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Il Papa: il digiuno più difficile è chinarsi sull'uomo ferito, digiuno è anche una carezza



“Io mi vergogno della carne di mio fratello, di mia sorella?”. È una delle domande che hanno caratterizzato l’omelia di Papa Francesco, durante la Messa di stamattina 7 marzo 2014 a Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in risalto che la vita di fede è strettamente connessa a una vita di carità verso i poveri, senza la quale ciò che si professa è solo ipocrisia. Il servizio diAlessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Il cristianesimo non è una regola senz’anima, un prontuario di osservanze formali per gente che indossa la faccia buona dell’ipocrisia per nascondere un cuore vuoto di carità. Il cristianesimo è la “carne” stessa di Cristo che si china senza vergognarsi su chi soffre. Per spiegare questa contrapposizione, Papa Francesco riprende il dialogo del Vangelo odierno tra Gesù e i dottori della legge, i quali criticano i discepoli per il fatto di non rispettare il digiuno, a differenza loro e dei farisei che invece di digiuni ne praticano molti. Il fatto, obietta il Papa, è che i dottori della legge avevano trasformato l’osservanza dei Comandamenti in una “formalità”, trasformando la “vita religiosa” in “un’etica” e dimenticandone la radice, cioè “una storia di salvezza, di elezione, di alleanza”:

“Ricevere dal Signore l’amore di un Padre, ricevere dal Signore l’identità di un popolo e poi trasformarla in una etica è rifiutare quel dono di amore. Questa gente ipocrita sono persone buone, fanno tutto quello che si deve fare. Sembrano buone! Sono eticisti, ma eticisti senza bontà, perché hanno perso il senso di appartenenza a un popolo! La salvezza, il Signore la dà dentro un popolo, nell’appartenenza a un popolo”.

Eppure, osserva il Papa, già il Profeta Isaia – nel passo ricordato nella Prima lettura – aveva descritto con chiarezza quale fosse il digiuno secondo la visione di Dio: “Sciogliere le catene inique”, “rimandare liberi gli oppressi”, ma anche “dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri senza tetto”, “vestire uno che vedi nudo”.

“Quello è il digiuno che vuole il Signore! Digiuno che si preoccupa della vita del fratello, che non si vergogna - lo dice Isaia stesso - della carne del fratello. La nostra perfezione, la nostra santità va avanti con il nostro popolo, nel quale noi siamo eletti e inseriti. Il nostro atto di santità più grande è proprio nella carne del fratello e nella carne di Gesù Cristo. L’atto di santità di oggi, nostro, qui, nell’altare, non è un digiuno ipocrita: è non vergognarci della carne di Cristo che viene oggi qui! E’ il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo. E’ andare a dividere il pane con l’affamato, a curare gli ammalati, gli anziani, quelli che non possono darci niente in contraccambio: quello è non vergognarsi della carne!”.

Questo significa che il “digiuno più difficile”, afferma Papa Francesco, è “il digiuno della bontà”. È il digiuno di cui è capace il Buon Samaritano, che si china sull’uomo ferito, e non è quello del sacerdote, che guarda lo stesso sventurato ma tira diritto, forse per timore di contaminarsi. E dunque, conclude, “questa è la proposta della Chiesa oggi: io mi vergogno della carne di mio fratello, di mia sorella?”:

“Quando io do l’elemosina, lascio cadere la moneta senza toccare la mano? E se per caso la tocco, faccio così, subito? Quando io do un’elemosina, guardo negli occhi di mio fratello, di mia sorella? Quando io so che una persona è ammalata, vado a trovarla? La saluto con tenerezza? C’è un segno che forse ci aiuterà, è una domanda: so carezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini o ho perso il senso della carezza? Questi ipocriti non sapevano carezzare! Se ne erano dimenticati… Non vergognarsi della carne di nostro fratello: è la nostra carne! Come noi facciamo con questo fratello, con questa sorella, saremo giudicati”.



