00 06/09/2013 10:11

 


LETTERA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI 
A PADRE PETER-HANS KOLVENBACH 
IN OCCASIONE DELLA TRENTACINQUESIMA 
CONGREGAZIONE GENERALE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ


 

 

 

Al Reverendo Padre 
PETER-HANS KOLVENBACH, S.I. 
Preposito Generale della Compagnia di Gesù

 

In occasione della 35ª Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, è mio vivo desiderio di far pervenire a Lei e a quanti prendono parte all'Assemblea il più cordiale saluto, unito all'assicurazione del mio affetto e della mia costante vicinanza spirituale. So quanto sia importante per la vita della Compagnia l'evento che si sta celebrando, so pure che, di conseguenza, esso è stato preparato con grande cura. Si tratta di un'occasione provvidenziale per imprimere alla Compagnia di Gesù quel rinnovato impulso ascetico ed apostolico che è da tutti auspicato, perché i Gesuiti possano compiere appieno la loro missione ed affrontare le sfide del mondo moderno con quella fedeltà a Cristo e alla Chiesa che contraddistinse l'azione profetica di Sant'Ignazio di Loyola e dei suoi primi compagni.

 

Ai fedeli di Tessalonica l'Apostolo scrive di aver loro annunciato il vangelo di Dio, "incoraggiandovi e scongiurandovi - egli precisa - a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria" (1 Ts 2, 12), ed aggiunge: "Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma com'è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete" (1 Ts 2, 13). La parola di Dio viene dunque prima "ricevuta", cioè ascoltata, poi, penetrando fino al cuore, viene "accolta" e chi la riceve riconosce che Dio parla per mezzo del suo inviato: in tal modo la parola agisce nei credenti. Come allora, anche oggi l'evangelizzazione esige totale e fedele adesione alla parola di Dio: adesione innanzitutto a Cristo ed ascolto attento del suo Spirito che guida la Chiesa, docile obbedienza ai Pastori che Iddio ha posto a guida del suo popolo e prudente e franco dialogo con le istanze sociali, culturali e religiose del nostro tempo. Tutto ciò presuppone, com'è noto, un'intima comunione con Colui che ci chiama ad essere suoi amici e discepoli, un'unità di vita e di azione che si alimenta di ascolto della sua parola, di contemplazione e di preghiera, di distacco dalla mentalità del mondo e di incessante conversione al suo amore perché sia Lui, il Cristo, a vivere ed operare in ciascuno di noi. Sta qui il segreto dell'autentico successo dell'impegno apostolico e missionario di ogni cristiano, e ancor più di quanti sono chiamati a un più diretto servizio del Vangelo.

 

Tale consapevolezza è certamente ben presente a quanti prendono parte alla Congregazione Generale, e mi preme rendere omaggio per il grande lavoro già compiuto dalla commissione preparatoria che nel corso del 2007 ha esaminato i postulati giunti dalle Province ed ha indicato i temi da affrontare. Vorrei rivolgere il mio grato pensiero in primo luogo a Lei, caro e venerato Padre Preposito Generale, che dal 1983 guida in modo illuminato, saggio e prudente la Compagnia di Gesù, cercando in ogni modo di mantenerla nell'alveo del carisma originario. Ella, per oggettive ragioni, ha più volte chiesto di essere sollevato da così gravoso incarico assunto con grande senso di responsabilità in un momento non facile della storia dell'Ordine. Le esprimo il più vivo ringraziamento per il servizio reso alla Compagnia di Gesù e, più in generale, alla Chiesa. Il mio grato sentimento si estende ai suoi più diretti collaboratori, ai partecipanti alla Congregazione Generale e a tutti i Gesuiti sparsi in ogni parte del Pianeta. A tutti e a ciascuno giunga il saluto del Successore di Pietro, che segue con affetto e stima il molteplice ed apprezzato lavoro apostolico dei Gesuiti, e incoraggia tutti a continuare nel cammino aperto dal santo Fondatore e percorso da schiere innumerevoli di fratelli dediti alla causa di Cristo, molti dei quali iscritti dalla Chiesa nell'albo dei beati e dei santi. Siano essi dal cielo a proteggere e a sostenere la Compagnia di Gesù nella missione che svolge in questa nostra epoca segnata da numerose e complesse sfide sociali, culturali e religiose.

