DIFENDERE LA VERA FEDE

ATTENTI ALLA.... PAPA-LATRIA......

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    Caterina63
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    00 08/10/2013 19:32
     
    papa




    (card. Ratzinger così disse nel 1978
    in occasione della morte e per la commemorazione di Paolo VI)




    FELTRI

    Posted: August 9th, 2013 | Author: |

    L’ultimo di luglio mandai questa “risposta” a un articolo di Feltri sul «Giornale». Ma la condanna di Berlusconi ne impedì la pubblicazione per mancanza di spazio.

    IL PAPA DE NOANTRI

    Caro Vittorio,
    hai fatto bene, il 31 u.s., a elogiare lo stile semplice e alla mano del nuovo papa. In effetti, la tua simpatia è condivisa da un sacco di gente del Terzo Millennio.
    Tuttavia, la tua tirata sui «papi di prima» mi ricorda quella canzone di Luigi Tenco che faceva: «Signor curato, hai detto che la chiesa è la casa dei poveri, però l’hai rivestita di tende d’oro e marmi colorati; come fa il povero a sentirsi come a casa sua?».

    Nella sua demagogia marxistico-sessantottina il cantautore suicida avrebbe voluto che il povero trovasse pure in chiesa lo squallore di casa sua, così da dover tenere il muso sempre chino nel brago senza mai portarlo alzare al cielo, a quello splendore che attende nell’Altra Vita gli sfortunati di Questa e di cui lo sfarzo delle chiese era figura (segno, promessa, speranza). Ma tu, pur non credente come ti dichiari, sei indenne dal qualunquismo materialista Anni Settanta, perciò lo sai bene che la Regina d’Inghilterra si presenta, tutt’oggi, al Parlamento con la corona (e che corona!) in testa, lo scettro, lo strascico e i paggi. E gli inglesi, che non sono certo baluba, sanno perfettamente distinguere tra l’ottantenne Elizabeth Windsor e il Capo del Commonwealth nonché della Chiesa d’Inghilterra.
    Tu dirai che stiamo parlando di un regno millenario che è stato anche l’impero più vasto della storia. Sarebbe facile rispondere che la Chiesa Cattolica è bi-millenaria, e che il suo Capo è anche Pontefice, cioè ha ereditato la carica suprema che fu dell’Imperatore Romano, il che ci porta indietro di un ulteriore millennio. Ma se non ti piacciono i re e le monarchie, va a vedere nella capitale americana (una repubblica che ha solo due secoli) l’enorme affresco non a caso intitolato «Apoteosi di George Washington», opera dell’italiano Brumidi e ricoprente la volta del Capitol (i.e. Campidoglio, perché gli americani ci invidiarono fin da subito Roma e la sua storia), in cui il primo presidente statunitense (che non era neppure nobile, però vestiva come un sovrano europeo e portava una dentiera fatta coi denti di schiavi negri) è raffigurato mentre sale nell’Empireo circondato da tutte le divinità dell’Olimpo.

    Tu trovi ridicole le scarpe rosse dei papi prima dell’attuale e dici che se ti presentassi in redazione con calzature del genere tutti sghignazzerebbero. Tuttavia, io stesso ho visto in redazione seri giornalisti con gli occhiali rosso magenta, alla Mughini, e pantaloni dello stesso colore, alla Lerner. Perché dovrebbero ridere solo per un paio di scarpe? Eppure dovresti saperlo che l’abito del papa ha colori simbolici: il bianco della «veste della follia», con cui Erode rivestì Cristo, il rosso della porpora di cui Gesù fu coperto (colore del sangue ma anche regale, perché Cristo è il Re dei Re).
    I preti vestono di nero per distinguersi come persone consacrate e i cardinali di rosso per indicare la disposizione al martirio. Dirai che sono cose superate, cose da Medioevo, cose dei tempi in cui l’abito faceva il monaco e costituiva una «card» di presentazione (gli aderenti a una corporazione dovevano portarne l’abito, come si vede nei ritratti di Dante, che faceva lo speziale).
    Tuttavia, ancora oggi i militari e i poliziotti vestono un abito speciale, e così i magistrati. Perfino i commessi di McDonald’s ne hanno uno, e nessuno ci trova nulla di strano. I segni e i simboli sono importanti, come non si stanca di ripetere nei suoi romanzi-bestseller planetari Dan Brown, anche se la gente non li capisce più (ma basterebbe spiegarglieli).

    Per questo san Pio X dietro al letto «da papa» nell’appartamento vaticano si fece approntare un pagliericcio, nel quale effettivamente dormiva. Un altro papa santo, Pio V, sotto le vesti pontificali portava il rozzo saio domenicano, che non tolse mai (potrei moltiplicare gli esempi, ma mi manca lo spazio).
    Però in giro si faceva portare sulla sedia gestatoria, quel palanchino che tu trovi ridicolo. Reggere il quale era un onore riservato solo ai gentiluomini più nobili di Roma, che non erano certo dei poveracci costretti alla faticata. Perfino il «predecessore d’immagine» di papa Francesco, il beato Giovanni XXIII, lo usava, con tanto di flabelli piumati attorno.
    Ed era il «papa buono», uno che «parla come mangia», adorato dalle folle per la sua bonomia. Tuttavia, il popolo sapeva bene che su quella sedia sopraelevata non c’era Giuseppe Roncalli, bensì il Vicario di Cristo, Cristo Re, Re dei Cieli, sì, ma anche dell’umanità pellegrina sulla terra. Così come la gente, anche la più umile, sa bene che l’immaginetta che sta baciando è solo «figura» della Madonna, dei Santi, di Gesù. Un papa «vecchio stile», come Pio XII, non esitò a sporcarsi di sangue tra le macerie dei bombardamenti di San Lorenzo, e il popolo romano non a caso si rivolse a lui, il più ieratico dei papi, quando tutti gli altri erano scappati. Certo, un papa «d’immagine» è quel che serve ai nostri tempi, e Francesco sembra averlo capito. Tuttavia, compito primario del Vicario di Cristo è convertire la gente, non essere simpatico a tutti i costi. A te sta simpatico, bene. Ma non mi pare che ti abbia convertito.
    Comunque, la Grazia usa vie misteriose, e chissà che, tramite il «papa simpaticone», non si infili anche nel tuo cuore. 


    [SM=g1740733]


    SCALFARI

    Posted: August 8th, 2013 | Author: |

    Sollecitato da un lettore, ho scritto questo Antidoto:
    DOMANDE DI UN PAPA AL PAPA

    Ogni sistema dogmatico abbisogna, gli piaccia o no, di un papa e di un vaticano. In Italia, sul versante laicista, questi ruoli sono ricoperti da Eugenio Scalfari e dal quotidiano-partito «Repubblica». Per lungo tempo il pontefice del pensiero «laico, democratico e antifascista», secondo la triade dell’autorevolezza (ormai) antica & accettata, è stato Norberto Bobbio.
    Scomparso lui, il Mantello di Elia è ricaduto tutto sulle sole spalle di Scalfari. Se ne è andato, nell’altra sponda, anche il referente preferito del laicismo nostrano, il cardinale Martini. Così, al papa laico non è rimasto che confrontarsi direttamente non con un antipapa ma col papa-papa, Francesco, che Scalfari, come tutti, trova simpatico. In un articolo su repubblica.it del 7 agosto 2013 il Nostro esprime, appunto, tutta la sua simpatia per papa Francesco, spiegandone le ragioni. Francesco non fa politica e dice che Dio non giudica ma perdona. Come scappò detto all’attrice Pamela Villoresi, sempre invitata a «Porta a porta» quando si parla di religione (in questi casi il salotto di Vespa ha sempre i soliti ospiti).

    Interrogata sulle ragioni, secondo lei, del plauso universale che circondava la figura di Madre Teresa, esclamò: «Ma perché questo è il cristianesimo che ci piace!».
    Cioè, un cristianesimo che si occupa dei poveri e sta zitto.
    Infatti, ecco Scalfari su Bergoglio: «Di politica non si occupa, non l’ha mai fatto né in Argentina da vescovo né dal Vaticano da papa. Criticò Videla sistematicamente, ma non per l’orribile dittatura da lui instaurata ma perché non provvedeva ad aiutare i poveri, i deboli, i bisognosi. Alla fine il governo, per liberarsi di quella voce fastidiosa, mise a sua disposizione una struttura assistenziale fino a quel momento inerte e lui abbandonò la sua diocesi ad un vicario e cominciò a battere tutto il paese come un missionario, ma non per convertire bensì per aiutare, educare, infondere speranza e carità».

    Naturalmente, Videla era «orribile» perché non era Allende (cioè, non era comunista), e che Bergoglio non avesse intenzione di «convertire» ma fosse un semplice filantropo celibe bizzarramente vestito è una proiezione scalfariana: il cristianesimo come piace a lor signori. D’altra parte, Scalfari non ha nemmeno letto l’enciclica di Bergoglio-Ratzinger («L’enciclica è alquanto innovativa rispetto ad altre sullo stesso tema emesse dai suoi predecessori»), altrimenti non avrebbe sparato la citazione che ho messo tra parentesi. Plaude a Francesco come i liberali plaudivano al Pio IX che concedeva loro l’amnistia: «Non c’è mai stato un papa che abbia inalberato il vessillo della povertà, non c’è mai stato un papa che non abbia gestito il potere, che non abbia difeso, rafforzato, amato il potere, non c’è mai stato un papa che abbia sentito come proprio il pensiero e il comportamento del poverello di Assisi. E non c’è mai stata, se non nei casi di debolezza e di agitazione, una Chiesa orizzontale invece che verticale».

    La tirata sul «potere» della Chiesa è vecchia come Lutero, ma non si può pretendere di più da quelli che odiano il potere altrui perché lo vogliono tutto loro.
    Ma cos’è questa Chiesa orizzontale che piace a Scalfari? Ma quella del compianto Martini, ovvio: «Il cardinale Martini (vedi caso anch’egli gesuita) voleva accanto al magistero del Papa la struttura orizzontale dei Concili e dei Sinodi dei vescovi, delle Conferenze episcopali». Cioè, quella che Juan Donoso Cortés definiva «l’anarchia nella Chiesa», coi dogmi sottoposti a maggioranze sempre mutevoli, un regime assembleare permanente e rissoso.
    Eppure, Scalfari non ha dubbi (che però paiono più che altro sue speranze): «Bergoglio ama anche lui la struttura orizzontale.

    La sua missione contiene insomma due scandalose novità: la Chiesa povera di Francesco, la Chiesa orizzontale di Martini. E una terza: un Dio che non giudica ma perdona. Non c’è dannazione, non c’è Inferno». Insomma, il «cristianesimo che ci piace». Ma poi, ecco uno sprazzo di lucidità che contraddice quanto appena detto: «Una Chiesa povera, che bandisca il potere e smantelli gli strumenti di potere, diventerebbe irrilevante. È accaduto con Lutero ed oggi le sette luterane sono migliaia e continuano a moltiplicarsi. Non hanno impedito la laicizzazione anzi ne hanno favorito l’espansione». Certo, che quelle di Lutero siano chiese «povere» e non compromesse col potere (quando invece nacquero come chiese di Stato, e le denominazioni storiche ancora lo sono) è una perla scalfariana, ma da uno di «cultura» illuministica (come lui stesso si qualifica) non si può pretendere di più.

    Infatti, in coda di articolo Scalfari schiaffa il trito luogo comune laicista su san Paolo, «vero inventore» del cristianesimo (sottinteso: traditore dell’autentico messaggio di Gesù). Ma poi, da papa a papa, pone a Bergoglio tre domande, due delle quali non avrebbe formulato se avesse letto il catechismo. La terza è da filosofo, quale si picca di essere: «Papa Francesco ha detto durante il suo viaggio in Brasile che anche la nostra specie perirà come tutte le cose che hanno un inizio e una fine. Anch’io penso allo stesso modo, ma penso anche che con la scomparsa della nostra specie scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio e che quindi, quando la nostra specie scomparirà, allora scomparirà anche Dio perché nessuno sarà più in grado di pensarlo». Dio è dunque un pura creazione del pensiero, non «Colui che è». Cascano le braccia…



    [Modificato da Caterina63 18/04/2014 10:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 08/10/2013 19:48

    Papismo, papalatria, il senso dei termini

    16.06.2013 00:28

     

    Papismo, papalatria, il senso dei termini

    " Si guardino i sacerdoti dall'accettare nessuna delle idee del liberalismo, che, sotto la maschera del bene, pretende di conciliare la giustizia con l'iniquità...

    I cattolici liberali sono lupi coperti dalla pelle di agnello; perciò il sacerdote, che è veramente tale, deve svelare al popolo, commesso alle sue cure, le loro perfide trame, i loro iniqui disegni. Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi, intransigenti. Vantatevene!

    Siate forti, ed ubbidite a quel comando che è ricordato in Isaia :"Grida, non darti posa, alza la voce come una tromba, e annunzia al popolo mio le sue scelleratezze e alla casa di Giacobbe i suoi peccati"......"

    Con queste parole il futuro San Pio X, Giuseppe Sarto all'epoca Patriarca di Venezia, così istruiva i Seminaristi della sua Diocesi.

    Prendiamo spunto da queste sue parole per affrontare un argomento attualissimo, si dice infatti: papista o papa-latria?

    Naturalmente "papalatria", come tutti i termini creati dalle mode del nostro tempo, in sé non esiste, è un termine che useremo in modo provocatorio perché, tuttavia, rappresenta - o ne è l'espressione - una certa realtà nel rapporto odierno fra i fedeli e la figura del Romano Pontefice.

    Avevamo già affrontato un simile argomento con due articoli chiari: Nuovo Papa e non un Papa nuovo, e  La Chiesa di Cristo o la chiesa del Papa?

    ora si rende necessario avanzare nell'argomento.

     

    Partiamo dal "papismo"

    Perché un santo Sacerdote e futuro santo Pontefice come san Pio X usò il termine "papista" additandolo come vanto?

    Per comprendere il significato che Papa Sarto dava al termine bisogna risalire a Lutero, si, a lui che per primo usò questo termine, naturalmente in senso dispregiativo e contro coloro che restarono fedeli al Papa dopo le scorribande eretiche di Lutero e la nascita stessa del Protestantesimo.

    Papisti, per Lutero, erano tutti quei cattolici che dopo la sua riforma decisero di restare con il Papa difendendone il diritto e l'autorità pontificia, difendendo la vera fede, difendendo la Chiesa Cattolica nel suo corpus dottrinale confermato da Pietro.

    Quindi in teoria "papisti" lo siamo ancora oggi tutti noi cattolici che prestiamo fedeltà ed obbedienza al Romano Pontefice.

     

    Ma vediamo di capire come questi significati si sono evoluti oggi.

    Dalla metà dell'Ottocento e agli inizi del Novecento (anche sotto san Pio X appunto), con gli eventi della Questione Romana e della caduta degli Stati Pontifici - nonché dopo il Concilio Vaticano I sulla questione dell'infallibilità papale - il termine "papista" cominciò ad assumere un contorno ben più marcato  a livello "politico" per taluni (per esempio quanti difendevano la tenuta del potere temporale in chiave politica) e per altri restava, il Sommo Pontefice, il perno dell'unità dottrinale ed ecclesiale.

    In poche parole sembrava non bastasse più definirsi "Cattolici" ma che fosse diventato necessario sottolineare una comunione diretta con il Pontefice, magari attraverso un epiteto ad effetto.

    Non è un caso che il Successore di san Pio X, Papa Benedetto XV nel 1914 ritenne opportuno sottolineare l'uso di certi termini nel Documento "Ad beatissimi Apostolorum" nel quale vi si legge:

    "Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come « profane novità di parole », che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione.

    Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo; o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina".

    Perciò, quando ci sentiamo dire: "sono papista, lo ha detto san Pio X", andiamoci piano! Non è esattamente così.

    San Pio X appoggiava e sosteneva il significato del termine usato, però, dai nemici del papato e della Chiesa, e non quale nuovo aggettivo per definire un cattolico!

    Siamo perciò "papisti" non perché tale appellativo è un "epiteto alla professione del cattolicesimo", quanto piuttosto perché usato dai nemici della Chiesa per offenderci, offendere la nostra comunione con il Pontefice.

    In tal senso, per San Pio X l'epiteto non può offenderci, ma deve essere "un vanto", anzi  è un vanto unito ai termini quali "clericali, retrogradi o intransigenti" come ha spiegato lo stesso Pontefice.

    Questo è essere veramente "papisti": perseguitati perché si professa integralmente la fede-dottrina della Chiesa e si difende l'autorità del Sommo Pontefice in quel comando divino: "...e tu Pietro, conferma gli altri nella fede" (cfr Lc.22,31-32).

    Oggi infatti assistiamo anche ad una sorta di contro altare del termine, l'essere "papisti" infatti ha assunto contorni diversi. Intanto lo si è assunto quale termine identificativo contrariamente a quanto affermato da Benedetto XV nella sua condanna ad assumere nuovi epiteti, inoltre ha assunto un significato diverso. Essere "papisti" oggi, per alcuni, significa essere più papi del Papa stesso, difendere cioè il ruolo del Pontefice da sé stesso!

    Si, abbiamo letto bene: difendere il Papa da sé stesso.

    Quest'ultimo aspetto nasce con il Concilio Vaticano II a causa di frange che se in un primo momento avevano ragione di difendere il Papato dalle spinte moderniste e progressiste che usando il Concilio come una sorta di cavallo di Troia non aspettavano altro che buttare giù il Primato Petrino, dall'altra però hanno finito per assumere un ruolo quasi superiore al Papa stesso. Come a dire che, per difendere il Primato Petrino realmente messo a rischio, come ebbe a dire Paolo VI, si è finito per diventare più infallibili del Papa stesso, insomma ci si è lasciati prendere un pò troppo la mano.

    Il vero "papista" è colui che crede nel ruolo di Pietro, crede nella sua missione e lo sostiene, lo appoggia come può, lo aiuta come hanno fatto i Santi anche criticando  certe scelte (criticare le scelte non il Papa in quanto tale) se queste risultassero erronee, ma restando sempre al suo fianco e soprattutto nell'obbedienza al Magistero bimillenario, altro termine - obbedienza - sovente usato dallo stesso San Pio X a seguito del termine che stiamo analizzando.

    Qualunque Cattolico, piuttosto, sostenitore dell'autorità di Pietro nel legittimo Successore regnante, è in sé un "papista", e di questo papismo, come diceva San Pio X, esserne fieri.

    In poche parole  l'essere "papisti" era, per San Pio X, essere difensori della Sede Petrina con il Suo legittimo Successore regnante, come insegna anche San Giovanni Bosco.

     

    Facciamo ora un ulteriore passo in avanti.

    Se vi fermaste, infatti, nella lettura solo fino a questo punto, naturalmente, attribuireste immediatamente questo uso profano del senso "papista" alla frangia esclusivamente detta "tradizionalista" che, senza dubbio in alcune frange più estremiste è facilmente riscontrabile.

    Ma non era a loro che pensavamo in particolare, anzi, in termini personali non citiamo nessuno, ognuno ha il dovere di farsi un esame di coscienza per comprendere fino a che punto è davvero "papista" nel senso puro del termine (usato con disprezzo dalle frane protestanti ieri e moderniste oggi), da quel "papismo - autoreferenziale" che pretenderebbe di sostituirsi a Pietro.

    Chiarito questo aspetto scaturirebbero da qui centinaia di domande, tutte legittime, ne prendiamo una che abbiamo ricevuto da un sacerdote.

    Il Sacerdote che ci ha scritto ci ha elencato una serie di problemi reali e concreti all'interno della sua parrocchia: abusi liturgici, stravolgimento dottrinale, autoreferenzialità nell'esporre le Norme  che disciplinano un rito o lo stesso Catechismo.

    Dopo aver tentato in diversi modi di reagire e di portare la famosa e quanto più dimenticata "correzione fraterna", il Sacerdote sente di aver fallito e si è arreso davanti a questa situazione incresciosa, così ci ha scritto e del passo che riteniamo molto significativo, egli scrive:

    "Ecco la mia vigliaccheria, non ho saputo  reagire, chi avrebbe voluto reagire rimanendo solo ha con me taciuto, ma io forse avrei dovuto dare l'esempio, ma per fare cosa? Mi sono rifugiato nel silenzio, pregando e leggendo il Santo Curato d'Ars, ma lui aveva almeno il Papa alla sua parte, oggi portano come esempio il Papa non per correggere gli errori, ma per sostenere gli abusi...."

    Dove e come si configura oggi il termine "papista" all'interno di una situazione così grottesca e paradossale a tal punto che non avremmo più un Papa che ci sostiene nella lotta contro gli abusi liturgici, l'eresia o se preferite l'apostasia, ma un Papa usato e strumentalizzato per legittimare gli abusi, per legittimare la contro-informazione a riguardo della sana dottrina, etica e morale, per legittimare la caduta dell'uomo del nostro tempo?

    Domanda ed uso del condizionale d'obbligo poiché basterebbe prendere migliaia di citazioni dei recenti Pontefici, compreso quello regnante, per comprendere che di strumentalizzazioni si tratta, e che i Papi non hanno affatto legittimato gli abusi, l'eresia o l'apostasia.

    In verità quel che manca un pò ai Papi oggi è quel:"tra il dire e il fare v'è di mezzo un mare" nel senso che laddove il Magistero riesce ad essere ancora credibile e comprensibile a riguardo di certe condanne, dall'altra parte, all'atto pratico non troviamo il sostegno dei Pontefici nell'applicazione di questo Magistero sempre più risicato e sempre più filtrato dal "politicamente corretto".

    In due parole trattasi del monito di nostro Signore: "Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt.5,37) accompagnato e sostenuto dall'autentica apertura apportata dalla predicazione paolina: "Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno" (Col.4,6).

    Come si può essere autenticamente "papisti", oggi, senza rischiare di diventare più "papisti del Papa stesso" e neppure così "autoreferenziali" come indicava recentemente Papa Francesco?

    Basta davvero ciò che valeva fino a cinquanta anni fa, ossia: "bisogna obbedire al Papa e basta; il Papa ha sempre ragione; qualunque cosa accada io sto con il Papa, ecc..."?

    Nell'ultima osservazione, senza dubbio sì: qualunque cosa accada "restare con Pietro" diventa davvero l'unico faro imponente in questo mondo che avanza nelle tenebre più fitte. Così come è pacifico il dovere dell'obbedienza a Pietro.