  si riprende dopo la pausa degli Esercizi Spirituali


Papa Francesco: la misericordia è la via della pace nel mondo



Perdonare per trovare misericordia: questo è il cammino che porta la pace nei nostri cuori e nel mondo: è quanto, in sintesi, ha detto Papa Francesco nell'omelia di lunedì mattina, 17 marzo, durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio CentofantiRealAudioMP3 

“Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”: il Papa commenta l’esortazione di Gesù, affermando subito che “non è facile capire questo atteggiamento della misericordia” perché siamo abituati a giudicare: “non siamo persone che danno naturalmente un po’ di spazio alla comprensione e anche alla misericordia”. “Per essere misericordiosi – osserva - ci sono necessari due atteggiamenti. Il primo è la conoscenza di se stessi”: sapere che “abbiamo fatto tante cose non buone: siamo peccatori!”. E di fronte al pentimento, “la giustizia di Dio … si trasforma in misericordia e perdono”. Ma è necessario vergognarsi dei peccati:

“E’ vero, nessuno di noi ha ammazzato nessuno, ma tante piccole cose, tanti peccati quotidiani, di tutti i giorni… E quando uno pensa: ‘Ma che cosa, ma che cuore piccolino: ho fatto questo contro il Signore!’. E vergognarsi! Vergognarsi davanti a Dio e questa vergogna è una grazia: è la grazia di essere peccatori. ‘Io sono peccatore e mi vergogno davanti a Te e ti chiedo il perdono’. E’ semplice, ma è tanto difficile dire: ‘Io ho peccato’”.

Spesso – osserva Papa Francesco – giustifichiamo il nostro peccato scaricando la colpa sugli altri, come hanno fatto Adamo ed Eva. “Forse – ha proseguito - l’altro mi ha aiutato, ha facilitato la strada per farlo, ma lo ho fatto io! Se noi facciamo questo, quante cose buone ci saranno, perché saremo umili!”. E “con questo atteggiamento di pentimento siamo più capaci di essere misericordiosi, perché sentiamo su di noi la misericordia di Dio”, come diciamo nel Padre Nostro: “Perdona, come noi perdoniamo”. Così, “se io non perdono, io sono un po’ fuori gioco!”.

L’altro atteggiamento per essere misericordiosi – ha poi affermato il Papa – “è allargare il cuore”, perché “un cuore piccolo” ed “egoista è incapace di misericordia”:

“Allargare il cuore! ‘Ma io sono peccatore’. ‘Ma guarda cosa ha fatto questo, quello…. Io ne ho fatte tante! Chi sono io per giudicarlo?’. Questa frase: ‘Chi sono io per giudicare questo? Chi sono io per chiacchierare di questo? Chi sono io per? Chi sono io che ho fatto le stesse cose o peggio?’. Il cuore allargato! E il Signore lo dice: ‘Non giudicate e non sarete giudicati! Non condannate e non sarete condannati! Perdonate e sarete perdonati! Date e vi sarà dato!’. Questa generosità del cuore! E cosa vi sarà dato? Una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo. E’ l’immagine delle persone che andavano a prendere il grano con il grembiule e allargavano il grembiule per ricevere più, più grano. Se tu hai il cuore largo, grande, tu puoi ricevere di più”.

Il cuore grande – ha detto Papa Francesco – “non condanna, ma perdona, dimentica” perché “Dio ha dimenticato i miei peccati; Dio ha perdonato i miei peccati. Allargare il cuore. Questo è bello! - esclama il Papa - Siate misericordiosi”:

“L’uomo e la donna misericordiosi hanno un cuore largo, largo: sempre scusano gli altri e pensano ai loro peccati. ‘Ma hai visto cosa ha fatto questo?’. ‘Ma io ne ho abbastanza con quello che ho fatto io e non mi immischio!’. Questo è il cammino della misericordia che dobbiamo chiedere. Ma se tutti noi, se tutti i popoli, le persone, le famiglie, i quartieri, avessimo questo atteggiamento, quanta pace ci sarebbe nel mondo, quanta pace nei nostri cuori! Perché la misericordia ci porta alla pace. Ricordatevi sempre: ‘Chi sono io per giudicare?’. Vergognarsi e allargare il cuore. Che il Signore ci dia questa grazia”.








