00 28/03/2014 13:52

  Messa del Papa con i parlamentari italiani: no ai "dottori del dovere", apriamo il cuore a Dio




Al tempo di Gesù c’era una classe dirigente che si era allontanata dal popolo, lo aveva “abbandonato”, incapace di altro se non di seguire la propria ideologia e di scivolare verso la corruzione. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata presso l'Altare della Cattedra in San Pietro, alla presenza di 493 parlamentari italiani, 27 marzo 2014. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Interessi di partito, lotte interne. Le energie di chi comandava ai tempi di Gesù erano per queste cose al punto che quando il Messia si palesa ai loro occhi non lo riconoscono, anzi lo accusano di essere un guaritore della schiera di Satana. Ad ascoltare di primo mattino le parole di Papa Francesco nella Basilica Vaticana c’è gran parte del parlamento italiano, compresi nove ministri e i presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini. La prima lettura, tratta dal Libro di Geremia, mostra il profeta dare voce al “lamento di Dio” verso una generazione che, osserva il Papa, non ha accolto i suoi messaggeri e che invece si giustifica per i suoi peccati. “Mi hanno voltato le spalle”, cita Papa Francesco, che commenta: “Questo è il dolore del Signore, il dolore di Dio”. E questa realtà, prosegue, è presente anche nel Vangelo del giorno, quella di una cecità nei riguardi di Dio soprattutto da parte dei leader del popolo:

“Il cuore di questa gente, di questo gruppetto con il tempo si era indurito tanto, tanto che era impossibile ascoltare la voce del Signore. E da peccatori, sono scivolati, sono diventati corrotti. E’ tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti. E per questo si giustificano, perché Gesù, con la sua semplicità, ma con la sua forza di Dio, dava loro fastidio”.

Persone, prosegue Papa Francesco, che “hanno sbagliato strada. Hanno fatto resistenza alla salvezza di amore del Signore e così sono scivolati dalla fede, da una teologia di fede a una teologia del dovere”:

“Hanno rifiutato l’amore del Signore e questo rifiuto ha fatto sì che loro fossero su una strada che non era quella della dialettica della libertà che offriva il Signore, ma quella della logica della necessità, dove non c’è posto per il Signore. Nella dialettica della libertà c’è il Signore buono, che ci ama, ci ama tanto! Invece, nella logica della necessità non c’è posto per Dio: si deve fare, si deve fare, si deve… Sono diventati comportamentali. Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini. Gesù li chiama, loro, ‘sepolcri imbiancati’”.

La Quaresima, conclude Papa Francesco, ricorda che “Dio ci ama tutti” e che dobbiamo “fare lo sforzo di aprirci” a Lui:

“In questa strada della Quaresima ci farà bene, a tutti noi, pensare a questo invito del Signore all’amore, a questa dialettica della libertà dove c’è l’amore, e domandarci, tutti: Ma io sono su questa strada? O ho il pericolo di giustificarmi e andare per un’altra strada?, una strada congiunturale, perché non porta a nessuna promessa. E preghiamo il Signore che ci dia la grazia di andare sempre per la strada della salvezza, di aprirci alla salvezza che viene soltanto da Dio, dalla fede, non da quello che proponevano questi ‘dottori del dovere’, che avevano perso la fede a reggevano il popolo con questa teologia pastorale del dovere”.







Papa Francesco: il bilancio di Dio non è quello di un'azienda, l'attivo è l’amore



Dio ama, “non sa fare altra cosa”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani 28 marzo a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che il Signore sempre ci aspetta e ci perdona, è “il Dio della misericordia” che ci fa festa quando torniamo da Lui. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Dio ha nostalgia di noi, quando ci allontaniamo da Lui. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal Libro del Profeta Osea, nella prima Lettura. Il Signore, ha osservato, ci parla con tenerezza. Anche quando “ci invita alla conversione” e questa parola ci “suona un po’ forte”, ha evidenziato, dentro c’è “questa nostalgia amorevole di Dio”. C’è l’esortazione del Padre che dice al figlio: “Torna, è ora di tornare a casa”. Quindi, ha rilevato che già “soltanto con questa parola possiamo passare tante ore di preghiera”: 