 

E proprio a questo proposito, come non riconoscere il valido contributo che la Compagnia offre all'azione della Chiesa in vari campi e in molti modi? Contributo veramente grande e benemerito, che solo il Signore potrà debitamente ricompensare! Come i miei venerati Predecessori, i Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, anch'io colgo volentieri l'opportunità della Congregazione Generale per porre in luce tale apporto e, al tempo stesso, per offrire alla vostra riflessione alcune considerazioni che vi siano di incoraggiamento e stimolo ad attuare sempre meglio l'ideale della Compagnia, in piena fedeltà al Magistero della Chiesa, così come viene descritto nella seguente formula a voi ben familiare: "Militare per Iddio sotto il vessillo della Croce e servire soltanto il Signore e la Chiesa sua sposa, a disposizione del Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra" (Litt. ap. Exposcit debitum, 21 luglio 1550).

Si tratta di una "peculiare" fedeltà sancita anche, per non pochi tra voi, da un voto di immediata obbedienza al Successore di Pietro "perinde ac cadaver". 

Di questa vostra fedeltà, che costituisce il segno distintivo dell'Ordine, la Chiesa ha ancor più bisogno oggi, in un'epoca in cui si avverte l'urgenza di trasmettere, in maniera integrale, ai nostri contemporanei distratti da tante voci discordanti l'unico e immutato messaggio di salvezza che è il Vangelo, "non quale parola di uomini, ma com'è veramente, quale parola di Dio", che opera in coloro che credono.

 

Perché ciò avvenga è indispensabile, come già ricordava l'amato Giovanni Paolo II ai partecipanti alla 34ª Congregazione Generale, che la vita dei membri della Compagnia di Gesù, come pure la loro ricerca dottrinale, siano sempre animate da un vero spirito di fede e di comunione in "docile sintonia con le indicazioni del Magistero" (Insegnamenti, vol. I, pp. 25-32). Auspico vivamente che la presente Congregazione riaffermi con chiarezza l'autentico carisma del Fondatore per incoraggiare tutti i Gesuiti a promuovere la vera e sana dottrina cattolica. Da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho avuto modo di apprezzare la valida collaborazione di Consultori ed esperti Gesuiti, i quali, in piena fedeltà al loro carisma, hanno contribuito in maniera considerevole alla fedele promozione e recezione del Magistero. Certo non è questo un impegno semplice, specialmente quando si è chiamati ad annunciare il Vangelo in contesti sociali e culturali molto diversi e ci si deve confrontare con mentalità differenti. Apprezzo pertanto sinceramente tale fatica posta al servizio di Cristo, fatica che è fruttuosa per il vero bene delle anime nella misura in cui ci si lascia guidare dallo Spirito Santo, e si rimane docili agli insegnamenti del Magistero, riferendosi a quei principi chiave della vocazione ecclesiale del teologo delineati nell'Istruzione Donum veritatis.

 

L'opera evangelizzatrice della Chiesa conta pertanto molto sulla responsabilità formativa che la Compagnia ha nel campo della teologia, della spiritualità e della missione. E, proprio per offrire all'intera Compagnia di Gesù un chiaro orientamento che sia sostegno per una generosa e fedele dedizione apostolica, potrebbe risultare quanto mai utile che la Congregazione Generale riaffermi, nello spirito di sant'Ignazio, la propria totale adesione alla dottrina cattolica, in particolare su punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare, come, ad esempio, il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni aspetti della teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l'indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali. 

Reverendo e caro Padre, sono persuaso che la Compagnia avverta l'importanza storica di questa Congregazione Generale e, guidata dallo Spirito Santo, voglia ancora una volta, come diceva l'amato Giovanni Paolo II nel gennaio del 1995, riaffermare "senza equivoci e senza esitazioni, la sua specifica via a Dio, quale sant'Ignazio ha tracciato nella Formula Instituti: la fedeltà amorosa al vostro carisma sarà sicura fonte di rinnovata fecondità" (Insegnamenti, vol. XVIII/1, 1995, p. 26). Quanto mai attuali risultano inoltre le parole che il venerato mio Predecessore Paolo VI ebbe a rivolgervi in un'altra analoga circostanza: "Tutti dobbiamo vegliare affinché l'adattamento necessario non si compia a detrimento dell'identità fondamentale, dell'essenzialità della figura del gesuita, quale è descritta nella Formula Instituti, quale la storia e la spiritualità propria dell'Ordine la propongono, e quale l'interpretazione autentica dei bisogni stessi dei tempi sembra oggi reclamare. Quell'immagine non deve essere alterata, non deve essere sfigurata" (Insegnamenti, vol. XII, 1974, pp. 1181-1182).