    Tuttavia il punto invece che è possibile discutere è quel "il Papa ha sempre ragione", perché questa "ragione" ha una dipendenza ed è la trasmissione integrale della Fede e della Dottrina della Chiesa di cui il Papa è il custode non il padrone. Quindi anche il Papa è soggetto ad una obbedienza, è soggetto alla conversione, è soggetto a quel "morire a se stessi".

     

    Non vi è affatto contraddizione nell'obbedire al Papa e al tempo stesso muovergli delle critiche laddove le sue scelte sociali e politiche risultassero errate, o comunque superate. Abbiamo molti esempi, possiamo citare la famosa "cattività avignonese" per confermare così un fatto storico.

    Oppure il breve episodio di San Marcellino Papa (296-304), il Liber Pontificalis, che si basa sugli Atti di San Marcellino, narra che durante la persecuzione di Diocleziano, Marcellino venne chiamato per compiere un sacrificio, e offrì incenso agli idoli, ma che, pentendosi poco dopo, confessò la fede in Cristo e soffrì il martirio assieme a molti compagni, altri documenti parlano della sua defezione, ed è probabilmente questa sua mancanza che spiega così il silenzio su di lui degli antichi calendari liturgici.

    Ma per restare ai tempi nostri, con le problematiche del nostro tempo, riportiamo un Documento ufficiale che l'allora cardinale Ratzinger, in qualità di Prefetto per la CdF, ebbe a firmare nel maggio 1990.

    Per la prima volta, nel documento sui teologi firmato dal cardinale diventato poi Pontefice, viene affrontata la questione degli errori dottrinali dei papi.

    Ecco la spiegazione che viene data, citiamo dal testo integralmente:

    "E' accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze..... (attenzione, non parla di errori dottrinali, ma di carenze, nota nostra)

    In questo ambito degli interventi di ordine prudenziale, è accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze. I Pastori non hanno sempre colto subito tutti gli aspetti o tutta la complessità di una questione. Ma sarebbe contrario alla verità se, a partire da alcuni determinati casi, si concludesse che il Magistero della Chiesa possa ingannarsi abitualmente nei suoi giudizi prudenziali, o non goda dell’assistenza divina nell’esercizio integrale della sua missione...."

     

    Lo stesso Ratzinger, esemplificando quei determinati casi, ha accennato alle dichiarazioni dei Papi del secolo scorso sulla libertà religiosa, per esempio, e alle decisioni antimodernistiche di San Pio X all'inizio del Novecento. Il cardinale le ha definite una specie di "disposizione provvisoria", affermando in una intervista di quell'anno che:"... il loro nocciolo resta valido, anche se i singoli particolari, sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche, ossia di assestamento tenendo conto del momento che stiamo vivendo. In alcuni particolari delle determinazioni contenutistiche esse furono superate, la stessa condanna del Modernismo, ad esempio, non ha bisogno di rettifiche, quel Magistero resta sempre valido, tuttavia dopo che nel momento avevano adempiuto al loro compito a riguardo della condanna, era ora necessario andare avanti..."

    Ma proseguiamo nella lettura integrale di una parte interessante del Documento:

    "La missione del Magistero è quella di affermare, coerentemente con la natura «escatologica» propria dell’evento di Gesù Cristo, il carattere definitivo dell’Alleanza instaurata da Dio per mezzo di Cristo con il suo popolo, tutelando quest’ultimo da deviazioni e smarrimenti, e garantendogli la possibilità obiettiva di professare senza errori la fede autentica, in ogni tempo e nelle diverse situazioni. Ne consegue che il significato del Magistero ed il suo valore sono comprensibili solo in relazione alla verità della dottrina cristiana ed alla predicazione della Parola vera. La funzione del Magistero non è quindi qualcosa di estrinseco alla verità cristiana né di sovrapposto alla fede; essa emerge direttamente dall’economia della fede stessa, in quanto il Magistero è, nel suo servizio alla Parola di Dio, un’istituzione voluta positivamente da Cristo come elemento costitutivo della Chiesa. Il servizio alla verità cristiana reso dal Magistero è perciò a favore di tutto il Popolo di Dio, chiamato ad entrare in quella libertà della verità che Dio ha rivelato in Cristo.

     

    15. Perché possano adempiere pienamente il compito loro affidato di insegnare il Vangelo e di interpretare autenticamente la Rivelazione, Gesù Cristo ha promesso ai Pastori della Chiesa l’assistenza dello Spirito Santo. Egli li ha dotati in particolare del carisma di infallibilità per quanto concerne materie di fede e di costumi. L’esercizio di questo carisma può avere diverse modalità. Si esercita in particolare quando i vescovi, in unione con il loro capo visibile, mediante un atto collegiale, come nel caso dei concili ecumenici, proclamano una dottrina, o quando il Pontefice romano, esercitando la sua missione di Pastore e Dottore supremo di tutti i cristiani, proclama una dottrina «ex cathedra»[13].

    16. Il compito di custodire santamente e di esporre fedelmente il deposito della divina Rivelazione implica, di sua natura, che il Magistero possa proporre «in modo definitivo»[14] enunciati che, anche se non sono contenuti nelle verità di fede, sono ad esse tuttavia intimamente connessi, così che il carattere definitivo di tali affermazioni deriva, in ultima analisi, dalla Rivelazione stessa[15].

    Ciò che concerne la morale può essere oggetto di magistero autentico, perché il Vangelo, che è Parola di vita, ispira e dirige tutto l’ambito dell’agire umano. Il Magistero ha dunque il compito di discernere, mediante giudizi normativi per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in se stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l’espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze. A motivo del legame che esiste fra l’ordine della creazione e l’ordine della redenzione, e a motivo della necessità di conoscere e di osservare tutta la legge morale in vista della salvezza, la competenza del Magistero si estende anche a ciò che riguarda la legge naturale[16].

    D’altra parte la Rivelazione contiene insegnamenti morali che di per se potrebbero essere conosciuti dalla ragione naturale, ma a cui la condizione dell’uomo peccatore rende difficile l’accesso. È dottrina di fede che queste norme morali possono essere infallibilmente insegnate dal Magistero[17].

    ***

    Perdonateci la lunga citazione, ma fondamentale, per comprendere - e così concludere - in quale senso noi possiamo essere fieri, oggi, di sentirci dire per disprezzo "siete papisti".

    Nel momento in cui siamo in grado di provare con il Magistero alla mano (Catechismo e Documenti: testi, encicliche, lettere apostoliche, e quant'altro di ufficiale nel loro complesso e non nelle singole estrapolazioni) la realtà di questo "esercizio-compito- ",  servizio petrino in difesa della verità dottrinale, e di quel sano discernimento " per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in se stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l’espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze....",

    noi dobbiamo appoggiare e sostenere il Sommo Pontefice, e nel farlo siamo "papisti".

    Tutto il resto che non rientrasse all'interno di questo "esercizio", restando ai margini di scelte politiche e al di fuori dei termini dottrinali (o se disgraziatamente persino contro), noi abbiamo il dovere di discuterlo senza per questo mettersi contro il Pontefice.

     

    Veniamo così alla provocazione finale: papa-latria

     

    Che cosa si intende?

    Essendo un termine dal conio moderno e nuovo, associato ad un comportamento più dei fedeli che dall'esercizio del Pontefice, ricordiamo che lo stiamo usando in senso provocatorio e non certo quale affermazione di una nuova realtà oggettiva.

    C'è un paradosso: papa-latria è un termine usato oggi contro quei cattolici "papisti" (ma nel senso corretto come indicato da San Pio X) che cercano di difendere l'autorità del Pontefice legittimamente regnante che, pontificando contro una certa deriva etica e morale, vengono accusati di non avere il coraggio di opporsi al Magistero Pontificio e difendere la legittima democrazia che dovrebbe entrare - secondo loro - nella Chiesa e porre fine a degli obblighi morali dettati dalle dottrine intramontabili.

    Perché lo definiamo un paradosso?

    Perché in realtà esiste una papa-latria oggi, ma non appartiene a chi è davvero "papista", bensì appartiene a quella schiera di cattolici che, navigando contro i Dieci Comandamenti e contro l'etica e la morale insegnata dalla Chiesa, quindi dai Pontefici, davanti all'opinione pubblica stanno sì con il Papa ma solo se è "simpatico, buono, bravo e bello", insomma ci troviamo davanti al "culto della persona" del Pontefice, a seconda delle simpatie ma senza obbedire alle dottrine, senza ascoltarlo nel Magistero, oppure estrapolando singole frasi e strumentalizzandone i contenuti disseminano cambiamenti dottrinali in suo nome, attribuendo il tutto al Papa.

    Questa è la vera papa-latria.

    Facciamo qualche esempio concreto.

    Il Papa parla della povertà. C'è stata una eco assordante quando Papa Francesco ha detto come primo Discorso ai giornalisti: quanto vorrei una Chiesa povera!

    In un momento la frase del Papa ha fatto il giro del mondo attribuendogli, tuttavia, una interpretazione contro la Chiesa stessa a riguardo (solito esempio trito e ritrito) degli accessori liturgici, le Basiliche con i loro contenuti come se bastasse, per risolvere la crisi della povertà, vendendo un patrimonio che non è affatto vendibile in quanto senza prezzo, e che se vendibile chi dovrebbe essere l'acquirente? Un museo, un privato, uno Stato?

    Qui si è scatenata la vera papa-latria: simpatia alla massima centrifuga per il Papa che finalmente "spoglierà la Chiesa e venderà tutti i suoi ori"....

    Ma quando Papa Francesco ha detto nella prima Messa con i Cardinali le seguenti parole: "Quando non si confessa Gesù Cristo..... “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio....  camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso"... queste parole non hanno avuto la stessa eco, non sono state assimilate da questi cattolici effetti da papa-latria.

    Parole completamente ignorante e sepolte.

    Il vero "papista" vive invece di queste espressioni e sa perfettamente che confessare Gesù Cristo Crocifisso significa anche vivere di quella povertà che non è affatto lo spogliarsi esteriormente, o andare in giro a spogliare la Sposa di Cristo di accessori che non gli appartengono, ma "spogliarsi internamente" - morire a sé stessi - per poi arrivare, per chi può, a quella perfezione che sta nel "vendere tutto quello che hai, darlo ai poveri, e poi seguire il Signore" ossia consacrarsi a Lui (Mt.19,21), vivere di Lui, per Lui e con Lui.

    Vendi quello che hai, vendi ciò che è in tuo possesso, e non "vendi ciò che non ti appartiene".

    Il Papa stesso non potrebbe vendere affatto nulla di ciò che è dentro le Basiliche (tanto per fare un esempio) a disposizione  per il servizio liturgico perché non è "un suo possesso" ma ne è il custode con tutta la dottrina che questi apparati comportano. La vera Chiesa povera sta nella sobrietà di vita delle sue Membra, questo ha sempre insegnato la dottrina della Chiesa, questo è stato sempre l'esempio concreto di molti Santi e Beati, Sacerdoti e Vescovi.

    Passiamo ad un altro esempio eclatante: Giovanni Paolo II baciò il Corano.

    Ci è lecito criticare il gesto rimanendo onestamente "papisti", senza scontrarsi con l'accusa di "saperne più del Papa"?

    Sì!

    La papa-latria la esercitò chi applaudì quel gesto attribuendo al Papa stesso intenzioni certamente mai sfiorate. Si applaudì il gesto dimenticando lo scandalo che questo gesto ha prodotto dal momento che nel Corano non è solo contenuto la negazione dell'Incarnazione divina del Figlio di Dio e la negazione della Morte di Gesù sulla Croce e persino la negazione della Sua Risurrezione, ma c'è proprio scritta ed impartita la condanna ai fedeli cristiani che non faranno abiura della dottrina della Chiesa sulla realtà di Dio stesso.

    Nel momento in cui non ci è possibile venire a conoscenza delle intenzioni assunte dal Pontefice e le eventuali "giustificazioni" socio-politiche di quel momento storico, abbiamo tuttavia il dovere di affermare senza esitazione che quel gesto in sé stesso provocò grave scandalo e seminò una gravissima confusione all'interno del gregge molto del quale, imbevuto di mediatica papi-latria, finì per affermare che il Papa aveva decretato con quel gesto che "tutte le religioni sono uguali".

    Il vero "papista" invece, fu colui che pur condannando il gesto in sé non esitò a far celebrare Messe di riparazioni, rimase accanto al Papa soffrendo per quel bacio ad un testo che condanna i cristiani e che nega la Santissima Trinità.

     

    Vogliamo portare un ultimo esempio perché proviene da una penna molto più importante e credibile della nostra, dal cardinale Giacomo Biffi dal suo libro "Memorie di un cardinale italiano".

    In questo libro il cardinale mette a nudo alcune leggerezze messe in atto da Giovanni XXIII attraverso alcune sue affermazioni, quindi muove delle critiche costruttive.

    Mette a nudo l'episodio che anticipava il famoso "Mea culpa" di Giovanni Paolo II al quale il cardinale stesso racconta di come gli avesse fatto presente delle lacune e delle ambiguità contenute in alcune espressioni del testo.

    Infine dedica una Lettera aperta al futuro Papa che non era ancora stato eletto, e che poté leggere proprio in Conclave dal quale uscì Benedetto XVI nel 2005.

    Fra le "cose che avrebbe voluto dire al futuro Papa", disse questo:

    "Vorrei dire al futuro papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i 'piccoli'. Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: 'Questo papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali'. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo...."

    Lampante il riferimento alla prima riunione interreligiosa di Assisi in pieno fetore sincretista dal quale lo stesso Ratzinger prese le distanze correggendo per una futura partecipazione corretta una volta diventato Papa.

    Eccolo un vero "papista", quella suora portata nell'esempio del cardinale invece è, chiaramente, una affetta da papa-latria.

    Potremmo accennare all'uso anche del termine "papa-crazia", usato da molti cattolici progressisti che vorrebbero così un Pontefice democratico, ossia umano, e non legato al suo ruolo nell'infallibilità petrina e associato alla famosa "collegialità", ma alla fine sarebbe lo stesso della papa-latria.

    Potremmo anche dire che credevamo che certa papa-latria avesse raggiunto il suo culmine con il Pontificato di Giovanni Paolo II, ma probabilmente, in questo, ci eravamo sbagliati.

    Noi siamo certi che il Pontificato di Papa Francesco riserverà moltissime sorprese ai cattolici progressisti, non sorprese a loro favorevoli, ma non escludiamo un eccesso di papa-latria ancora maggiore al suo Predecessore beatificato che a quanto pare è stato già eclissato dai Media.

    Vogliamo restare piuttosto fedeli al termine "papisti" così come lo intendevano san Pio X e san Giovanni Bosco ed anche l'umile frate san Pio da Pietralcina che in fatto di obbedienza al Papa, ma al tempo stesso anche di critica a certo sistema curiale,  ha ancora molto da insegnare.

    Una volta un santo Sacerdote ci disse: "... in fondo le membra della Chiesa dovrebbero o potrebbero somigliare un pò le Guardie Svizzere: queste sono persone che si arruolano in modo del tutto volontario non solo per mantenere viva una tradizione nata nel sangue, ma soprattutto perché credono in quello che fanno e lo svolgono egregiamente. Forse ogni battezzato cattolico dovrebbe avere nel cuore un sentimento tanto vivo come quello che anima l'arruolamento di queste persone per la tutela della libertà del Papa, una libertà di cui nessuno mai parla, mentre ognuno difende la propria".

     

    ***



    [SM=g1740771]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 08/10/2013 19:50


    [SM=g1740758] La Chiesa di Cristo o la chiesa del Papa?

    02.05.2013 13:22

     

    La Chiesa di Cristo o la chiesa del Papa?

     

    Ennesima provocazione di un frasario modernista atto, però, a voler usare certi termini con l'intenzione di modificarne l'originaria sostanza.

    Se c'è un punto fermo, ripetitivo fino all'ossessione è proprio il concetto espresso da Benedetto XVI dall'annuncio del suo ritiro in quel dire: "la Chiesa è di Cristo!"

    Perché ripeterlo molte volte prima di ritirarsi?

    Perché è evidente che da dopo il Concilio, volente o dolente, i nemici della Chiesa hanno sposato una immagine a seconda del Pontefice regnante, così come della propria immagine.

     

    Ha cominciato Paolo VI con il suo gesto eclatante nel togliersi la tiara e dismetterla.

    Il Papa sapeva bene che non poteva (e non voleva) abolire un segno che non gli appartiene, ma di certo poteva modificarne l'uso secondo ciò che ritenesse utile o meno utile in quei tempi di regno complesso e difficile.

    Paolo VI, infatti, non vendette le tiare della Sacrestia Pontificia, ma diede via la sua, quella che gli regalarono i milanesi e ne mantenne il segno sullo stemma personale.

    Papa Montini temeva l'incalzare apparentemente inarrestabile della modernità, ed a costo di immani sacrifici, ricercò costantemente un compromesso con la società moderna, o meglio con i simboli, le immagini di questa, disposto a modificare l'immagine della Chiesa almeno sotto il suo Pontificato. In quegli anni, tanto per fare un esempio sui simboli, mentre le femministe bruciavano i reggiseno, certi preti, in preda ad una triste smania di emulazione bruciavano pianete ed abbattevano altari e balaustre a martellate incoraggiati dal gesto montiniano nel dar via la tiara e nel modificare simboli e segni.

    Pur volendo ammettere la buona fede di Paolo VI occorre dire che questo suo gesto, mai spiegato, né ufficialmente redatto da un Documento ufficiale, di fatto si rivelò come "peccato originale" della sua strategia di rendere il papato più "accessibile" più vicino alla gente, più "umano" e meno divino, insomma, un Pontificato ad personam.

     

    Ma leggiamo ora un passo di storia indispensabile, come nasce la Tiara?

    Ce lo facciamo spiegare da un libro del 1878 scritto dalla Casa editrice dei Salesiani proprio per il sacerdote don Bosco,  che riporta l'incoronazione di Papa Leone XIII

    leggiamo:

    Triregno. È un ornamento del capo, rotondo, chiuso al di sopra,  circondato da tre corone. È questa una magnifica e splendida insegna di onore, di maestà, di giurisdizione del Sommo Pontefice. La sua origine rimonta ai tempi di Costantino, che la diede a s. Silvestro in segno di onore. Era fatto a forma del Pileo dei Romani, berretto, che usavano solamente i liberi e non gli schiavi. Perciò vuolesi che Costantino l’ abbia data a s. Silvestro, appunto per indicare che la Chiesa cessava di essere schiava e tiranneggiata dai persecutori, e cominciava ad essere libera nei suoi spirituali esercizi.

                Quest’ ornamento da prima portava una sola corona, ed era detto Regno. Fu chiamato poscia Triregno quando ebbe aggiunte due altre corone. La seconda corona fu aggiunta da Bonifacio VIII; la terza da Benedetto XII. Sebbene una sola possa esprimere il sommo potere del Papa, tuttavia le tre corone esprimono meglio le tre potestà che egli ha in Cielo, in terra e nel Purgatorio, coelestium, terrestrium, et infernorum. Le tre  corone possono ancora significare che il Papa è Sommo Sacerdote, Signore temporale, e universale Legislatore. Il Triregno è sormontato da un globo su cui sorge una croce. Il globo e la croce posta sul Triregno indica il mondo assoggettato a Gesù Cristo in virtù della Croce, ed è sostenuto dal Papa, perché tutta la terra è alla sua cura affidata.

    Sempre dal medesimo testo, che parla dell'incoronazione di Papa Leone XIII, leggiamo la descrizione dell'evento:

    ...allora il Cardinale secondo Diacono, che stava a sinistra del trono, toglieva dal capo del Pontefice la mitra, ed il Cardinale primo Diacono, che stava alla destra, gli imponeva il Triregno, proferendo a voce alta e vibrata le famose parole:  Accipe Tiaram tribus coronis ornatam,et scias Te esse Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in terra Vicarium Salvatoris N. J. C. cui est honor et gloria in saecula saeculorum.

               Ossia:  Ricevi la Tiara ornata di tre corone, e sappi che Tu sei Padre dei Principi e dei Re, Reggitore del mondo, Vicario in terra del Salvator Nostro Gesù Cristo, cui è onore e gloria nei secoli dei secoli.

                Il Triregno imposto al S. Padre Leone XIII fu già donato al Santo Padre Pio IX dalla Guardia Palatina d’ onore.

                L’ atto e le parole suddette fecero correre come un fremito di commozione fra gli astanti, molti dei quali ne rimasero inteneriti fino alle lagrime. Era questo di fatto il punto più bello e più solenne della grandiosa cerimonia, e non poteva non produrre un effetto vivissimo nel cuore di tanti figli devoti ed affezionati alla nostra santissima religione.

     

    ***

    Quindi, ad onor del vero, Paolo VI  fu per un certo verso un martire imponendo semmai a sé stesso dei grandi sacrifici  al solo scopo di non porsi in urto frontale - a scanso di mali peggiori - con le nefaste tendenze che allora imperversavano, nella speranza, purtroppo infondata che, finita l'ubriacatura dell'euforia conciliarista,  gradatamente le cose si sarebbero assestate. Ma l'assestamento non ci fu.

    Cosa ci fa credere o interpretare che la deposizione della tiara fu un atto personale di Paolo VI, un sacrificio di rinuncia a sé stesso?

    Il Documento "Romano Pontifici Eligendo", promulgato dallo stesso Pontefice, prevedeva che il suo Successore fosse incoronato, secondo l'uso, dal Cardinale Protodiacono.

    Più precisamente è l'ultimo punto della Costituzione Apostolica che lo esprimeva chiaramente (n. 92): Infine il Pontefice sarà incoronato dal Cardinale Protodiacono e, entro un tempo conveniente, prenderà possesso della Patriarcale Arcibasilica Lateranense, secondo il rito prescritto....

    Fu per scelta di "umiltà" che Giovanni Paolo I  disattendendo la "Romano Pontifici Eligendo", rifiutò il rito dell'incoronazione.