“E’ il cuore di nostro Padre, è così Dio: non si stanca, non si stanca! E per tanti secoli ha fatto questo, con tanta apostasia, tanta apostasia del popolo. E Lui sempre torna, perché il nostro Dio è un Dio che aspetta. Da quel pomeriggio nel Paradiso terrestre, Adamo è uscito dal Paradiso con una pena e anche una promessa. E Lui è fedele, il Signore è fedele alla sua promessa, perché non può rinnegare se stesso. E’ fedele. E così ha aspettato tutti noi, lungo la storia. E’ il Dio che ci aspetta, sempre”. 
Francesco ha così rivolto il pensiero alla Parabola del figliol prodigo. Il Vangelo di Luca, ha rammentato, ci dice che il padre vede il figlio da lontano perché lo aspettava. Il padre, ha soggiunto, “andava sul terrazzo tutti i giorni a guardare se il figlio tornava. Aspettava. E quando lo vede, è andato di fretta” e “gli si gettò al collo”. Il figlio aveva preparato delle parole da dire, ma il padre non lo lascia parlare: “Con l’abbraccio gli tappò la bocca”:

“Questo è il nostro Padre, il Dio che ci aspetta. Sempre. ‘Ma, padre, io ho tanti peccati, non so se Lui sarà contento’. ‘Ma prova! Se tu vuoi conoscere la tenerezza di questo Padre, va da Lui e prova, poi mi racconti’. Il Dio che ci aspetta. Dio che aspetta e anche Dio che perdona. E’ il Dio della misericordia: non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere il perdono, ma Lui non si stanca. Settanta volte sette: sempre; avanti con il perdono. E dal punto di vista di un’azienda, il bilancio è negativo. Lui sempre perde: perde nel bilancio delle cose, ma vince nell’amore”. 

E questo, ha proseguito, perché Lui “è il primo che compie il comandamento dell’amore”. “Lui ama – ha detto il Papa – non sa fare altra cosa”. E anche “i miracoli che Gesù faceva, con tanti ammalati – ha aggiunto – erano anche un segno del grande miracolo che ogni giorno il Signore fa con noi, quando abbiamo il coraggio di alzarci ed andare da Lui”. E quando succede questo, ha affermato il Papa, Dio ci fa festa. “Non come il banchetto di quell’uomo ricco, che aveva alla porta il povero Lazzaro”, ha avvertito, Dio “fa un altro banchetto, come il padre del figliol prodigo”: 

“‘Poiché tu fiorirai come un giglio’, è la promessa, ‘Ti farò festa’. ‘Si spanderanno i tuoi germogli e avrai la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano’. La vita di ogni persona, di ogni uomo, ogni donna, che ha il coraggio di avvicinarsi al Signore, troverà la gioia della festa di Dio. Così, che questa parola ci aiuti a pensare al nostro Padre, Padre che ci aspetta sempre, che ci perdona sempre e che fa festa quando noi torniamo”.







Il Papa: chi ha fede cammina verso le promesse di Dio, se no è un “turista esistenziale”



Non girovagare per la vita, compresa quella dello spirito, ma andare diritti alla meta che per un cristiano vuol dire seguire le promesse di Dio, che mai deludono. È l’insegnamento che Papa Francesco ha tratto dalle letture di oggi, spiegate all’omelia della Messa presieduta in Casa S. Marta lunedì 31 marzo. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Ci sono cristiani che si fidano delle promesse di Dio e le seguono lungo l’arco della vita. Poi vi sono altri la cui vita di fede ristagna e altri ancora convinti di progredire e che invece fanno solo del “turismo esistenziale”. Papa Francesco distingue fra tre categorie di credenti, accomunate dal sapere che la vita cristiana è un itinerario ma divergenti nel modo di percorrerlo o non percorrerlo affatto. Anzitutto, spiega il Papa rifacendosi al brano di Isaia della prima Lettura, Dio sempre “prima di chiedere qualcosa, promette”. La sua promessa è quella di una vita nuova e di una vita di “gioia”. Qui, afferma, c’è il “fondamento principale della virtù della speranza: fidarsi delle promesse di Dio” – sapendo che Lui mai “le delude” – e c’è l’essenza della vita cristiana, cioè “camminare verso le promesse”. Poi, riconosce, ci sono anche altri cristiani che hanno “la tentazione di fermarsi”:

