00 17/10/2013 16:32

Il Papa: non basta la religiosità perfetta per salvarsi, cristiani si liberino da “sindrome di Giona”



Bisogna combattere la “sindrome di Giona” che ci porta all’ipocrisia di pensare che per salvarci bastino le nostre opere. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di lunedì mattina 14 ottobre,  alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia da “un atteggiamento di religiosità perfetta”, che guarda alla dottrina ma non si cura della salvezza della “povera gente”. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

La “sindrome di Giona” e il “segno di Giona”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia su questo binomio. Gesù, ha osservato, parla nel Vangelo odierno di “generazione malvagia”. E’ molto forte la sua parola. Ma, ha avvertito il Papa, non si riferisce alla gente “che lo seguiva con tanto amore”, bensì ai “dottori della legge” che “cercavano di metterlo alla prova e farlo cadere in trappola”. Questa gente, infatti, “gli chiedeva segni” e Gesù risponde che solo gli verrà dato “il segno di Giona”. C’è però, ha ammonito Papa Francesco, anche la “sindrome di Giona”. Il Signore gli chiede di andare a Ninive e lui fugge in Spagna. Giona, ha detto, “aveva le cose chiare”: “la dottrina è questa”, “si deve fare questo” e i peccatori “si arrangino, io me ne vado”. Quelli che “vivono secondo questa sindrome di Giona”, ha aggiunto il Pontefice, Gesù “li chiama ipocriti, perché non vogliono la salvezza” della “povera gente”, degli “ignoranti” e “peccatori”:

“La ‘sindrome di Giona’ non ha lo zelo per la conversione della gente, cerca una santità – mi permetto la parola – una santità di ‘tintoria’, tutta bella, tutta benfatta, ma senza quello zelo di andare a predicare il Signore. Ma il Signore di fronte a questa generazione ammalata dalla ‘sindrome di Giona’ promette il segno di Giona. L’altra versione, quella di Matteo, dice: Giona è stato dentro la balena tre notti e tre giorni, riferimento a Gesù nel sepolcro – alla sua morte e alla sua Risurrezione – e quello è il segno che Gesù promette, contro l’ipocrisia, contro questo atteggiamento di religiosità perfetta, contro questo atteggiamento di un gruppo di farisei”.

C’è una parabola nel Vangelo, ha soggiunto il Pontefice, che dipinge benissimo questo aspetto: quella del fariseo e del pubblicano che pregano nel tempio. Il fariseo, “tanto sicuro di se stesso”, davanti all’altare ringrazia Dio per non essere come il pubblicano che invece solo chiede la pietà del Signore, riconoscendosi peccatore. Ecco allora che “il segno che Gesù promette per il suo perdono, tramite la sua morte e la sua Risurrezione”, ha detto il Papa, “è la sua misericordia”: “Misericordia voglio e non sacrifici”:

“Il segno di Giona, il vero, è quello che ci dà la fiducia di essere salvati per il sangue di Cristo. Quanti cristiani, quanti ce ne sono, pensano che saranno salvati soltanto per quello che loro fanno, per le loro opere. Le opere sono necessarie, ma sono una conseguenza, una risposta a quell’amore misericordioso che ci salva. Ma le opere sole, senza questo amore misericordioso non servono. Invece, la ‘sindrome di Giona’ ha fiducia soltanto nella sua giustizia personale, nelle sue opere”.

Gesù parla dunque di “generazione malvagia” e “alla pagana, alla regina di Saba, quasi la nomina giudice: si alzerà contro gli uomini di questa generazione”. E questo, ha evidenziato, “perché era una donna inquieta, una donna che cercava la saggezza di Dio”:

“Ecco, la ‘sindrome di Giona’ ci porta alla ipocrisia, a quella sufficienza, ad essere cristiani puliti, perfetti, ‘perché noi facciamo queste opere: compiamo i comandamenti, tutto’. E’ una grossa malattia. E il segno di Giona, che la misericordia di Dio in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, per la nostra salvezza. Sono due parole nella prima lettura che si collegano con questo. Paolo dice di se stesso che è apostolo non perché ha studiato questo, no: apostolo per chiamata. E ai cristiani dice: ‘Siete voi chiamati da Gesù Cristo’. Il segno di Giona ci chiama: seguire il Signore, peccatori, siamo tutti, con umiltà, con mitezza. C’è una chiamata, anche una scelta”.