    Appare perciò evidente che il gesto di Paolo VI che sarebbe dovuto rimanere isolato, o che al limite non avrebbe dovuto ricadere sulla "incoronazione" del Vicario di Cristo, di fatto venne usato per cominciare dei Pontificati "di stile personale", lasciando così ogni Pontefice "libero" di fare ciò che vuole, avanzare non più secondo una logica giunta a noi per e nella Tradizione, ma in sostanza per avanzare a seconda del proprio e personale stile, umiltà personale se preferite. Resta palese che qui sta anche uno dei segnali più inquietanti e drammatici della vera rottura con la Tradizione: Giovanni Paolo I si rifiutò di farsi incoronare. Giovanni Paolo II, suo Successore due mesi dopo, comprendendo bene la gravità della situazione e per evitare probabilmente un problema al suo predecessore di ordine persino Canonico, non si fece incoronare ma trasformò detta incoronazione con la "intronizzazione", un concetto più moderno ed anche più collegiale come infatti è l'uso del termine che indica anche la presa di possesso dei nuovi Vescovi e Patriarchi della sede di loro nomina spettante.

     

    Sia ben chiaro, il problema non è nella tiara in sé, ma in ciò che rappresenta come sopra è stato ben spiegato e del come si stia tentando di affondarlo, ma non per volontà dei Papi o del Concilio, quanto a causa di una certa infiltrazione modernista nel modo stesso di pensare anche dei Papi.

    Non è più importante che si chiami "intronizzazione" ed oggi, con Papa Francesco si è voluto togliere anche questo termine, oramai il danno è stato è stato fatto ma le risorse della Chiesa che è di Gesù Cristo, sono molte e continueranno a difendere questa Istituzione divina con il suo specifico Primato Petrino.

    Infatti se è vero che gli stessi significati (i tre poteri) possono essere assunti tranquillamente dalla nuova mitria imposta a Benedetto XVI con le tre strisce dorate, è altrettanto vero che si è imposto ai fedeli e al mondo un cambiamento atto a sminuire, nel segno, la potenza e il valore dei tre poteri di Cristo (1 - Re dei re e principi della terra; 2 - Re e Governatore del cielo, della terra e dell'universo intero; 3 - Salvatore delle Anime) distaccandoli sempre di più dall'agire degli uomini e degli Stati. Prova ne è che nel momento in cui Paolo VI fece la sua scelta e Giovanni Paolo I la impose col suo rifiuto, si è verificato anche il crollo della politica cattolica.

    Non escludiamo che tale crisi dei valori e dei principi non negoziabili sarebbero crollati lo stesso, ma dal momento che la storia non si fa con i se e i ma, ma con dati alla mano, l'unica prova sostenibile che è sotto gli occhi di tutti è il crollo simultaneo avvenuto da ambo le parti anzi, cedendo la prima (il papato montiniano) ha finito per cedere anche la seconda.

    Come possiamo sostenere questi fatti?

    Basta ascoltare la massa dei fedeli sui principi non negoziabili, basta ricordare che nel momento in cui l'Italia cedeva all'aborto e al divorzio si parlava ancora di un popolo cattolico al 90% ma, attenzione, che identificava le proprie scelte moderniste associandole spesso ai "cambiamenti apportati da Paolo VI".

    Il gesto di Paolo VI doveva rimanere contestualizzato nel suo tempo e, ad onor del vero, lo stesso Pontefice si spese senza riserve per denunciare i fraintendimenti associati ai suoi gesti di apertura, nonché alle false interpretazioni e strumentalizzazioni che si davano alla "volontà" del Concilio.

    Ma intanto la rottura con la Tradizione era avvenuta e non si sarebbe più arrestata.

     

    Venendo ai giorni nostri non possiamo non constatare questo oscillare da un Pontificato ad un altro, non a caso gli stessi Media parlano di "chiese diverse" usando termini aberranti quali: "la Chiesa di Paolo VI; la Chiesa di Giovanni Paolo II; la Chiesa di Benedetto XVI; ed oggi la Chiesa di Francesco...."

    Non esiste più nel gergo, e dunque nel pensiero dei fedeli, la Chiesa nella sua Tradizione; la Chiesa di Gesù Cristo nei suoi tre poteri; la Chiesa dei Successori di Pietro, tanto che Benedetto XVI per tutto il mese, dopo l'annuncio della rinuncia, non ha fatto altro che ripetere che "la Chiesa non è mia o di altri, ma è di Cristo, è sua...".

    Oramai si tende ad identificare una Chiesa a seconda del Pontefice eletto continuando ad alimentare una estenuante rottura con quella Tradizione che ha reso grande la Chiesa in ogni tempo, anche nei giorni nostri, e che solo così ha reso alcuni Pontefici tanto grandi da essere ricordati e venerati.

    Non è un caso che lo stesso Giovanni XXIII viene ricordato non per la dottrina ma per aver aperto il Concilio Vaticano II; lo stesso Paolo VI viene ricordato per tutta una serie di "aggiornamenti e cambiamenti, aperture e ammodernamento della Chiesa" ma guai a nominarlo nella sua Enciclica Humanae Vitae lineare con la Tradizione; lo stesso Giovanni Paolo II viene ricordato per i suoi gesti moderni ma guai a nominare la sua Evangelium Viate o la Ecclesia de Eucharistia o la sua denuncia contro coloro che volevano abbandonare il celibato presbiteriale o persino avanzare con le donne prete; al contrario Benedetto XVI è stranamente l'unico Papa della serie che viene ricordato negativamente per aver riportato segni e gesti abusivamente cancellati e per aver ridato asilo alla forma antica della Messa, abusivamente vietata.

    Tutto questo ci fa vedere bene come da Giovanni XXIII la Chiesa abbia subito dei cambiamenti che se da una parte li possiamo ritenere lineari con certi cambiamenti epocali (ogni Concilio ha apportato cambiamenti nella Chiesa), dall'altra parte lo stesso silenzio dei Pontefici e gli stessi abusi compiuti da molta Gerarchia non hanno fatto altro che alimentare questa visione delle cose e rafforzare l'aberrazione che ogni Pontefice userebbe la Chiesa a seconda della propria immagine che vuole darle.

     

    Se questi esempi ancora non vi convincono vi invitiamo a rileggervi alcuni articoli precedenti quali quelli dedicati al Pontificato passionale vissuto da Benedetto XVI e, possiamo aggiungere, la chicca di queste settimane: il vescovo ex cerimoniere pontificio tale Piero Marini avrebbe affermato che finalmente oggi, grazie all'atteggiamento liberale di Papa Francesco, ci ritroviamo nell'ennesima "nuova" Chiesa non più oscurantista dove lui stava davvero soffocando, poverino! Viene da chiedersi cosa si aspetta questo "signore" dal nuovo Pontefice!

    Non possiamo che rispondere con l'articolo del teologo domenicano Padre Giovanni Cavalcoli O.P. su Riscossa Cristiana, già da noi più volte a buona ragione citato, dove dice:

    " Il Papato con Paolo VI non è più Cristo che guida le folle, che compie prodigi, che corregge i discepoli, che caccia i demòni, che minaccia farisei, sommi sacerdoti e dottori della legge, ma è Cristo sofferente, “crocifisso e abbandonato”, inascoltato, disobbedito, contestato, beffato, emarginato, angosciato.

    La forza del Papato postconciliare è la forza di Cristo crocifisso, è il potere della croce. Il Papa deve stare continuamente in croce, fino all’ultimo...."

     

    Se Papa Francesco sarà sostenuto da Vescovi come quello che sparla del Pontificato precedente, ha da stare molto attento ai tradimenti!

    Al momento questi modernisti dipingono infatti una "nuova" Chiesa all'insegna non della dottrina, ma dei cambiamenti esteriori e nei gesti apportati dal nuovo Pontefice.

    A questo proposito è interessante l'analisi fatta da Sandro Magister con il suo recente: L'incantesimo di Papa Francesco.

    Spicca la parte iniziale dell'articolo dove leggiamo: " La sua popolarità è in buona misura legata all'arte con cui parla. Tutto gli viene perdonato, anche quando dice cose che dette da altri verrebbero investite dalle critiche. Ma le prime proteste cominciano ad affiorare..."

    L'arte con cui parla Papa Francesco, che è poi il suo stile, nulla toglie alla Dottrina sia del Papato quanto al Catechismo della Chiesa. La Chiesa è di Cristo, Papa Francesco lo sa assai bene e molto più di certi prelati crapuloni e profittatori.

     

    Quanto agli stili dei Pontefici, in verità, non sono affatto una novità del dopo Concilio.

    Possiamo partire dai Giardini Vaticani che dal Medioevo ad oggi hanno subito centinaia di cambiamenti apportati ognuno dal Pontefice di turno i quali aggiungevano o toglievano qualcosa; così come gli appartamenti papali dentro i quali ogni Pontefice ha portato la propria firma, trasformazioni superficiali, ma anche radicali a seconda dei gusti. Il 5 luglio del 2010 Benedetto XVI inaugurava la centesima fontana nei Giardini Vaticani dedicata a san Giuseppe, le precedenti 99 sono a firma dei suoi predecessori che si perdono nel tempo. Così come quando fu appena eletto si recò nella sua ex abitazione per organizzare il trasloco (solo libri e pianoforte) preoccupandosi di regolare l'ultima rata dell'affitto. I media l'hanno presto dimenticato.

     

    Come non ricordare anche il Beato Pio IX il quale, appena raggiunto Castel Gandolfo, andava per i vicoli e entrava anche nelle case e spesso sollevava il coperchio della pentola sui fornelli per saggiare la consistenza del brodo. E se vedeva che il cibo non era sufficiente lasciava un po’ di denaro alla famiglia.

    In fondo è stato più facilitato Pio IX che non Papa Francesco il quale farebbe lo stesso se solo potesse, ma l'avvento mediatico non gioca sempre a favore dei Papi.

    Ma possiamo anche accennare l’ istituzione degli "esercizi spirituali" in Vaticano per il Papa e i suoi più stretti collaboratori la quale risale "solo" di recente, al 1925 con Pio XI, che poi nel 1929, con l’enciclica Mens nostra, stabilì che vi si svolgessero puntualmente ogni anno. Se un Papa "domani" dovesse toglierli, non gridiamo allo scandalo, fanno parte dello stile e del carisma, della sensibilità di qualcuno che al momento opportuno li ha istituzionalizzati.

    Pio XI fu anche il primo Papa ad assumere una donna, pure Ebrea, non come donna delle pulizie (con tutto il rispetto per la preziosa categoria), ma in qualità di esperta per riordinare l'archivio fotografico dei Musei Vaticani.

    E sempre di lui è risaputo che fin da quando era Vescovo preferiva portarsi sempre dietro un revolver.... Quando fu nominato Nunzio in Polonia si legge negli appunti di trasferimento delle cose da portarsi dietro: “Tutte le carte che stanno nelle due scrivanie in casa (…). Mettere tutte le dette carte nella valigia comperata a Milano, e portare a Varsavia – come anche il piccolo revolver e munizioni.”

    E ancora, fu Papa Leone XIII che inserì lo sport tra i nuovi strumenti di comunicazione di massa e i movimenti cattolici italiani dettero vita, nei primi anni del ventesimo secolo, a una propria organizzazione che ebbe in Papa Pio X un convinto assertore ed uno strenuo sostenitore. Il suo discorso ai giovani italiani l'8 ottobre 1905 lo potremmo quasi considerare una magna charta: «... ammiro e benedico di cuore tutti i vostri giochi e passatempi, la ginnastica, il ciclismo, l'alpinismo, la nautica, il podismo, le passeggiate, i concorsi e le accademie, alle quali vi dedicate; perché gli esercizi materiali del corpo influiscono mirabilmente sugli esercizi dello spirito; perché questi trattenimenti richiedono pur lavoro, vi toglieranno dall'ozio che è padre dei vizi; e perché finalmente le stesse gare amichevoli saranno in voi una immagine dell'emulazione dell'esercizio della virtù».

     

    Per non parlare poi delle interviste, la prima fu rilasciata da Leone XIII su "Le Figaro" il 4 agosto 1892, la prima di un Romano Pontefice, concessa tra l'altro a una giornalista donna di tendenza socialista. Non dimentichiamo che Leone XIII condannò l'ideologia socialista senza mezzi termini nell'Enciclica Rerum Novarum.

    Insofferente all’etichetta di corte, secondo la quale il Papa doveva mangiare da solo, come avveniva fin dai tempi di Urbano VIII, San Pio X ammise a tavola prima uno e poi due segretari. Alcuni dignitari fecero notare lo strappo alla regola.

    Pio X rispose: «Ho letto e riletto i Vangeli e gli Atti degli apostoli; ma non vi ho mai trovato che San Pietro mangiasse da solo».

    Il 27 maggio 1917 Benedetto XV, con la costituzione apostolica Providentissima mater, promulgava il nuovo Codice di diritto canonico. Al testo furono riconosciute dai giuristi di tutte le scuole una precisione e una chiarezza quali raramente si riscontrano nei codici degli Stati civili. Pose fine anche al “non expedit”, consentendo ai cattolici di fare politica e ai sovrani cattolici di visitare Roma e il Papa.

    A lui ancora regnante era stata eretta nel 1919 a Costantinopoli una statua, recante questa iscrizione dal sapore ecumenico: «Al grande Pontefice della tragedia mondiale, Benedetto XV, benefattore dei popoli, senza distinzione di nazionalità o di religione, in segno di riconoscenza, l’Oriente».

     

    Potremmo continuare all'infinito. Qui abbiamo voluto brevemente dimostrarvi come i cambiamenti nella Chiesa non solo ci sono sempre stati, ma che superato l'impatto emotivo sono stati sempre cambiamenti che hanno ringiovanito la Chiesa, rinvigorito la sua struttura umana e di governo. L'interesse mediatico volto spesso a senso unico, purtroppo, penalizza certi cambiamenti usandoli come modifiche all'Istituzione, per la quale si intende tutto l'apparato dottrinale e dogmatico, Istituzione perciò Divina ed immodificabile.

    La Chiesa è di Cristo, il Suo Vicario senza dubbio può rendere più bella la Sposa, più giovanile, più snella, una volta più mistica, un'altra volta più umana attraverso le personali iniziative che ritiene più o meno opportune durante il suo regno, ma non può modificarne la struttura e questo, fino ad oggi, nessun Papa l'ha fatto. Chi ha tentato di farlo non c'è mai riuscito perché era illegittimo ed antipapa.

    Concentriamoci perciò sulla Dottrina e sul Magistero ufficiale dei Pontefici, il resto lasciamolo alle fantasie dei Media che tali resteranno.

     

    ***




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 08/10/2013 19:55

     

    Il gesuita Papa Francesco stocca il clericalismo

    20.04.2013 09:48

    Il gesuita Papa Francesco stocca il clericalismo

    Visto che spesso siamo costretti a subirci gli slogan creati ad arte dai Media progressisti che strumentalizzano le parole dei Papi, questa volta analizzeremo anche noi certe frasi di Papa Francesco ma senza strumentalizzazioni di sorta, leggendoli piuttosto in termini e in chiave ecclesiale.

    Abbiamo aperto questo Blog con un unico scopo: riscoprire le vie dei Santi per ritrovare nella nostra esistenza l'autentico dinamismo nel quale esercitare il ruolo dei Battezzati, ossia, dei "rivestiti di Cristo" che nella Chiesa ricevono un mandato specifico per essere veri seminatori e portatori dell'acqua viva, quella che davvero disseta, quella esperienza non con un testo scritto (per quanto sacro questo possa essere) ma dell'incontro esplosivo con una Persona speciale ed unica: Gesù Cristo, il Verbo incarnato, la Parola fatta carne.

    In sostanza se questo incontro non ci cambia la vita, non ci converte e non ci rende testimoni credibili tanto da coinvolgere anche gli altri ad accostarsi al Cristo, allora rischiamo di diventare davvero una Chiesa esclusivamente "clericale", da qui la provocazione a quell'essere "anticlericali" a partire proprio da noi stessi.

    La settimana scorsa, udendo Papa Francesco che già nel Giovedì Santo parlava contro una certa "autoreferenzialità" nella Chiesa, ci hanno scritto per chiederci cosa si intende con questo termine e che cosa sta cercando di dirci il nuovo Papa.

    Volentieri dedichiamo questo articolo ad una più facile comprensione.

    Papa Bergoglio è un Pastore della Chiesa che ben conosce le dinamiche pastorali perché non è semplicemente un teorico e non è un "curiale" bensì ha vissuto da sempre l'esperienza pastorale e con questa esperienza cerca di essere oggi il Vescovo di Roma, di fare il Papa, in sostanza l'esempio concreto, la testimonianza concreta dell'agire del Pastore nella Chiesa e nel mondo.

    L'autoreferenzialità nella Chiesa è davvero una delle spine peggiori al suo fianco perché non le consente di applicare pienamente il suo essere "missionaria" e di conseguenza la priva di uno dei doni più eccelsi, quello dell'unicità nella propria dinamica che sforna santi e trae dalla moltitudine quanti sono chiamati alla vocazione, così insegnava già Benedetto XVI in molti suoi interventi.

    In sostanza, autoreferenziali, significa quel compiacere sé stessi, accreditarsi da soli, parlare in modo autoreferenziale ossia esprimersi a favore di sé stessi e quindi in maniera a sé favorevole!

    Significa escludere non solo Gesù Cristo, ma attribuirsi pienamente l'azione dello Spirito Santo come una sorta di servitore alle nostre intenzioni e dipendenze mentre, in verità, accade esattamente il contrario: noi siamo al servizio dello Spirito Santo, è Lui che da le referenze semmai e quindi rende credibile la Chiesa con tutta la sua missione e dottrina.

    Quando diciamo che siamo "anticlericali" ci riferiamo a quel senso negativo di clericalismo autoreferenziale il quale, in ogni azione o pensiero, fa riferimento soltanto a sé stesso, alla propria vita o ai propri interessi e gusti.

    Lo vediamo nel mondo della politica che è formato da una casta autoreferenziale, ideologica, partitica, che cerca di imporre il proprio pensiero.

    Il pensiero che la Chiesa offre invece (non impone) non è suo nel senso che lo ha creato a tavolino, non è partitico, non è ideologico né filosofico, ma è l'incontro con Dio, l'incontro con la Persona Gesù Cristo attraverso il quale, lo Spirito Santo "fa vivere e santifica" e quindi promuove un certo pensiero universale(=cattolico) rendendo un servizio all'uomo in ogni tempo.

     

    Per comprendere ancora meglio ciò che intendiamo, Papa Francesco ha spiegato nell'omelia della Messa del mattino del 19 aprile, chi sono coloro che, alla missione del Cristo, rispondono solo con la testa:

     "Sono i grandi ideologi. La Parola di Gesù va al cuore perché è Parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare. Questi tagliano la strada dell’amore: gli ideologi. E anche quella della bellezza. E si misero a discutere aspramente tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’. Tutto un problema di intelletto! E quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla. (...)

    E questi, sulla strada del dovere, caricano tutto sulle spalle dei fedeli. Gli ideologi falsificano il Vangelo. Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga – da una parte e dall’altra – è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi – l’abbiamo visto nella storia della Chiesa – finiscono per essere, diventano, intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla”.

    E' l'ideologia del moralismo, dell'estetismo, dell'eticismo che, come tutti gli "ismi" della storia ci insegnano, falsificano non solo il Vangelo, ma di conseguenza anche l'immagine della Chiesa, il volto della Sposa, della Madre riducendola ad un accumulo di dottrine pesanti, noiose, incomprensibili.

    Certo che Gesù ha insegnato, per esempio, che il Matrimonio è indissolubile e di conseguenza la Chiesa è contro il divorzio, ma ciò che manca a questi ideologi e quindi ad un certo clericalismo (anche laico) è quell'andare alla radice dell'indissolubilità, al perché Gesù la promuove, manca quell'incarnare la Parola per renderla davvero viva e visibile, comprensibile nel mondo.

    Quando noi insistiamo sulla conoscenza dei Santi, non facciamo ideologia, non siamo autoreferenziali, ma poniamo come esempi dei fatti concreti, persone concrete che hanno cambiato nel loro proprio tempo situazioni stagnanti.

    Ha detto infatti Papa Francesco sempre nell'omelia citata:

    "I Santi sono quelli che portano la Chiesa avanti! La strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza … Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, che porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”.

    Qualcuno ha ragionevolmente detto che: dacché "il Verbo si fece carne" oggi abbiamo troppi che hanno trasformato "la Parola in carta"...

    Non siamo forse sepolti da libri che tendono ad interpretare il Verbo, quello Eccelso, a seconda delle proprie autoreferenzialità, moralismi d'ogni sorta, slogan ideologici e quant'altro? Troppi interpreti della Parola e pochi testimoni della stessa.

    Quando, infatti, parliamo dell'amore ci riferiamo a quel "Dio è amore" che seppur è riscontrabile in tutta la Scrittura, è detto letteralmente una sola volta nella Lettera di Giovanni e che non a caso apre la prima Enciclica di Benedetto XVI:

    « Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1Gv. 4, 16).

    Queste parole della Prima Lettera di Giovanni - scrive il Pontefice - esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: « Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto ».

     

    La prima grande professione di fede scaturisce perciò non da un testo o da chissà quali ragionamenti, ma dall'Amore vivo e vero che Dio ha per noi, ed in questo abbiamo creduto e abbiamo operato; in questo crediamo ed operiamo.

    Cercando di lasciarci addolcire anche dallo stile autenticamente pastorale di Papa Francesco, sempre nell'omelia della Messa delle 7 del mattino, il 18 aprile ha detto:

    "Quante volte tanta gente dice in fondo di credere in Dio. Ma in quale Dio tu credi?”, una domanda diretta con la quale il Pontefice ha messo di fronte l’evanescenza di certe convinzioni con la concretezza di una fede vera:

    “Un ‘dio diffuso’, un ‘dio-spray’, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede”.

     

    «L’ultimo scalino della consolazione — ha detto il Papa nell'omelia del mattino del 4 aprile — è la pace: si incomincia con lo stupore, e il tono minore di questo stupore, di questa consolazione è la pace». Il cristiano, pur nelle prove più dolorose, non perde mai «la pace e la presenza di Gesù» e con «un po’ di coraggio, possiamo dirlo al Signore: “Signore, dammi questa grazia che è l’impronta dell’incontro con Te: la consolazione spirituale”».

    E, soprattutto, ha sottolineato poi, «mai perdere la pace». Guardiamo al Signore, il quale  «ha sofferto tanto, sulla Croce, ma non ha perso la pace. La pace, questa, non è nostra: non si vende né si compra. È un dono di Dio che dobbiamo chiedere». La pace è come «l’ultimo scalino di questa consolazione spirituale, che incomincia con lo stupore di gioia». Per questo, non dobbiamo farci «ingannare dalle nostre o da tante altre fantasie, che ci portano a credere che queste fantasie siano la realtà».