 

La continuità degli insegnamenti dei Successori di Pietro sta a dimostrare la grande attenzione e cura che essi mostrano nei confronti dei Gesuiti, la loro stima per voi e il desiderio di poter contare sempre sull'apporto prezioso della Compagnia per la vita della Chiesa e per l'evangelizzazione del mondo. All'intercessione del santo Fondatore e dei santi dell'Ordine, alla materna protezione di Maria affido la Congregazione Generale e l'intera Compagnia di Gesù, perché ogni figlio spirituale di sant'Ignazio possa avere dinanzi agli occhi "prima di ogni altra cosa Dio e poi la forma di questo suo Istituto" (Formula Instituti, 1). Con tali sentimenti, assicuro un costante ricordo nella preghiera ed imparto di cuore a Lei, Reverendo Padre, ai Padri della Congregazione Generale e all'intera Compagnia di Gesù una speciale Benedizione Apostolica.

 

Dal Vaticano, 10 Gennaio 2008.

 

BENEDICTUS PP. XVI








OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SANT'IGNAZIO

Chiesa del Gesù, Roma
Mercoledì 31 luglio 2013


 

In questa Eucaristia in cui celebriamo il nostro Padre Ignazio di Loyola, alla luce delle Letture che abbiamo ascoltato, vorrei proporre tre semplici pensieri guidati da tre espressioni: mettere al centro Cristo e la Chiesa; lasciarsi conquistare da Lui per servire; sentire la vergogna dei nostri limiti e peccati, per essere umili davanti a Lui e ai fratelli.

1. Lo stemma di noi Gesuiti è un monogramma, l’acronimo di “Iesus Hominum Salvator” (IHS). Ciascuno di voi potrà dirmi: lo sappiamo molto bene! Ma questo stemma ci ricorda continuamente una realtà che non dobbiamo mai dimenticare: la centralità di Cristo per ciascuno di noi e per l’intera Compagnia, che Sant’Ignazio volle proprio chiamare “di Gesù” per indicare il punto di riferimento. Del resto anche all’inizio degli Esercizi Spirituali, ci pone di fronte a nostro Signore Gesù Cristo, al nostro Creatore e Salvatore (cfr EE, 6). 
E questo porta noi Gesuiti e tutta la Compagnia ad essere “decentrati”, ad avere davanti il “Cristo sempre maggiore”, il “Deus semper maior”, l’”intimior intimo meo”, che ci porta continuamente fuori da noi stessi, ci porta ad una certa kenosis, ad “uscire dal proprio amore, volere e interesse” (EE, 189). Non è scontata la domanda per noi, per tutti noi: è Cristo il centro della mia vita? Metto veramente Cristo al centro della mia vita? Perché c’è sempre la tentazione di pensare di essere noi al centro. E quando un Gesuita mette se stesso al centro e non Cristo, sbaglia. 
Nella prima Lettura, Mosè ripete con insistenza al popolo di amare il Signore, di camminare per le sue vie, “perché è Lui la tua vita” (cfr Dt 30, 16.20). Cristo è la nostra vita! Alla centralità di Cristo corrisponde anche la centralità della Chiesa: sono due fuochi che non si possono separare: io non posso seguire Cristo se non nellaChiesa e con la Chiesa. E anche in questo caso noi Gesuiti e l’intera Compagnia non siamo al centro, siamo, per così dire, “spostati”, siamo al servizio di Cristo e della Chiesa, la Sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica (cfr EE, 353). Essere uomini radicati e fondati nella Chiesa: così ci vuole Gesù. Non ci possono essere cammini paralleli o isolati. Sì, cammini di ricerca, cammini creativi, sì, questo è importante: andare verso le periferie, le tante periferie. Per questo ci vuole creatività, ma sempre in comunità, nella Chiesa, con questa appartenenza che ci dà coraggio per andare avanti. Servire Cristo è amare questa Chiesa concreta, e servirla con generosità e spirito di obbedienza.

2. Qual è la strada per vivere questa duplice centralità? Guardiamo all’esperienza di san Paolo, che è anche l’esperienza di sant’Ignazio. 
L’Apostolo, nella Seconda Lettura che abbiamo ascoltato, scrive: mi sforzo di correre verso la perfezione di Cristo “perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Fil 3,12). Per Paolo è avvenuto sulla via di Damasco, per Ignazio nella sua casa di Loyola, ma il punto fondamentale è comune: lasciarsi conquistare da Cristo. Io cerco Gesù, io servo Gesù perché Lui mi ha cercato prima, perché sono stato conquistato da Lui: e questo è il cuore della nostra esperienza. Ma Lui è primo, sempre. In spagnolo c’è una parola che è molto grafica, che lo spiega bene: Lui ci “primerea”, “El nos primerea”. E’ primo sempre. Quando noi arriviamo, Lui è arrivato e ci aspetta. E qui vorrei richiamare la meditazione sul Regno nella Seconda Settimana. Cristo nostro Signore, Re eterno, chiama ciascuno di noi dicendoci: “chi vuol venire con me deve lavorare con me, perché seguendomi nella sofferenza, mi segua anche nella gloria” (EE, 95): Essere conquistato da Cristo per offrire a questo Re tutta la nostra persona e tutta la nostra fatica (cfr EE, 96); dire al Signore di voler fare tutto per il suo maggior servizio e lode, imitarlo nel sopportare anche ingiurie, disprezzo, povertà (cfr EE, 98). Ma penso al nostro fratello in Siria in questo momento. Lasciarsi conquistare da Cristo significa essere sempre protesi verso ciò che mi sta di fronte, verso la meta di Cristo (cfr Fil 3,14) e chiedersi con verità e sincerità: Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo? (cfr EE, 53).