“Approfittiamo oggi di questa liturgia – ha concluso il Papa – per domandarci e fare una scelta: cosa preferisco io? La sindrome di Giona o il segno di Giona?”




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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Amore a Dio e al prossimo contro idolatria e ipocrisia

Martedì, 15 ottobre 2013


 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 237, Merc. 16/10/2013)

 

Ipocrisia e idolatria «sono peccati grossi» che hanno origini storiche, ma che ancora oggi si ripetono con frequenza, anche fra i cristiani. Superarli «è tanto difficile»: per farlo «abbiamo bisogno della grazia di Dio». È la riflessione suggerita a Papa Francesco dalle letture della messa celebrata questa mattina, martedì 15 ottobre, nella cappella di Santa Marta.

«Il Signore — ha esordito — ci ha detto che il primo comandamento è adorare Dio, amare Dio. Il secondo è amare il prossimo come se stesso. La liturgia oggi ci parla di due vizi contro questi comandamenti», che in realtà, ha notato, è uno solo: amare Dio e il prossimo. E i vizi di cui si parla effettivamente «sono peccati grossi: l’idolatria e l’ipocrisia». L’apostolo Paolo, ha notato il Pontefice, non risparmia parole per descrivere l’idolatria. È «focoso», «forte» e dice: «L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà, perché l’idolatria è un’empietà, è una mancanza di pietas. È una mancanza di quel senso di adorare Dio che tutti noi abbiamo dentro. E l’ira di Dio si rivela contro ogni empietà, contro gli uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia». Essi soffocano la verità della fede, di quella fede «che ci è data in Gesù Cristo, nella quale si rivela la giustizia di Dio». È, ha proseguito il Papa, come un cammino da fede in fede «come diceva spesso Giovanni: grazia su grazia, di fede in fede. Il cammino della fede». Ma tutti noi «abbiamo bisogno di adorare, perché abbiamo l’impronta di Dio dentro di noi» e «quando non adoriamo Dio adoriamo le creature» e questo è «il passaggio dalla fede all’idolatria».

Gli idolatri «non hanno alcun motivo di scusa. Pur avendo conosciuto Dio — ha sottolineato il Vescovo di Roma — non l’hanno glorificato, né ringraziato come Dio». Ma qual è la strada degli idolatri? Lo dice molto chiaramente san Paolo ai romani. È una strada che fa smarrire: «Si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata». A questo conduce «l’egoismo del proprio pensiero, il pensiero onnipotente» che dice «quello che io penso è vero, io penso la verità, io faccio la verità con il mio pensiero». E proprio mentre si dichiaravano sapienti, gli uomini di cui parla san Paolo «sono diventati stolti. E hanno scambiato la gloria di Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi, di rettili».

Si potrebbe essere portati a pensare, ha avvertito il Papa, che si tratti di atteggiamenti del passato: «Oggi nessuno di noi va per le strade ad adorare statue». Ma non è così perché «anche oggi — ha detto il Pontefice — ci sono tanti idoli e anche oggi ci sono tanti idolatri. Tanti che si credono sapienti, anche fra noi, fra i cristiani». E ha subito aggiunto: «Io non parlo di quelli che non sono cristiani; li rispetto. Ma fra noi parliamo in famiglia». Molti cristiani infatti «si credono sapienti, sanno tutto», ma alla fine «diventano stolti e cambiano la gloria di Dio, incorruttibile, con un’immagine: il proprio io», con le proprie idee, con la propria comodità.

E non è una cosa d’altri tempi perché «anche oggi — ha evidenziato il Pontefice — per le strade ci sono gli idoli». Ma c’è di più, ha aggiunto: «Tutti noi abbiamo dentro qualche idolo nascosto. E possiamo domandarci davanti a Dio qual è il mio idolo nascosto, quello che occupa il posto del Signore. Uno scrittore francese, molto religioso, si arrabbiava facilmente. Era il suo difetto, si arrabbiava facilmente e spesso. Diceva: chi non prega Dio, prega il diavolo. Se tu non adori Dio, adori un idolo, sempre». Il bisogno dell’uomo di adorare, di Dio, che nasce dal fatto di portare impressa dentro di noi la sua «impronta», è tale «che se non c’è il Dio vivente, ci saranno questi idoli». E concludendo, in modo quasi provocatorio, il Papa ha chiesto a tutti di fare un esame di coscienza e di porsi la domanda: «Qual è il mio idolo»?

