Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

DIFENDERE LA VERA FEDE

Lettera al Papa di una mamma di nove figli......

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    Caterina63
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    00 03/10/2013 10:42
    [SM=g1740758] Avvisiamo subito che questa Lettera, al momento non più raggiungibile al link di origine, è stata scritta da una persona che conosce bene il cardinale Bergoglio e che ora apre il suo cuore al Papa Francesco, raccogliendo un pò di quelle perplessità che ci coinvolgono tutti, tutti coloro che hanno sempre amato un linguaggio schietto, sereno, pacifico, ma pur sempre dottrinale..... e che spesso sulla propria pelle hanno dovuto sperimentare le incomprensioni di chi ha sempre creduto che chiunque arriva può cambiare la Chiesa a seconda dei propri gusti......
    NON pubblichiamo questa lettera con la pretesa di fare fan o creare gruppi di partito, ma ve la offriamo per riflettere e per ricordare a noi che qualunque Papa si deve interpretare esclusivamenete con IL MAGISTERO BIMILLENARIO DELLA CHIESA E DEL CATECHISMO e che laddove il Papa si esprimesse in termini ambigui o che ci appaiono contrari, non va usato per dire che la dottrina della Chiesa cambia.....
    Buona meditazione.

    Condivido con chi vorrà leggerla la lettera che ho inviato al nostro Papa Francesco. Spero la possa ricevere entro pochi giorni.

     

    Huixquilucan, Messico, 23 settembre 2013

    Carissimo Papa Francesco, sono tanto lieta di avere l’opportunità di salutarti. Sicuramente non ti ricorderai di me; vedendo così tante persone nuove ogni giorno deve essere difficile ricordare tutti, anche coloro con cui hai conversato e vissuto durante il lungo corso della tua vita. Negli ultimi 12 anni, tu ed io, più volte ci siamo trovati in diversi incontri, riunioni della Chiesa e conferenze che hanno avuto luogo nelle città dell’America Centrale e Meridionale su temi diversi (la comunicazione, la catechesi, l’educazione). Durante questi incontri pastorali ho avuto la possibilità di vivere con te per tanti giorni, dormendo sotto lo stesso tetto, condividendo la stessa mensa e anche la stessa scrivania. Allora eri l’Arcivescovo di Buenos Aires e io il direttore di uno dei principali mezzi di comunicazione cattolici. Adesso tu sei il Santo Padre e io... solo una madre, cristiana, sposata con un buon marito e nove figli, che insegna matematica presso l’Università e che cerca di collaborare meglio che può con la Chiesa, dal luogo in cui Dio l'ha posta. In questi incontri di diversi anni fa, mi ricordo più di una volta ti sei rivolto a me dicendo: - “Ragazza, chiamami Jorge Mario, siamo amici”; io risposi spaventata: - “Assolutamente no, signor Cardinale! Dio me ne scampi dal dare del tu a uno dei suoi principi sulla terra!”. Ora però mi permetto di darti del tu, perché non sei più il card. Bergoglio, ma il Papa, il mio Papa, il dolce Cristo in terra, al quale ho la fiducia di rivolgermi come a mio padre. Ho deciso di scriverti perché soffro e ho bisogno che tu mi consoli. Ti spiegherò cosa mi succede, cercando di essere il più breve possibile. So che ti piace confortare coloro che soffrono e ora anche io sono una di loro.

    Quando ti ho conosciuto durante questi ritiri, quando eri ancora il cardinal Bergoglio, mi aveva colpito e lasciata perplessa il fatto che tu non hai mai agito come facevano gli altri cardinali e vescovi. Per fare alcuni esempi: tu eri l’unico lì che non si genufletteva davanti al Tabernacolo o durante la Consacrazione, se tutti i 
    vescovi si presentavano con la sottana e il loro abito talare, perché così richiedevano le regole necessarie per la riunione, tu ti presentavi in completo da strada e collare clericale. Se tutti si sedevano sui posti riservati ai i vescovi e cardinali, tu lasciavi vuoto il posto del cardinale Bergoglio e ti sedevi più indietro, dicendo “qui sto bene, così mi sento più a mio agio”. Se altri arrivavano con una macchina che corrisponde alla dignità di un vescovo, tu arrivavi dopo gli altri, indaffarato e di fretta, raccontando ad alta voce i tuoi incontri nel trasporto pubblico scelto per venire alla riunione.

    Vedendo queste cose — mi vergogno nel raccontartelo — dicevo dentro di me:  - “Uff... che voglia di attirare l’attenzione! Perché, se si vuole essere veramente umile e semplice, non è forse meglio comportarsi come gli altri vescovi per passare inosservati?”. Anche alcuni miei amici argentini che hanno partecipato questi incontri, in qualche modo notavano la mia confusione, e mi dicevano: - “No, non sei la sola. A tutti noi sconcerta sempre, ma sappiamo che ha criteri chiari, e nei suoi discorsi mostra convinzioni e certezze sempre fedeli al Magistero e alla Tradizione della Chiesa, è un coraggioso fedele, difensore della retta dottrina... A quanto pare però ama essere amato da tutti e piacere a tutti. In tal senso potrebbe un giorno fare un discorso in TV contro l’aborto e il giorno dopo, nello stesso show televisivo, benedire le femministe pro-aborto in Plaza de Mayo; potrebbe fare un discorso meraviglioso contro i massoni e, ore dopo, mangiare e brindare con loro al Club Rotary Club”.

    Mio caro Papa Francesco, è vero, questo fu il card. Bergoglio che ho conosciuto da vicino. Un giorno intento a chiacchierare animatamente con il vescovo Duarte Aguer sulla difesa della vita e della liturgia e lo stesso giorno, a cena, a chiacchierare sempre animatamente con Mons. Ysern e Mons. Rosa Chavez sulle comunità di base e i terribili ostacoli che rappresentano “gli insegnamenti dogmatici” della Chiesa. Un giorno amico del card. Card. Cipriani e del Card. Rodriguez Maradiaga a parlare di etica aziendale e contro le ideologie del New Age e poco dopo amico di Casaldáliga e Boff a parlare di lotta di classe e della “ricchezza” che le tecniche orientali potrebbero donare alla Chiesa.
    Con queste premesse, comprenderai quanto enormemente ho sgranato gli occhi, quando ho sentito il tuo nome dopo l’“Habemus Papam” e da quel momento (prima che tu lo chiedessi) ho pregato per te e per la mia amata Chiesa. E non ho smesso di farlo per un solo giorno, da allora. Quando ti ho visto sul balcone, senza cotta, senza cappuccio, rompendo il protocollo di saluto e la lettura del testo latino, cercando con questo di differenziarti dal resto dei Papi nella storia, sorridendo, preoccupata, dissi tra me e me: - “Sì, senza dubbio. Questo è il cardinale Bergoglio”.
     



    [Modificato da Caterina63 03/10/2013 10:43]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 03/10/2013 10:46


    Nei giorni successivi alla tua elezione, mi hai dato diverse occasioni per confermare che sei la stessa persona che avevo conosciuto da vicino, sempre alla ricerca di una diversità: hai chiesto scarpe diverse, anello diverso, Croce diversa, sedia diversa e persino stanza e casa diverse dal resto dei Papi che sempre si erano accontentati umilmente delle cose previste, senza la necessità di cose “particolari”, apposta per loro.

    In quei giorni stavo cercando di recuperare dall’immenso dolore provato dalle dimissioni del mio amato e molto ammirato Papa Benedetto XVI, nel quale mi sono identificata fin dal principio per la chiarezza nei suoi insegnamenti (il miglior insegnante del mondo), per la sua fedeltà alla Liturgia, per il suo coraggio nel difendere la dottrina giusta fra i nemici della Chiesa e mille cose che non elencherò qui. Con lui al timone della barca di Pietro mi sentivo come se calpestassi la terra ferma.
    E con le sue dimissioni, ho sentito la terra sparire sotto i miei piedi; ma ho capito, i venti erano veramente tempestosi e il papato significava qualcosa di troppo agitato per la sua forza, ormai diminuita dall’età, nella terribile e violenta guerra culturale che stava sostenendo.
    In quel momento mi sentivo come abbandonata in mezzo alla guerra, al terremoto, nel più feroce uragano, e improvvisamente tu sei venuto a sostituirlo al timone.