Il Papa: la Quaresima è per cambiare la vita, no agli ipocriti “truccati” da santi



La Quaresima è un tempo per “aggiustare la vita”, “per avvicinarsi al Signore”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di martedì mattina 18 marzo a Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia dal sentirsi “migliori degli altri”. Gli ipocriti, ha avvertito, “si truccano da buoni” e non comprendono che “nessuno è giusto da se stesso”, tutti “abbiamo bisogno di essere giustificati”. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Conversione. Papa Francesco ha iniziato la sua omelia sottolineando che questa è la parola chiave della Quaresima, tempo propizio “per avvicinarci” a Gesù. E commentando la prima Lettura, tratta dal Libro di Isaia, ha osservato che il Signore chiama alla conversione due “città peccatrici” come Sodoma e Gomorra. Questo, ha affermato, evidenzia che tutti “abbiamo bisogno di cambiare la vita”, di guardare “bene nella nostra anima” dove sempre troveremo qualcosa. La Quaresima dunque, ha soggiunto, è proprio questo “aggiustare la vita”, avvicinandosi al Signore. Lui, ha detto, “ci vuole vicini” e ci assicura che “ci aspetta per perdonarci”. Tuttavia, ha ammonito, il Signore vuole “un avvicinamento sincero” e ci mette in guardia dall’essere ipocriti:

“Cosa fanno gli ipocriti? Si truccano, si truccano da buoni: fanno faccia di immaginetta, pregano guardando al cielo, facendosi vedere, si sentono più giusti degli altri, disprezzano gli altri. ‘Mah - dicono - io sono molto cattolico, perché mio zio è stato un grande benefattore, la mia famiglia è questa e io sono... ho imparato... conosciuto il vescovo tale, il cardinale tale, il padre tale... Io sono...’. Si sentono migliori degli altri. Questa è l’ipocrisia. Il Signore dice: ‘No, quello no’. Nessuno è giusto da se stesso. Tutti abbiamo bisogno di essere giustificati. E l’unico che ci giustifica è Gesù Cristo”. 

Per questo, ha soggiunto, dobbiamo avvicinarci al Signore: “Per non essere cristiani truccati, che quando passa questa apparenza, si vede la realtà che non sono cristiani”. Qual è, allora, “la pietra di paragone per cui noi non siamo ipocriti e ci avviciniamo al Signore?” La risposta, ha sottolineato il Papa, ce la dà il Signore stesso nella prima Lettura quando dice: “Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni, cessate di fare il male, imparate a fare il bene”. Questo è l’invito. Ma, si chiede Francesco, “qual è il segno che andiamo su una buona strada?”: 

“‘Soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova’. Avere cura del prossimo: del malato, del povero, di quello che ha bisogno, dell’ignorante. Questa è la pietra di paragone. Gli ipocriti non sanno fare questo, non possono, perché sono tanto pieni di se stessi che sono ciechi per guardare gli altri. Quando uno cammina un po’ e si avvicina al Signore, la luce del Signore gli fa vedere queste cose e va ad aiutare i fratelli. Questo è il segno, questo è il segno della conversione”.