“Tanti cristiani fermi! Ne abbiamo tanti dietro che hanno una debole speranza. Sì, credono che ci sarà il Cielo e tutto andrà bene. Sta bene che lo credano, ma non lo cercano! Compiono i comandamenti, i precetti: tutto, tutto… Ma sono fermi. Il Signore non può fare di loro lievito nel suo popolo, perché non camminano. E questo è un problema: i fermi. Poi, ci sono altri fra loro e noi, che sbagliano la strada: tutti noi alcune volte abbiamo sbagliato la strada, quello lo sappiamo. Il problema non è sbagliare di strada; il problema è non tornare quando uno si accorge che ha sbagliato”.

Il modello di chi crede e segue ciò che la fede gli indica è il funzionario del re descritto nel Vangelo, che chiede a Gesù la guarigione per il figlio malato e non dubita un istante nel mettersi in cammino verso casa quando il Maestro gli assicura di averla ottenuta. All’opposto di quest’uomo, afferma Papa Francesco, c’è invece forse il gruppo “più pericoloso”, in cui ci sono coloro che “ingannano se stessi: quelli che camminano ma non fanno strada”:

“Sono i cristiani erranti: girano, girano come se la vita fosse un turismo esistenziale, senza meta, senza prendere le promesse sul serio. Quelli che girano e si ingannano, perché dicono: ‘Io cammino!’. No, tu non cammini: tu giri. Gli erranti… Invece, il Signore ci chiede di non fermarci, di non sbagliare strada e di non girare per la vita. Girare la vita... Ci chiede di guardare le promesse, di andare avanti con le promesse come quest’uomo, come quest’uomo: quell’uomo credette alla parola di Gesù! La fede ci mette in cammino verso le promesse. La fede nelle promesse di Dio”.

La “nostra condizione di peccatori ci fa sbagliare di strada”, riconosce Papa Francesco, che però assicura: “Il Signore ci dà sempre la grazia di tornare”:

“La Quaresima è un bel tempo per pensare se io sono in cammino o se io sono troppo fermo: convertiti. O se io ho sbagliato strada: ma vai a confessarti e riprendi la strada. O se io sono un turista teologale, uno di questi che fanno il giro della vita ma mai fanno un passo avanti. E chiedo al Signore la grazia di riprendere la strada, di metterci in cammino, ma verso le promesse”.







Papa Francesco: accidia e formalismo in tanti cristiani, chiudono la porta alla salvezza



I cristiani anestetizzati non fanno bene alla Chiesa. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani 1 aprile 2014 a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non bisogna fermarsi ai formalismi, ma “immischiarsi”, vincere l’accidia spirituale e rischiare in prima persona per annunciare il Vangelo. Il servizio diAlessandro Gisotti:RealAudioMP3 

Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sul passo del Vangelo che narra dell’incontro tra Gesù e il paralitico che, ammalato da 38 anni, stava sotto i portici presso la piscina aspettando la guarigione. Quest’uomo si lamentava perché non riusciva a immergersi, era sempre anticipato da qualcun altro. Ma Gesù sposta l’orizzonte e gli ordina di “alzarsi”, di andare. Un miracolo che desta le critiche dei farisei perché era sabato e quel giorno, dicevano, non si poteva. In questo racconto, ha osservato il Papa, troviamo due malattie forti, spirituali. Due malattie su cui, ha detto, “ci farà bene riflettere”. Innanzitutto la rassegnazione del malato, che è amareggiato e si lamenta:

“Io penso a tanti cristiani, tanti cattolici: sì, sono cattolici ma senza entusiasmo, anche amareggiati! 'Sì, è la vita è così, ma la Chiesa… Io vado a Messa tutte le domeniche, ma meglio non immischiarsi, io ho la fede per la mia salute, non sento il bisogno di darla ad un altro…'. Ognuno a casa sua, tranquilli per la vita… Ma, tu fai qualcosa e poi ti rimproverano: 'No, è meglio così, non rischiare…”'. E’ la malattia dell’accidia, dell’accidia dei cristiani. Questo atteggiamento che è paralizzante dello zelo apostolico, che fa dei cristiani persone ferme, tranquille, ma non nel buon senso della parola: che non si preoccupano di uscire per dare l’annuncio del Vangelo! Persone anestetizzate”. 