    Abbiamo un nuovo capitano, diamo grazia a Dio! Confidai pienamente (senza dubbio alcuno) che, con l’assistenza dello Spirito Santo, con la preghiera dei fedeli, con il peso della responsabilità, con l’assistenza del gruppo di lavoro in Vaticano e con la coscienza di essere osservato in tutto il mondo, Papa Francesco lasciasse alle spalle le cose speciali e le ambivalenze del card. Bergoglio e subito prendesse il comando dell’esercito e, con rinnovato vigore, continuasse il percorso di lotta che il suo predecessore aveva ingaggiato. Purtroppo, con mia sorpresa e smarrimento, il mio nuovo generale, piuttosto che prendere le armi una volta arrivato, cominciò il suo mandato utilizzando il tempo del Papa per telefonare al suo parrucchiere, al suo dentista, al suo lattaio e al suo edicolante, attraendo sguardi sulla sua persona e non su assunti importanti per il Papato.

    Sono passati sei mesi da allora e riconosco, con amore ed emozione, che hai fatto migliaia di cose buone. Mi piacciono molto (moltissimo) i tuoi discorsi formali (a politici, ginecologi, comunicatori, alla Giornata della Pace, etc.) e le tue omelie delle Solennità, perché in esse si vede una preparazione minuziosa e una profonda meditazione di ogni parola usata. Le tue parole, in questi discorsi e omelie, sono stati un vero e proprio cibo per il mio spirito. Mi piace molto che la gente ti ami e ti applauda. Tu sei il mio Papa, il Supremo Capo della mia Chiesa, la Chiesa di Cristo.  Tuttavia – e questo è il motivo della mia lettera – devo dire che ho anche sofferto (e soffro), per molte tue parole, perché dici cose che sento come stoccate al basso ventre durante i miei continui tentativi di sincera fedeltà al Papa e al Magistero. Mi sento triste, sì, ma la parola migliore per esprimere i miei sentimenti corrente è: perplessità.

    Non so cosa dire e cosa non dire, non so dove insistere e dove lasciar correre. Ho bisogno che tu mi orienti, caro Papa Francesco. Sto davvero soffrendo, e molto, per questa perplessità che mi immobilizza. Il mio grande problema è che ho dedicato gran parte della mia vita allo studio della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero, in modo da avere forti ragioni per difendere la mia fede. E ora, molte di queste solide basi sono in contraddizione con ciò che il mio amato Papa fa e dice. Sono scioccata e ho bisogno che tu mi dica cosa fare. Mi spiegherò meglio, con alcuni esempi. Io non posso applaudire un Papa che non si genuflette davanti al Tabernacolo né durante la Consacrazione come insegna il rito della Messa; ma non posso criticarlo, perché è il Papa! Benedetto XVI ci ha chiesto nella Redemptionis Sacramentum che informassimo il vescovo di delle infedeltà e degli abusi liturgici a cui assistiamo. Ma... chi devo informare se il Papa stesso non rispetta la liturgia?
    Non so cosa fare. Disobbedisco alle indicazioni del nostro Papa emerito?

    Non posso sentirmi felice per aver eliminato l’uso della patena e degli inginocchiatoi per i comunicandi, e nemmeno mi può piacere che non ti abbassi mai a dare la comunione ai fedeli, che non chiami te stesso “il Papa”, ma solo “Vescovo di Roma” o che non usi l’anello piscatorio. Però non posso nemmeno lamentarmi, perché tu sei il Papa! Non mi sento orgogliosa che tu abbia lavato i piedi di una donna musulmana il Giovedì Santo, poiché è una violazione della legge liturgica, ma non posso emettere un pigolio, perché Tu sei il Papa, che rispetto e a cui debbo essere fedele! Mi ha fatto terribilmente male quando hai punito i Frati Francescani dell’Immacolata, perché celebravano la Santa Messa in rito antico con il permesso esplicito del tuo predecessore nella Summorum Pontificum. E punirli, significa andare contro gli insegnamenti dei Papi precedenti. Ma a chi posso comunicare il mio dolore, tu sei il Papa! 

    Non sapevo cosa pensare o dire quando ti sei burlato pubblicamente di un gruppo che aveva detto per te dei rosari, chiamandoli “quelli che contano le preghiere”. Essendo i rosari una stupenda tradizione nella Chiesa, cosa debbo pensare io, se al mio Papa non piace e deride chi glieli offre? Ho tanti amici “pro-life” che pochi giorni fa hai molto rattristato chiamandoli “ossessionati ed ossessivi”. Cosa devo fare? Consolarli, addolcendo falsamente le tue parole o ferirli ancora di più, ripetendo quello che hai detto a loro, per voler essere fedele al Papa e ai suoi insegnamenti?

    Alla GMG chiedesti ai giovani di “fare casino per le strade”. La parola “casino”, per quanto ne so, è sinonimo di “disordine”, “caos”, “confusione”. Davvero questo è quello che si vuole che facciano i giovani cristiani nelle strade? Non ci sono già abbastanza confusione e disordine nel mondo?
    So di molte donne sole e anziane (zitelle), che sono molto allegre, simpatiche e generose e che davvero si sentirono degli scarti quando dicesti alle religiose che non dovevano avere la faccia da zitelle. Hai fatto sentire molto male le mie amiche e me; mi ha fatto male nell’anima per loro, perché non c’è nulla di male nell’essere rimaste sole e dedicar la vita alle buone opere (di fatto, la solitudine viene specificata come una vocazione nel Catechismo). Cosa devo dire alle mie amiche “zitelle”? Che il Papa non parlava sul serio (cosa che non può fare un Papa) oppure che appoggio il Papa nel fatto che tutte le zitelle hanno una faccia da religiose amareggiate? 



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 03/10/2013 10:49

    Un paio di settimane fa hai detto che “questo che stiamo vivendo è uno dei momenti migliori della Chiesa”. Come può dire questo un Papa quando tutti sappiamo che vi sono milioni di giovani cattolici che vivono in concubinato e altrettanti milioni di matrimoni cattolici dove si usano contraccettivi; quando il divorzio è “il nostro pane quotidiano” e milioni di madri cattoliche uccidono i loro figli non nati con l’aiuto di medici cattolici; quando vi sono milioni di imprenditori cattolici che non sono guidati dalla dottrina sociale della Chiesa, ma dall’ambizione e dall’avarizia; quando vi sono migliaia di sacerdoti che commettono abusi liturgici; quando vi sono centinaia di milioni di cattolici che mai hanno avuto un incontro con Cristo e non conoscono l’essenziale della dottrina; quando l’educazione e i governi sono in mano alla massoneria e l’economia mondiale in mano al sionismo? È questo il momento migliore della Chiesa?

    Quando lo hai detto, amato Papa, fui presa dal panico. Se il capitano non sta vedendo l’Iceberg che abbiamo innanzi, è molto probabile che ci schianteremo contro di esso. Ci credi veramente o è solo un modo di dire caro Papa? Molti grandi predicatori si sono sentiti devastati al sapere che hai detto che ora non bisogna più parlare dei temi dei quali la Chiesa ha già parlato e che stanno scritti nel Catechismo. Dimmi, caro Papa Francesco, cosa dobbiamo fare noi cristiani che vogliamo essere fedeli al Papa ed anche al Magistero e alla Tradizione? Smettiamo di predicare sebbene San Paolo ci abbia detto che bisogna farlo in ogni occasione? La finiamo con i predicatori coraggiosi, li forziamo al silenzio, mentre vezzeggiamo i peccatori e con dolcezza diciamo loro che, se possono e vogliono, leggano il Catechismo per sapere cosa dice la Chiesa?