    Infine, anche alla Messa a Santa Marta del 5 aprile, Papa Francesco ha spiegato l'importanza del nome di Gesù:

    «Il nome di Gesù. Non c’è un altro nome. Forse ci farà bene a tutti noi, che viviamo in un mondo che ci offre tanti “salvatori”.  A volte «quando ci sono dei problemi — ha sottolineato —  gli uomini si affidano non a Gesù, ma ad altre realtà,  ricorrendo magari a sedicenti maghe  perché risolvano le situazioni, oppure vanno a consultare i tarocchi per sapere e capire cosa fare. Ma non è ricorrendo a maghi o tarocchi che si trova la salvezza: essa è  nel nome di Gesù. E dobbiamo dare testimonianza di questo! Lui è l’unico salvatore».

    Un riferimento poi è stato dedicato al ruolo della Vergine Maria. «La Madonna — ha concluso il Pontefice — ci porta sempre a Gesù. Invocate la Madonna, e Lei farà quello che ha fatto a Cana: “Fate quello che Lui vi dirà!”.  Lei ci porta sempre a Gesù. È la prima ad agire nel nome di Gesù».

     

    Nella Lettera inviata ai Vescovi argentini, ha così stoccato Papa Francesco:

    «La malattia tipica della Chiesa ripiegata su se stessa  è l'autoreferenzialità: guardarsi allo specchio, incurvarsi su se stessa come quella donna del Vangelo. È una specie di narcisismo, che ci conduce alla mondanità spirituale e al clericalismo sofisticato».
    La terapia che il Papa propone ai vescovi argentini e alla Chiesa tutta è sempre la stessa: «uscire da se stessi per andare verso le periferie esistenziali». O si fa così, o la malattia si aggrava. «Una Chiesa che non esce fuori da se stessa, presto o tardi, si ammala nell'atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa».

     

    Ora, se meditiamo a fondo l'episodio di Maria alle Nozze di Cana, la soluzione stessa che ci propone la Madre è proprio questo "uscire da noi stessi" per fare "tutto ciò che Lui ci dirà"; se non facciamo e non predichiamo cosa Cristo ha detto di fare, diventiamo autoreferenziali e ci chiudiamo in noi stessi, non predichiamo più la Chiesa ma una nostra immagine di Chiesa, una nostra immagine di Cristo.

    La scena a Cana è chiarissima: i veri servi non dicono una sola parola, il dialogo si svolge fra Gesù e la Madre e il tutto parte non da una richiesta personale della Madre, ma da una materna preoccupazione che è una constatazione in quel "non hanno più vino", con il rischio che tutta la festa e l'inizio di quel matrimonio potrebbero essere compromessi se Gesù non farà qualcosa. A questo punto, dopo il dialogo fra Gesù e la Madre, nostra avvocata presso il Figlio, i servi obbediranno alle istruzioni di Gesù.

    E' in questo "fare tutto ciò che Lui dice" che il Signore può operare.

    Questo significa uscire da se stessi e mettersi alla sequela autentica di Cristo, essere veri servi della Parola e non della sua più vasta interpretazione a seconda delle nostre opinioni, constatare le esigenze degli altri alla luce del Vangelo e rispondere come risponderebbe Cristo stesso attraverso gli esempi che abbiamo sia nei Vangeli quanto nei Santi (=Tradizione).

    Certo che, come insegnava Benedetto XVI, non abbiamo delle ricette facili. La fede e la sua applicazione sono un cammino costante, anche con cadute e ricadute, ma sempre un cammino per questo i Sacramenti sono un bene insostituibile, specialmente la Confessione e l'Eucaristia. Vivere dei Sacramenti è proprio questo predisporsi per ricevere il vino buono. La Confessione, fatta bene e costantemente, ci svuota del nostro ego, l'Eucaristia ci riempie del vino buono.

    Per questo invitiamo e sollecitiamo i Sacerdoti ad occuparsi delle anime e non di altro!

    Li invitiamo ad essere meno clericali di quella autoreferenzialità che offusca la loro stessa identità di Ministri santificatori, "amministratori dei misteri di Dio"(cfr 1Cor.4,1) e non del loro sapere nelle loro opinioni, spesso anche speculazioni teologiche.

     

    "Mi incontro oggi con voi, sacerdoti chiamati da Cristo a servirlo nel nuovo millennio. Siete stati scelti tra il popolo, costituiti nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Credete nella potenza del vostro sacerdozio! In virtù del sacramento avete ricevuto tutto ciò che siete. Quando voi pronunciate le parole "io" o "mio" ("Io ti assolvo... Questo è il mio Corpo..."), lo fate non nel nome vostro, ma nel nome di Cristo, "in persona Christi", che vuole servirsi delle vostre labbra e delle vostre mani, del vostro spirito di sacrificio e del vostro talento. (..)  Non lasciamoci prendere dalla fretta, quasi che il tempo dedicato a Cristo in silenziosa preghiera sia tempo perduto. È proprio lì, invece, che nascono i più meravigliosi frutti del servizio pastorale. Non bisogna scoraggiarsi per il fatto che la preghiera esige uno sforzo, né per l'impressione che Gesù taccia. Egli tace ma opera.

    (..) In un mondo in cui c'è tanto rumore, tanto smarrimento, c'è bisogno dell'adorazione silenziosa di Gesù nascosto nell'Ostia. Siate assidui nella preghiera di adorazione ed insegnatela ai fedeli. In essa troveranno conforto e luce soprattutto le persone provate.

    Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa:  che siano degli specialisti nel promuovere l'incontro dell'uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale".

    (Benedetto XVI - Incontro con il Clero Polonia - 25 maggio 2006)

     

    *****

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 08/10/2013 19:57

    Un nuovo Papa e non un papa nuovo

    25.03.2013 13:02

     

    Nuovo Papa e non un Papa nuovo

     

    Abbiamo ricevuto diverse e-mail che ci chiedevano come mai tanto silenzio sul "Papa nuovo", ci è stato chiesto cosa ne pensiamo e se forse non fossimo contrari a questa elezione.

    In verità ci siamo astenuti, di proposito, di perseguire la classica rincorsa mediatica e magari di fare a gara a chi avesse poi sparato le balle più grosse.

    Di proposito e perseguendo la virtù della prudenza abbiamo voluto attendere di far passare il ciclone della novità, l'emozione di una elezione, cercando di evitare quella infatuazione alimentata da molte immagini esteriori che solitamente fanno presa sui Media riversandosi, spesso rovinosamente, sulle migliaia di fedeli che sempre attendono qualcosa di "nuovo" e spesso si stancano della quotidianità, o perfino di avere un "vecchio" Papa.

     

    Come avrete compreso oggi parliamo dell'uso di questo termine "nuovo".

    Cominciamo con il dire che non abbiamo un Papa "nuovo" ma bensì abbiamo un nuovo Papa. La differenza è cosmica! Perciò facciamo attenzione a come usiamo le parole.

    Certe parole vengono usate oggi con una tale perversione da insinuarsi all'interno di un gergo cattolico che, però, finisce anche con il diffondere l'errore.

    Da dopo il Concilio Vaticano II abbiamo cominciato ad udire sempre più spesso questo termine: una Chiesa "nuova", con il perverso intento di voler usare il Concilio per pretendere dalla "chiesa nuova" anche un corpus dottrinale "nuovo". Tutto "nuovo" perchè il vecchio ha stancato, è "passato", anzi, non è al passo con i tempi. Già San Paolo ammoniva: "Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche", (1Tim.4,1);

    "Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia" (Ebr.13,9).

    Così come ancora più esplicitamente ammoniva l'allora cardinale Ratzinger pochi giorni prima di essere eletto Sommo Pontefice, alla Messa Pro Eligendo Pontefice:

     

    "Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.

    Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo.

    É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità".

     

    "Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo..."

    (Efesini 4,14-15).

     

    E' proprio la Sacra Scrittura, interpretata correttamente, che ci dice che abbiamo così un "nuovo Papa" e non già una Papa "nuovo - una chiesa nuova" ecc.... La dottrina è immutabile, ed è proprio questa immutabilità che rende all'elezione di ogni Pontefice non una novità sulle dottrine, ma una novità (= termine che viene da nuovo, novello, fresco, giovane, novizio), un concetto di nuovo non nella dottrina immutabile della Chiesa sigillata anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica in ben cinquecento pagine, ma nuovo in quella freschezza tipica di chi, appena eletto, porta sempre una ventata di fresco, di giovanile, nuovi modi per ridonare l'eterna dottrina immutabile.

     

    Un "Nuovo Papa" non significa altro che un ricambio nel gestire e nella gestione di quella Dottrina che ogni Pontefice, per dirsi tale, ha l'obbligo e il dovere di trasmettere integralmente e fedelmente. Non dunque nel cambiare la dottrina, ma nel porla in modo fresco, con l'entusiasmo che contraddistingue e accompagna, umanamente parlando, l'impatto del nuovo eletto.

     

    Tralasceremo di riportare qui l'odioso e il perverso gioco mediatico del fare i paragoni fra Pontefici. Sono perditempo e nocivi alla pace e salute dell'anima.

    Dobbiamo piuttosto far prevalere l'impostazione "nuova, giovanile, fresca" del nuovo Pontefice a riguardo proprio della Dottrina.

    Ebbene, Papa Francesco ha cominciato parlando del Diavolo! E noi non possiamo che ringraziarlo visto che ne abbiamo parlato anche qui: DEMONIO INFERNO: come parlarne ai bambini?, e dobbiamo ascoltare il "nuovo Papa", e mettere in pratica quanto dice:

    "Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio. Camminare, edificare-costruire, confessare".

    (14 marzo 2013: Papa Francesco, Santa Messa con i Cardinali);

     

    "La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù!

    Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù".

    (24 marzo 2013: Papa Francesco Omelia Domenica delle Palme)

     

    Cosa c'è di "nuovo" in queste parole? Di dottrina nulla, eppure abbiamo udito come certi Media continuano a presentare Papa Francesco come un "segno di rottura" con il suo predecessore Benedetto XVI.

    E abbiamo notato anche fra gli stessi Christefideles Laici come questa falsa rottura sia vista in modo gioioso, addirittura come una "speranza nuova" affinché il "papa nuovo" possa rifondare una "chiesa nuova con dottrine nuove"! Ahimè, che risveglio amaro avranno tutti coloro che stanno sperando da Papa Francesco (o pretendendo) una "chiesa nuova" ostaggio di un mondo che mutando pretenderebbe di dettare "dottrine nuove" ai Discepoli di Cristo nostro Signore.

     

    "Ma Papa Francesco ha detto che desidera una chiesa povera, non porta la croce dorata, non porta l'anello dorato, non porta le scarpette rosse...."

    Signore mio, diremmo davanti a queste idiozie mediatiche, quanta povertà di pensiero!

    Riguardo all'autentica povertà trasmessa dal Vangelo, vi rimandiamo volentieri a questo articolo molto ben argomentato: "La vera povertà che non è il pauperismo… della retorica laicista e della demagogia clericale ", qui possiamo aggiungere che l'autentica povertà insegnata dal Vangelo conduce inevitabilmente alle Beatitudini nelle quali sono descritte nitidamente tutte le virtù che dobbiamo vivere per dirci davvero "poveri" ed entrare nel Regno promesso.

    Gesù non toglie dall'afflizione, ma dice "beati gli afflitti"; Gesù non elimina la povertà ma dice "beati quelli che hanno fame e sete di giustizia..."

    Insomma, la povertà nel Vangelo è persino auspicabile ma non come fine, piuttosto come mezzo per giungere ad un fine.

    Spogliare la Chiesa, dunque, non significa ridurla sul lastrico come vorrebbe certa massoneria e certo pensiero progressista, catto-comunista, modernista, affinché tale Chiesa impoverita di mezzi materiali non possa più andare per il mondo a predicare Cristo, significa piuttosto spogliarsi di quei segni legittimi come accadde per Gesù.

    Cosa ci insegna infatti san Paolo?

    "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

    Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre." (Fil 2,7).

    Affinché anche la Chiesa, e noi con Lei possiamo davvero essere esaltati (=santificati) dal Padre, dobbiamo avere in noi: " gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù ".

    Gesù visse una povertà rivolta esclusivamente al vero fine: la nostra purificazione. Lui non visse affatto da povero, non andava in giro con le toppe ma portava una tunica talmente preziosa che i soldati si guardarono bene dal strapparla, ma la tirarono a sorte; Gesù dimostra che non aveva preoccupazioni per mangiare, anzi, Lui stesso preannunciando di essere quel Cibo che salva, sfamerà la folla con la moltiplicazione dei pani e dei pesci; Gesù dimostra che quando gli occorre qualcosa come un puledro o la stanza dove consumare l'Ultima Cena, Egli sa dove andare; Gesù dimostra di avere anche come pagare la tassa del tempio e non solo, ma elogia l'obolo della vedova e difende la raccolta dei fondi e il tesoro del tempio; Gesù fa tenere una cassa fra gli Apostoli che come sappiamo era gestita da Giuda, il traditore, che si occupava certamente di dare anche ai poveri ciò di cui avevano bisogno, ma di pensare anche al decoro stesso di Cristo e della piccola comunità alla quale nulla mancava; Gesù in definitiva non ha mai chiesto la carità, ma si è fatto mendicante dei nostri cuori, delle nostre anime: " non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo", il vero povero nella Chiesa è colui che si fa servo del prossimo. Perciò anche i poveri devono farsi servi. Il vero povero è colui che esce dalla condizione miserevole del peccato, e dalla stessa povertà intesa proprio come miseria e contro la quale sì, abbiamo il dovere di fare qualcosa: togliere il povero dall'indigenza con i mezzi che ci sono propri.

     

    Sarebbe persino superfluo stare a ripetere che certe croci dorate e anelli dorati non sono affatto di oro massiccio e che in tempo di grave crisi economica il gesto di Papa Francesco (che porta non materiale di ferro come si è detto, ma di argento e vuole portare la croce pettorale (di peltro) che gli fu donata quando venne eletto Vescovo e che quindi racchiude anche un valore affettivo, che continuò a portare anche da cardinale) può senza dubbio aiutare gli animi più sensibili dai quali, però, ci si attende la medesima sensibilità e accuratezza a non infangare i Predecessori che preferirono portare le insigne dorate.

     

    Vogliamo concludere queste riflessioni con una saggia fatta da un sacerdote e che riteniamo utile all'articolo:

     

    Il cardinale Bergoglio in una sua omelia del 2005, dedicata al tema della vita, egli ebbe a dire:

    “Quando si ascolta ciò che Gesù dice: Guarda, «Io mando voi, io vi mando come pecore tra i lupi», si vorrebbe chiedere: «Signore, stai scherzando, o non hai un posto migliore dove mandarci?».

    Perché ciò che Gesù dice fa un po’ paura: «Se annunzierete la mia parola, vi perseguiteranno, vi calunnieranno, vi tenderanno trappole per portarvi davanti ai tribunali e farvi uccidere». Ma voi dovete andare avanti. Per questo motivo, fate attenzione, dice Gesù, siate astuti come i serpenti ma molto semplici come colombe, unendo i due aspetti. Il cristiano non può permettersi il lusso di essere un idiota, questo è chiaro. Noi non possiamo permetterci di essere sciocchi perché abbiamo un messaggio di vita molto bello e quindi non possiamo essere frivoli. Per questo motivo Gesù dice: «Siate astuti, state attenti». Qual è l’astuzia del cristiano? Il saper distinguere fra un lupo e una pecora. E quando, in questo celebrare la vita, un lupo si traveste da pecora, è saper riconoscere quale sia il suo odore. «Guarda, hai la pelle di una pecora, ma l’odore di un lupo». E questo, questo compito che Gesù ci dà è molto importante. È qualcosa di davvero grande”.

    In cosa consisterebbe la nuova era? Su cosa sarebbe fondata? Forse sul creato o sull’amore universale? Forse su una liturgia spoglia? Forse su un S. Francesco che non appare più come « uomo cattolico e tutto apostolico », secondo la felice espressione di Pio XI? Come osservava quel Papa, ” nei nostri tempi, molti, infetti dalla peste del laicismo, hanno l’abitudine di spogliare i nostri eroi della genuina luce e gloria della santità, per abbassarli ad una specie di naturale eccellenza e professione di vuota religiosità, lodandoli e magnificandoli soltanto come assai benemeriti del progresso nelle scienze e nelle arti, delle opere di beneficenza, della patria e del genere umano. Non cessiamo perciò dal meravigliarci come una tale ammirazione per San Francesco, così dimezzato e anzi contraffatto, possa giovare ai suoi moderni amatori, i quali agognano alle ricchezze e alle delizie, o azzimati e profumati frequentano le piazze, le danze e gli spettacoli o si avvolgono nel fango delle voluttà, o ignorano o rigettano le leggi di Cristo e della Chiesa” (Lettera Enciclica “Rite expiatis”, 30 aprile 1926).

    Questa nuova era, tanto simile nella freddezza dei termini al nuovo mondo di farneticanti telepredicatori, se non proprio al pensiero del New Age, sarà riconducibile alle parole del Papa? Non è che voglia avvalersi piuttosto delle parole del Papa per rendere autorevoli i propri pensieri?

    Intanto, fino a questo momento, il solo che sembri rimetterci è Benedetto XVI, accusato persino di aver manipolato la liturgia in opposizione alla leggi della Chiesa. Non avrebbe meritato questo, specialmente da tanti che, fino ad un mese fa, erano intenti ad elogiare i grandi temi del suo pontificato. Col senno del poi (tanto brutto tra cristiani, ma opportuno tra uomini), dovendo riconoscere che nessuno avrebbe potuto dire in anticipo qualcosa sul pensiero del nuovo Papa, possiamo pensare ad una sorta di “captatio benevolentiae” preventiva. Pare, insomma, che il salire in anticipo sul carro del vincitore, non sia un principio affermato soltanto nel mondo. Ma siamo sicuri adesso che questo pensiero, tanto osannato, sia quello del Papa? Siamo sicuri che il biasimo del povero Benedetto alla fine paghi veramente? E’ lecito nutrire qualche dubbio. Soprattutto quando il coro, alla fine, si rivela per quello che è.

    Don Antonio Ucciardo

     

    Rammentiamo il grande riconoscimento che Papa Francesco ha fatto di Papa Benedetto XVI quando è andato a trovarlo: nel donargli una icona Papa Francesco gli ha detto "mi hanno detto che si chiama la Madonna dell'umiltà e, mi permetta di dirle una cosa, ho pensato a lei, alla sua umiltà durante tutto il suo pontificato (e Benedetto XVI ringraziava), ci ha dato tanto esempio di umiltà, davvero (mentre Benedetto XVI continuava a ringraziare), di tenerezza... e ho pensato a lei", mentre Benedetto XVI ringraziando aggiungeva: non dimentichiamola mai (la Madonna dell'umiltà).

    Mentre abbiamo trovato davvero squallido che il portavoce della Santa Sede abbia riportato esclusivamente il termine "siamo fratelli" anziché riportare questo breve dialogo fra due grandi Pontefici come grandi lo sono stati un po tutti i Pontefici in questo martoriato Novecento e inizi del Nuovo Millennio.

     

     

    ***



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 08/10/2013 20:27

    La Beata Emmerich la Chiesa e i Papi

    18.03.2013 15:28

     

    Le Visioni della Beata Caterina Emmerick sui Papi e la Chiesa

    tratte da Ed. Cantagalli 1995

    Già più di due secoli fa la beata Caterina Emmerich preannunciava che la liberazione di Satana sarebbe avvenuta poco prima dell’anno 2000 dichiarando “Mi è stato anche detto che Lucifero verrà liberato per un certo periodo cinquanta o sessanta anni prima dell’anno di Cristo 2000. Mi vennero indicate le date di molti altri eventi che non riesco a ricordare; ma un certo numero di demoni dovranno essere liberati molto prima di Lucifero, in modo che tentino gli uomini e servano come strumenti della giustizia divina”.

    A Natale del 1819 Anna Emmerich rivela che la Provvidenza le dona alcune Visioni sul futuro del mondo, dei Papi e la Chiesa, riepilogabili in sette periodi che, tuttavia, non furono né a suo tempo, né dopo facilmente riconducibili ad una chiara cronologia o ad una chiara decifrazione.

    La Beata così comincia a descrivere questi sette tempi al "pellegrino" (il Brentano): " Io vidi attorno alla Chiesa di Pietro una enorme quantità di persone, alcune occupate a distruggerla e molte altre invece a ripristinarla. Vidi il Papa in preghiera circondato da falsi amici, i quali spesso agivano in contrasto alle sue disposizioni. Un individuo piccolo e nero agiva freneticamente contro la Chiesa di Dio, e mentre quest'ultima veniva così abbattuta, dall'altra parte era anche ricostruita, ma, per la vertà, senza molto vigore" (pag. 139).

     

    (siamo sempre nella Visione del Natale 1819): "Poi vidi giungere un nuovo Papa con una processione. Sebbene questo fosse più giovane del Papa precedente, era anche molto più severo. Venne accolto con i più grandi festeggiamenti. Sembrava come se volesse inaugurare la Chiesa, ma io sentii una voce: - Non c'è bisogno di una nuova inaugurazione, soltanto il Santissimo è rimasto al suo posto -. Ci fu però una duplice e grande celebrazione ecclesiastica, un giubilo generale e la Chiesa fu ripristinata. Prima che il Papa iniziasse la celebrazione il suo contorno era già preparato alle varie sostituzioni; vidi uscire dall'assemblea un certo numero di persone distinte e strettamente religiose che senza obiezioni proseguirono il loro cammino in altra direzione, mentre altri lasciarono l'assemblea con rabbia e brontolii. Il Papa allora, dopo aver proceduto alle sostituzioni di laici e religiosi, iniziò la grande celebrazione nella Chiesa di San Pietro" (pagg. 140-141).