Certo, ha osservato, “non è tutta la conversione”, quella infatti “è l’incontro con Gesù Cristo”, ma “il segno che noi siamo con Gesù Cristo è questo: curare i fratelli, quelli più poveri, quelli ammalati, come il Signore ci insegna” e come leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo:

“La Quaresima è per aggiustare la vita, sistemare la vita, cambiare la vita, per avvicinarsi al Signore. Il segno che noi siamo lontani dal Signore è l’ipocrisia. L’ipocrita non ha bisogno del Signore, si salva da se stesso, così pensa, e si traveste da santo. Il segno che noi ci siamo avvicinati al Signore con la penitenza, chiedendo perdono, è che noi abbiamo cura dei fratelli bisognosi. Il Signore ci dia a tutti luce e coraggio: luce per conoscere cosa succede dentro di noi e coraggio per convertirci, per avvicinarci al Signore. E’ bello essere vicino al Signore”.






Papa Francesco: chi confida in se stesso e non nel Signore perde il nome, cioè tutto



L'uomo che confida in se stesso, nelle proprie ricchezze o nelle ideologie è destinato all'infelicità. Chi confida nel Signore, invece, dà frutti anche nel tempo della siccità: è quanto ha detto il Papa stamani, durante la Messa a Santa Marta giovedì mattina 20 marzo. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”, “l’uomo che confida in se stesso”: sarà come “un tamerisco nella steppa”, condannato dalla siccità a rimanere senza frutti e a morire. Il Papa parte dalla prima lettura del giorno che definisce, invece, “benedetto l’uomo che confida nel Signore”: “è come un albero piantato lungo un corso d’acqua” che nel tempo della siccità “non smette di produrre frutti”. “Soltanto nel Signore – afferma Papa Francesco - è la nostra sicura fiducia. Altre fiducie non servono, non ci salvano, non ci danno vita, non ci danno gioia”. E anche se lo sappiamo, “ci piace confidare in noi stessi, confidare in quell’amico o confidare in quella situazione buona che ho o in quell’ideologia" e "il Signore resta un po’ da parte”. L’uomo, così, si chiude in se stesso, “senza orizzonti, senza porte aperte, senza finestre” e “non avrà salvezza, non può salvare se stesso”. Ed è quello che succede al ricco del Vangelo – spiega il Papa – “aveva tutto: indossava vestiti di porpora, mangiava tutti i giorni, grandi banchetti”. "Era tanto contento", ma "non si accorgeva che alla porta della sua casa, coperto di piaghe”, c’era un povero. Il Papa sottolinea che il Vangelo dice il nome del povero: si chiamava Lazzaro. Mentre il ricco “non ha nome”:

“E questa è la maledizione più forte di quello che confida in se stesso o nelle forze, nelle possibilità degli uomini e non in Dio: perdere il nome. Come ti chiami? Conto numero tale, nella banca tale. Come ti chiami? Tante proprietà, tante ville, tanti... Come ti chiami? Le cose che abbiamo, gli idoli. E tu confidi in quello, e quest’uomo è maledetto”. 

“Tutti noi abbiamo questa debolezza, questa fragilità – afferma il Papa - di mettere le nostre speranze in noi stessi o negli amici o nelle possibilità umane soltanto e ci dimentichiamo del Signore. E questo ci porta sulla strada … della infelicità”:

“Oggi, in questa giornata di Quaresima, ci farà bene domandarci: dove è la mia fiducia? Nel Signore o sono un pagano, che confido nelle cose, negli idoli che io ho fatto? Ancora ho nome o ho incominciato a perdere il nome e mi chiamo ‘Io’? Io, me, con me, per me, soltanto io? Per me, per me … sempre quell’egoismo: ‘Io’. Questo non ci dà salvezza”.