    Ogni volta che parla dei “pastori con odore di pecore”, penso a tutti quei sacerdoti che si sono lasciati contaminare dalle cose del mondo e hanno perso il loro profumo sacerdotale per acquisire un certo odore di decomposizione. Io non voglio pastori 
    con l’odore di pecora, ma pecore che non odorino di sterco, perché il loro pastore le cura e le mantiene sempre pulite. Qualche giorno addietro hai parlato della Vocazione di Matteo con queste parole: «Mi impressiona il gesto di Matteo. Si attacca al denaro, come dicendo: “No, non a me! Questo danaro è mio!”». Non si può evitare di comparare le tue caro Papa parole con il Vangelo (Mt, 9,9), contro quello che lo stesso Matteo dice della sua vocazione: “Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì». Non riesco a vedere dove sta l’attaccamento al denaro (nemmeno lo vedo nel quadro di Caravaggio).

    Vedo due narrazioni distinte ed una esegesi sbagliata. A chi devo credere, al Vangelo o al Papa, se voglio essere fedele al Vangelo e al Papa? Quando hai parlato della donna che vive in concubinato dopo un divorzio e un aborto, dicesti “adesso vive in pace”. Mi domando: può vivere in pace una signora che si è volontariamente allontanata dalla grazia di Dio?

    I Papi precedenti, da San Pietro fino a Benedetto XVI, hanno detto che non è possibile incontrare la pace lontani da Dio, però Papa Francesco lo ha affermato. Su cosa mi debbo fondare, sul Magistero di sempre o su questa novità? Devo affermare, a partire da oggi, per essere fedele al Papa, che la pace si può incontrare in una vita di peccato? Poi hai buttato lì la domanda senza dare risposta su come deve comportarsi un confessore, come se volessi aprire il vaso di Pandora sapendo che ci sono centinaia di sacerdoti che erroneamente consigliano di continuare nel concubinato.
    Perché il mio Papa, il mio caro Papa, non ci ha detto in poche parole cosa si deve consigliare in casi come questo, invece di aprire il dubbio nei cuori sinceri?

    Ho conosciuto il cardinale Bergoglio in modo quasi familiare e sono testimone fedele del fatto che sia un uomo intelligente, simpatico, spontaneo, molto spiritoso e molto acuto. Però non mi piace che la stampa stia pubblicando tutti i tuoi detti e le tue battute, perché non sei un parroco di paese; non sei l’arcivescovo di Buenos Aires; ora sei il Papa!
    E ogni parola che dici come Papa, acquista valore di magistero ordinario per molti di quelli che ti leggono e ti ascoltano. Ho già scritto troppo abusando del tuo tempo, mio buon Papa. Con gli esempi che ti ho dato, (sebbene ve ne siano molti altri) credo di aver chiarito il dolore per l’incertezza e la perplessità che sto vivendo. Solo tu puoi aiutarmi. Ho bisogno di una guida che illumini i miei passi basando su quello che sempre ha detto la Chiesa, che parli con coraggio e chiarezza, che non offenda chi lavora per essere fedeli al mandato di Gesù; che dica “pane al pane, vino al vino”, “peccato” al peccato e “virtù” alla virtù, anche se con questo mette a

    rischio la sua popolarità. Ho bisogno della tua saggezza, della tua fermezza e chiarezza. Ti chiedo aiuto, per favore, perché sto soffrendo molto. So che Dio ti ha dotato di una intelligenza molto acuta, cosicché, cercando di consolarmi da sola, ho potuto immaginare che tutto quello che fai e dici è parte di una strategia per sconcertare il nemico, presentandoti davanti a lui con la bandiera bianca e ottenendo così che abbassi la guardia. Ma mi piacerebbe che tu condividessi questa strategia con quelli che lottano al tuo fianco, perché, oltre che a sconcertare il nemico, stai sconcertando anche noi, che non sappiamo più dove sta il nostro quartier generale e dove si trova il fronte del nemico.
    Ti ringrazio ancora una volta per tutto il bene che hai fatto e quello che hai detto durante le solennità, quando hai pronunciato omelie e discorsi bellissimi, perché davvero ci sono serviti moltissimo. Le tue parole ci hanno animato e dato l’impulso ad amare di più, ad amare sempre, ad amare in modo migliore, a mostrare al mondo intero il volto amoroso di Gesù.
    Ti mando un abbraccio filiale molto amorevole, mio caro Papa, con la certezza delle mie preghiere. Chiedo anche le tue, per me e per la tua famiglia, di cui allego una foto, perché tu possa pregare per noi, conoscendo il nostro viso. 


    [SM=g1740771]




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 03/10/2013 10:55
    [SM=g1740758] per comprendere l'animo e lo spirito di questa lettera, è bene leggere anche l'articolo seguente.
    Attenzione, il sociologo NON giudica mai le persone ma analizza come certi comportamenti e certi atti intrapresi, possono influenzare la società, cioè fa una ANALISI che solo il tempo potrà spiegare ma nel frattempo ci coinvolgono anche se solo sul piano sentimentale, sia pro che contro ....
    [SM=g1740733]


    De Marco su papa Francesco: “In coscienza devo rompere il coro…”

     

    UN MESSAGGIO ALLO STATO LIQUIDO

    di Pietro De Marco

    In coscienza devo rompere il coro cortigiano, composto da nomi laici ed ecclesiastici fin troppo conosciuti, che accompagna da mesi gli interventi pubblici di papa Jorge Mario Bergoglio, per segnalare solo alcune delle reiterate approssimazioni in cui cade il suo eloquio.

    Nessuno è esente, nel conversare quotidiano e privato e tra pochi, da approssimazioni e forzature, ma non vi è persona che abbia responsabilità di fronte a molti – chi insegna ad esempio – che non adotterà in pubblico altro registro e cercherà di evitare l’improvvisazione.

    Ora, invece, abbiamo letto di un papa che esclama: “Chi sono io per giudicare?”, come si può dire enfaticamente a tavola o anche predicando esercizi spirituali. Ma di fronte alla stampa e al mondo un “Chi sono io per giudicare?” detto da un papa stride oggettivamente con l’intera storia e la natura profonda della funzione petrina, dando in più la sgradevole sensazione di un’uscita incontrollata. Poiché papa Francesco ha consapevolezza almeno dei propri poteri come papa, si tratta – qualsiasi cosa volesse dire – di un grosso errore comunicativo.

    Abbiamo letto poi nell’intervista a “La Civiltà Cattolica” la frase: “L’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile”, che sembra accomunare sotto la figura liberal-libertaria della “ingerenza” sia il giudizio teologico-morale, sia la valutazione pubblica della Chiesa, quando necessaria, e persino la cura di un confessore o direttore spirituale nell’indicare, prevenire, sanzionare condotte intrinsecamente cattive.

    Bergoglio adotta involontariamente qui un luogo comune tipico della postmodernità, secondo la quale la decisione individuale è, come tale, sempre buona o almeno sempre dotata di valore, in quanto personale e libera come si pensa ingenuamente che essa sia, quindi insindacabile.

    Questo scivolamento è coperto, non solo in Bergoglio, da formule relative alla sincerità e al pentimento del singolo, quasi che sincerità e pentimento cancellino la natura del peccato e vietino alla Chiesa di chiamarlo col suo nome. Inoltre, che tacere e rispettare quello che ognuno fa perché libero e sincero nel farlo siano misericordia è dubbio: abbiamo sempre saputo che il chiarire, non il nascondere, la natura di una condotta di peccato è un atto eminente di misericordia, perché permette al peccatore il discernimento di sé e del proprio stato, secondo la legge e l’amore di Dio. Che anche un papa sembri confondere il primato della coscienza con una sorta di ingiudicabilità, anzi, di immunità dal giudizio della Chiesa è un rischio magisteriale che non può essere sottovalutato.

