’armi fanno festa nei salotti. E’ l’immagine forte che Papa Francesco ha evocato nella Messa di martedì mattina 25 febbraio 2014 a Casa Santa Marta. Tutta l’omelia del Pontefice è stata un accorato appello per la pace e contro ogni guerra, nel mondo come in famiglia. Il Papa ha ribadito che la pace non può essere solo una “parola” e ha esortato tutti i cristiani a non “abituarsi” allo scandalo della guerra. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Da dove vengono le guerre e le liti in mezzo a voi? Papa Francesco ha preso spunto dalla Lettera dell’Apostolo Giacomo, nella Prima Lettura, per levare una vibrante condanna di tutte le guerre. E commentando i litigi tra i discepoli di Gesù per chiarire chi fosse il più grande tra loro, ha subito evidenziato che quando “i cuori si allontanano nasce la guerra”. “Ogni giorno, sui giornali, troviamo guerre – ha constatato con amarezza – in questo posto si sono divisi in due, cinque morti”, in un altro luogo altre vittime:

“E i morti sembrano far parte di una contabilità quotidiana. Siamo abituati a leggere queste cose! E se noi avessimo la pazienza di elencare tutte le guerre che in questo momento ci sono nel mondo, sicuramente avremmo parecchie carte scritte. Sembra che lo spirito della guerra si sia impadronito di noi. Si fanno atti per commemorare il centenario di quella Grande Guerra, tanti milioni di morti… E tutti scandalizzati! Ma oggi è lo stesso! Invece di una grande guerra, piccole guerre dappertutto, popoli divisi… E per conservare il proprio interesse si ammazzano, si uccidono fra di loro”.

“Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?”, ribadisce il Papa. “Le guerre, l’odio, l’inimicizia – ha risposto – non si comprano al mercato: sono qui, nel cuore.” Ha così ricordato che quando da bambini, nel catechismo, “ci spiegavano la storia di Caino e Abele, tutti noi eravamo scandalizzati”, non si poteva accettare che uno uccidesse il fratello. Oggi, però, “tanti milioni si uccidono tra fratelli, fra di loro. Ma siamo abituati”. La Prima Guerra Mondiale, ha detto ancora, “ci scandalizza, ma questa grande guerra un po’ dappertutto”, un po’ “nascosta, non ci scandalizza! E muoiono tanti per un pezzo di terra, per una ambizione, per un odio, per una gelosia razziale”. “La passione – ha soggiunto – ci porta alla guerra, allo spirito del mondo”: 

“Anche abitualmente davanti a un conflitto, ci troviamo in una situazione curiosa: andare avanti per risolverlo, litigando. Col linguaggio di guerra. Non viene prima il linguaggio di pace! E le conseguenze? Pensate ai bambini affamati nei campi dei rifugiati… Pensate a questo soltanto: questo è il frutto della guerra! E se volete pensate ai grandi salotti, alle feste che fanno quelli che sono i padroni delle industrie delle armi, che fabbricano le armi, le armi che finiscono lì. Il bambino ammalato, affamato, in un campo di rifugiati e le grandi feste, la buona vita che fanno quelli che fabbricano le armi”. 

“Cosa succede nel nostro cuore?”, ha ripetuto. L’Apostolo Giacomo, ha detto il Papa, ci dà un consiglio semplice: “Avvicinatevi a Dio ed Egli si avvicinerà a voi”. Quindi, ha avvertito che “questo spirito di guerra, che ci allontana da Dio, non è soltanto lontano da noi” è “anche a casa nostra”: 

“Quante famiglie distrutte perché il papà, la mamma non sono capaci di trovare la strada della pace e preferiscono la guerra, fare causa… La guerra distrugge! ‘Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Forse non vengono dalle vostre passioni?’. Nel cuore! Io vi propongo oggi di pregare per la pace, per quella pace che soltanto sembra sia diventata una parola, niente di più. Perché questa parola abbia la capacità di agire, seguiamo il consiglio dell’Apostolo Giacomo: ‘Riconoscete la vostra miseria!”.  

Quella miseria, ha proseguito, da cui vengono le guerre: “Le guerre nelle famiglie, le guerre nel quartiere, le guerre dappertutto”. “Chi di noi ha pianto – ha domandato ancora – quando legge un giornale, quando in tv vede quelle immagini? Tanti morti”. “Le vostre risa – ha detto riprendendo l’Apostolo Giacomo – si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza…”. Questo, ha detto, “è quello che deve fare oggi 25 febbraio” un “cristiano davanti a tante guerre, dappertutto”: “Piangere, fare lutto, umiliarsi”. “Il Signore – ha concluso – ci faccia capire questo e ci salvi dall’abituarci alle notizie di guerra”.






[Modificato da Caterina63 26/02/2014 14:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)