Ma “alla fine – osserva Papa Francesco - c’è una porta di speranza” per quanti confidano in se stessi e “hanno perso il nome”:

“Alla fine, alla fine, alla fine sempre c’è una possibilità. E quest’uomo, quando se ne è accorto che aveva perso il nome, aveva perso tutto, tutto, alza gli occhi e dice una sola parola: ‘Padre’. E la risposta di Dio è una sola parola: ‘Figlio!’. Se alcuni di noi nella vita, di tanto avere fiducia nell’uomo e in noi stessi, finiamo per perdere il nome, per perdere questa dignità, ancora c’è la possibilità di dire questa parola che è più che magica, è più, è forte: ‘Padre’. Lui sempre ci aspetta per aprire una porta che noi non vediamo e ci dirà: ‘Figlio’. Chiediamo al Signore la grazia che a tutti noi ci dia la saggezza di avere fiducia soltanto in Lui, non nelle cose, nelle forze umane, soltanto in Lui”.






Papa Francesco: necessarie umiltà e preghiera per non "impadronirsi" della Parola di Dio



Per non “uccidere” nel cuore la Parola di Dio, bisogna essere umili e capaci di pregare. Due atteggiamenti che Papa Francesco ha indicato nel commentare il Vangelo durante la Messa presieduta in Casa Santa Marta nel terzo venerdì di Quaresima 21 marzo. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Ci si può impadronire della Parola di Dio e disporne a proprio piacimento, se un cristiano non è umile e non prega. Lo spunto per mettere in risalto e in guardia da questa insidia Papa Francesco lo prende dal Vangelo del giorno, in cui Gesù racconta la parabola dei vignaioli omicidi, che dapprima uccidono i servi e da ultimo il figlio del padrone della vigna con l’intenzione di impadronirsi dell’eredità. Ad ascoltare questa parabola ci sono farisei, anziani, sacerdoti ai quali – spiega il Papa – Gesù si rivolge per far capire loro “dove sono caduti” per non avere “il cuore aperto alla Parola di Dio”:

“Questo è il dramma di questa gente, e anche il dramma nostro! Si sono impadroniti della Parola di Dio. E la Parola di Dio diventa parola loro, una parola secondo il loro interesse, le loro ideologie, le loro teologie… ma al loro servizio. E ognuno la interpreta secondo la propria volontà, secondo il proprio interesse. Questo è il dramma di questo popolo. E per conservare questo, uccidono. Questo è successo a Gesù”.

“I capi dei sacerdoti e dei farisei – prosegue Papa Francesco – capirono che parlava di loro, quando avevano sentito questa parabola di Gesù. Cercavano di catturarlo e farlo morire”. In questo modo, afferma il Papa, “la Parola di Dio diventa morta, diventa imprigionata, lo Spirito Santo è ingabbiato nei desideri di ognuno di loro”. Ed è esattamente quello accade a noi, osserva Papa Francesco, “quando non siamo aperti alla novità della Parola di Dio, quando non siamo obbedienti alla Parola di Dio”:

“Ma, c’è una frase che ci dà speranza. La Parola di Dio è morta nel cuore di questa gente; anche, può morire nel nostro cuore! Ma non finisce, perché è viva nel cuore dei semplici, degli umili, del popolo di Dio. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla del popolo di Dio, perché lo considerava un profeta. Quella folla semplice – che andava dietro a Gesù, perché quello che Gesù diceva faceva loro bene al cuore, riscaldava loro il cuore – questa gente non aveva sbagliato: non usava la Parola di Dio per il proprio interesse, sentiva e cercava di essere un po’ più buona”.

E noi, si chiede in conclusione Papa Francesco, “cosa possiamo fare per non uccidere la parola di Dio”, per “essere docili, “per non ingabbiare lo Spirito Santo”? “Due cose semplici”, è la sua risposta:

“Questo è l’atteggiamento di quello che vuole ascoltare la Parola di Dio: primo, umiltà; secondo, preghiera. Questa gente non pregava. Non aveva bisogno di pregare. Si sentivano sicuri, si sentivano forti, si sentivano 'dei'. Umiltà e preghiera: con l’umiltà e la preghiera andiamo avanti per ascoltare la Parola di Dio e obbedirle. Nella Chiesa. Umiltà e preghiera nella Chiesa. E così, non succederà a noi quello che è accaduto a questa gente: non uccideremo per difendere la Parola di Dio, quella Parola che noi crediamo che è la Parola di Dio, ma è una parola totalmente alterata da noi”.