    Ieri poi, su “la Repubblica” del 1 ottobre, abbiamo letto troppe battute azzardate. Abbiamo appreso che “il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso”, come risposta al tema della conversione proposto un poco ironicamente da Eugenio Scalfari. Cercare la conversione dell’altro non è una “sciocchezza”; lo si può fare in maniera sciocca, oppure sublime come in molti santi. Ricordo che i coniugi Jacques e Raïssa Maritain, anch’essi dei convertiti, desideravano ardentemente e operavano per il ritorno alla fede di loro grandi amici.

    Poi abbiamo letto che, di fronte alla obiezione relativistica di Scalfari: “Se vi è un’unica visione del Bene, chi la stabilisce?”, il papa concede che “ciascuno di noi ha una sua visione del bene” e “noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il bene”.

    Ora, ragionando, se ognuno ha “una sua visione del bene” che deve realizzare, tali visioni non possono che risultare le più diverse, in contrasto e in conflitto spesso mortale, come provano la cronaca e la storia. Incitare a procedere secondo la personale visione del bene è in realtà incitare alla lotta di tutti contro tutti, una lotta strenua, perché compiuta per il Bene e non per l’utile o altro contingente. È per questo che le visioni particolari – anche quelle guidate dalle intenzioni più rette – devono essere regolate da un sovrano, o modernamente dalle leggi, e in ultimo dalla legge di Cristo, che non ha alcuna sfumatura concessiva in termini individualistici.

    Forse papa Francesco voleva dire che l’uomo, secondo la dottrina cattolica della legge naturale, ha la capacità originaria, un impulso primario e fondamentale dato (non “suo” particolare, ma universalmente dato) da Dio, di distinguere ciò che è in sé Bene da ciò che è in sé Male. Ma qui si inserisce il mistero del peccato e della grazia. Si può esaltare Agostino, come il papa fa, e omettere che in “ciò che l’uomo può pensare sia il bene” opera sempre anche il peccato? Che ne è della dialettica tra la città di Dio e la città dell’uomo e del diavolo, “civitas” dell’amore di sé? Se il Bene fosse ciò che l’individuo pensa sia bene, e la convergenza di questi pensieri salvasse l’uomo, che necessità vi sarebbe stata della legge positiva in genere, della legge di Dio in particolare, e dell’incarnazione del Figlio?

    Sostiene ancora il papa che “il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco (!) in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare”.

    Tutto ciò suona come un a priori poco critico: quanto distruttivo “ecumenismo” e quanto “dialogo” subalterno alle ideologie del Moderno abbiamo visto all’opera nei decenni passati, a cui solo Roma, da Paolo VI a Benedetto XVI, ha posto un argine! Il Bergoglio che criticò le teologie della liberazione e della rivoluzione non può non sapere che il “dialogo con la cultura moderna” attuato dopo il Concilio fu ben altra cosa che un garbato “ecumenismo”.

    Sorvolo le autoconcessioni del papa a una mediocre polemica antipapale (“i papi spesso narcisi”, “malamente eccitati dai cortigiani”), le battute sul “clericalismo” (che c’entra san Paolo? Giacomo era un clericale?), la concessione affrettata che il “solo” modo di amare Dio sia l’amore degli altri, proposizione che altera Mc. 12, 28-34, e legittima un cristianesimo sociale-sentimentale che da secoli fa così a meno del mistero di Dio.

    Papa Francesco si conferma un tipico religioso della Compagnia di Gesù, nella sua fase recente, convertito dal Concilio negli anni di formazione, specialmente da ciò che io chiamo il “Concilio esterno”, il Vaticano II delle attese e delle letture militanti, creato da alcuni episcopati, dai loro teologi e dai media cattolici più influenti. Uno di quegli uomini di Chiesa che, nel loro tono accostante e duttile, nei loro valori indubbi, sono anche i “conciliari” più rigidi, convinti dopo mezzo secolo che il Concilio sia ancora da realizzare e che le cose vadano fatte come fossimo ancora negli anni Sessanta, alle prese con la chiesa “pacelliana”, la teologia neoscolastica e il modernismo laico o marxista.

    Al contrario: ciò che quello “spirito conciliare” voleva e poteva attivare è stato nei decenni detto o sperimentato e oggi si tratta anzitutto di fare un consuntivo critico dei suoi risultati, talora disastrosi. Ritengo che la strada per la vera attuazione del Concilio sia stata riaperta dall’opera magisteriale di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, talora anche contro sensibilità cattoliche ed episcopali alla Bergoglio.

    Qualcuno sostiene che Francesco possa essere, in quanto papa postmoderno, l’uomo del futuro della Chiesa, al di là di tradizionalismi e modernismi. Ma il postmoderno che può allignare in lui – come liquidificazione delle forme, spontaneità dell’apparire pubblico, attenzione al villaggio globale –  è di superficie. Con la sua duttilità e i suoi estetismi il postmoderno è poco plausibile in un vescovo dell’America Latina, dove ha dominato a lungo, fino a ieri, nell’intelligencija il Moderno marxista. Il nucleo solido di Bergoglio è e resta “conciliare”. Sulla strada intrapresa da questo papa, se confermata, vedo anzitutto la cristallizzazione del “conciliarismo” pastorale dominante nei cleri e nei laicati attivi.

    Certo, se Bergoglio non è postmoderno, la sua recezione mondiale lo è: il papa piace a destra e a sinistra, a praticanti e a non credenti, senza discernimento. Il suo messaggio prevalente è “liquido”. Su questo “successo”, però, non può essere edificato niente, solo reimpastato qualcosa di già esistente, e non il meglio.

    Di tale apparire “liquido” sono segnali preoccupanti per chi non sia prono alla chiacchiera politicamente corretta e relativistica della tarda modernità:

    a) il cedimento a frasi fatte tipo “ognuno è libero di fare …”, “chi dice che le cose debbano essere così …”, “chi sono io per …”, lasciate sfuggire nella convinzione che siano dialogiche e aggiornate;

    b) il mancato controllo da parte di persone di fiducia, ma sagge e colte, e italiane, dei testi destinati a circolare, forse nella convinzione papale che non ve ne sia bisogno;

    c) una certa inclinazione autoritaria (“io farò di tutto per …”), in singolare contrasto con i frequenti assunti pluralistici, ma tipica dei “rivoluzionari” democratici, col rischio di imprudenti collisioni con la tradizione millenaria.

    In più, resta incongruo in papa Francesco questo prendere iniziative di comunicazione pubblica e questo volersi senza filtri (la sintomatica immagine dell’appartamento papale come un imbuto), che rivelano indisponibilità a sentirsi uomo di governo (cosa più difficile che essere riformatore) in un’istituzione altissima e “sui generis” come la Chiesa cattolica. Le battute del papa su curia e Vaticano lo evidenziano.

    Il suo è, a tratti, un comportamento da manager moderno e informale, di quelli che si concedono molto alla stampa. Ma questo aggrapparsi a persone e cose che stanno fuori – collaboratori, amici, stampa, opinione pubblica, lo stesso appartamento a Santa Marta è “fuori” – come se l’uomo Bergoglio temesse di non sapere che cosa fare una volta rimasto solo, da papa, nell’appartamento dei papi, non è positivo. E non potrà durare. Anche i media si stancheranno di fare da sponda a un papa che ha troppo bisogno di loro.

    Firenze, 2 ottobre 2013

     

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    Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

    Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:

    3.10.2013
    > La svolta di Francesco
    Ha svelato il vero programma del suo pontificato in due interviste e in una lettera a un intellettuale ateo. Rispetto ai papi che l’hanno preceduto il distacco appare sempre più netto. Nelle parole e nei fatti

    1.10.2013
    > Quando Bergoglio sconfisse i teologi della liberazione
    Un vescovo che fu testimone diretto dello scontro ne racconta lo svolgimento e la posta in gioco. Se poi Francesco fu eletto papa, lo si deve anche a ciò che accadde nel 2007 ad Aparecida

    27.9.2013
    > Il gesuita che umiliò i generali
    La storia finora mai raccontata della rete clandestina con cui il giovane Bergoglio salvò decine di “sovversivi” dalla ferocia dei dittatori argentini

    [SM=g1740771]

    [Modificato da Caterina63 03/10/2013 10:59]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 03/10/2013 10:58
    [SM=g1740758] .... arrivano persino i dubbi amletici di Tornielli...... da non sottovalutare.........