     

    (30 dicembre 1819): "Quando la battaglia sulla terra ebbe termine gli Angeli e la Chiesa che prima erano scomparsi divennero visibilmente luminosi e bianchi. Anche la Croce era scomparsa e al suo posto, sulla Chiesa, comparve un figura femminile, alta e piena di splendore che spiegava il suo mantello dai raggi dorati. Sotto la Chiesa apparvero reciprocamente mortificazione e conciliazione. Vidi Vescovi e pastori avvicinarsi e scambiarsi i loro libri. Le sette riconobbero la Chiesa, convinte dalla meravigliosa vittoria dei bianchi e dalle luci della Rivelazione che avevano visto scendere su di loro. (...) Quando io vidi tutto ciò ebbi la sensazione che il Regno di Dio fosse vicino. (..)... in tutti gli uomini cresceva una attività interiore sacra, come al tempo della nascita di Cristo. Sentii tutto questo ed esultai. (..) ... vidi che questi miei sentimenti erano condivisi da tanti umili fedeli cristiani. (...) i nemici si erano sparpagliati e non furono perseguitati. Numerose processioni si snodavano innanzi e dentro la Chiesa che adesso era presieduta da un nuovo e severissimo Papa. Prima dell'inizio della celebrazione egli, come già vidi, aveva scacciato via molti vescovi e pastori indegni. Questa festa nella Chiesa fu particolarmente celebrata dagli Apostoli" (pagg. 143-145).

    Cominciano da qui altre visioni da agosto e fino alla fine di ottobre 1820 il ché ci fa presupporre che quanto abbiamo letto nelle Visioni del 1819, parte integrante di almeno alcuni dei sette periodi accennati dalla Beata, possano essere già avvenuti con, per esempio, il Papa visto come un "severo" che possiamo riconoscere in San Pio X che condannò il Modernismo anche se, è bene sottolinearlo, dal 1819 ad oggi non risulta esserci mai stato un Papa che abbia " scacciato via molti vescovi e pastori indegni..."?
    Non lo pensiamo dal momento che non era nel progetto di San Pio X: "inaugurare la Chiesa, ma io sentii una voce: - Non c'è bisogno di una nuova inaugurazione, soltanto il Santissimo è rimasto al suo posto -. Ci fu però una duplice e grande celebrazione ecclesiastica, un giubilo generale e la Chiesa fu ripristinata." Come possiamo ben vedere restiamo sempre con i tanti punti interrogativi e al condizionale.

    In queste nuove Visioni del periodo del 1820, la Emmerich descrive nuovamente una Chiesa sottoposta a guerre ininterrotte e di annientamento su tutto l'emisfero terrestre e in ogni angolo della terra. Descrive come queste guerre contro la Chiesa "in futuro non oggi" - dice la Beata - erano guidate dall'ormai radicato impero dell'Anticristo e, specifica il Brentano: " Questa visione è certamente piena di lacune, spesso difficile da decifrare, ma quello che lei ha visto in queste forme nude, e che può descrivere solo a fatica, si accosta molto alle forme della Rivelazione nel Libro di San Giovanni.. (..) ciò che è certo è che tutti abbiamo pensato alla descrizione degli ultimi tempi..."

    Così cominciano i racconti delle Visioni da agosto a fine ottobre 1820:

    "Io vidi nuovi martiri, non di adesso, bensì del futuro, io vidi gente precipitarsi verso la grande Chiesa... (qui c'è tutta la descrizione - pagg. 147-148 - della bestia descritta in Apocalisse), e dopo la battaglia con la quale ci è lecito pensare ad un altro dei sette tempi indicati dalla Mistica, così riporta: " La Chiesa aveva ripreso il suo magnifico splendore. Fin dai confini del mondo la gente di buona volontà, di tutte le condizioni e della terra intera, aveva formato una immane catena umana per passare ad una ad una le pietre per ricostruirla. Vidi ancora tanti uomini cattivi e altri che sarebbero divenuti nuovi martiri per Gesù. La Chiesa fu ricostruita in breve tempo..."

    Il 10 agosto 1820 ripartono le Visioni drammatiche sul Pontefice, ci è lecito dunque pensare ad un altro dei sette periodi: " Vedo il Santo Padre in grande assillo; abita in un altro palazzo circondato da poche persone di fiducia, le sue forze stanno per confrontarsi con la fazione cattiva. Se le forze del male avranno la meglio egli soffrirà ancora grandi tribolazioni prima della sua morte. Vedo la chiesa delle tenebre in crescita ed influire in modo negativo sul mondo del sentimento.

    La pena del Santo Padre e della Chiesa è realmente così grande che si deve supplicare Dio giorno e notte. Io sono stata guidata questa notte a Roma. vedo il Santo Padre in una grande pena d'animo ancora nascosto per sfuggire alle sinistre minacce. Egli è stanchissimo e del tutto sfinito dagli assilli, dalla tristezza e dalle preghiere. Si nasconde perchè non può più reggere, gli è vicino un prete che è suo devotissimo amico ricolmo della grazia di Dio, che vede e annota molto, e comunica tutto fedelmente al Santo Padre.

    A questo sacerdote dovetti rivelare, in preghiera, quelli che erano i traditori e i cattivi intenzionati: altissimi funzionari e fiduciari stessi del Santo Padre. In questo modo il Papa sarebbe stato messo in guardia in modo da non confidarsi più con chi gli era vicino, ma che in realtà era suo nemico. Egli è così debole che non può più camminare..." (pagg.149-150).

     

    Non vogliamo aggiungere nulla a quanto abbiamo letto, lasciando ad ogni lettore di riflettere e meditare che l'unico Pontefice in questa situazione e in queste condizioni dal 1820 ad oggi, lo abbiamo oggi e si chiama Benedetto XVI.

    Ci teniamo anche a sottolineare che con queste Visioni non intendiamo affatto essere ambigui e attribuire al nuovo Pontefice Francesco una qualche responsabilità o colpa. Noi riconosciamo Papa Franciscus il legittimo 266° Sommo Pontefice di Santa Romana Chiesa, Successore legittimo di Papa Benedetto XVI. Non tiriamo alcuna conclusione, ma quanto è accaduto in questi nostri giorni può solo essere letto in chiave cattolica e di grande Fede e di amore per il Papa e la Chiesa.

    Non possiamo così ignorare la Visione del 25 agosto, a quanto abbiamo letto (anche qui ci sembra lecito pensare ad un altro dei setti tempi), nella quale dice la Emmerich: "Non so come stanotte giunsi a Roma, mi ritrovai vicino alla Chiesa di S. Maria Maggiore e vidi colà molta gente povera e devota, piena di paura e preoccupazione a causa del ritiro del Papa. Per questo motivo c'era inquietudine in città e la gente si recava a supplicare la Madre di Dio....(... qui descrive i sentimenti della gente) Vidi allora apparire la Madre di Dio, la quale mi disse che il pericolo sarebbe aumentato e perciò la gente doveva pregare ferventemente in modo devoto, con le braccia aperte e distese tre Pater Noster al Supremo (...) i fedeli avrebbero dovuto supplicare e pregare in special modo affinché la chiesa delle tenebre ricada di nuovo nell'abisso. La Madre di Dio parlò mi di molte cose assai difficili a spiegarsi; appresi che solo un prete avrebbe offerto un sacrificio incruento dignitosamente e consapevolmente come fecero gli Apostoli, allontanando tutti i pericoli. (...) Questa gente buona e devota, adesso era diventata sprovveduta e disorientata. Tra loro non c'era più nessun nemico eppure sembravano aver paura l'uno dell'altro" (pagg.150-151).

    Il 7 ottobre la Emmerich ha una nuova visione  in cui viene accompagna da Santa Francesca Romana, dopo un giro nelle catacombe, descrive: "Quando con Francesca Romana e il Santo martire (di cui dice di non ricordare il nome), giunsi a Roma, vedemmo un grande palazzo (il Vaticano spiega poi), avvolto nelle fiamme. Fui molto turbata, nessuno tentava di spegnere quell'incendio ed ebbi l'impressione che gli abitanti volessero forse essere bruciati, perché nessuno tentava di domare le fiamme. Appena ci avicinammo il fuoco scemò fino a spegnersi. Potemmo vedere il palazzo bruciato e annerito dalle fiamme. Entrammo ed attraversammo molte sale meravigliose. Giungemmo fino al Papa che sedeva su una grande sedia era malatissimo ed aveva perduto i sensi. Non poteva più muoversi. (..) I religiosi che lo circondavano non mi piacevano, apparivano essere falsi e tiepidi. I devoti semplici e fedeli invece, si trovavano nella parte più lontana del palazzo. Parlai a lungo con lui e mi sembrò che la mia presenza in quel luogo fosse necessaria.

    Parlai al Papa dei Vescovi che sarebbero stati insediati e gli parlai pure del pericolo di lasciare Roma. Secondo me non avrebbe dovuto farlo altrimenti senza la sua presenza in città, tutto sarebbe caduto nella confusione.

    Egli però era persuaso di lasciare la città e mi rispose che questo pericolo non poteva essere evitato, doveva andare via per salvare molti e per salvarsi.

    Santa Francesca Romana parlò ancora a lungo con lui. Io ero molto debole e sfinita. Roma si trovava in una condizione miserabile, la più piccola scintilla avrebbe potuto provocare il più grande incendio...."

    Dal 10 ottobre 1820 riprendono le visioni apocalittiche sulla Chiesa di San Pietro che la Beata vede distrutta "fino al coro", tribolazioni che si concludono sempre con il trionfo della Chiesa vera per poi ricominciare la sua battaglia soprattutto interna.

    "La Chiesa - si lamentò la Emmerich - è in grave pericolo, io devo chiedere e supplicare chi viene da me di pregare per la salvezza della Chiesa, pregarlo affinché reciti il Pater Noster. Si deve pregare affinché il Papa non lasci Roma; ci sono molti pericoli e si deve invocare il Signore che faccia mantenere la presenza dello Spirito Santo nell'animo del nostro Papa. (..)

    Stanotte in una visione sul Papa, ho visto San Francesco portare la Chiesa, la vidi anche portata sulle spalle da un piccolo uomo che aveva tratti giudei nel viso. Sembrava come se incombesse un pericolo grave. Maria apparve sul lato nord della Chiesa con il suo manto protettore aperto (...).

    La Chiesa era semidistrutta di nuovo ma c'era ancora il pavimento e la parte posteriore, il resto era stato distrutto dalle sétte segrete e dagli stessi servitori della Chiesa. I Dodici allora la portarono in un altro posto, mentre alcuni palazzi sprofondarono intorno a loro come grano dalle spighe.  Quando vidi la Chiesa di Pietro in quella condizione e come tanti religiosi avevano contribuito all'opera di distruzione, senza che ciò apparisse pubblicamente, ebbi una tale pena che invocai la pietà di Gesù. In seguito a tale invocazione mi apparve il mio Sposo Celeste, come un giovane, e mi parlò per lungo tempo. Egli mi disse che la Chiesa solo apparentemente sembrava crollare sotto questo peso, ma in verità da questo carico ne verrà la tranquillità e la Chiesa risulterà sui suoi nemici nuovamente vincitrice. Se anche un solo cristiano cattolico le resterà fedele, essa potrà vincere ancora..."

    La Emmerich spiega poi come il Signore stesso la consola del fatto che nella Chiesa, in ogni tempo, ci sono sempre veri fedeli, ma esortandola a pregare e a soffrire in modo costante e perseverante: "Fui resa consapevole che i cristiani intesi nel senso vero della parola non esistono quasi più. Restai molto addolorata nell'apprendere questo"...  (pag.152-157).

     

    A pag. 156 parte un'altra Visione sempre collegata a quanto abbiamo letto fino a qui:

    La pia suora si lamentò a voce alta: "Vidi la Chiesa solitaria, interamente abbandonata. Sembrava che tutti fossero scappati via. Imperava la disarmonia più completa. Dappertutto vidi grandi difficoltà e odio, tradimenti e amarezze, inquietudini e cecità piena. Da un gruppo sinistro vennero inviati messaggeri segreti per dare intorno una notizia spiacevole che provocò odio e rabbia nel cuore degli ascoltatori. Io pregai diligentemente per questi nuovi oppressi. Vidi delle luci illuminare i luoghi dove i singoli pregavano, su tutti gli altri invece calare le tenebre oscure. La condizione si presentava in modo terribile. Ho supplicato la compassione di Dio per quegli uomini e per quella città.

    O città, città (Roma), quali minacce! La tempesta è vicina. Fai attenzione! Ma io spero che tu resterai salda".

     

    Infine il 16 ottobre la Emmerich descrive quest'altro particolare degno di nota perché descrive ampi giardini e una Via Crucis che solitamente si fa nei Venerdì di Quaresima: "Stanotte ho percorso la Via Crucis di Coesfeld. Ero in compagnia di molte anime. Esse mi presentarono la situazione difficile della Chiesa e mi mostrarono la necessità di pregare. Mi vidi circondata da molti giardini. Nei medesimi era simboleggiato il rapporto del Papa coi Vescovi. Il Papa era sul suo trono in giardino, e le figure e le forze di questoi Vescovi mi apparvero rappresentati da piante, frutta e fiori, sparsi nei singoli giardini. Dal trono del Papa si estendevano raggi su tutti i giardini, le piante e la frutta; erano le relazioni e gli influssi della Santa Sede".

     

    Terminiamo qui questa prima parte dedicata espressamente alle figure di alcuni Pontefici e di una certa situazione nella Chiesa, attraverso le Visioni della Mistica Beata Caterina Emmerich.

    Come abbiamo spiegato non intendiamo affatto usare queste Visioni contro il legittimo nuovo Pontefice, Papa Francesco, ci è sembrato molto più saggiamente portare i lettori alla riflessione e alla meditazione, alle molte coincidenze che riscontriamo nel testo con i fatti che stiamo vivendo.

    Il modo migliore per leggere questi fatti è quello suggerito dalla Beata stessa: pregare, pregare, pregare; fare sacrifici, restare fedeli alla Chiesa, essere coerenti con la fede Cattolica che si vuole professare, amare incondizionatamente il Papa e la Chiesa. Incondizionatamente significa proprio amare il Papa e la Chiesa non come la vorremmo noi, ma come è e come la vuole Iddio, anche con i suoi "sfarzi" usati per il vero ed unico Culto Sacro, all'Eucaristia Santissima ai Riti.

     

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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 08/10/2013 20:31

    Primato Petrino e la collegialità dei Vescovi

    06.03.2013 09:58

     

    Primato Petrino o semplice collegialità fra "pari"?

    Cari amici, anche a causa della storica rinuncia di Benedetto XVI alla guida attiva della Chiesa, da molte parti si è riacceso un dibattito che vede in testa le schiere progressiste e moderniste nella Chiesa in quella martellante collegialità atta a scardinare il ruolo del Primato Petrino.

    Da più parti si invoca, in tal senso, un Successore che possa modificare le più imponenti Dottrine della Santa Chiesa, aggiornandole dicono, alle necessità del nostro tempo. La stessa rinuncia del Pontefice sembra dar credito a questa pressione.

    Ma le cose stanno veramente così?

    Non ci soffermeremo sulle stravaganti e recidive affermazioni di chi vorrebbe imporre una propria immagine di Chiesa con altrettanti visionari ruoli, né vogliamo perdere il tempo a fare elenchi di nomi assai noti, piuttosto vogliamo aiutare il lettore a comprendere cosa insegna la Chiesa, come ha insegnato fino all'ultimo lo stesso Benedetto XVI anche per comprendere che la sua rinuncia non ha nulla a che vedere con certe proposte di cambiamento.

    Resta illuminante un punto indiscutibile: anche i più reazionari, atei o eretici che fossero, tutti guardano alla Sede Petrina come ad un primato unico e fondamentale a tal punto che, diabolicamente, non vogliono rinnegare tale primato, ma sovvertirlo, usarlo per l'edificazione di una chiesa del mondo. Come i preti che vogliono sposarsi tanto per affermare il detto di chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca. O come le donne che pretendono il sacerdozio, dunque non lo rinnegano affatto, ma lo vogliono come rivendicazione di una parità con il maschio.

    Sembra davvero ignoto a molti (è stato fatto un piccolo sondaggio a livello parrocchiale ed è risultato che nessun sacerdote conosce questo testo) un importante Documento della CdF firmato dall'allora cardinale Ratzinger in qualità di Prefetto e, naturalmente, firmato e approvato dall'allora Pontefice Giovanni Paolo II, si tratta del testo ufficiale:

    Il Primato del Successore di Pietro nel Mistero della Chiesa.

     

    Ma facciamo un breve passo indietro.

    "Eminenza, c'è chi dice che sia in atto un processo di "protestantizzazione" del cattolicesimo".

    La risposta, come al solito, accetta in pieno la battuta: "Dipende innanzitutto da come si definisce il contenuto di " protestantesimo ". Chi oggi parla di "protestantizzazione" della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un'altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista".

    (Rapporto sulla Fede - Intervista di V. Messori a J. Ratzinger cap.XI)

     

    Nell' approfondire l'argomento, vi invitiamo a munirvi anche di un eccellente tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità del Papa per la Chiesa universale" .

    In questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle false interpretazioni che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi.

    A pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.

    Ratzinger fa emergere e denuncia "i malintesi" sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di "comunione basterebbe accogliere il Mistero della Trinità"...... Sì, dice Ratzinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma non è sufficiente per parlare di "comunione".

    e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di "popolo di Dio" e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."

     

    Così Ratzinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....

    Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "si abbattè una grandinata di critiche da cui ben poco riuscì a salvarsi", in sostanza ci fu un "ammutinamento di molti Vescovi" contro il quale nulla poterono fare (o forse non vollero per timore di un grave scisma) Giovanni Paolo II e lo stesso Ratzinger, se non ribadire l'insegnamento della Chiesa.

    Ratzinger rispose allora spiegando ragionevolmente il suo testo sulla base della Scrittura e sulla stessa Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora e poi Pontefice: "potrebbero sembrare possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la grande Chiesa ideata da Dio con a capo Cefa, per rifugiarsi in una immagine empirica delle Chiese nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

     

    E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:

    "Questo però significa che la Chiesa come tema teologico verrebbe cancellata. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto desolazione. Ma allora non è abbandonata solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."

     

    Un altra denuncia portata da Ratzinger nel chiarire i vari aspetti dell'Ecumenismo, è quella secondo la quale basterebbe la presenza di un vescovo e di una chiesa-comunità per stabilire una qualche forma di unità senza soffermarsi sull'essenza dottrinale!

    Ratzinger denuncia quel relativismo secondo il quale non pochi teologi, erroneamente, si sono posti la domanda " Con quale diritto la Chiesa cattolica si presenta quale unica Chiesa di Cristo?"

    La replica di Ratzinger è precisa: "la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità... (...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa non è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle comunità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussiste pertanto una e indivisa nella Chiesa ideata da Cristo con a capo Pietro..."

    E quando venne eletto Pontefice, successore di questo Pietro, Cefa, Benedetto XVI disse il 23 agosto 2005 all'incontro ecumenico di Colonia:

    "Non può esserci un vero dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità, certamente, ma soprattutto nella verità.."

    Il problema Ratzinger l'aveva individuato molto bene e sta in quel:

    "... rifugiarsi in una immagine empirica delle Chiese nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

    e in quella grave conseguente conclusione:

    "Questo però significa che la Chiesa come tema teologico verrebbe cancellata".

    Riguardo così anche ad una ecu-mania volta a smobilitare il Primato Petrino e quindi anche della stessa Chiesa Cattolica, riducendola ad una "inter-paris" con tutte le altre Comunità non cattoliche, così ammoniva il Prefetto diventato Pontefice, sempre nella Communionis Notio:

    "Nelle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche esistono infatti molti elementi della Chiesa di Cristo che permettono di riconoscere con gioia e speranza una certa comunione, sebbene non perfetta. (..) Siccome però la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro, non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni, la situazione di quelle venerabili comunità cristiane implica anche una ferita nel loro essere Chiesa particolare.

    La ferita è ancora molto più profonda nelle comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e l'Eucaristia valida. Ciò, d'altra parte, comporta pure per la Chiesa Cattolica, chiamata dal Signore a diventare per tutti  un solo gregge e un solo pastore, una ferita in quanto ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia.

    (...) In questo impegno ecumenico, hanno un'importanza prioritaria la preghiera, la penitenza, lo studio, il dialogo e la collaborazione, affinché in una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma, e vedere realizzato il ministero petrino, come è inteso dal Signore, quale universale servizio apostolico, che è presente in tutte le Chiese dall'interno di esse e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia".

     

    Quindi: e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia, non significa il riconoscimento sincretista di una sorta di "inter-paris" con le altre Chiese particolari (si legga gli Ortodossi) e Comunità Cristiane (si legga i Protestanti che non sono Chiese), o l'appiattimento del ruolo Petrino, infatti leggiamo che per una piena comunione è necessaria: una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma.

    Sempre attraverso alcuni interventi di Ratzinger in diverse occasioni, viene spiegato il senso corretto per interpretare questa Communions Notio, ossia questa Comunione tra il Papa e i vescovi.

    Egli rammenta che il Vangelo di Matteo pone a Simone, Cefa, l'autorità apostolica superiore, collegata certamente all'istituzione degli altri undici "che agiscono in comunione con lui, ma mai senza di lui, sottolinea Ratzinger....(cfr.Mt.10,1; 18,18).

    Pietro ha un primato "autorevole" che include l'insegnamento e la guida sicura, egli è istituito "per primo ed in modo singolare e specifico" (Mt.16,18 ss): senza Pietro non esisterebbe alcun ruolo di vescovo perché nessun vescovo potrebbe darsi il mandato da sé stesso, non vi sarebbe alcuna comunione, al contrario vediamo che ci sono vescovi che nella storia della Chiesa hanno creato la divisione separandosi dalla comunione con Pietro, ma essi non hanno dato origine ad altre Chiese bensì hanno dato origine alla divisione nell' unica Chiesa di Cristo che ha al suo vertice visibile Pietro e i suoi Successori in questa Sede.

    Così anche il Vangelo di Marco e di Luca pongono il ruolo di Simone in una posizione unica di autorità all'interno del Sacro Collegio.

    Luca nel Vangelo e negli Atti approfondisce la parola "primato" (22,31) dove appunto spetta a Simone e solo a Lui confermare gli altri in questa unica Fede. Questo compito non venne chiesto a tutti gli "Undici", ma solo a Pietro. Questo passo va letto con quello di Giovanni, rammenta Ratzinger, in Gv. 21,15-17 dove l'evangelista sottolinea il passaggio da Gesù "supremo Pastore" a Pietro, guida della comunità che è diventato pastore "in sua vece" (da qui il termine "Vicario" di Cristo)!