Papa Francesco: Dio ci salva nei nostri sbagli non nelle nostre sicurezze



Non ci salva la nostra sicurezza di osservare i comandamenti, ma l’umiltà di avere sempre bisogno di essere guariti da Dio: è quanto, in sintesi, ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta lunedì mattina 24 marzo a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

“Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”: l’omelia del Papa parte da queste parole di Gesù rivolte ai suoi conterranei, gli abitanti di Nazaret, presso i quali non poté operare miracoli perché “non avevano fede”. Gesù ricorda due episodi biblici: il miracolo della guarigione dalla lebbra di Naamàn il Siro, al tempo del profeta Eliseo, e l’incontro del profeta Elia con la vedova di Sarepta di Sidone, che fu salvata dalla carestia. “I lebbrosi e le vedove – spiega Papa Francesco - in quel tempo erano emarginati”. Eppure, questi due emarginati, accogliendo i profeti, sono stati salvati. Invece, i nazaretani non accettano Gesù, perché “erano tanto sicuri nella loro ‘fede’, tanto sicuri nella loro osservanza dei comandamenti, che non avevano bisogno di un’altra salvezza”: 

“E’ il dramma dell’osservanza dei comandamenti senza fede: 'Io mi salvo da solo, perché vado alla sinagoga tutti i sabati, cerco di ubbidire ai comandamenti, ma che non venga questo a dirmi che erano meglio di me quel lebbroso e quella vedova!'. Quelli erano emarginati! E Gesù ci dice: ‘Ma, guarda, se tu non ti emargini, non ti senti al margine, non avrai salvezza’. Questa è l’umiltà, la strada dell’umiltà: sentirsi tanto emarginati che abbiamo bisogno della salvezza del Signore. Solo Lui salva, non la nostra osservanza dei precetti. E questo non è piaciuto, si sono arrabbiati e volevano ucciderlo”. 

La stessa rabbia – commenta il Papa - colpisce inizialmente anche Naamàn, perché ritiene ridicolo e umiliante l’invito di Eliseo a bagnarsi sette volte nel fiume Giordano per essere guarito dalla lebbra. “Il Signore gli chiede un gesto di umiltà, di ubbidire come un bambino, fare il ridicolo”. Se ne va sdegnato, ma poi, convinto dai suoi servi, torna e fa quanto detto dal profeta. Quell’atto di umiltà lo guarisce. “E’ questo il messaggio di oggi, in questa terza settimana di Quaresima – afferma il Papa -: se noi vogliamo essere salvi, dobbiamo scegliere la strada dell’umiltà”: 

“Maria nel suo Cantico non dice che è contenta perché Dio ha guardato la sua verginità, la sua bontà e la sua dolcezza, tante virtù che aveva lei, no: ma perché il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva, la sua piccolezza, l’umiltà. E’ quello che guarda il Signore. E dobbiamo imparare questa saggezza di emarginarci, perché il Signore ci trovi. Non ci troverà al centro delle nostre sicurezze, no, no. Lì non va il Signore. Ci troverà nell’emarginazione, nei nostri peccati, nei nostri sbagli, nelle nostre necessità di essere guariti spiritualmente, di essere salvati; lì ci troverà il Signore”. 

“E questa – ribadisce il Papa - è la strada dell’umiltà”:

“L’umiltà cristiana non è la virtù di dire: ‘Ma, io non servo per niente’ e nascondere la superbia lì, no, no! L’umiltà cristiana è dire la verità: ‘Sono peccatore, sono peccatrice’. Dire la verità: è questa la nostra verità. Ma, c’è l’altra: Dio ci salva. Ma ci salva là, quando noi siamo emarginati; non ci salva nella nostra sicurezza. Chiediamo la grazia di avere questa saggezza di emarginarci, la grazia dell’umiltà per ricevere la salvezza del Signore”.