    DUBBI SULL'INTERVISTA DI SCALFARI

    di Andrea Tornielli  2 ott 2013

    Cari amici, come sapete ieri il quotidiano «La Repubblica» ha pubblicato un’amplissima intervista (tre intere pagine, più una parte in prima pagina) a Papa Francesco, firmata dal fondatore del giornale, Eugenio Scalfari. Francesco un mese fa aveva risposto agli articoli di Scalfari con una lettera, nella quale entrava in dialogo con lui. Poi ha ricevuto l’ex direttore de «La Repubblica», che probabilmente desiderava incontrare di persona il Pontefice per ringraziarlo della lettera. È stato lo stesso Scalfari a rendere note le modalità dell’incontro e del dialogo, avvenuto a Santa Marta.

    Molti dei temi ripresi nelle risposte sono uno sviluppo di precedenti affermazioni papali: basti pensare alla preoccupazione per la disoccupazione e per la cultura dello “scarto” che elimina vecchi e giovani; alla “corte” e alla “cortigianeria”; al clericalismo; alla Curia troppo Vaticano-centrica. Ma leggendo con attenzione l’intervista ci sono dei particolari che non tornano . Personalmente, mi ha colpito questa affermazione: «I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare». Ecco, non riesco proprio a immaginarmi Papa Bergoglio che parlando di se stesso dice di avere «l’umiltà e l’ambizione» di voler fare qualcosa. Anche la risposta in cui si parla del bene e del male mi era sembrata incompleta.

    C’è poi una frase più ampia e virgolettata, che ha contribuito a consolidare questo mio dubbio, ed è quella relativa alle circostanze dell’elezione. Così il testo su «La Repubblica»: «Prima dell’accettazione chiesi di potermi ritirare per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza. La mia testa era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso. Per farla passare e rilassarmi chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero, anche quello di rifiutarmi ad accettare la carica come del resto la procedura liturgica consente. Chiusi gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività. Ad un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me sembrò lunghissimo. Poi la luce si dissipò io m’alzai di scatto e mi diressi nella stanza dove mi attendevano i cardinali e il tavolo su cui era l’atto di accettazione. Lo firmai, il cardinal Camerlengo lo controfirmò e poi sul balcone ci fu l’“Habemus Papam”».

    Ora, è noto che non ci sono stanze accanto a quella con il balcone sulla piazza. Più di un cardinale elettore mi ha raccontato che il Papa non si è ritirato per qualche minuto in una stanza prima di accettare l’elezione. L’accettazione è immediata e verbale, poi subito dopo il Maestro delle cerimonie pontificie con funzioni di notaio redige il verbale. Questo episodio può essere, a mio avviso, una spia del fatto che il testo pubblicato da «La Repubblica» non rappresenta una esatta ricostruzione parola per parola del dialogo con Scalfari.

    Un’importante conferma in questo senso è venuta questa mattina da padre Federico Lombardi, che rispondendo alle domande dei un giornalisti, ha detto: «Non mi risulta che il testo dell’intervista del Papa su Repubblica sia stato rivisto». Attenzione: Lombardi non ha smentito alcun passaggio del colloquio. Anzi ha affermato che la ricostruzione complessiva delle affermazioni papali è stata fedele. Ma ha fatto capire che bisogna essere cauti nell’attribuire con esattezza al Papa ogni singola parola virgolettata.

    [SM=g1740771]

    [Modificato da Caterina63 03/10/2013 11:11]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Caterina63
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    00 03/10/2013 11:14
    [SM=g1740758] e.... per finire, per ora..... ecco un bell'articolo chiaro sulla confusione che stiamo vivendo..... una confusione per la quale preghiamo Dio affinchè il suo Vicario in terra si ravveda e ascolti anche le voci minoritarie, non solo quelle che gridano: "ci piaci, sei bello, sei forte...."

    LA SERA ANDAVAMO A SANTA MARTA. Se Eugenio diventa papista e Francesco repubblichino

    Di Antonio Margheriti Mastino, il 1 ottobre 2013 

    foto

    Nell’intervista ufficiale a Padre Spadaro di Civiltà Cattolica, quel gesuita del Papa dice: «…il Papa mi aveva parlato della sua grande difficoltà a rilasciare interviste. Mi aveva detto che preferisce pensare, più che dare risposte di getto in interviste sul momento. Sente che le risposte giuste gli vengono dopo aver dato la prima risposta: “non ho riconosciuto me stesso quando sul volo di ritorno da Rio de Janeiro ho risposto ai giornalisti che mi facevano le domande”». So’ soddisfazioni certi sdoppiamenti di personalità in un pontefice!

    Ma non mi sorprendono: pure da cardinale, in un libro-intervista, consapevole del suo fare autoritario e precipitoso, aveva riconosciuto che «ho imparato col tempo che quando prendo su due piedi, incalzato dagli eventi, una decisione, è immancabile quella sbagliata: quella giusta è la seconda, dopo averci pensato su». Una lezione che sembra aver dimenticato da papa, purtroppo.

    Dunque il Papa ammette di non sentirsi a proprio agio e riconosce la necessità di dover magari correggere qualcosa: eppure ci ricasca, è più forte di lui, telefona a Scalfari e gli fissa un appuntamento per una intervista. Mi ha colpito su fb il commento di uno studente 20enne, siciliano: «Francesco e Eugenio fanno a gara a chi dice cose più insensate e confuse e continuano per tutto il tempo dell’intervista a farsi reciproche scappellate. Due personaggi narcisisti e boriosi: sono fatti apposta per andare d’accordo».

    L’intervista a Spadaro e quella a Scalfari, dunque. Quest’ultima specialmente. Dove in alcuni passi sembra contraddire l’intervista ufficiale. E poi quel sentore…. come se volesse o avesse voluto dare ragione alle interpretazioni, ma diciamo pure all’ermeneutica che Scalfari ha dato della famosa Lettera del papa a Repubblica. Che oramai, oltre ad essere da immemorabili il giornale più clericale immaginabile, persino nel suo anticlericalismo lo è, ultimamente, al pari di certi atei, parla solo di cose di Chiesa: sembra l’Osservatore Romano dei ricchi, che sostituisce quello dei poveri che sta in Vaticano. Tant’è che ormai le lettere papali al quotidiano radical-chic vengono direttamente annoverate tra gli atti ufficiali della Santa Sede e come parti di magistero son presentate. Moriremo tutti repubblichini anziché cattolici?

    Ci si sforza di capire, accettare senza colpo ferire tutta questo stillicidio, questo profluvio di chiacchiere papaline che vengono dopo sue reprimende del giorno prima contro le “chiacchiere in Vaticano”, questa quotidiana colata lavica di amenità e stravaganze bergogliose, ma è sempre più difficile. Capire e accettare supinamente. La confusione, il disorientamento c’è e aumenta ogni giorno per un cattolico che cerca di fare apostolato. Tuttavia stavolta non taceremo, non essendo l’intervista magistero ma sue opinioni, strane e discutibili “secondo me” su una immagine di Chiesa alquanto soggettiva, onirica certe volte.

    IL PAPA NON DEVE CAMBIARE LA CHIESA, PERCHÉ NON È SUA: DEVE SERVIRLA

    Non siamo chiamati a “cambiare” la Chiesa: questo è l’insegnamento di tutti i santi, ma a servirla, mentre Francesco non vede l’ora di cambiarla come la vuole lui, ammesso sappia davvero cosa vuole.
    Domanda di Scalfari a riguardo dell’esempio di san Francesco: «Lei dovrà seguire la stessa strada?»