     

    Questa singolarità, spiega Ratzinger, è unica a Pietro e non può essere dissociata quando si parla di collegialità e di comunione tra i vescovi: Pietro possiede una unicità che non è stata data ad altro!

    Se infatti gli Atti presentano Pietro come il garante della Dottrina nella Tradizione Cristiana appena nata, Paolo lo riconosce come l'autorità con cui è necessario ed indispensabile concordare (1Cor.9,5) al contrario, nella giovane comunità, non è mai Pietro che scende a compromessi con i presbiteri o i nuovi vescovi appena nominati, lo stesso Paolo nell'istruire Tito e Timoteo, raccomanda ad essi di attenersi "scrupolosamente" alle istruzioni da lui ricevute, istruzioni per le quali andò fino da Cefa (Galati 1;2) per ottenere conferma della sua predicazione!

    All'Udienza generale così spiegò Benedetto XVI:

    7 giugno 2006, Pietro, la roccia su cui Cristo ha fondato la Chiesa:

    "Le tre metafore a cui Gesù ricorre sono in se stesse molto chiare: Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l'edificio della Chiesa; egli avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto; infine, egli potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. E’ sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro. E' così descritto con immagini di plastica evidenza quello che la riflessione successiva qualificherà con il termine di "primato di giurisdizione".

     

    Concetti che più volte Ratzinger aveva ripreso quando da Cardinale rispondeva alle tante domande che gli venivano poste.

    Nello spiegare appunto la Nota sulla Comunione dei Vescovi, egli torna a ribadire l'unicità decisionale spettante a Pietro la quale non può essere inglobata nel concetto di collegialità, ma la collegialità quanto l'esercizio petrino non si contrappongono, non possono disgiungersi, pena la divisione.

    "Si deve infatti affermare che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del primato nè lo deve relativizzare..."

    (CdF il primato del successore n.5 EV 17)

     

    La collegialità, spiega Ratzinger, viene semmai confermata dalla presenza di Pietro e dalla sua professione di fede: "Così è stato consegnato ad uno solo ciò che doveva essere comunicato a tutti "

    (S.Leone Magno, Discorsi, 4,3- pl 54,150,151)

    La stessa Lumen Gentium (n.22) asserisce chiaramente come il Vescovo di Roma è L'UNITA' della Chiesa e i Vescovi nel loro insieme e per mezzo dell'obbedienza rappresentano "la comunione con l'unità", non dunque alla pari ma "con Pietro".

    Denuncia così lo stesso Ratzinger che dopo il Concilio Vaticano II sia in casa cattolica quanto in campo ecumenico i due termini  "comunione ed unità" non siano stati  compresi distintamente come è sempre stato, ma di come siano stati gravemente confusi e relativizzati.

     

    L'errore principale parte da un documento messo a punto a Monaco dalle frange ribelli: "Documento di Monaco, III, 4 in Enchiridion Oecumenicum 1"

    il teso dice: " L'episkopè della Chiesa universale viene affidata dallo Spirito all'insieme dei vescovi locali, in reciproca comunione", Ratzinger allora sottolinea l'errore del Documento dal quale sembra così, che la comunione derivi unicamente dal riconoscimento reciproco bastante di fratellanza e buona volontà senza più alcun riferimento alla "conferma" da parte di Pietro; inoltre, sottolineava allora il card. della Dottrina della Fede che l'insieme sinodale prenderebbe in tal modo il posto del Primato Romano nella "presidenza" della Chiesa! E questo è inaccettabile, infine, tale documento, affermerebbe che tale primato risiederebbe solo nello Spirito Santo (concetto luterano) mentre come ci insegnano i Vangeli e la Tradizione esso venne affidato da Gesù a Pietro e agli altri undici uniti a Lui. E' Pietro che dà il mandato, che conferma e che riconosce la comunione tra i Vescovi, non il contrario.

    La Congregazione per la Dottrina della Fede promulgherà, a condanna della Dichiarazione di Monaco e degli altri documenti analoghi, l’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, emanata il 24 maggio 1990 dal Prefetto card. Joseph Ratzinger con l'approvazione di Giovanni Paolo II. Le Comunità di Base, per bocca di don Franco Barbero, dissero al cardinale Ratzinger di occuparsi non già dei teologi ribelli, ma piuttosto di quelli eccessivamente obbedienti. Intervenì ovviamente anche Martini e mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, intimò: «il magistero deve ascoltare di più il popolo di Dio».

    Come vediamo i nomi sono sempre gli stessi: il lupo cambia il pelo ma non il vizio.

     

    C'è anche un interessante riferimento di Ratzinger al Concilio di Calcedonia quando la Chiesa di allora rigettò il canone 28 il quale dice:

    XXVIII. Voto sui Privilegi della sede di Costantinopoli.

    "Seguendo in tutto le disposizioni dei santi padri, preso atto del canone [III] or ora letto, dei 150 vescovi cari a Dio, che sotto Teodosio il Grande, di pia memoria, allora imperatore si riunirono nella città imperiale di Costantinopoli, nuova Roma, stabiliamo anche noi e decretiamo le stesse cose riguardo ai privilegi della stessa santissima chiesa di Costantinopoli, nuova Roma.

    Giustamente i padri concessero privilegi alla sede dell'antica Roma, perché la città era città imperiale.

    Per lo stesso motivo i 150 vescovi diletti da Dio concessero alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l'imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell'antica città imperiale di Roma, eguali privilegi anche nel campo ecclesiastico e che fosse seconda dopo di quella.

    Di conseguenza, i soli metropoliti delle diocesi del Ponto, dell'Asia, della Tracia, ed inoltre i vescovi delle parti di queste diocesi poste in territorio barbaro saranno consacrati dalla sacratissima sede della santissima chiesa di Costantinopoli. E’ chiaro che ciascun metropolita delle diocesi sopraddette potrà, con i vescovi della sua provincia, ordinare i vescovi della sua provincia, come prescrivono i sacri canoni; e che i metropoliti delle diocesi che abbiamo sopra elencato, dovranno essere consacrati dall'arcivescovo di Costantinopoli, a condizione, naturalmente, che siano stati eletti con voti concordi, secondo l'uso, e presentati a lui".

     

    La Chiesa di Roma - spiegava Ratzinger - non può ritrovarsi in questo perché la sua "maternità" è di natura Apostolica e il suo Primato è di diritto Divino di conseguenza non può scendere a patti o a compromessi equiparandola alle altre Sedi. Per questo la Chiesa insiste molto sul ruolo stesso di Maria nel Cenacolo fino a proclamarla, come lo era già da sempre: Mater Ecclesiae.

    E citando sempre il canone 28 di quel Concilio, spiegava il rigetto di tale articolo che la Chiesa manifestò fin dal principio "perchè in base a questo articolo la sede di Costantinopoli poteva rivendicare poteri pari a quelli di Roma a scapito di altri Patriarcati e, dopo la caduta dell'Impero d'Oriente, cominciò infatti a ritenersi quale centro di una ecclesiologia universale verso la quale tutti dovevano sottostare", spostando così il centro della Sede Petrina da Roma a Costantinopoli. E' ovvio che Roma, la Sede Petrina mai e poi mai avrebbe potuto accettare un compromesso di questo genere senza tradire il mandato datole dal Cristo! La Chiesa non difende la "chiesa di Pietro" ma difende un primato legittimo datole dal Cristo, difende il ruolo di Pietro nella Chiesa di Cristo, l'unica Chiesa, così come Pietro, a sua volta, difende il ruolo dei Vescovi in comunione con lui confermandoli nella comune fede, inviandoli nel mondo, assegnando ad essi porzioni di popolo, il gregge di Cristo, non di Pietro o di singoli vescovi come rammenta Gesù stesso a Pietro: "Pasci le mie pecore".

     

    E mai avrebbe potuto condividere teorie dette della "traslazione" del primato o come quella della Kidemonia panton secondo cui l'ortodossia doveva essere considerata "un unico organismo con a capo il Patriarca di Costantinopoli", una sorta di "Papa oriental", mentre i vescovi erano i suoi delegati, alla pari, e infatti neppure le altre chiese Ortodosse hanno accettato queste teorie, dando origine alle Chiese dette "autocefale".

    Nella sua Lettera ai Vescovi del 2009, proprio per chiarire la questione della Tradizione nella Chiesa associata alla discussione alla FSSPX, il Pontefice Benedetto XVI ha detto:

    "Ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel  corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive".

     

    Nel discorso che  Papa Benedetto XVI ha tenuto l'anno prima, nel 2008 per la Pentecoste, ritroviamo ripetuti i medesimi concetti che stiamo esprimendo qui:

    11 maggio 2008: Cappella Papale nella Solennità di Pentecoste...

    dice il Papa :

    "Societas Spiritus", società dello Spirito: così sant’Agostino chiama la Chiesa in un suo sermone (71, 19, 32: PL 38, 462). Ma già prima di lui sant’Ireneo aveva formulato una verità che mi piace qui ricordare: "Dov’è la Chiesa, là c’è lo Spirito di Dio, e dov’è lo Spirito di Dio, là c’è la Chiesa ed ogni grazia, e lo Spirito è la verità; allontanarsi dalla Chiesa è rifiutare lo Spirito" e perciò "escludersi dalla vita" (Adv. Haer. III, 24, 1)

    (...) La Chiesa che nasce a Pentecoste con a capo già visibilmente Pietro che "prende la parola" non è anzitutto una Comunità particolare – la Chiesa di Gerusalemme – ma la Chiesa universale, che parla le lingue di tutti i popoli. Da essa nasceranno poi altre Comunità in ogni parte del mondo, Chiese particolari che sono tutte e sempre attuazioni della sola ed unica Chiesa di Cristo. La Chiesa cattolica non è pertanto una federazione di Chiese, ma un’unica realtà: la priorità ontologica spetta alla Chiesa universale. Una comunità che non fosse in questo senso cattolica non sarebbe nemmeno Chiesa".

     

    E ancora, sull'Osservatore Romano del 4 marzo 2000 troviamo un lungo ma fondamentale articolo del Prefetto della CdF, Ratzinger: L'Ecclesiologia della costituzione «Lumen Gentium».

    Partendo dalla crisi della fede e della Liturgia il Cardinale ripercorre una linea chiara atta a spiegare certi errori che partendo da una immagine di Chiesa diversa da quella che la Tradizione ci ha donato, si giunge inevitabilmente a modifiche che nulla hanno a che vedere neppure con il Concilio, ma che sono dei veri tranelli. Dopo aver spiegato l'origine della crisi liturgica, il Prefetto diventato poi Pontefice arriva a discutere sulla falsa immagine di una nuova Chiesa.

    Riportiamo ampi stralci da lasciare alla vostra riflessione:

    "Vorrei subito anticipare la mia tesi di fondo: il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teologico, ma la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è gettata su singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi prospettive dei Padri conciliari. (..)

    L'ecclesiologia di comunione è fin dal suo intimo una ecclesiologia eucaristica. Essa si colloca così assai vicino all'ecclesiologia eucaristica, che teologi ortodossi hanno sviluppato in modo convincente nel nostro secolo. (..)

    L'Eucaristia include il servizio sacerdotale della «repraesentatio Christi» e quindi la rete del servizio, la sintesi di unità e molteplicità, che si palesa già nella parola «Communio». (..)

    Per tutti questi motivi ero grato e contento, quando il Sinodo del 1985 riportò al centro della riflessione il concetto di «communio». Ma gli anni successivi mostrarono che nessuna parola è protetta dai malintesi, neppure la migliore e la più profonda. Nella misura in cui «communio» divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata.

    Come per il concetto di popolo di Dio così si doveva anche qui rilevare una progressiva orizzontalizzazione, l'abbandono del concetto di Dio.

    L'ecclesiologia di comunione cominciò a ridursi alla tematica della relazione fra Chiesa locale e Chiesa universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra. Naturalmente si diffuse nuovamente il motivo egualitaristico, secondo cui nella «communio» potrebbe esservi solo piena uguaglianza.

    Si è così arrivati di nuovo esattamente alla discussione dei discepoli su chi fosse il più grande, che evidentemente in nessuna generazione intende placarsi. Marco ne riferisce con maggiore insistenza. Nel cammino verso Gerusalemme Gesù aveva parlato per la terza volta ai discepoli della sua prossima passione. Arrivati a Cafarnao egli chiese loro di che cosa avevano discusso fra di loro lungo la via. «Ma essi tacevano», perché avevano discusso su chi di loro fosse il più grande — una specie di discussione sul primato ( Mc 9, 33-37).

    Non è così anche oggi? Mentre il Signore va verso la sua passione, mentre la Chiesa e in essa egli stesso soffre, noi ci soffermiamo sul nostro tema preferito, sulla discussione circa i nostri diritti di precedenza. E se egli venisse fra di noi e ci chiedesse di che cosa abbiamo parlato, quanto dovremmo arrossire e tacere.

    (..) Vescovo non si è come singoli, ma attraverso l'appartenenza ad un corpo, ad un collegio, che a sua volta rappresenta la continuità storica del «collegium apostolorum».

    In questo senso il ministero episcopale deriva dall'unica Chiesa e introduce in essa. Proprio qui diviene visibile che non esiste teologicamente alcuna contrapposizione fra Chiesa locale e Chiesa universale. Il Vescovo rappresenta nella Chiesa locale l'unica Chiesa, ed egli edifica l'unica Chiesa, mentre edifica la Chiesa locale e risveglia i suoi doni particolari per l'utilità di tutto quanto il corpo.

    Il ministero del successore di Pietro è un caso particolare del ministero episcopale e connesso in modo particolare con la responsabilità per l'unità di tutta quanta la Chiesa.

    Ma questo ministero di Pietro e la sua responsabilità non potrebbero neppure esistere, se non esistesse innanzitutto la Chiesa universale. Si muoverebbe infatti nel vuoto e rappresenterebbe una pretesa assurda. Senza dubbio la retta correlazione di episcopato e primato dovette essere continuamente riscoperta anche attraverso fatica e sofferenze. Ma questa ricerca è impostata in modo corretto solo quando viene considerata a partire dal primato della specifica missione della Chiesa e ad esso in ogni tempo orientata e subordinata: il compito cioè di portare Dio agli uomini, gli uomini a Dio. Lo scopo della Chiesa è il Vangelo, e attorno ad esso tutto in lei deve ruotare.

    Questo non vuol dire che nella Chiesa non si debba anche discutere sul retto ordinamento e sulla assegnazione delle responsabilità. E certamente vi saranno sempre squilibri, che esigono correzioni. Naturalmente può verificarsi un centralismo romano esorbitante, che come tale deve poi essere evidenziato e purificato. Ma tali questioni non possono distrarre dal vero e proprio compito della Chiesa: la Chiesa non deve parlare primariamente di se stessa, ma di Dio, e solo perché questo avvenga in modo puro, vi sono allora anche rimproveri intraecclesiali, per i quali la correlazione del discorso su Dio e sul servizio comune deve dare la direzione..."

    ***

    "Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane (32): non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.

    Il Romano Pontefice è - come tutti i fedeli - sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione.

    Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato. (..)

    Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum  in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati. Nel caso del Vescovo di Roma — Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi —, la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa: una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli".

    (Il Primato del Successore di Pietro nel Mistero della Chiesa.)

     

    I suoi fratelli Vescovi pascolano legittimamente il gregge di Cristo solo in unione effettiva ed affettiva con la Cattedra di Pietro.

    Altrimenti si ritorna all’esperienza del IV secolo, quando quasi tutti i Vescovi del mondo si piegarono al volere di un imperatore ariano.

    Solo il Papa, e un manipolo di Vescovi fedeli a lui, preservarono la fede cattolica. Il Papa sta lì a ricordare che la Chiesa non è una struttura umana. Anche questo è il motivo per cui così tante culture e così tanti popoli diversi trovano in essa la loro identità diventando membra del Corpo della Chiesa, diventando appunto "cattolici", ossia universali.

    Potremmo fare il paragone con una chitarra: la cassa di risonanza, la struttura, la roccia è Pietro, le corde i vescovi, le membra, senza la struttura sia le membra quanto i Vescovi non troverebbero dove accordarsi.

     

    Così spiegava mons. Nicola Bux ad Agenzia Fides del 2/7/2009:

    "Clemente Romano, raccontando della morte degli apostoli Pietro e Paolo, osserva che l’invidia di alcuni nella stessa comunità cristiana la facilitò.  Dopo duemila anni, il peccato è sempre presente negli uomini.

    (...) C’è il tentativo di ridurre la Chiesa ad una agenzia mondiale umanitaria e l’utopia che l’unità delle nazioni possa essere realizzata dagli organismi internazionali e non da Cristo.

    Il Cardinale J.H.Newman supponeva che l’apostasia del popolo di Dio, in varie epoche e luoghi, avesse sempre preceduto la venuta degli “anticristi”, tiranni come Antioco e Nerone, Giuliano l’Apostata, i leader atei della Rivoluzione francese, ciascuno un “tipo” o “presagio” dell’anticristo, che sarebbe venuto alla fine della storia, quando il mistero di iniquità avrebbe manifestato la sua insensatezza finale e terribile.

    L’incapacità dei credenti di vivere la propria fede, ammoniva Newman, come nelle epoche precedenti, avrebbe condotto “al regno dell’uomo del peccato, che avrebbe negato la divinità di Cristo e innalzato se stesso al suo posto”

    (Il Nemico, Cinisello Balsamo 2006, pp. 175-176).

    Ma il Signore, anche se dorme sulla barca in tempesta, nel momento finale si risveglierà e placherà i flutti. Poi tornerà da noi e ci chiederà perché abbiamo avuto così poca fede. Nel frattempo portiamo la croce.

    Osserviamo il tradimento. Soffriamo.

    Scrive ancora Newman: “Lo scopo del diavolo, quando semina la rivoluzione nella Chiesa è gettarla in confusione, perché la sua attenzione sia distratta e le sue energie disperse. In questo modo veniamo indeboliti proprio nel momento della storia in cui avremmo bisogno di essere più forti” .

    “Perché il Santo Padre non agisce? Non può imporre a questi prelati l’obbedienza?”. “Lo ha fatto ripetutamente e nel modo più cristiano.

    Ma non comanda una polizia, o un esercito. Di recente è stato più fermo con i dissidenti […] La soluzione però non è l’autoritarismo, perché quello getterebbe solo benzina sul fuoco della rivolta.

    Il Santo Padre opera finché c’è luce. Richiama noi tutti a Colui che ha portato la croce e che è morto su di essa. Nelle sue mani porta solo questo, una croce; parla sempre del trionfo della Croce. Quelli che non vogliono ascoltare ne risponderanno a Dio” (Ivi,p 402-403)".

    ***

    Vogliamo concludere queste riflessioni con un poema dottrinale e di granitica fede che un Vescovo pronunciò al Concilio Vaticano I, esprimendo in tal modo come è da intendersi l'autentica collegialità.

    S.E.R. Monsignor Josè Francisco Ezequiel Moreira, vescovo di Ayacucho (1826-1874)

    Breve discorso tenuto al Concilio Vaticano I il 2 luglio 1870

    "Eminentissimi presidenti, eminentissimi e reverendissimi padri, dopo le magnifiche orazioni dei sapientissimi vescovi, rinunzio alla mia (..)

    Perdonatemi se dirò solo qualche parola in segno di lode e d'amore per la Cattedra di San Pietro, dirò qualche parola che in sè contiene la dottrina dell'Infallibilità, poichè se la fede della Chiesa romana è la fede della Chiesa cattolica, ne segue che questa cattedra di San Pietro, dove si conserva questa fede, sempre e ovunque mantiene la sua forza.

    O Santa e benedetta cattedra di Pietro, fondata su Pietro! Tu sei quella cattedra che quando insegna, insegna il Vero. Quando definisci, definisci nello Spirito Santo, quando leghi, leghi con vincoli indissolubili, quando sciogli, veramente e realmente sciogli, quando anatematizzi, anatematizzi con una maledizione celeste, quando dispensi, dispensi con l'autorità ricevuta da Cristo, quando apri, apri il Paradiso e il Purgatorio.

    Oh Cattedra!

    Chi non ti teme, è già condannato! Chi non ti venera, è maledetto! Chi non ti obbedisce è scismatico, chi si separa da te, è eretico. La tua autorità è divina, il tuo timore santo, la tua dottrina vera, il tuo giudizio retto, il tuo decoro supremo, la tua benedizione celeste.

    Non posso qui esimermi dal rendere grazie. O Santa Chiesa Romana, unica tra tutte le chiese apostoliche che non sei venuta mai meno nella fede!

    E' venuta meno l'Acaia dove sedeva Andrea, l'Etiopia dove sedeva Matteo, l'India dove sedeva Tommaso, la Siria dove sedeva Filippo, la Giudea dove sedeva Giacomo, la Persia dove sedeva Simone, la Grecia dove sedeva Paolo, Tu invece, Chiesa Romana, dove sedeva Pietro, non sei mai venuta meno, nè mai avverrà che tu venga meno. Ho pregato per te affinchè la tua fede non venga meno e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli, che si affaticano ai remi.

    Questa è la lode che esprimo alla Santa Chiesa Romana in ossequio e amore".

     

    *********



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 09/10/2013 15:26
    [SM=g1740722] dalla tastiera e dall'animo di un sempre grande Berlicche.....



    papa


    Il Papa in mutande.....

    Il paradosso è questo: che i discorsi del Papa con i giornalisti, Scalfari compreso, siano molto più letti e studiati di tutti gli altri. Di tutti quelli delle dichiarazioni ufficiali, pronunciati davanti a migliaia e milioni di persone, delle encicliche…

    La cosa ha un po’ del voyeuristico. E’ come se sperassimo di trovare il Papa in mutande. Come se stessimo guardando dal buco della serratura del Vaticano, cercando di cogliere chi sta dentro con la barba lunga mentre si scola una birra e si gratta il sedere. Come se origliassimo una conversazione bisbigliata nell’altra stanza, una specie di fuorionda rispetto alla ufficialità del Magistero.
    Perché, diciamolo chiaramente: sono ben pochi quelli che il Magistero se lo filano. Chi si legge tutti i discorsi papali sono una ristretta minoranza di entusiasti, i roadie papali, i veri aficionados. Non penso proprio tutti i cattolici. Neanche tutti i preti. Certamente non tutti i giornalisti, dato gli svarioni tipici di chi ha bigiato il catechismo dopo il primo giorno che si possono ascoltare.
    Amici belli, quanti di coi hanno letto il discorso di Papa Francesco ai medici cattolici? Uno, due, abbassa la mano che ti ho contato…E ora, chi ha letto l’ultima intervista a Scalfari? Ecco.

