00 28/09/2013 12:21

gendarmeria

Il Papa al Corpo dei gendarmi: difendete il Vaticano dalla zizzania delle chiacchiere



La “chiacchiere” sono una “lingua vietata” in Vaticano, perché è una lingua che genera il male. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta questa mattina, 28 settembre, al cospetto del Corpo della Gendarmeria Vaticana, nei pressi della Grotta di Lourdes dei Giardini Vaticani, per San Michele Arcangelo loro protettore. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Nella rocca del Vaticano, il male ha un passaggio attraverso il quale s’insinua per spargere il suo veleno: è la “chiacchiera”, quella che porta l’uno a parlare male dell’altro e distrugge l'unità. E dal contagio di questa “zizzania” nessuno è immune. Davanti agli uomini della Gendarmeria Vaticana che lo guardano schierati, Papa Francesco si sottrae da una riflessione giusta ma forse scontata sul ruolo del gendarme difensore della sicurezza del Vaticano, per mettere nel mirino un altro avversario molto più subdolo della delinquenza comune e contro il quale è fondamentale ingaggiare la “lotta”:

“Qualcuno di voi potrà dirmi: ‘Ma, padre, noi come c’entriamo qui col diavolo? Noi dobbiamo difendere la sicurezza di questo Stato, di questa città: che non ci siano i ladri, che non ci siano i delinquenti, che non vengano i nemici a prendere la città’. Ma, anche quello è vero, ma Napoleone non tornerà più, eh? Se ne è andato. E non è facile che venga un esercito qui a prendere la città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno”.

Per questo, prosegue Papa Francesco, “vi chiedo non solo di difendere le porte, le finestre del Vaticano” – peraltro un lavoro necessario e importante – ma di difendere “come il vostro patrono San Michele” le porte del cuore di chi lavora in Vaticano, dove la tentazione “entra” esattamente come altrove:

“Ma c’è una tentazione... Ma, io vorrei dirla – la dico così per tutti, anche per me, per tutti – però è una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. E il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale, no? E’ una guerra che non si fa con le armi, che noi conosciamo: si fa con la lingua”.

Una lingua armata appunto dalle “chiacchiere”, sorta di veleno dal quale Papa Francesco mette costantemente in guardia. E questo è ciò “che chiedo a voi”, incalza quindi il Papa all’indirizzo dei gendarmi, “di difenderci mutuamente dalle chiacchiere”:

Chiediamo a San Michele che ci aiuti in questa guerra: mai parlare male uno dell’altro, mai aprire le orecchie alle chiacchiere. E se io sento che qualcuno chiacchiera, fermarlo! ‘Qui non si può: gira la porta di Sant’Anna, va fuori e chiacchiera là! Qui non si può!’ ... è quello, eh? Il buon seme sì: parlare bene uno dell’altro sì, ma la zizzania no!”.





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Chiedere la grazia di non fuggire la Croce: così il Papa a Santa Marta



Chiedere la grazia di non fuggire la Croce: questa la preghiera del Papa durante la Messa di stamane, 28, a Santa Marta. L’omelia ha preso lo spunto dal Vangelo del giorno in cui Gesù annuncia ai discepoli la sua passione. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3

“Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini”: queste parole di Gesù –afferma il Papa – gelano i discepoli che pensavano a un cammino trionfante. Parole che “restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso” e “avevano timore di interrogarlo su questo argomento”: per loro era “meglio non parlare”, era “meglio non capire che capire la verità” che Gesù diceva:

“Avevano paura della Croce, avevano paura della Croce. Lo stesso Pietro, dopo quella confessione solenne nella regione della Cesarea di Filippo, quando Gesù un’altra volta dice questo, rimprovera il Signore: ‘No, mai, Signore! Questo no!’. Aveva paura della Croce. Ma non solo i discepoli, non solo Pietro, lo stesso Gesù aveva paura della Croce! Lui non poteva ingannarsi, Lui sapeva. Tanta era la paura di Gesù che quella sera del giovedì ha sudato il sangue; tanta era la paura di Gesù che quasi ha detto lo stesso di Pietro, quasi… ‘Padre, toglimi questo calice. Si faccia la tua volontà!’. Questa era la differenza!”.