E l’anestesia, ha aggiunto, “è un’esperienza negativa”. Quel non immischiarsi che diventa “accidia spirituale”. E “l’accidia – ha detto – è una tristezza”: questi cristiani sono tristi, “sono persone non luminose, persone negative. E questa è una malattia di noi cristiani”. Andiamo a Messa “tutte le domeniche, ma – diciamo – per favore non disturbare”. Questi cristiani “senza zelo apostolico”, ha avvertito, “non servono, non fanno bene alla Chiesa. E quanti cristiani sono così – ha affermato con rammarico – egoisti, per se stessi”. Questo, ha detto, è “il peccato dell’accidia, che è contro lo zelo apostolico, contro la voglia di dare la novità di Gesù agli altri, quella novità che a me è stata data gratuitamente”. Ma in questo passo del Vangelo, ha detto il Papa, troviamo anche un altro peccato quando vediamo che Gesù viene criticato perché ha guarito il malato di sabato. Il peccato del formalismo. “Cristiani – ha detto – che non lasciano posto alla grazia di Dio. E la vita cristiana, la vita di questa gente è avere tutti i documenti in regola, tutti gli attestati”: 

“Cristiani ipocriti, come questi. Soltanto interessavano loro le formalità. Era sabato? No, non si possono fare miracoli il sabato, la grazia di Dio non può lavorare il sabato. Chiudono la porta alla grazia di Dio! Ne abbiamo tanti nella Chiesa: ne abbiamo tanti! E’ un altro peccato. I primi, quelli che hanno il peccato dell’accidia, non sono capaci di andare avanti con il loro zelo apostolico, perché hanno deciso di fermarsi in se stessi, nelle loro tristezze, nei loro risentimenti, tutto quello. Questi non sono capaci di portare la salvezza perché chiudono la porta alla salvezza”. 

Per loro, ha detto, contano “soltanto le formalità”. “Non si può: è la parola che più hanno alla mano”. E questa gente la incontriamo anche noi, ha detto, anche noi “tante volte siamo stati con l’accidia o tante volte siamo stati ipocriti come i farisei”. Queste, ha soggiunto, sono tentazioni che vengono, “ma dobbiamo conoscerle per difenderci”. E davanti a queste due tentazioni, davanti “a quell’ospedale da campo lì, che era simbolo della Chiesa”, davanti a “tanta gente ferita”, Gesù si avvicina e chiede solo: “Vuoi guarire?” e “gli dà la grazia. La grazia fa tutto”. E poi, quando incontra di nuovo il paralitico gli dice di “non peccare più”:

“Le due parole cristiane: vuoi guarire? Non peccare più. Ma prima lo guarisce. Prima lo guarì, poi ‘non peccare più’. Parole dette con tenerezza, con amore. E questa è la strada cristiana, la strada dello zelo apostolico: avvicinarsi a tante persone, ferite in questo ospedale da campo, e anche tante volte ferite da uomini e donne della Chiesa. E’ una parola di fratello e di sorella: vuoi guarire? E poi, quando va avanti, ‘Ah, non peccare più, che non ti fa bene!’. E’ molto meglio questo: le due parole di Gesù sono più belle dell’atteggiamento dell’accidia o dell’atteggiamento dell’ipocrisia”.