    I discorsi del Papa vengono presi, se va bene, per una frase o due. Un po’ storpiata, e se solo se va bene al redattore. Non interessano. Sono noiosi. Meglio: sono considerati noiosi. Controprova? Guardate quanti ne ha fatti Benedetto XVI. Alcuni sono delle vere bombe, stupendi. Eppure, quale si ricorda di più? Quello “scandaloso” di Ratisbona, frainteso e strumentalizzato a dovere.
    E meno male.
    Perché quello stupendo pezzo, in questa maniera, l’hanno letto tutti. O, se non tutti, molto di più di quelli che altrimenti l’avrebbero preso in considerazione. Il Papa che parla ai docenti di una facoltà teologica? Bleah. Il Papa che attacca l’Islam? Ehi, dai qui, fammi vedere.
    Per lungo tempo è stato così. Il titolo, decidere cosa dire o non dire della Chiesa è stato affidato ai maestri del pensiero a capo delle redazioni, ai loro ammici dei salotti. La Chiesa è stata costretta a giocare in difesa, puntualizzando, sperando che si degnassero di scrivere quello che diceva e non quello che sceglievano di farle dire. Quello che sceglievano di riportare.
    Una specie di fortezza, sempre più isolata. I suoi soli testimoni universalmente ascoltati ed invitati ovunque quei preti e teologi del dissenso il cui unico merito è di cercare di distruggere ciò che dicono di essere. La bellezza del bosco raccontata dai piromani.

    Improvvisamente, tutto cambia. Non più i paparazzi che con i teleobbiettivi cercano di beccare un’immagine sgranata. No, il Papa è passato al contrattacco.

    Sfruttando proprio la debolezza, il limite intrinseco di questa kultura del nulla che cerca di cancellare il cristianesimo.
    Tu non parli di me? Io parlo con te. Non scrivi quello che dico? Bene, faccio in maniera che diventi una notizia. Che tu non la possa bucare. Soddisfo la tua voglia di gossip, di pettegolezzo, di sensazione. Perché in questa maniera non puoi tenermi nell’irrilevanza, per riffa o per raffa scriverai quello che dico. Quello che dice la Chiesa. Le parole del Papa. Ad ogni costo.
    Tipo quello di affidare ciò che dice alla memoria di un laicista monomaniaco ottantenne. Già, perché sembra che il buon Scalfari, a differenza di quello che insegnano ai cronisti novellini, parlando con Francesco non abbia né registrato né preso appunti. Quindi non c’è da fidarsi troppo di quel virgolettato, certo non abbastanza da rivoluzionare un dogma.

    Perché il dogma rimane, il magistero rimane. Ma milioni di persone hanno letto parole che altrimenti non sarebbero mai giunte alle loro orecchie. Che magari le hanno incuriosite. Che magari proveranno l’impulso di approfondire.
    Nessun ateo egocentrico rifiuterà di pubblicare il dialogo del Papa, il Papa! con lui. Nessuno smisurato orgoglio può mancare di cedere alle lusinghe della vanità. Neanche quando risulta evidente che la tua idea di Dio farebbe ribaltare dalle risate un perito elettrotecnico. Neanche quando stai dando voce a chi è il tuo nemico da sempre.

    Il pastore ha mollato la pecora nel recinto ed è andato a cercare le novantanove che si erano disperse in giro. Non potete non notarlo: è in mutande. Ma non è questo che importa.


    [SM=g1740733]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 09/10/2013 18:48

    La svolta di Francesco

    Ha svelato il vero programma del suo pontificato in due interviste e in una lettera a un intellettuale ateo. Rispetto ai papi che l'hanno preceduto il distacco appare sempre più netto. Nelle parole e nei fatti

    di Sandro Magister




    ROMA, 3 ottobre 2013 – La prima riunione degli otto cardinali chiamati a consulto da papa Francesco, in questi giorni, e domani la sua visita ad Assisi, la città del santo da cui ha preso il nome, sono atti che certamente caratterizzano questo inizio di pontificato.

    Ma ancor più caratterizzanti, nel definirne la linea, sono stati quattro eventi mediatici del mese appena trascorso:

    - l'intervista di papa Jorge Mario Bergoglio a "La Civiltà Cattolica",

    - la sua lettera in risposta alle domande rivoltegli pubblicamente da Eugenio Scalfari, il fondatore del principale quotidiano laico italiano, "la Repubblica",

    - il successivo suo colloquio-intervista con lo stesso Scalfari,

    - e l'altra lettera in risposta a un altro campione dell'ateismo militante, il matematico Piergiorgio Odifreddi, quest'ultima scritta non dal papa attuale ma dal suo vivente predecessore.

    Chi volesse capire in che direzione Francesco voglia procedere e in che cosa si distacchi da Benedetto XVI e da altri papi che l'hanno preceduto non ha che da studiare e confrontare questi quattro testi.

    *

    Nell'intervista di papa Bergoglio a "La Civiltà Cattolica" vi è un passaggio che è stato universalmente percepito come un rovesciamento netto di linea rispetto non solo a Benedetto XVI ma anche a Giovanni Paolo II:

    "Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione. Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo".
     
    Naturalmente papa Francesco è ben consapevole che anche per i due papi che l'hanno preceduto la priorità assoluta era l'annuncio del Vangelo; che per Giovanni Paolo II la misericordia di Dio era talmente centrale da dedicarvi una domenica dell'anno liturgico; che Benedetto XVI scrisse proprio su Gesù vero Dio e vero uomo il libro della sua vita di teologo e di pastore; che insomma niente di tutto questo divide lui da loro.

    Francesco saprà anche che la stessa considerazione vale per i vescovi che più di tutti hanno agito in sintonia con i due papi suoi predecessori. Ad esempio, in Italia, il cardinale Camillo Ruini. Il cui "progetto culturale"  ha imperniato eventi cardine proprio su Dio e su Gesù.

    C'era però, sia in Karol Wojtyla, sia in Joseph Ratzinger, sia in pastori come Ruini o negli Stati Uniti i cardinali Francis George e Timothy Dolan, l'intuizione che l'annuncio del Vangelo oggi non potesse essere disgiunto da una lettura critica dell'avanzante nuova visione dell'uomo, in radicale contrasto con l'uomo creato da Dio a sua immagine e somiglianza, e da una conseguente azione di guida pastorale.

    Ed è qui che papa Francesco si distacca. Nella sua intervista a "La Civiltà Cattolica" c'è un altro passaggio chiave. A padre Antonio Spadaro che lo interroga sull'attuale "sfida antropologica", egli risponde in modo elusivo. Mostra di non afferrare la gravità epocale del passaggio di civiltà analizzato e contestato con forza da Benedetto XVI e prima ancora da Giovanni Paolo II. Si mostra convinto che valga di più rispondere alle sfide del presente col semplice annuncio del Dio misericordioso, quel Dio "cha fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti".

    In Italia, ma non solo lì, era il cardinale e gesuita Carlo Maria Martini a rappresentare questo orientamento alternativo a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI e al cardinale Ruini.

    Negli Stati Uniti era il cardinale Joseph L. Bernardin a rappresentarlo, prima che la leadership della conferenza episcopale passasse ai cardinali George e Dolan, fedelissimi di Wojtyla e Ratzinger.

    I seguaci e ammiratori di Martini e Bernardin vedono oggi in Francesco il papa che dà corpo alle loro aspettative di rivincita.

    E come un cardinale Martini era e continua ad essere popolarissimo anche nell'opinione pubblica esterna e ostile alla Chiesa, altrettanto accade per l'attuale papa.

    *

    Lo scambio epistolare e il successivo colloquio tra Francesco e l'ateo professo Scalfari aiutano a spiegare questa popolarità del papa anche "in partibus infidelium".

    Già un passaggio dell'articolo del 7 agosto nel quale Scalfari gli rivolgeva delle domande era indicativo dell'idea positiva che il fondatore di "la Repubblica" si era fatta dell'attuale papa:

    “La sua missione contiene due scandalose novità: la Chiesa povera di Francesco, la Chiesa orizzontale di Martini. E una terza: un Dio che non giudica ma perdona. Non c’è dannazione, non c’è inferno”.

    Ricevuta e pubblicata la lettera di risposta di papa Bergoglio, nel commentarla Scalfari ha aggiunto quest'altra considerazione soddisfatta:

    "Un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di san Pietro".

    Nell'affermare questo, Scalfari si riferiva in particolare a ciò che papa Francesco gli aveva scritto sul primato della coscienza:

    “La questione sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.

    Papa Francesco non aveva aggiunto altro. E alcuni lettori avvertiti si chiesero come potesse comporsi questa definizione così soggettiva della coscienza, nella quale l'individuo appare come la sola istanza della decisione, con l'idea di coscienza come cammino dell'uomo verso la verità, idea approfondita da secoli di riflessione teologica, da Agostino a Newman, e ribadita con forza da Benedetto XVI.

    Ma nel successivo colloquio con Scalfari papa Francesco è stato ancor più drastico nel ridurre la coscienza ad atto soggettivo:

    "Ciascuno di noi ha una sua visione del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male come lui li concepisce. Basterebbe questo per cambiare il mondo".

    Non sorprende quindi che l'illuminista ateo Scalfari abbia scritto di "condividere perfettamente" queste parole di Bergoglio sulla coscienza.

    Così come non sorprende la sua accoglienza compiaciuta di queste altre parole del papa, quasi un programma del nuovo pontificato, ovvero "il problema più urgente che la Chiesa ha di fronte a sé":

    "Il nostro obiettivo non è il proselitismo ma l'ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, della disperazione, della speranza. Dobbiamo ridare speranza ai giovani, aiutare i vecchi, aprire verso il futuro, diffondere l'amore. Poveri tra i poveri. Dobbiamo includere gli esclusi e predicare la pace. Il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l'umiltà e l'ambizione di volerlo fare".

    Non c'è niente in questo programma di pontificato che possa riuscire non accetto all'opinione laica dominante. Anche il giudizio che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI abbiano fatto "molto poco" nell'aprire allo spirito moderno è in linea con tale opinione. Il segreto della popolarità di Francesco è nella generosità con cui si concede alle attese della "cultura moderna" e nell'accortezza con cui schiva ciò che possa diventare segno di contraddizione.

    Anche in questo egli si distacca decisamente dai predecessori, Paolo VI compreso. C'è un passaggio nell'omelia che l'allora arcivescovo di Monaco Ratzinger pronunciò il 10 agosto 1978 in morte di papa Giovanni Battista Montini, che è straordinariamente illuminante, anche per il suo richiamo alla coscienza "che si misura sulla verità":

    "Un papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede. È per questo che in molte occasioni ha cercato il compromesso: la fede lascia molto di aperto, offre un ampio spettro di decisioni, impone come parametro l’amore, che si sente in obbligo verso il tutto e quindi impone molto rispetto. È per questo che ha potuto essere inflessibile e deciso quando la posta in gioco era la tradizione essenziale della Chiesa. In lui questa durezza non derivava dall’insensibilità di colui il cui cammino viene dettato dal piacere del potere e dal disprezzo delle persone, ma dalla profondità della fede, che lo ha reso capace di sopportare le opposizioni".

    *

    A conferma di ciò che distanzia papa Francesco dai predecessori è arrivata appunto la lettera con cui Ratzinger-Benedetto XVI – rompendo il suo silenzio dopo le dimissioni – ha risposto al libro "Caro papa, ti scrivo" pubblicato nel 2011 dal matematico Piergiorgio Odifreddi.

    Entrambi gli ultimi due papi dialogano volentieri con atei professi e leader laici d'opinione, ma lo fanno in forma molto diversa. Se Francesco schiva le pietre di scandalo, invece Ratzinger le evidenzia.

    Basti leggere questo passaggio della sua lettera a Odifreddi:

    "Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po' più competente da un punto di vista storico. Le raccomando per questo soprattutto i quattro volumi che Martin Hengel (esegeta dalla Facoltà teologica protestante di Tübingen) ha pubblicato insieme con Maria Schwemer: è un esempio eccellente di precisione e di amplissima informazione storica. Di fronte a questo, ciò che Lei dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere. Che nell'esegesi siano state scritte anche molte cose di scarsa serietà è, purtroppo, un fatto incontestabile. Il seminario americano su Gesù che Lei cita alle pagine 105 e sgg. conferma soltanto un'altra volta ciò che Albert Schweitzer aveva notato riguardo alla Leben-Jesu-Forschung (ricerca sulla vita di Gesù) e cioè che il cosiddetto 'Gesù storico' è per lo più lo specchio delle idee degli autori. Tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l'importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l'annuncio e la figura di Gesù".

    E più avanti:

    "Se Lei vuole sostituire Dio con 'La Natura', resta la domanda chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far ancora notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell'esistenza umana restano non considerati: la libertà, l'amore e il male. Mi meraviglio che Lei con un solo cenno liquidi la libertà che pur è stata ed è il valore portante dell'epoca moderna. L'amore, nel Suo libro, non compare e anche sul male non c'è alcuna informazione. Qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione. Ma la Sua religione matematica non conosce alcuna informazione sul male. Una religione che tralascia queste domande fondamentali resta vuota.

    "La mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch'io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia 'Introduzione al cristianesimo', abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell'ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze".

    *

    Fin qui le parole. Ma a distanziare tra loro gli ultimi due papi stanno arrivando anche i fatti.

    Il divieto imposto da papa Bergoglio alla congregazione dei frati francescani dell'Immacolata di celebrare la messa in rito antico è stata un'effettiva restrizione di quella libertà di celebrare in tale rito che Benedetto XVI aveva assicurato a tutti.

    Risulta da conversazioni con suoi visitatori che lo stesso Ratzinger abbia visto in tale restrizione un "vulnus" al suo motu proprio del 2007 "Summorum pontificum".

    Nell'intervista a "La Civiltà Cattolica" Francesco ha liquidato la liberalizzazione del rito antico decisa da Benedetto XVI come una semplice "scelta prudenziale legata all'aiuto ad alcune persone che hanno questa sensibilità", quando invece l'intenzione di Ratzinger – espressa a suo tempo in una lettera ai vescovi di tutto il mondo – era che "le due forme dell'uso del rito romano possono arricchirsi a vicenda".

    Nella stessa intervista Francesco ha definito la riforma liturgica postconciliare "un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta". Definizione fortemente riduttiva, rispetto alla visione della liturgia che era propria di Ratzinger teologo e papa.

    Inoltre, sempre in questo campo, Francesco ha sostituito in blocco, lo scorso 26 settembre, i cinque consultori dell'ufficio delle celebrazioni liturgiche papali.

    Tra i rimossi c'è ad esempio padre Uwe Michael Lang, un liturgista a cui lo stesso Ratzinger ha scritto la prefazione del libro più importante, dedicato all'orientamento "al Signore" della preghiera liturgica.

    Mentre tra i promossi ci sono liturgisti inclini ad assecondare lo stile celebrativo di papa Francesco, anch'esso visibilmente lontano dall'ispirata "ars celebrandi" di Benedetto XVI.

    __________


    L'intervista di Francesco a "La Civiltà Cattolica", resa pubblica in più lingue il 19 settembre:

    > Intervista a papa Francesco

    La lettera del papa a Eugenio Scalfari, pubblicata su "la Repubblica" dell'11 settembre:

    > "Pregiatissimo Dottor Scalfari…"

    Il successivo colloquio tra il papa e Scalfari, avvenuto il 24 settembre nella residenza vaticana di Santa Marta, pubblicato su "la Repubblica" del 1 ottobre e ristampato lo stesso giorno su "L'Osservatore Romano":

    > Il papa a Scalfari: Così cambierò la Chiesa

    I brani della lettera di Joseph Ratzinger a Piergiorgio Odifreddi anticipati su "la Repubblica" del 24 settembre:

    > Ratzinger: Caro Odifreddi, le racconto chi era Gesù

    __________


    Prima che con papa Bergoglio, Scalfari ha avuto un rapporto ancor più intenso con il cardinale e gesuita Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002.

    In particolare, Scalfari recensì con grande favore il libro forse più rivelatore della visione di quel cardinale sul cristianesimo e la Chiesa, "Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede", uscito nel 2008, un libro molto letto e discusso dentro e fuori la Chiesa:

    > Dio non è cattolico, parola di cardinale

    Da ateo quale si professa, Scalfari scrisse di trovare confortante che "il Figlio dell'Uomo per Martini sia molto più pregnante del Figlio di Dio".

    All'epoca fece colpo un'espressione di Martini in quel libro: "Non puoi rendere Dio cattolico". È significativo che essa ritorni sulla bocca di papa Francesco nel colloquio con Scalfari dello scorso 24 settembre: "Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio".

    __________


    Sull'apogeo e il tramonto della leadership del cardinale Joseph L. Bernardin nella Chiesa cattolica degli Stati Uniti, un'analisi approfondita è quella pubblicata da George Weigel su "First Things" nel febbraio del 2011:

    > The End of the Bernardin Era

    __________


    Sulla questione della coscienza Benedetto XVI si soffermò in particolare nel 2010, durante il suo viaggio in Gran Bretagna con la beatificazione di John Henry Newman, e più ancora nel discorso prenatalizio di quello stesso anno alla curia romana:

    > "Coscienza significa la capacità dell'uomo di riconoscere la verità…"


    Invece l'omelia dell'allora cardinale Ratzinger in morte di Paolo VI, anch'essa con un riferimento alla coscienza "che si misura sulla verità", è stata pubblicata per la prima volta all'inizio dello scorso agosto in un numero speciale de "L'Osservatore Romano", nel cinquantesimo anniversario dell'elezione di papa Montini.

    __________


    Una penetrante analisi critica delle citate interviste di papa Francesco è in un post del professor Pietro De Marco, nel blog SETTIMO CIELO:

    > De Marco su papa Francesco: "In coscienza…"

     



    __________
    3.10.2013




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 10/10/2013 18:19

    [SM=g1740758] di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro


    Articolo pubblicato sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 9 ottobre 2013




     
    Quanto sia costata l’imponente esibizione di povertà di cui papa Francesco è stato protagonista il 4 ottobre ad Assisi non è dato sapere. Certo che, in tempi in cui va così di moda la semplificazione, viene da dire che la storica giornata abbia avuto ben poco di francescano. Una partitura ben scritta e ben interpretata, se si vuole, ma priva del quid che ha reso unico lo spirito di Francesco, il santo: la sorpresa che spiazza il mondo. 
    Francesco, il papa, che abbraccia i malati, che si stringe alla folla, che fa la battuta, che parla a braccio, che sale sulla Panda, che molla i cardinali a pranzo con le autorità per andare al desco dei poveri era quanto di più scontato ci si potesse attendere, ed è puntualmente avvenuto. Naturalmente con gran concorso di stampa cattolica e paracattolica a esaltare l’umiltà del gesto tirando un sospirone di sollievo perché, questa volta, il papa ha parlato dell’incontro con Cristo. E di quella laica a dire che, adesso sì, la Chiesa si mette al passo con i tempi. Tutta roba buona per il titolista di medio calibro che vuole chiudere in fretta il giornale e domani si vedrà.

    Non c’è stata neanche la sorpresa del gesto clamoroso. Ma, anche questa, sarebbe stata ben povera cosa, visto quanto papa Bergoglio ha detto e fatto in solo mezzo anno di pontificato culminato negli ammiccamenti con Eugenio Scalfari e nell’intervista a “Civiltà Cattolica”.

    Gli unici a trovarsi spiazzati, in questo caso, sarebbero stati i “normalisti”, quei cattolici intenti pateticamente a convincere il prossimo, e ancor più pateticamente a convincere se stessi, che nulla è cambiato. E’ tutto normale e, come al solito, è colpa dei giornali che travisano a bella posta il papa, il quale direbbe solo in modo diverso le stesse verità insegnate dai predecessori. 

    Per quanto il giornalismo sia il mestiere più antico del mondo, riesce difficile dare credito a questa tesi. 
    “Santità” chiede per esempio Scalfari nella sua intervista “esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?”. 
    “Ciascuno di noi” risponde il papa “ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. 
    “Lei, Santità” incalza gesuiticamente Eugenio, al quale non pare vero, “l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa”. 
    “E qui lo ripeto” ribadisce il papa, al quale non pare vero neanche a lui. “Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”.

    A Vaticano II già concluso e a postconcilio più che ben avviato, nel capitolo 32 della “Veritatis splendor”, Giovanni Paolo II scriveva, contestando “alcune correnti del pensiero moderno”, che  “si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un'istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male (…) tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale”. 
    Anche il “normalista” più estroso dovrebbe trovare difficile conciliare il Bergoglio 2013 con il Woityla 1993.

    Al cospetto di tale inversione di rotta, i giornali fanno il loro onesto e scontato lavoro. Riprendono le frasi di papa Francesco, in evidente contrasto con ciò che i papi e la Chiesa hanno sempre insegnato e le trasformano in titoli da prima pagina. E allora il “normalista”, che dice sempre e ovunque quello che pensa l’“Osservatore Romano”, tira in ballo il contesto. Le frasi estrapolate dal benedetto contesto non rispecchierebbero la mens di chi le ha pronunciate. 
    Ma, ed è la storia della Chiesa che lo insegna, certe frasi di senso compiuto hanno senso e vanno giudicate a prescindere. 
    Se in una lunga intervista qualcuno sostiene che “Hitler è stato un benefattore dell’umanità”, difficilmente potrà cavarsela davanti al mondo invocando il contesto. 
    Se un papa dice in un’intervista “Io credo in Dio, non in un Dio cattolico” la frittata è fatta a prescindere. 
    Sono duemila anni che la Chiesa giudica le affermazioni dottrinali isolandole dal contesto. 
    Nel 1713, Clemente XI pubblica la costituzione “Unigenitus Dei Filius” in cui condanna 101 proposizioni del teologo Pasquier Quesnel. 
    Nel 1864, Pio IX pubblica nel “Sillabo” un elenco di proposizioni erronee. 
    Nel 1907, San Pio X allega alla “Pascendi dominici gregis” 65 frasi incompatibili con il cattolicesimo. 
    E sono solo alcuni esempi per dire che l’errore, quando c’è, si riconosce a occhio nudo. Una ripassatina al “Denzinger” non farebbe male.