La Croce ci fa paura anche nell’opera di evangelizzazione, ma – osserva il Papa – c’è la “regola” che “il discepolo non è più grande del Maestro. C’è la regola che non c’è redenzione senza l’effusione del sangue”, non c’è opera apostolica feconda senza la Croce:

“Forse noi pensiamo, ognuno di noi può pensare: ‘E a me, a me cosa accadrà? Come sarà la mia Croce?’. Non sappiamo. Non sappiamo, ma ci sarà! Dobbiamo chiedere la grazia di non fuggire dalla Croce quando verrà: con paura, eh! Quello è vero! Quello ci fa paura. Ma la sequela di Gesù finisce là. Mi vengono in mente le ultime parole che Gesù ha detto a Pietro, in quella incoronazione pontificia nel Tiberiade: ‘Mi ami? Pasci! Mi ami? Pasci!’… Ma le ultime parole erano quelle: ‘Ti porteranno dove tu non vuoi andare!’. La promessa della Croce”.

Il Papa conclude la sua omelia con una preghiera a Maria:

“Vicinissima a Gesù, nella Croce, era sua madre, la sua mamma. Forse oggi, il giorno che noi la preghiamo, sarà buono chiederle la grazia non di togliere il timore – quello deve venire, il timore della Croce… - ma la grazia di non spaventarci e fuggire dalla Croce. Lei era lì e sa come si deve stare vicino alla Croce”.




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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

L’aria della Chiesa

Lunedì, 30 settembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 224, Lun. 30-Mart. 01/10/2013)

 

Pace e gioia: «questa è l’aria della Chiesa». Commentando le letture della messa celebrata nella mattina di lunedì 30 settembre, nella cappella di Santa Marta, Papa Francesco si è soffermato sull’atmosfera che si respira quando la Chiesa sa cogliere la presenza costante del Signore. Un’atmosfera di pace, appunto, dove regna la gioia del Signore.

Gli episodi di riferimento sono quelli tratti dal libro di Zaccaria (8, 1-8) — con la profezia delle piazze di Gerusalemme che si riempiranno di vecchi appoggiati al bastone, per manifestare il valore della loro longevità, accanto a giovani che giocano felici, per mostrare la gioia del popolo di Dio — e dal brano del Vangelo di Luca (9, 46-50) che narra della disputa sorta tra gli apostoli su chi fosse il più grande tra di loro.

Nei due brani il Pontefice vede una sorta di discussione, o meglio, uno scambio di opinioni sull’organizzazione della Chiesa. Ma, ha ricordato, «al Signore piace sorprendere» e così «sposta il centro della discussione»: prende un bambino accanto a sé e dice: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». E i discepoli non capivano.

«Nella prima lettura — ha specificato il Papa — abbiamo sentito la promessa di Dio al suo popolo: tornerò a Sion, dimorerò a Gerusalemme e Gerusalemme sarà chiamata città fedele. Il Signore tornerà». Ma «quali sono i segni che il Signore è tornato? Una bella organizzazione? Un governo che vada avanti tutto pulito, tutto perfetto?» si è domandato. Per rispondere il Santo Padre ha riproposto l’immagine della piazza di Gerusalemme gremita di vecchi e di bambini.

Dunque «quelli che lasciamo da parte quando pensiamo a un programma di organizzazione — ha affermato — saranno il segno della presenza di Dio: i vecchi e i bambini. I vecchi perché portano con loro la saggezza, la saggezza della loro vita, la saggezza della tradizione, la saggezza della storia, la saggezza della legge di Dio; e i bambini perché sono anche la forza, il futuro, quelli che porteranno avanti con la loro forza e con la loro vita il futuro».

Il futuro di un popolo — ha ribadito Papa Francesco — «è proprio qui e qui, nei vecchi e nei bambini. E un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa. I vecchi e i bambini sono il futuro di un popolo».

Purtroppo, ha aggiunto, è una triste consuetudine mettere da parte i bambini «con una caramella o con un gioco». Così come lo è il non lasciar parlare i vecchi e «fare a meno dei loro consigli». Eppure Gesù raccomanda di prestare massima attenzione ai bambini, di non scandalizzarli; così come ricorda che «l’unico comandamento che porta con sé una benedizione è proprio il quarto, quello sui genitori, sui vecchi: onorare».

I discepoli volevano naturalmente «che la Chiesa andasse avanti senza problemi. Ma questo — ha avvertito il Pontefice — può diventare una tentazione per la Chiesa: la Chiesa del funzionalismo, la Chiesa ben organizzata. Tutto a posto». Ma non è così, perché sarebbe una Chiesa «senza memoria e senza promessa»; e questo certamente «non può andare».

«Il profeta — ha proseguito il Santo Padre — ci dice della vitalità della Chiesa. Non ci dice però: ma io sarò con voi e tutte le settimane avrete un documento per pensare; ogni mese faremo una riunione per pianificare». Tutto ciò, ha aggiunto, è necessario ma non è il segno della presenza di Dio. Quale sia questo segno lo dice il Signore: «Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. E le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle che giocheranno sulle sue piazze».