L’altro peccato «contro il primo comandamento proposto dalla liturgia di oggi è l’ipocrisia», ha proseguito il Santo Padre. Lo spunto per questa ulteriore riflessione è stato offerto dal racconto di Luca in cui si parla di «quell’uomo che invita Gesù a pranzo e si scandalizza perché non si lava le mani» e pensa che Gesù sia un «ingiusto» poiché «non compie quello che deve essere compiuto».

Ma così «come Paolo non risparmia parole contro gli idolatri — ha notato il Santo Padre — così Gesù non risparmia parole contro gli ipocriti: voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e cattiveria. È chiarissimo! Siete avidi e cattivi, stolti». Usa «la stessa parola che Paolo dice degli idolatri: sono diventati stolti, stolti. E che consiglio dà Gesù? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro il piatto ed ecco per voi tutto sarà più puro».

Gesù consiglia dunque di «non guardare le apparenze» ma di andare al cuore della verità: «Il piatto è il piatto, ma è più importante quello che è dentro il piatto: il pasto. Ma se tu sei un vanitoso, se tu sei un carrierista, se tu sei un ambizioso, se tu sei una persona che sempre si vanta di se stesso o al quale piace vantarsi, perché ti credi perfetto, fa un po’ d’elemosina e quella guarirà la tua ipocrisia».

«Ecco — ha concluso il Papa — la strada del Signore: adorare Dio, amare Dio sopra di tutto, e amare il prossimo. È tanto semplice, ma tanto difficile. Si può fare soltanto con la grazia. Chiediamo la grazia».

 



Il Papa: “cristiani ideologici” sono malattia grave, chiudono la porta che conduce a Gesù



Se un cristiano “diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede”. E’ quanto sottolineato, stamani 17 ottobre, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia i cristiani da un atteggiamento da “chiave in tasca e porta chiusa” ed ha ribadito che quando non si prega si abbandona la fede e si cade nell’ideologia e nel moralismo. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

“Guai a voi, dottori della legge, che avete portato via la chiave della conoscenza!”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia, muovendo dall’avvertimento di Gesù, di cui parla il Vangelo odierno. Il Papa ha attualizzato questo monito. “Quando andiamo per strada e ci troviamo davanti una chiesa chiusa – ha affermato – sentiamo qualcosa di strano”, perché “una chiesa chiusa non si capisce”.
A volte, ha sottolineato, “ci dicono spiegazioni” che non sono tali: “sono pretesti, sono giustificazioni, ma la realtà è che la chiesa è chiusa e la gente che passa davanti non può entrare”. E, ancora peggio, “il Signore che è dentro non può uscire”. Oggi, ha detto il Papa, Gesù ci parla di questa “immagine della chiusura”, è “l’immagine di quei cristiani che hanno in mano la chiave, ma la portano via, non aprono la porta”. Anzi peggio, “si fermano sulla porta” e “non lasciano entrare”, e così facendo “neppure loro entrano”. La “mancanza di testimonianza cristiana – ha osservato – fa questo” e “quando quel cristiano è un prete, un vescovo o un Papa è peggio”. Ma, si chiede Papa Francesco, come succede che un “cristiano cade in questo atteggiamento di chiave in tasca e porta chiusa?”:

“La fede passa, per così dire, per un alambicco e diventa ideologia. E l’ideologia non convoca. Nelle ideologie non c’è Gesù: la sua tenerezza, amore, mitezza. E le ideologie sono rigide, sempre. Di ogni segno: rigide. E quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero, di questo... E per questo Gesù dice loro: ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza’. La conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralistica, perché questi chiudevano la porta con tante prescrizioni”.