    «Non sono certo Francesco d’Assisi e non ho la sua forza e la sua santità. Ma sono il Vescovo di Roma e il Papa della cattolicità. Ho deciso come prima cosa di nominare un gruppo di otto cardinali che siano il mio consiglio. Non cortigiani ma persone sagge e animate dai miei stessi sentimenti. Questo è l’inizio di quella Chiesa con un’organizzazione non soltanto verticistica ma anche orizzontale. Quando il cardinal Martini ne parlava mettendo l’accento sui Concili e sui Sinodi sapeva benissimo come fosse lunga e difficile la strada da percorrere in quella direzione. Con prudenza, ma fermezza e tenacia».


    Animati dagli stessi sentimenti?
    Ma questa è una Chiesa soggettiva: chi non la pensa come lui, non ha questa immagine di Chiesa è messo fuori automaticamente, ipso-facto? Nessuno, insegna Benedetto XVI, neppure il Papa può imporre una Chiesa come la vuole lui: non è un caso che per tutto febbraio ha detto in ogni incontro “ridare la Chiesa a Cristo”; e san Pio X diceva restaurare “omnia in Christo”. Qualcuno ha visto (come al solito le risposte di Francesco possono facilmente interpretarsi nell’uno e nell’altro senso) un’altra prospettiva, diametralmente opposta, in queste affermazioni: «No, no. “Animati dai miei stessi sentimenti” io lo intendo invece in un altro modo. Non una Chiesa soggettiva, ma una Chiesa che sente con il Papa». Tutto può essere ormai, persino che ci sia un significato ortodosso nelle cose che dicono i papi.

    Ma la Chiesa “secondo Martini”? Ma che sciocchezza è mai questa? Il Consiglio di cardinali “animati” dai suoi stessi sentimenti? Ma che stravaganza è mai questa? Se sono animati dagli stessi suoi sentimenti, non ci sarà alcun contraddittorio, non ci saranno proposte differenti, alla faccia della libera espressione, e in definitiva non serviva neppure un “consiglio” per farsi dire “hai ragione”. Un Consiglio si fa anche con persone che non la pensano come te, ma che dottrinalmente sono impeccabili; diversamente si è creato un consiglio soggettivo, una gabbia con dei pappagalli dentro. Ammaestrati.

    Poi il solito vecchio slogan che puzza di putrefazione ma che fa sempre felici i giornalisti: “la Chiesa deve aprirsi alla modernità” e poco c’è mancato, ma era tra le righe, che dicesse “adeguarsi”. Ma la Chiesa è segno di contraddizione e lo sarà sempre, e mai potrà “adeguarsi” alla modernità, né ad alcun partito, né ad alcun sentimento mondano.
    “La chiesa deve aprirsi alla modernità”, ma che vuol dire? A parte le tecnologie dinanzi alle quali ci leviamo il cappello, vogliamo renderci conto o no che la modernità come il mondo la concepisce non solo ha fallito ma è agonizzante, ha superato se stessa e stiamo già alla post-modernità? Che significano ‘sti slogan? a chi giovano? Il guaio è che Bergoglio sa bene in cosa consista questa modernità e l’ha denunciato parecchie volte: nella solitudine, l’isolamento dell’uomo, la rottura dei legami d’affetto, l’anarchia dell’egoismo, la morte morale dell’uomo nato come essere sociale, la dittatura cioè dell’individualismo secondo la dottrina liberal, ossia quanto di più anticristiano possa immaginarsi. Lo sa, ma fa finta che no. Per non dispiacere a Scalfari. Ma è a Cristo e al popolo cattolico che tra mille tempeste ogni giorno naviga a vista, a questi e non a Repubblica deve rendere conto.

    EPPURE DIO “E’ CATTOLICO”. E IL PAPA?

    Dice Scalfari: «Le sono grato di questa domanda. La risposta è questa: io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti». A momenti gli scappava fuori l’Ente, Essere, ci mancava solo il Grande Architetto per completare la terna massonica.
    E il papa a lui: «E io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore. Questo è il mio Essere. Le sembra che siamo molto distanti?»

    Aveva ragione Rino Camilleri, lo scrittore cattolico, quando nel 2009 firmò il libro, a questo punto profetico, “Dio è cattolico?”. E nell’intervista a domanda rispose:
    «Lei sostiene che l’unico Dio è cattolico. Perché?»
    Cammilleri: Nel mio pamphlet un certo Teofilo, un uomo «in ricerca» (come si direbbe oggi) chiede a me chi è Dio. Perché a me? Perché sa che sono un credente. Io (cioè, l’Autore) rispondo per come so farlo. E gli snocciolo i motivi che hanno portato me a ritenere molto probabile che Dio, se esiste, sia cattolico. Cioè, sia esattamente Quello che da duemila anni predica la Chiesa di Roma.
    «Perché non potrebbe essere musulmano, ebreo, o di qualche altra religione?»
    Cammilleri: Oggi, per quanto riguarda la religione, quel che manca è la domanda, non certo l’offerta. Teofilo è uno che a un certo punto, come Pascal, si è detto: se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo. In effetti, uno che si accorge della necessità di un Dio ha già compiuto gran parte del percorso. Ma, quando si guarda intorno, si trova all’interno del supermarket del Sacro, con gli scaffali che presentano una grande varietà. Per definizione, solo una può essere quella giusta, perché Dio, se esiste, non ha alcun interesse a indurci in confusione. Tutto il mio libro è teso a far sì che Teofilo si rivolga direttamente alla Fonte per conoscere la verità.
    Così Camilleri.

    E’ vero, sostiene una mia amica, che «probabilmente Francesco intende dire che Dio “non è cattolico” nel senso che Dio non è mai rinchiuso in qualcosa, ma che è cattolico è patristico lo dicevano i Padri per intendere proprio la sua universalità». Ma alla fine anche questa mia amica allarga le braccia affranta, dopo il suo tentativo di capriola teologica, e si sfoga: «… se dice di essere il Papa della cattolicità ma poi dice che “Dio non è cattolico”… al diavolo!… non è possibile dover spiegare ogni singola battuta…».

    APRIRE “LA REPUBBLICA” OGNI MATTINA COME FOSSE IL VANGELO

    C’è pure un aspetto positivo in questa fiumana di parole inarrestabili che esondano da Santa Marta sino quasi ad affogare la cristianità: è da un pezzo che il papa ha rinunciato a dirsi solo “vescovo di Roma”, e del resto il suo autoritarismo sarebbe poco giustificabile con una così sola macilenta qualifica. Anche davanti a Scalfari si riferisce a se stesso dicendo “sono vescovo di Roma e papa della cattolicità”; solo l’altro giorno si era riferito a se stesso in terza persona come “padre”. Abbiamo fatto progressi. Mi aspetto che da un giorno all’altro dichiari la sua natura divina.
    Adesso, però, comincia ad essere ora di smettere di fare il piacione tutti i giorni su tutti i giornali, di misurare le parole, dirne di meno e lavorare un po’ di più e in silenzio. Prima che si renda del tutto indifendibile (e Dio solo sa il veleno che ogni giorno ingoiamo per non essere tentati di perdere la pazienza), anche perché è evidente la grande confusione che sta creando tra i cattolici: un giorno ne dice una, un altro una diversa, mezze frasi oblique sempre buttate là senza chiarire, volutamente ambigue e per giunta l’unica cosa chiara che rimane, poi, è l’ermeneutica di Scalfari: io, lo dico chiaro, non mi regolo in base ai papi, ma alla dottrina, però mi rendo conto che i papi possono annullare del tutto i miei sforzi. La confusione tra i cattolici c’è, l’avverto io stesso su di me, e sono un militante cattolico, ossia cerco… cercavo di fare apostolato di quella che, mi sembrava essere, così mi dicevano da Roma, la “verità”. Anche ecclesiologica. Ora ho dubbi di sorta, e ogni volta che il papa parla si moltiplicano questi dubbi non le certezze, che anzi vacillano. Va bene come Gesù lasciare le 99 pecore per rincorrere quella smarrita che in questo caso è Scalfari, ma giocare tutto il giorno a nasconderella con Scalfari lasciando il gregge a cavarsela de sé, mi pare troppo.
    Non possiamo leggere Repubblica ogni mattina per capire se stiamo in grazia di Dio, peggio: se siamo cattolici o meno. Non vogliamo morire repubblichini, ma cattolici!
    Bergoglio è ora che la smetti per 5 minuti di parlare. A ruota libera

    QUEL VECCHIO GIACOBINO CHE STA MORENDO PAPISTA: SCALFARI

    Siccome io so vedere pure l’aspetto positivo delle cose (e per carità di patria tacciamo su quello ridicolo), perché non sono un ottimista ma un realista, ammetto che questo passo del racconto del vecchio Scalfari, lungi dall’essere patetico, è in un certo senso struggente, mentre forse non volendo si descrive tremebondo come un liceale d’altri tempi che è stato chiamato direttamente dal preside in presidenza. Eppure in quest’approccio c’è del buono.