«Il gioco — ha concluso il vescovo di Roma — ci fa pensare alla gioia. È la gioia del Signore. E questi anziani seduti con il bastone in mano, ci fanno pensare alla pace. Pace e gioia, questa è l’aria della Chiesa».


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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

L’umiltà è la forza del Vangelo

Il Papa invita a pregare per il lavoro del Consiglio di cardinali

Martedì, 1° ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 225, Merc. 02/10/2013)

 

«Oggi, qui in Vaticano, comincia la riunione con i cardinali consultori che stanno già concelebrando nella messa: chiediamo al Signore che il nostro lavoro di oggi ci faccia tutti più umili, più miti, più pazienti, più fiduciosi di Dio. Perché così la Chiesa possa dare una bella testimonianza alla gente. E vedendo il popolo di Dio, vedendo la Chiesa, sentano la voglia di venire con noi».
Sono le parole di Papa Francesco, a conclusione dell’omelia della messa celebrata con i componenti del Consiglio di cardinali martedì mattina, 1° ottobre, nella cappella di Santa Marta. E nel giorno della festa di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, il Papa ne ha ricordato la testimonianza di fede e di umiltà.

Papa Francesco ha iniziato l’omelia commentando il passo evangelico di Luca (9, 51-56): «Gesù — ha detto — rimprovera questi due apostoli», Giacomo e Giovanni, perché «volevano che scendesse il fuoco dal cielo sopra quelli che non avevano voluto riceverlo» in un villaggio di samaritani. E «forse nella sua immaginazione c’era l’archetipo del fuoco che è sceso su Sodoma e Gomorra e ha distrutto tutto».
I due apostoli, ha spiegato il Pontefice, «sentivano che chiudere la porta a Gesù era una grande offesa: queste persone dovevano essere punite». Ma «il Signore si voltò e li rimproverò: questo non è il nostro spirito». Infatti, ha aggiunto Papa Francesco, «il Signore va sempre avanti, ci fa conoscere come è la strada del cristiano. Non è, in questo caso, una strada di vendetta. Lo Spirito cristiano è un’altra cosa, dice il Signore. È lo spirito che lui ci farà vedere nel momento più forte della sua vita, nella passione: spirito di umiltà, spirito di mitezza».

«E oggi, nella ricorrenza di santa Teresa di Gesù Bambino — ha affermato il vescovo di Roma — ci farà bene pensare a questo spirito di umiltà, di tenerezza, di bontà. Questo spirito mite proprio del Signore che vuole da tutti noi. Dov’è la forza che ci porta a questo spirito? Proprio nell’amore, nella carità, nella consapevolezza che noi siamo nelle mani del Padre. Come leggevamo all’inizio della messa: il Signore ci porta, ci porta su, ci fa andare avanti, è con noi, ci guida».

Il libro del Deuteronomio, ha proseguito il Pontefice, «dice che Dio ci guida come un padre guida il suo bambino: con tenerezza. Quando si sente questo, non viene la voglia di far scendere un fuoco dal cielo. No, non viene. Viene l’altro spirito»: lo spirito «di quella carità che tutto soffre, tutto perdona, che non si vanta, che è umile, che non cerca se stessa».

Papa Francesco ha riproposto a questo punto la forza e l’attualità della figura di santa Teresa di Gesù Bambino: «La Chiesa saggia ha fatto questa santa — umile, piccola, fiduciosa di Dio, mite — patrona delle missioni. Non si capisce questo. La forza del Vangelo è proprio lì, perché il Vangelo arriva proprio al punto più alto nell’umiliazione di Gesù. Umiltà che diviene umiliazione. E la forza del Vangelo è proprio nell’umiltà. Umiltà del bambino che si lascia guidare dall’amore e dalla tenerezza del Padre».

Il Pontefice è quindi tornato alla prima lettura della celebrazione, tratta dal libro di Zaccaria (8, 20-23). «In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: “Vogliamo venire con voi perché abbiamo udito che Dio è con voi”».

E ha così proseguito: «La Chiesa, ci diceva Benedetto XVI, cresce per attrazione, per testimonianza. E quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno» di cui parla «il profeta Zaccaria: “Vogliamo venire con voi!”.

La gente sente quel bisogno davanti alla testimonianza della carità. È questa carità pubblica senza prepotenza, non sufficiente, umile, che adora e serve. È semplice la carità: adorare Dio e servire gli altri. Questa testimonianza fa crescere la Chiesa». Proprio per questo, ha concluso Papa Francesco, santa Teresa di Gesù Bambino «tanto umile, ma tanto fiduciosa in Dio, è stata nominata patrona delle missioni, perché il suo esempio fa che la gente dica: vogliamo venire con voi».

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[Modificato da Caterina63 02/10/2013 11:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)