Il Papa: la salvezza è un dono da ricevere con cuore umile, come ha fatto Maria



Il Signore è in cammino con noi per ammorbidire il nostro cuore. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di martedì mattina 25 marzo a Casa Santa Marta. Nell’odierna Solennità dell’Annunciazione, il Papa ha dunque sottolineato che solo con un cuore umile come quello di Maria possiamo avvicinarci a Dio. La salvezza, ha poi osservato, non si compra e non si vende: si regala. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Dove porta la superbia del cuore? Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi su Adamo ed Eva che, cedendo alla seduzione di Satana, hanno creduto di essere come Dio. Quella “superbia sufficiente” fa sì che siano allontanati dal Paradiso. Ma il Signore non li lascia camminare da soli, fa loro una promessa di redenzione e cammina con loro. “Il Signore – ha detto ancora il Papa – accompagnò l’umanità in questo lungo cammino. Ha fatto un popolo. Era con loro”. E quel “cammino che è incominciato con una disobbedienza”, “finisce con una obbedienza”, con il sì di Maria all’Annuncio dell’angelo. “Il nodo che ha fatto Eva con la sua disobbedienza – ha detto richiamando Sant’Ireneo di Lione – lo ha sciolto Maria con la sua obbedienza”. E’ un cammino, ha soggiunto, “nel quale le meraviglie di Dio si moltiplicano”:

“Il Signore è in cammino con il suo popolo. E perché camminava con il suo popolo, con tanta tenerezza? Per ammorbidire il nostro cuore. Esplicitamente lo dice, Lui: ‘Io farò del tuo cuore di pietra un cuore di carne’. Ammorbidire il nostro cuore per ricevere quella promessa che aveva fatto nel Paradiso. Per un uomo è entrato il peccato, per un altro uomo viene la salvezza. E questo cammino tanto lungo aiutò tutti noi ad avere un cuore più umano, più vicino a Dio, non tanto superbo, non tanto sufficiente”.

E oggi, ha proseguito, la liturgia ci parla “di questa tappa nel cammino di restaurazione”, “ci parla di obbedienza, di docilità alla Parola di Dio”: 

“La salvezza non si compra, non si vende: si regala. E’ gratuita. Noi non possiamo salvarci da noi stessi: la salvezza è un regalo, totalmente gratuito. Non si compra con il sangue né di tori né di capre: non si può comprare. Soltanto, per entrare in noi questa salvezza chiede un cuore umile, un cuore docile, un cuore obbediente. Come quello di Maria. E, il modello di questo cammino di salvezza è lo stesso Dio, suo figlio, che non stimò un bene irrinunciabile essere uguale a Dio. Paolo lo dice”.

Il Papa ha messo l’accento sul “cammino dell’umiltà, dell’umiliazione”. Questo, ha detto, “significa semplicemente dire: io sono uomo, io sono donna e Tu sei Dio, e andare davanti, alla presenza di Dio”, “nella obbedienza, nella docilità del cuore”. E per questo, ha esortato nella Solennità dell’Annunciazione, “facciamo festa: la festa di questo cammino, da una madre a un’altra madre, da un padre a un altro padre”: 

“Oggi, possiamo abbracciare il Padre che, grazie al sangue del suo Figlio, si è fatto come uno di noi, ci salva. Questo Padre che ci aspetta tutti i giorni… Guardiamo l’icona di Eva e di Adamo, guardiamo l’icona di Maria e Gesù, guardiamo il cammino della Storia con Dio che camminava con il suo popolo. E diciamo: ‘Grazie. Grazie, Signore, perché oggi Tu dici a noi che ci hai regalato la salvezza’. Oggi è un giorno per rendere grazie al Signore”.






[Modificato da Caterina63 26/03/2014 13:54]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)