    LA TELEFONATA DI FRANCESCO A SCALFARI

    Erano le due e mezza del pomeriggio. Squilla il mio telefono e la voce alquanto agitata della mia segretaria mi dice: «Ho il Papa in linea glielo passo immediatamente ».
    Resto allibito mentre già la voce di Sua Santità dall’altro capo del filo dice: «Buongiorno, sono papa Francesco». Buongiorno Santità — dico io e poi — sono sconvolto non m’aspettavo mi chiamasse. «Perché sconvolto? Lei mi ha scritto una lettera chiedendo di conoscermi di persona. Io avevo lo stesso desiderio e quindi son qui per fissare l’appuntamento. Vediamo la mia agenda: mercoledì non posso, lunedì neppure, le andrebbe bene martedì?».
    Rispondo: va benissimo.
    «L’orario è un po’ scomodo, le 15, le va bene? Altrimenti cambiamo giorno». Santità, va benissimo anche l’orario. «Allora siamo d’accordo: martedì 24 alle 15. A Santa Marta. Deve entrare dalla porta del Sant’Uffizio».
    Non so come chiudere questa telefonata e mi lascio andare dicendogli: posso abbracciarla per telefono? «Certamente, l’abbraccio anch’io. Poi lo faremo di persona, arrivederci».

    Commenta una mia amica di CL, Giuliana: «Però il vecchio Barbapapà fa tenerezza. Pensa, un uomo che per tutta la vita è stato ancorato alla sua certezza che Dio non esiste e che ora si trova davanti un papa che lo ascolta, che non lo giudica, che parla con lui semplicemente. Forse è spiazzato da tanta umiltà, forse un fascino nuovo lo sta prendendo. Magari no, magari è tutto chiasso pubblicitario per vendere copie. Ma se anche un piccolo spiraglio si aprisse nella sua anima… sai come schiatta Satanasso?!». Sarà!, ma sono poco propenso alla versione romantica delle cose: ho vissuto abbastanza, tra chiese e giornali, per essere bastantemente scettico. Ma poi è la stessa donna che rompe questo incantesimo rosa e ritornata alla tetragona realtà, e pure in questa ci vede del rosa: «Perché incontra Scalfari? Perché Scalfari è uno che conta nel pensiero dominante di questo Paese, e Bergoglio è un gesuita. Quindi non è scemo». Ossia, vuole dire, usa la stessa tecnica che usarono in Giappone i gesuiti: convertendo i samurai, cioè i vertici di quella società, automaticamente si convertivano i servi e tutti i loro sudditi. Non è un caso che di cattolicesimo, passato quel momento, in Giappone non vi sia rimasto quasi niente. Aggiungo io.

    Questi vecchi giacobini come Scalfari, che nascono anticlericali, vivono da ateisti, finiscono per morire, a 90 anni, papisti… Che strazio! Mentre per noi il problema è riuscire a morire almeno cristiani, se non cattolici.
    Scalfari ha chiuso l’intervista con queste parole: «Se la Chiesa diventerà come lui, Francesco, la pensa e la vuole sarà cambiata un’epoca».
    Peccato che la Chiesa che Scalfari vuole, non è quella fondata dal Cristo. 

    [SM=g1740771]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 04/10/2013 11:54

    [SM=g1740758] A proposito di "proselitismo"

     

    di don Alfredo M. Morselli


    Le recenti dichiarazioni di Papa Francesco, nell’ultima intervista concessa a Eugenio Scalfari, hanno suscitato un certo scalpore: le affermazioni che più controverse sono le seguenti: «il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso», e l’insistenza sul concetto già espresso nella precedente lettera allo stesso Scalfari, sul dovere per ciascuno di seguire la sua coscienza, «quello che lui pensa sia il Bene».
     
    Con le presenti riflessioni intendo semplicemente mettere in pratica, e applicare alle affermazioni di Papa Francesco, il Presupposto che S. Ignazio antepone ai suoi Esercizi Spirituali:
    Perché tanto chi dà gli esercizi spirituali quanto chi li riceve maggiormente si aiutino e traggano profitto, occorre presupporre che ogni buon cristiano deve essere più propenso a salvare l'affermazione del prossimo che a condannarla: se non può giustificarla, indaghi come è intesa, e se è intesa male, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi convenienti perché, intesa bene, si salvi (Esercizi Spirituali, § 22).
    Ciò che il santo di Loyola presuppone per il buon andamento degli esercizi, va bene per tutta la vita cristiana, e si deve applicare soprattutto a quanto afferma il Romano Pontefice.
    Le mie riflessioni, di fronte a tanto sconcerto, non sono altro che un doveroso indagare di come alcune espressioni controverse siano intese, propenso più a salvare le affermazioni del Papa che a condannarle, in modo che, intese bene, si salvino. [SM=g1740721]
    * * *
    Prima di entrare in medias res, vorrei far notare che le recenti affermazioni di Papa Francesco sono inquadrabili come argomentazioni ad hominem, ovvero nient’altro che l’esercizio della carità cristiana nel presentare al prossimo le verità prendendolo per il suo verso, accarezzando il gatto arrabbiato per il verso del suo pelo. Papa Francesco non si rivolge qui solo a Scalfari, ma a tutti i massoni e relativisti di vario grado e specie: chi ha discusso con loro, sa che questi ritengono la fede incompatibile con la ragione, pensando erroneamente che ogni affermazione di una verità assolutamente certa non sia conforme alla natura razionale dell’uomo, quanto piuttosto lesiva della coscienza.

    Il Papa cerca di sfatare i pregiudizi relativisti nei confronti della fede:

    a) Nessuno ti obbliga ad andare contro coscienza (certo non viene enunciata - ma neppure negata o contraddetta - l’esplicita distinzione tra il concetto di coscienza secondo una corretta antropologia - abito della ragione che stabilisce se un atto in particolare è conforme o meno alla legge eterna di Dio -, e la coscienza secondo il relativista, ovvero il secondo me assunto come assoluto; ma questa è la differenza tra un trattato di teologia e un argomento ad hominem: nel primo caso è necessario dire tutta la verità in modo sintetico e globale; nel secondo si tratta di aiutare un ammalato grave a compiere i primi passi verso la guarigione. Un caro amico aveva formulato questo paradosso: la verità è come il salame; va fatta mangiare una fetta alla volta. Se volgiamo infilare in gola un salame intero al nostro prossimo, va a finire che questi muore soffocato)

    b) Nessuno ti vuole adescare o mettere il sale sulla coda, ma ti dobbiamo aiutare compiere un cammino dove il protagonista sei tu: non c’è un cacciatore e una preda, ma uno che ti aiuta ad andare con le tue gambe. In questo senso si deve comprendere il bando al proselitismo.
    * * *

    Dopo questa introduzione, vediamo ora che cosa si intende con proselitismo: il significato di un nome è dato dall’etimologia e dall’uso: Omettendo la prima parte, non decisiva per i fini della nostra indagine, vediamo l’uso del termine nella Scrittura e nella Tradizione.
     