Gesù, ha proseguito il Papa, ce l’ha detto: “Voi caricate sulle spalle della gente tante cose; solo una è necessaria”. Questo è, dunque, il processo “spirituale, mentale” di chi vuole la chiave in tasca e la porta chiusa:

“La fede diventa ideologia e l’ideologia spaventa, l’ideologia caccia via la gente, allontana, allontana la gente e allontana la Chiesa dalla gente. Ma è una malattia grave, questa dei cristiani ideologici. E’ una malattia, ma non è nuova, eh? Già l’Apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera, parlava di questo. I cristiani che perdono la fede e preferiscono le ideologie. Il suo atteggiamento è: diventare rigidi, moralisti, eticisti, ma senza bontà. La domanda può essere questa, no? Ma perché un cristiano può diventare così? Cosa succede nel cuore di quel cristiano, di quel prete, di quel vescovo, di quel Papa, che diventa così? Semplicemente una cosa: quel cristiano non prega. E se non c’è la preghiera, tu sempre chiudi la porta”.

“La chiave che apre la porta alla fede – ha aggiunto il Papa – è la preghiera”. E ha avvertito: “Quando un cristiano non prega, succede questo. E la sua testimonianza è una testimonianza superba”. Chi non prega è “un superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione”. Invece, ha affermato, “quando un cristiano prega, non si allontana dalla fede, parla con Gesù”. E, ha precisato, “dico pregare, non dico dire preghiere, perché questi dottori della legge dicevano tante preghiere” per farsi vedere. Gesù, invece, dice: “Quando tu preghi, va nella tua stanza e prega il Padre di nascosto, da cuore a cuore”. “Una cosa – ha detto ancora il Papa – è pregare e un’altra cosa è dire preghiere”:

“Questi non pregano, abbandonano la fede e la trasformano in ideologia moralistica, casuistica, senza Gesù. E quando un profeta o un buon cristiano li rimprovera, fanno lo stesso che hanno fatto con Gesù: ‘Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile – questi ideologici sono ostili – e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie – sono insidiosi – per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca’. Non sono trasparenti. Eh, poverini, sono gente sporcata dalla superbia. Chiediamo al Signore la grazia, primo: non smettere di pregare, per non perdere la fede, rimanere umili. E così non diventeremo chiusi, che chiudono la strada al Signore”.


del sito Radio Vaticana 

***

[SM=g1740758] ottimo il commento di Don Antonio Ucciardo su questa omelia di stamani del Papa...

Qualcuno già si allarma per le parole del Santo Padre nell'omelia di questa mattina. Sì, è vero: il Papa non ha la santa abitudine di dire con chiarezza a chi si riferisce.
Presuppone sempre la conoscenza della fede.
Tuttavia, l'esempio iniziale e la conclusione, con il riferimento alla comunità di Giovanni e all'ideologia condannata dall'Apostolo, non lascia dubbi.
I destinatari sono i moderni gnostici, coloro che fanno di Gesù un maestro di morale (senza regole) e un ispiratore di umanizzazione.
Vale a dire la massima parte di teologi, docenti, profeti itineranti o da conferenze, preti e vescovi (mi permetto di citare questi ultimi perché lo ha fatto il Papa).
C'è la rigidità dell'ortodossia della fede, davanti alla quale nessun Papa potrebbe mai obiettare.
E c'è la rigidità di una presunta fede che deriva dalle idee, dalle scuole di pensiero, dalle sicurezze mondane.
Soltanto gli ingenui possono credere che i maestri di questo cristianesimo umanizzante e solidale sappiano essere misericordiosi e aperti all'altro.
In realtà sono chiusi nel loro mondo, e chiunque non condivida il loro pensiero è semplicemente un poveretto da commiserare.
Motivo per il quale hanno schernito pubblicamente, senza pudore, quel sant'uomo di Benedetto ed ora stappano bottiglie davanti ad ogni respiro di Francesco. Solo che Francesco sta stigmatizzando il loro pensiero e non quello di chi si aggrappa alla fede della Chiesa di sempre.


[SM=g1740771]


MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Il tramonto dell’apostolo

Venerdì, 18 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana,Anno CLIII, n. 240, Sab. 19/10/2013)

 