Papa Francesco: la preghiera è una lotta con Dio che ci cambia il cuore



La preghiera è una lotta con Dio e va fatta con libertà e insistenza, come un dialogo sincero con un amico. Questa preghiera cambia il nostro cuore, perché ci fa conoscere meglio come Dio è realmente: è questo, in sintesi, quanto ha detto Papa Francesco nella Messa presieduta stamani 3 aprile a Santa Marta commentando le letture del giorno. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

Il dialogo di Mosè con Dio sul Monte Sinai è stato al centro dell’omelia del Papa. Dio vuole punire il suo popolo perché si è fatto un idolo, il vitello d’oro. Mosè prega con forza il Signore perché ci ripensi: “questa preghiera – spiega Papa Francesco - è una vera lotta con Dio. Una lotta del capo del popolo per salvare il suo popolo, che è il popolo di Dio. E Mosè parla liberamente davanti al Signore e ci insegna come pregare, senza paura, liberamente, anche con insistenza. Mosè insiste. E’ coraggioso. La preghiera dev’essere” anche un “negoziare con Dio”, portando “argomentazioni”. Mosè alla fine convince Dio e la lettura dice che “il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”. “Ma – si chiede il Papa - chi è cambiato, qui? Il Signore è cambiato? Io credo di no”: 

“Quello che è cambiato, è Mosè, perché Mosè credeva che il Signore avrebbe fatto questo, credeva che il Signore avrebbe distrutto il popolo e lui cerca, nella sua memoria, come era stato buono il Signore con il suo popolo, come lo aveva tolto dalla schiavitù dell’Egitto e portato avanti con una promessa. E con queste argomentazioni, cerca di convincere Dio, ma in questo processo lui ritrova la memoria del suo popolo, e trova la misericordia di Dio. Questo Mosè, che aveva paura, paura che Dio facesse questa cosa, alla fine scende dal monte con una cosa grande nel cuore: il nostro Dio è misericordioso. Sa perdonare. Torna indietro sulle sue decisioni. E’ un Padre”. 

Tutto questo – osserva Papa Francesco – Mosè lo sapeva, “ma lo sapeva più o meno oscuramente e nella preghiera lo ritrova. E’ questo che fa la preghiera in noi: ci cambia il cuore”:

“La preghiera ci cambia il cuore. Ci fa capire meglio come è il nostro Dio. Ma per questo è importante parlare con il Signore, non con parole vuote – Gesù dice: ‘Come fanno i pagani’. No, no: parlare con la realtà: ‘Ma, guarda, Signore, che ho questo problema, nella famiglia, con mio figlio, con questo, quell’altro … Cosa si può fare? Ma guarda, che tu non mi puoi lasciare così!’. Questa è la preghiera! Ma tanto tempo prende questa preghiera? Sì, prende tempo”. 

E’ il tempo che ci vuole per conoscere meglio Dio, come si fa con un amico, perché Mosè – dice la Bibbia – pregava con il Signore come un amico parla ad un altro amico: 

“La Bibbia dice che Mosè parlava al Signore faccia a faccia, come ad un amico. Così dev’essere la preghiera: libera, insistente, con argomentazioni. E anche rimproverando il Signore un po’: ‘Ma, tu mi hai promesso questo, e questo non l’hai fatto …’, così, come si parla con un amico. Aprire il cuore a questa preghiera. Mosè è sceso dal monte rinvigorito: ‘Ho conosciuto di più il Signore’, e con quella forza che gli aveva dato la preghiera, riprende il suo lavoro di condurre il popolo verso la Terra promessa. Perché la preghiera rinvigorisce: rinvigorisce. Il Signore a tutti noi ci dia la grazia, perché pregare è una grazia”. 

“In ogni preghiera – ricorda ancora il Papa - c’è lo Spirito Santo”, “non si può pregare senza lo Spirito Santo. E’ Lui che prega in noi, è Lui che ci cambia il cuore, è Lui che ci insegna a dire a Dio ‘Padre’. Chiediamo allo Spirito Santo – ha concluso - che Lui ci insegni a pregare, sì, come ha pregato Mosè, a negoziare con Dio, con libertà di spirito, con coraggio. E lo Spirito Santo, che è sempre presente nella nostra preghiera, ci conduca per questa strada”.




 



[Modificato da Caterina63 03/04/2014 16:16]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)