    A) Nelle S. Scrittura il termine prosèlito compare sette volte, ed indica, nei testi più antichi, un non ebreo che dimora insieme al popolo eletto, e, ai tempi di Gesù, un non ebreo che aderisce in qualche modo all’ebraismo. Il termine ha sempre una connotazione positiva: nel nuovo testamento compare l’espressione “fare prosèliti”, ovvero proprio l’attività di proselitismo. Gesù stigmatizza il modo non corretto - in questo caso non coerente - di fare una cosa giusta.
    Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. (Mt 23,5)
    B) Nel magistero il termine viene usato per indicare l’attività delle sette: “È estremamente importante dare una solida formazione ai fedeli, per proteggerli dal proselitismo e dall'influenza di altre religioni” (Giovanni Paolo II alla conferenza episcopale del Sudan, 27-2-2006); “sètte fondamentaliste e nuovi gruppi religiosi portano avanti, in Guatemala,una aggressiva campagna di proselitismo” (Giovanni Paolo II ai Vescovi del Guatemala, 7-4-2006) etc. ; soprattutto si prende atto che il termine ha assunto il significato di modo non corretto di evangelizzazione.
     
    La nota 49 della Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione (C. D.F., 3-12-2007) così suona:
    Originalmente il termine «proselitismo» nasce in ambito ebraico, ove «proselito» indicava colui che, proveniente dalle «genti», era passato a far parte del «popolo eletto». Così anche in ambito cristiano il termine proselitismo spesso è stato utilizzato come sinonimo dell’attività missionaria. Recentemente il termine ha preso una connotazione negativacome pubblicità per la propria religione con mezzi e motivi contrari allo spirito del vangelo e che non salvaguardano la libertà e la dignità della persona. In tale senso, il termine «proselitismo» viene compreso nel contesto del movimento ecumenico: cf. The Joint Working Group between the Catholic Church and the World Council of Churches, “The Challenge of Proselytism and the Calling to Common Witness” (1995).
     
    Anche Benedetto XVI afferma:
    La carità, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L'amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l'azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. (…) Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore (…) la miglior difesa di Dio e dell'uomo consiste proprio nell'amore. È compito delle Organizzazioni caritative della Chiesa rafforzare questa consapevolezza nei propri membri, in modo che attraverso il loro agire — come attraverso il loro parlare, il loro tacere, il loro esempio — diventino testimoni credibili di Cristo” (Lettera Enciclica Deus carita est, § 31 c). 
    E Papa Francesco ha recentemente affermato, proprio in continuità con Bendetto XVI:
    Ma Paolo è anche «consapevole che deve evangelizzare, non fare proseliti». La Chiesa «non cresce nel proselitismo; Benedetto XVI ce lo ha detto; ma cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione». Infine «Paolo agisce così perché era sicuro, sicuro di Gesù Cristo. Non dubitava del suo Signore. I cristiani che hanno paura di fare i ponti e preferiscono costruire muri, sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo. E si difendono» erigendo dei muri.
    Paolo insegna quale debba essere il cammino dell’evangelizzazione, da seguire con coraggio. E «quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico, diventa una Chiesa ferma. Ordinata, bella; tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove ci sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole». E se a frenare è la paura di sbagliare bisogna pensare che ci si può rialzare e continuare ad andare avanti. «Quelli che non camminano per non sbagliare — ha concluso Papa Francesco — fanno uno sbaglio più grave» (Meditazione mattutina 8-5-2013).

    Ancora Papa Francesco:
    Ricordatevi quello che Benedetto XVI ci ha detto: “La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione”. E quello che attrae è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile.  Non è facile! Noi aiutiamo, noi guidiamo all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. A me piace ricordare quello che san Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. Le parole vengono… ma prima la testimonianza: che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo. Ed “essere” catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore non si compra nei negozi, non si compra qui a Roma neppure. Questo amore viene da Cristo! E’ un regalo di Cristo! E’ un regalo di Cristo! E se viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo, da questo amore che Lui ci dà, Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista? Cosa significa?”
    Anche Paolo VI aveva usato il termine proselitismo in accezione negativa, senza negare la necessità della predicazione della verità e la necessità della conversione:
    Diciamo conversione non già nel senso desueto ed improprio di un’estrinseca e trionfalistica conquista o di un superficiale proselitismo, ma in quello autenticamente evangelico dell’orientamento dell’anima verso Dio, sotto la spinta della fede che in lui vede il vertice di tutta la realtà e l’autore dell’ordine morale e, più ancora, per la forza della carità che lo riconosce Padre amoroso e misericordioso. (Paolo VI, Messaggio per la giornata missionaria mondiale del 1973, 26-6-1973)
    Non si deve dunque accusare il Papa di non volere più convertire nessuno perché stigmatizza il termine proselitismo, ma di voler favorire un annunzio dato prima di tutto con la testimonianza di fede, con la carità, senza omettere la dottrina e la predicazione, con Cristo al primissimo posto, rivolgendosi a “tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole”.
     
    Paradossalmente tanto le affermazioni di Benedetto XVI, quanto quelle di Papa Francesco, servono anche a rintuzzare la missionologia e l’ecumenismo neo-modernista, secondo i quali l’annuncio della fede diventa proselitismo tout-court. Sia Paolo VI che Giovanni Paolo II avevano denunciato questo equivoco:
     
    Nel 1973, Paolo VI affermava:
    Ma è opportuno oggi, qualcuno si chiede, il proselitismo missionario? Non conviene lasciare a ciascuno la libertà di pensare in buona fede come vuole? Libertà, sì, lasceremo a tutti e adesso più che mai; ma non dobbiamo vincolare l’annuncio della Parola di Dio con la nostra ignavia, o per l’altrui sordità, se tale Parola è la vera Verità e la sola sorgente autentica della beatitudine e della vita. Essa sola ha il vero carisma della pace. (Paolo VI; Angelus 21-10-1973)
     
    Anche Giovanni Paolo II condanna un uso improprio del termine proselitismo:
    Oggi l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, e messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di «proselitismo»; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà (Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, 49)
     
    Per quanto riguarda l’ecumenismo, la già citata nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede così recita:
     
    Al riguardo va notato chese un cristiano non cattolico, per ragioni di coscienza e convinto della verità cattolica, chiede di entrare nella piena comunione della Chiesa cattolica, ciò va rispettato come opera dello Spirito Santo e come espressione della libertà di coscienza e di religione. In questo caso non si tratta di proselitismo, nel senso negativo attribuito a questo termine (Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, § 12)
     
    Non è proselitismo annunciare il Vangelo, non si può connotare negativamente con proselitismo l’annuncio missionario tout-court, come accogliere un fratello separato che vuole rimuovere tutto ciò che lo separa dalla piena Comunione con la Chiesa Cattolica.
     
     
    In base a quanto detto ritengo che non ci si debba stracciare le vesti per l’intervista concessa da Papa Francesco a Scalfari, anzi: l’aver parlato con un relativista, che cos’è, se non un’attività missionaria? E nessuno può dire che Papa Francesco abbia inteso lasciar riposare Scalfari nei suoi errori, quanto piuttosto mettergli qualche pule nell’orecchio, e non solo a lui.
     
    E ricordiamoci quanto diceva l’allora Card. Ratzinger: “non hanno più senso quegli schemi (conservatore-progressista; destra-sinistra) che vengono dalle ideologie politiche e non sono, dunque, applicabili alla visione religiosa (…) Il Concilio voleva segnare il passaggio da un atteggiamento di conservazione ad un atteggiamento missionario. Molti dimenticano che il concetto conciliare opposto a “conservatore” non è “progressista”, ma “missionario”” (Rapporto sulla fede, 1985, pp. 8-9).


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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)