Un pellegrinaggio singolare è quello indicato da Papa Francesco durante la messa celebrata stamane, venerdì 18 ottobre, a Santa Marta. È la visita alle case di riposo dove sono ospitati preti e suore anziani. Si tratta di veri e propri «santuari di apostolicità e di santità – ha detto il Vescovo di Roma – che abbiamo nella Chiesa» dove dunque vale la pena andare come «in pellegrinaggio». Questa indicazione è stata il punto di arrivo di una riflessione che ha preso spunto dal confronto tra le letture della liturgia del giorno: il brano del Vangelo di Luca (10, 1-9) — nel quale si racconta «l’inizio della vita apostolica», quando i discepoli sono stati chiamati ed erano «giovani, forti e gioiosi» — e la seconda lettera di san Paolo a Timoteo (4, 10-17) nella quale l’apostolo, ormai vicino al «tramonto della sua esistenza», si sofferma sulla «fine della vita apostolica». Da questo confronto si capisce, ha spiegato il Papa, che ogni «apostolo ha un inizio gioioso, entusiasta, con Dio dentro; ma non gli è risparmiato il tramonto». E, ha confidato, «a me fa bene pensare al tramonto dell’apostolo».

Il pensiero è quindi andato a «tre icone»: Mosè, Giovanni il Battista e Paolo. Mosè è «quel capo del popolo di Dio, coraggioso, che lottava contro i nemici e lottava anche con Dio per salvare il popolo. È forte, ma alla fine si ritrova solo sul monte Nebo a guardare la terra promessa», nella quale però non può entrare. Anche al Battista «negli ultimi tempi non vengono risparmiate le angosce». Si domanda se ha sbagliato, se ha preso la vera strada, e ai suoi amici chiede di andare a domandare a Gesù «sei tu o dobbiamo aspettare ancora?». È tormentato dall’angoscia; al punto che «l’uomo più grande nato da donna», come lo ha definito Cristo stesso, finisce «sotto il potere di un governante debole, ubriaco e corrotto, sottoposto al potere dell’invidia di un’adultera e del capriccio di una ballerina».

Infine c’è Paolo, il quale confida a Timoteo tutta la sua amarezza. Per descriverne la sofferenza, il vescovo di Roma ha usato l’espressione «non è nel settimo cielo». E ha poi riproposto le parole dell’apostolo: «Figlio mio, Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi con te Marco e portalo, mi sarà utile; portami il mantello che ho lasciato, i libri e le pergamene. E ancora: Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni. Anche tu guardati da lui, perché si è accanito contro la nostra predicazione».

Il Papa ha proseguito ricordando il racconto che Paolo fa del processo: «nella prima difesa nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato, però il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annunzio del Vangelo». Un’immagine che, secondo il Pontefice, racchiude in sé il «tramonto» di ogni apostolo: «solo, abbandonato, tradito»; assistito soltanto dal Signore che «non abbandona, non tradisce», perché «Lui è fedele, non può rinnegare se stesso».

La grandezza dell’apostolo — ha sottolineato il Papa — sta dunque nel fare con la vita quello che il Battista diceva: «è necessario che lui cresca e io diminuisca»; l’apostolo è colui «che dà la vita perché il Signore cresca. E alla fine c’è il tramonto». È stato così anche per Pietro, ha fatto notare Papa Francesco, al quale Gesù ha predetto: «Quando tu sarai vecchio ti porteranno dove tu non vorrai andare».

La meditazione sulle fasi finali delle vite di questi personaggi ha così suggerito al Santo Padre «il ricordo di quei santuari di apostolicità e di santità che sono le case di riposo dei preti e delle suore». Strutture che ospitano, ha aggiunto, «bravi preti e brave suore, invecchiati, con il peso della solitudine, che aspettano che venga il Signore a bussare alla porta dei loro cuori». Purtroppo, ha commentato il Papa, noi tendiamo a dimenticare questi santuari: «non sono posti belli, perché uno vede cosa ci aspetta». Di contro però «se guardiamo più nel profondo, sono bellissimi», per la ricchezza di umanità che vi è dentro. Visitarli dunque significa fare «veri pellegrinaggi, verso questi santuari di santità e di apostolicità», alla stessa stregua dei pellegrinaggi che si fanno nei santuari mariani o in quelli dedicati ai santi.

«Ma mi chiedo — ha aggiunto il Papa — noi cristiani abbiamo la voglia di fare una visita — che sarà un vero pellegrinaggio! — a questi santuari di santità e di apostolicità che sono le case di riposo dei preti e delle suore? Uno di voi mi diceva, giorni fa, che quando andava in un Paese di missione, andava al cimitero e vedeva tutte le tombe dei vecchi missionari, preti e suore, lì da 50, 100, 200 anni, sconosciuti. E mi diceva: “Ma, tutti questi possono essere canonizzati, perché alla fine conta soltanto questa santità quotidiana, questa santità di tutti i giorni”».