3. E vengo all’ultimo punto. Nel Vangelo Gesù ci dice: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà… Chi si vergognerà di me…” (Lc 9, 23). E così via. La vergogna del Gesuita. 
L’invito che fa Gesù è di non vergognarsi mai di Lui, ma di seguirlo sempre con dedizione totale, fidandosi e affidandosi a Lui. Ma guardando a Gesù, come ci insegna sant’Ignazio nella Prima Settimana, soprattutto guardando il Cristo crocifisso, noi sentiamo quel sentimento tanto umano e tanto nobile che è la vergogna di non essere all’altezza; guardiamo alla sapienza di Cristo e alla nostra ignoranza, alla sua onnipotenza e alla nostra debolezza, alla sua giustizia e alla nostra iniquità, alla sua bontà e alla nostra cattiveria (cfr EE, 59). 
Chiedere la grazia della vergogna; vergogna che viene dal continuo colloquio di misericordia con Lui; vergogna che ci fa arrossire davanti a Gesù Cristo; vergogna che ci pone in sintonia col cuore di Cristo che si è fatto peccato per me; vergogna che mette in armonia il nostro cuore nelle lacrime e ci accompagna nella sequela quotidiana del “mio Signore”. E questo ci porta sempre, come singoli e come Compagnia, all’umiltà, a vivere questa grande virtù. Umiltà che ci rende consapevoli ogni giorno che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, ma è sempre la grazia del Signore che agisce in noi; umiltà che ci spinge a mettere tutto noi stessi non a servizio nostro o delle nostre idee, ma a servizio di Cristo e della Chiesa, come vasi d’argilla, fragili, inadeguati, insufficienti, ma nei quali c’è un tesoro immenso che portiamo e che comunichiamo (2 Cor 4,7). 
A me è sempre piaciuto pensare al tramonto del gesuita, quando un gesuita finisce la sua vita, quando tramonta. E a me vengono sempre due icone di questo tramonto del gesuita: una classica, quella di san Francesco Saverio, guardando la Cina. L’arte lo ha dipinto tante volte questo tramonto, questo finale di Saverio. Anche la letteratura, in quel bel pezzo di Pemán. Alla fine, senza niente, ma davanti al Signore; questo a me fa bene, pensare questo. L’altro tramonto, l’altra icona che mi viene come esempio, è quella di Padre Arrupe nell’ultimo colloquio nel campo dei rifugiati, quando ci aveva detto – cosa che lui stesso diceva – “questo lo dico come se fosse il mio canto del cigno: pregate”. La preghiera, l’unione con Gesù. E, dopo aver detto questo, ha preso l’aereo, è arrivato a Roma con l’ictus, che ha dato inizio a quel tramonto tanto lungo e tanto esemplare. Due tramonti, due icone che a tutti noi farà bene guardare, e tornare a queste due. E chiedere la grazia che il nostro tramonto sia come il loro.

Cari fratelli, rivolgiamoci a Nuestra Señora, Lei che ha portato Cristo nel suo grembo e ha accompagnato i primi passi della Chiesa, ci aiuti a mettere sempre al centro della nostra vita e del nostro ministero Cristo e la sua Chiesa; Lei che è stata la prima e più perfetta discepola del suo Figlio, ci aiuti a lasciarci conquistare da Cristo per seguirlo e servirlo in ogni situazione; Lei che ha risposto con la più profonda umiltà all’annuncio dell’Angelo: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38), ci faccia provare la vergogna per la nostra inadeguatezza di fronte al tesoro che ci è stato affidato, per vivere l’umiltà di fronte a Dio. Accompagni il nostro cammino la paterna intercessione di sant’Ignazio e di tutti i Santi Gesuiti, che continuano ad insegnarci a fare tutto, con umiltà, ad maiorem Dei gloriam.

 
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[Modificato da Caterina63 24/01/2014 23:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)