Nelle case di riposo «queste suore e questi preti — ha detto il Papa — aspettano il Signore un po’ come Paolo: un po’ tristi, davvero, ma anche con una certa pace, col volto allegro». Proprio per questo fa «bene a tutti pensare a questa tappa della vita che è il tramonto dell’apostolo». E, concludendo, ha chiesto di pregare il Signore di custodire i sacerdoti e le religiose che si trovano nella fase finale della loro esistenza, affinché possano ripetere almeno un’altra volta «sì, Signore, voglio seguirti».





Il Papa: l'attaccamento ai soldi distrugge persone e famiglie, usiamo i beni che Dio ci dà per aiutare gli altri



La cupidigia, l’attaccamento ai soldi, distrugge le persone, distrugge le famiglie e i rapporti con gli altri: è quanto ha detto il Papa lunedì mattina 21 ottobre  durante la Messa a Santa Marta. L'invito non è quello di scegliere la povertà in se stessa, ma di utilizzare le ricchezze che Dio ci dà per aiutare chi ha bisogno. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3

Commentando il Vangelo del giorno, in cui un uomo chiede a Gesù di intervenire per risolvere una questione di eredità con suo fratello, il Papa sviluppa il problema del nostro rapporto con i soldi:

“Questo è un problema di tutti i giorni. Quante famiglie distrutte abbiamo visto per il problema di soldi: fratello contro fratello; padre contro figlio… E’ questo il primo lavoro che fa questo atteggiamento dell’essere attaccato ai soldi, distrugge! Quando una persona è attaccata ai soldi, distrugge se stessa, distrugge la famiglia! I soldi distruggono! Fanno questo, no? Ti attaccano. I soldi servono per portare avanti tante cose buone, tanti lavori per sviluppare l’umanità, ma quando il tuo cuore è attaccato così, ti distrugge”.

Gesù racconta la parabola dell’uomo ricco, che vive per accumulare “tesori per sé” e “non si arricchisce presso Dio”. L’avvertimento di Gesù è quello di tenersi lontano da ogni cupidigia:

“E’ quello che fa male: la cupidigia nel mio rapporto con i soldi. Avere di più, avere di più, avere di più… Ti porta all’idolatria, ti distrugge il rapporto con gli altri! Non i soldi, ma l’atteggiamento, che si chiama cupidigia. Poi anche questa cupidigia ti ammala, perché ti fa pensare soltanto tutto in funzione dei soldi. Ti distrugge, ti ammala… E alla fine - questo è il più importante - la cupidigia è uno strumento dell’idolatria, perché va per la strada contraria a quella che ha fatto Dio con noi. San Paolo ci dice che Gesù Cristo, che era ricco, si è fatto povero per arricchire noi. Quella è la strada di Dio: l’umiltà, l’abbassarsi per servire. Invece la cupidigia ti porta per la strada contraria: tu, che sei un povero uomo, ti fai Dio per la vanità. E’ l’idolatria!”.

Per questo – prosegue il Papa - Gesù dice cose “tanto dure, tanto forti contro questo attaccamento al denaro. Ci dice che non si può servire due padroni: o Dio o il denaro. Ci dice di non preoccuparci, che il Signore sa di che cosa abbiamo bisogno” e ci invita “all’abbandono fiducioso verso il Padre, che fa fiorire i gigli dal campo e dà da mangiare agli uccelli”. L’uomo ricco della parabola continua a pensare solo alle ricchezze, ma Dio gli dice: “Stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita!”. “Questa strada contraria alla strada di Dio – conclude il Papa - è una stoltezza, ti porta lontano dalla vita, distrugge ogni fraternità umana”:

“Il Signore ci insegna qual è il cammino: non è il cammino della povertà per la povertà. No! E’ il cammino della povertà come strumento, perché Dio sia Dio, perché Lui sia l’unico Signore! No l’idolo d’oro! E tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per fare andare avanti il mondo, andare avanti l’umanità, per aiutare, per aiutare gli altri. Rimanga oggi nel nostro cuore la Parola del Signore: ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede'".


 


[Modificato da Caterina63 20/11/2013 10:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)