    Per altro, nel caso delle interviste di Bergoglio, l’analisi del contesto può persino peggiorare le cose. Quando, per esempio, papa Francesco dice a Scalfari che “il proselitismo è una solenne sciocchezza”, il “normalista” subito spiega che si sta parlando del proselitismo aggressivo delle sette sudamericane. Purtroppo, nell’intervista, Bergoglio dice a Scalfari: “Non voglio convertirla”. Ne scende che, nell’interpretazione autentica, quando si definisce “solenne sciocchezza” il proselitismo, si intende il lavoro fatto dalla Chiesa per convertire le anime al cattolicesimo.

    Sarebbe difficile interpretare il concetto altrimenti, alla luce delle nozze tra Vangelo e mondo, che Francesco ha benedetto nell’intervista alla “Civiltà Cattolica”. 
    “Il Vaticano II” spiega il papa “è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile”. 
    Proprio così, non più il mondo messo in forma alla luce del Vangelo, ma il Vangelo deformato alla luce del mondo, della cultura contemporanea. E chissà quante volte dovrà avvenire, a ogni torno di mutamento culturale, ogni volta mettendo in mora la rilettura precedente: nient’altro che il concilio permanente teorizzato dal gesuita Carlo Maria Martini.

    Su questa scia, si sta alzando sull’orizzonte l’idea di una nuova Chiesa, “l’ospedale da campo” evocato nell’intervista a “Civiltà Cattolica” dove pare che i medici fino a ora non abbiano fatto bene il loro mestiere. 
    “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito” dice sempre il papa. “Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”. 
    Un discorso costruito sapientemente per essere concluso da una domanda dopo la quale si va capo e si cambia argomento, quasi a sottolineare l’inabilità della Chiesa di rispondere. Un passaggio sconcertante se si pensa che la Chiesa soddisfa da duemila anni tale quesito con una regola che permette l’assoluzione del peccatore, a patto che sia pentito e si impegni a non rimanere nel peccato.
    Eppure, soggiogate dalla straripante personalità di papa Bergoglio, legioni di cattolici si sono bevute la favola di un problema che in realtà non è mai esistito. Tutti lì, con il senso di colpa per duemila anni di presunte soperchierie ai danni dei poveri peccatori, a ringraziare il vescovo venuto dalla fine del mondo, non per aver risolto un problema che non c’era, ma per averlo inventato. [SM=g1740733]


    L’aspetto inquietante del pensiero sotteso a tali affermazioni è l’idea di un’alternativa insanabile fra rigore dottrinale e misericordia: se c’è uno, non può esservi l’altra. Ma la Chiesa, da sempre, insegna e vive esattamente il contrario.Sono la percezione del peccato e il pentimento di averlo commesso, insieme al proposito di evitarlo in futuro, che rendono possibile il perdono di Dio. Gesù salva l’adultera dalla lapidazione, la assolve, ma la congeda dicendo: “Va, e non peccare più”. Non le dice: “Va, e sta tranquilla che la mia Chiesa non eserciterà alcuna ingerenza spirituale nella tua vita personale”.

    Visto il consenso praticamente unanime nel popolo cattolico e l’innamoramento del mondo, contro il quale però il Vangelo dovrebbe mettere in sospetto, verrebbe da dire che sei mesi di papa Francesco hanno cambiato un’epoca. In realtà, si assiste al fenomeno di un leader che dice alla folla proprio quello che la folla vuole sentirsi dire. Ma è innegabile questo viene fatto con grande talento e grande mestiere. La comunicazione con il popolo, che è diventato popolo di Dio dove di fatto non c’è più distinzione tra credenti e non credenti, è solo in piccolissima parte diretta e spontanea. Persino i bagni di folla in piazza San Pietro, alla Giornata Mondiale della Gioventù, a Lampedusa o ad Assisi sono filtrati dai mezzi di comunicazione che si incaricano di fornire gli avvenimenti unitamente alla loro interpretazione.

    Il fenomeno Francesco non si sottrae alla regola fondamentale del gioco mediatico, ma, anzi, se ne serve quasi a diventarne connaturale. 
    Il meccanismo fu definito con grande efficacia all’inizio degli anni ottanta da Mario Alighiero Manacorda in un godibile libretto dal godibilissimo titolo “Il linguaggio televisivo. O la folle anadiplosi”. L’anadiplosi è una figura retorica che, come avviene in questa riga, fa iniziare una frase con il termine principale contenuto nella frase precedente. Tale artificio retorico, secondo Manacorda, è divenuto l’essenza del linguaggio mediatico. “Questi modi puramente formali, superflui, inutili e incomprensibili quanto alla sostanza” diceva “inducono l’ascoltatore a seguire la parte formale, cioè la figura retorica, e a dimenticare la parte sostanziale”.
    Con il tempo, la comunicazione di massa ha finito per sostituire definitivamente l’aspetto formale a quello sostanziale, l’apparenza alla verità. E lo ha fatto, in particolare, grazie alle figure retoriche della sineddoche e della metonimia, con le quali si rappresenta una parte per il tutto. La velocità sempre più vertiginosa dell’informazione impone di trascurare l’insieme e porta concentrarsi su alcuni particolari scelti con perizia per dare una lettura del fenomeno complessivo.Sempre più spesso, giornali, tv, siti internet, riassumono i grandi eventi in un dettaglio. 

    Da questo punto di vista, sembra che papa Francesco sia stato fatto per i massmedia e che i massmedia siano stati fatti per papa Francesco. Basta citare il solo esempio dell’uomo vestito di bianco che scende la scaletta dell’aereo portando una sdrucita borsa di cuoio nera: perfetto uso di sineddoche e metonimia insieme. La figura del papa viene assorbita da quella borsa nera che ne annulla l’immagine sacrale tramandata nei secoli per restituirne una completamente nuova e mondana: il papa, il nuovo papa, è tutto in quel particolare che ne esalta la povertà, l’umiltà, la dedizione, il lavoro, la contemporaneità, la quotidianità, la prossimità a quanto di più terreno si possa immaginare.

    L’effetto finale di tale processo porta alla collocazione sullo sfondo del concetto impersonale di papato e la contemporanea salita alla ribalta della persona che lo incarna. L’effetto è tanto più dirompente se si osserva che i destinatari del messaggio recepiscono il significato esattamente opposto: osannano la grande umiltà dell’uomo e pensano che questi porti lustro al papato.
    Per effetto di sineddoche e metonimia, il passo successivo consiste nell’identificare la persona del papa con il papato: una parte per il tutto, e Simone ha spodestato Pietro. Questo fenomeno fa sì che Bergoglio, pur esprimendosi formalmente come dottore privato, trasformi di fatto qualsiasi suo gesto e qualsiasi sua parola in un atto di magistero. Se poi si pensa che persino la maggior parte dei cattolici è convinta che quanto dice il papa sia solo e sempre infallibile, il gioco è fatto. Per quanto si possa protestare che una lettera a Scalfari o un’intervista a chicchessia siano persino meno di un parere da dottore privato, nell’epoca massmediatica, l’effetto che produrranno sarà incommensurabilmente maggiore a qualsiasi pronunciamento solenne. Anzi, più il gesto o il discorso saranno formalmente piccoli e insignificanti, tanto più avranno effetto e saranno considerati come inattaccabili e incriticabili.

    Non a caso la simbologia che sorregge questo fenomeno è fatta di povere cose quotidiane. La borsa nera portata in mano sull’aereo è un esempio di scuola. Ma anche quando si parla della croce pettorale, dell’anello, dell’altare, delle suppellettili sacre o dei paramenti, si parla del materiale con cui sono fatte e non più di ciò che rappresentano: la materia informe ha avuto il sopravvento sulla forma. Di fatto, Gesù non si trova più sulla croce che il papa porta al collo perché la gente viene indotta a contemplare il ferro in cui l’oggetto è stato prodotto. Ancora una volta la parte si mangia il Tutto, che qui va scritto con la “T” maiuscola. E la “carne di Cristo” viene cercata altrove e ciascuno finisce per individuare dove vuole l’olocausto che più gli si confà. In questi giorni a Lampedusa, domani chissà.

    E’ l’esito della saggezza del mondo, che San Paolo bandiva come stoltezza e che oggi viene usata per rileggere il Vangelo con gli occhi della tv. 
    Ma già nel 1969, Marshall McLuhan scriveva a Jacques Maritain: “Gli ambienti dell’informazione elettronica, che sono stati completamente eterei, nutrono l’illusione del mondo come sostanza spirituale. Questo è un ragionevole facsimile del Corpo Mistico, un’assordante manifestazione dell’anticristo. Dopo tutto, il principe di questo mondo è un grandissimo ingegnere elettronico”.

    Prima o poi ci si dovrà pur risvegliare dal grande sonno massmediatico e tornare a misurarsi con la realtà. 
    E bisognerà anche imparare l’umiltà vera, che consiste nel sottomettersi a Qualcuno di più grande, che si manifesta attraverso leggi immutabili persino dal Vicario di Cristo. 
    E bisognerà ritrovare il coraggio di dire che un cattolico può solo sentirsi smarrito davanti a un dialogo in cui ognuno, in omaggio alla pretesa autonomia della coscienza, venga incitato a proseguire verso una sua personale visione del bene e del male. Perché Cristo non può essere un’opzione tra le tante. Almeno per il suo Vicario.


    [SM=g1740771]




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 11/10/2013 21:05

    [SM=g1740733]

    Capisco il disagio, ma nella chiesa si cammina col Papa o si va verso lo scisma

     

    Da sociologo, ho letto con interesse l’articolo di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, come spia di un disagio rispetto a gesti e atteggiamenti di Papa Francesco che anch’io ho rilevato in settori minoritari ma non irrilevanti della chiesa. Assunto e trasformato in riflessione e cultura, questo disagio può essere utile, e credo che lo stesso Papa Francesco lo preveda e ne tenga conto nella sua visione di una chiesa dove, come ama spiegare, l’unità non va confusa con l’uniformità.

    Il disagio non va però confuso con il rifiuto del Magistero ordinario, che invece porta verso lo scisma. La tesi potrà sembrare forte, ma la si capisce con un passo indietro.
    Quando, a partire almeno dal 1968, il venerabile Paolo VI cercò di prevenire certe derive del post Concilio, i progressisti rifiutarono di seguirlo sostenendo che i pronunciamenti del Papa non erano infallibili e costituivano semplici indicazioni pastorali, da cui si poteva dissentire rimanendo buoni cattolici. Continuarono con il beato Giovanni Paolo II.
    Il cardinale Ratzinger e il cardinale Scheffczyk replicarono affermando non che tutto il Magistero è infallibile – una solenne sciocchezza, di cui non conosco seri sostenitori – ma che non si può essere cattolici accettando solo i rarissimi pronunciamenti infallibili dei pontefici: per stare nella chiesa occorre camminare con i Papi e farsi guidare dal loro Magistero quotidiano. Fuori da questo cammino stretto c’è la strada larga che porta allo scisma.

    E’ un rischio – per usare categorie politiche non del tutto pertinenti, ma che aiutano a capire – a sinistra. Ma è un rischio anche a destra, dove – naturalmente a proposito di testi diversi da quelli criticati dai progressisti – si cominciò a ripetere la stessa stanca canzone secondo cui, per esempio, certi documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II non sono infallibili e sono meramente pastorali, per cui potrebbero essere tranquillamente ignorati o rifiutati.
    Benedetto XVI cercò di mettere ordine con la sua famosa proposta della “ermeneutica della riforma nella continuità”, che invitava ad accogliere lealmente gli elementi di riforma del Concilio interpretandoli però non contro il Magistero precedente ma tenendo conto di questo. La proposta fu rifiutata a sinistra, e spesso capita male a destra.
    Qui si plaudì alla continuità dimenticandosi della riforma, e si credette che il Papa autorizzasse ad accogliere, del Vaticano II, solo quanto avesse presentato in modo nuovo (“nove”) quanto era già stato insegnato prima, rifiutando invece quanto era in effetti “novum”, nuovo, non – secondo Benedetto XVI – in contraddizione con il magistero precedente ma certo non riducibile a questo. Non era così. Questa “destra” interpretò il discorso di commiato di Papa Ratzinger ai parroci romani del 14 febbraio 2013 come un’ammissione che l’ermeneutica della riforma nella continuità era fallita. Mentre quello che era fallito era il tentativo di usare Benedetto XVI per rifiutare il Concilio. Rivendicando orgogliosamente il suo ruolo di teologo al Concilio in quella “Alleanza renana” dei padri conciliari tedeschi, francesi, belgi e olandesi che proposero alcune delle principali riforme del Vaticano II, Papa Ratzinger chiariva, al momento di lasciare il ministero petrino, che nulla nel suo pontificato autorizzava a rifiutare la riforma in nome della continuità.

    E’ possibile che Papa Francesco avvii ulteriori riforme nella chiesa, che il cattolico fedele dovrà accogliere con docilità e insieme cercare di leggere non contro gli insegnamenti dei precedenti pontefici ma tenendo conto di essi. Nell’enciclica “Caritas in veritate” Benedetto XVI ha chiarito che l’ermeneutica della “riforma nella continuità” non riguarda solo il Vaticano II ma tutta la vita della chiesa.
    La formula di Benedetto XVI sarà di grande aiuto per metabolizzare il disagio, e per trasformarlo in una voce utile nella grande sinfonia della chiesa. Costruire la continuità come rifiuto della riforma, o dichiarare di voler seguire il Papa solo nei suoi pronunciamenti infallibili – un paio al secolo –, confinando tutto il resto in una sfera del “fallibile” che potrebbe essere ignorata, porta invece, magari insensibilmente, allo scisma.

    di Massimo Introvigne


    [SM=g1740771]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 11/10/2013 21:12

    Elemosine e liturgia. Francesco le vuole così

    Ha spedito il suo elemosiniere a Lampedusa tra i profughi. Ha precipitato nello sconforto gli amanti della tradizione. Il grido d'allarme di un liturgista "ratzingeriano"

    di Sandro Magister




    ROMA, 11 ottobre 2013 – La riforma complessiva della curia vaticana è ancora tutta da scrivere, da parte degli otto cardinali ad essa deputati. Ma intanto papa Francesco procede per conto suo. Con i fatti.

    Un ufficio, quello dell'elemosiniere pontificio, l'ha già riformato in pieno. Collocandovi un uomo di sua fiducia e mettendolo subito all'opera in modo nuovo.

    E anche in un'area cruciale come la liturgia ha iniziato a fare dei cambiamenti tali da creare un'attesa febbrile su quelli che saranno i passi successivi.


    MANO DEL PAPA TRA I POVERI


    Dal 3 agosto il nuovo elemosiniere pontificio è l'arcivescovo Konrad Krajewski, 50 anni, polacco, che è stato a lungo uno dei cerimonieri delle liturgie papali, ma che papa Francesco ha premiato soprattutto per l'attività volontaria che contemporaneamente svolgeva, quella di mettersi al confessionale ogni pomeriggio, di visitare dei malati e di avvicinare ogni sera i poveri che popolano i dintorni della basilica di San Pietro, portando loro cibo e conforto.

    Nominandolo suo elemosiniere, papa Jorge Mario Bergoglio gli ha detto anche come ridisegnare i compiti di questo ufficio: "Non starai dietro una scrivania a firmare pergamene. Ti voglio sempre tra la gente. A Buenos Aires uscivo spesso la sera per andare a trovare i poveri. Ora non posso più: mi è difficile uscire dal Vaticano. Lo farai tu per me".

    Così ha riferito Krajewski a "L'Osservatore Romano" del 4 ottobre, in un'intervista in cui spiega le sue nuove mansioni.

    Tradizionalmente, l'elemosiniere pontificio spediva pergamene con la benedizione papale a chi ne faceva richiesta. E con il ricavato, assieme ad altre offerte, faceva arrivare a persone in stato di bisogno delle "modeste elargizioni", che ultimamente ammontavano a poco meno di un milione di euro all'anno.

    Con papa Francesco, l'elemosiniere porterà gli aiuti di persona. Dice Krajewski:

    "Faccio un esempio. Se qualcuno chiede aiuto per pagare una bolletta [della luce o del gas], è bene che io vada, se possibile, a casa sua a portare materialmente l’aiuto, per fargli capire che il papa, attraverso l’elemosiniere, gli è vicino".

    Nei giorni scorsi, dopo che centinaia di profughi in fuga dalla Siria, dall'Eritrea e da altri paesi africani erano annegati nel Mediterraneo di fronte a Lampedusa, Krajewski si è recato in quell'isola, già visitata da Francesco l'8 luglio, a benedire i corpi ricuperati dal mare, a visitare i superstiti, a far percepire loro la vicinanza del papa e a "dare a ciascuno un consistente aiuto per le necessità più immediate". Ogni sommozzatore che scendeva in acqua per ricuperare un corpo – ha informato "L'Osservatore Romano" – "portava con sé una coroncina del rosario benedetta da papa Francesco".

    Per la futura curia riformata, l'elemosiniere pontificio dunque c'è già. E rimesso a nuovo.

    Quanto al predecessore di Krajewski, l'arcivescovo Guido Pozzo, già stretto collaboratore di Joseph Ratzinger alla congregazione per la dottrina della fede, è stato rimandato in un ruolo a lui più congeniale, quello di segretario della "Ecclesia Dei", la commissione pontificia che vigila sull'applicazione del motu proprio "Summorum pontificum", ha in cura i gruppi cattolici più tradizionalisti e si sforza di riconciliare con la Chiesa di Roma i seguaci dell'arcivescovo scismatico Marcel Lefebvre.

    Ma con un papa come Francesco, non solo una rappacificazione con i lefebvriani appare esclusa, ma anche per i cattolici tradizionalisti il futuro si profila incerto. Già le prime mosse di Bergoglio in campo liturgico hanno precipitato questi ultimi nello sconforto.


    TRE RAGIONI DI UN ALLARME


    In campo liturgico le decisioni pubbliche prese finora da papa Bergoglio sono state due.

    La prima è quella che ha fatto più rumore: il divieto imposto alla congregazione dei frati francescani dell'Immacolata di celebrare la messa in rito antico:

    > La prima volta che Francesco contraddice Benedetto

    Tale divieto è stato visto come una limitazione di quella libertà per tutti di celebrare la messa in rito antico che Benedetto aveva assicurato con il motu proprio del 2007 "Summorum pontificum".

    L'intenzione di papa Ratzinger – espressa in una lettera ai vescovi di tutto il mondo – era di restituire alla liturgia cattolica lo "splendore di verità" offuscato da tante innovazioni postconciliari, grazie a un vicendevole arricchimento tra le due forme antica e moderna del rito romano.

    L'opinione in proposito di papa Francesco è invece più riduttiva. Nell'intervista a "La Civiltà Cattolica" ha detto che la facoltà di celebrare in rito antico è una semplice concessione alle nostalgie di "alcune persone che hanno questa sensibilità".

    Con i tradizionalisti Bergoglio non è tenero. Nella stessa intervista ha giudicato "preoccupante il rischio di ideologizzazione del 'vetus ordo', la sua strumentalizzazione". E in altre due occasioni li ha bollati come fautori di una "restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative".

    *

    La seconda decisione presa da papa Francesco in campo liturgico è stata di sostituire in blocco i cinque consultori dell'ufficio delle celebrazioni papali.

    Mentre i precedenti erano in sintonia con lo stile celebrativo di Benedetto XVI, tra i  nuovi ricompaiono invece alcuni dei più accesi fautori delle innovazioni introdotte negli anni di Giovanni Paolo II sotto la regia dell'allora maestro delle cerimonie pontificie Piero Marini.

    Corrono voci in Vaticano – nel terrore degli amanti della tradizione – che Piero Marini possa essere nominato da Bergoglio addirittura prefetto della congregazione per il culto divino. Ma anche se queste voci risultassero infondate, resta il fatto che le attuali liturgie papali si differenziano vistosamente da quelle di Benedetto XVI.

    Il picco di questa diversità è stata la messa celebrata da Francesco sulla spiaggia di Copacabana, al termine della giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, con il "musical" fatto irrompere nel cuore stesso della liturgia, con solisti, cori e ritmi da stadio.

    Ma pur senza arrivare a questi eccessi, vi sono elementi ricorrenti, nello stile celebrativo dell'attuale papa, che hanno negativamente colpito alcuni fedeli. Nella messa, dopo la consacrazione del pane e del vino, papa Francesco non fa mai la genuflessione prescritta dalla liturgia, ma solo si inchina. E a Rio de Janeiro, durante la veglia notturna trasmessa in mondovisione, nell'adorazione del santissimo sacramento non si è messo in ginocchio, ma è stato in piedi o seduto.

    È anche vero, però, che al termine della giornata di preghiera e digiuno per la pace da lui indetta il 7 settembre, nell'adorazione eucaristica in piazza San Pietro è stato a lungo in ginocchio.

    E va anche ricordato che nel volo di ritorno da Rio de Janeiro papa Francesco ha espresso ammirazione per le liturgie orientali, dense di sacralità e di mistero e fedelissime alla tradizione. Con queste parole:

    "Le Chiese ortodosse hanno conservato quella pristina liturgia, tanto bella. Noi abbiamo perso un po' il senso dell'adorazione. Loro lo conservano, loro lodano Dio, loro adorano Dio. Abbiamo bisogno di questo rinnovamento, di questa luce dell’Oriente".

    Tra i cinque nuovi consultori dell'ufficio delle celebrazioni papali Francesco ha infatti incluso anche un monaco di rito orientale, Manuel Nin, rettore del Pontificio Collegio Greco di Roma. Al fianco di consultori di tutt'altre vedute come il servita Silvano Maggiani e il monfortano Corrado Maggioni, entrambi della squadra di Piero Marini.

    C'è insomma in Bergoglio un'oscillazione nelle nomine, nei gesti e nelle parole che rende difficile interpretare le sue decisioni e ancor più prevedere le sue mosse future.

    *

    Ma oltre alle due decisioni citate, papa Francesco ne ha presa in via riservata anche una terza: ha bloccato l'esame intrapreso dalla congregazione per la dottrina della fede sulle messe delle comunità neocatecumenali.

    L'ordine di accertare se in queste messe si compiano degli abusi liturgici, e quali, era stato dato personalmente da Benedetto XVI nel febbraio del 2012:

    > Quella strana messa che il papa non vuole

    L'avvio dell'esame era risultato decisamente sfavorevole al "Cammino" fondato e diretto da Francisco "Kiko" Argüello e Carmen Hernández, da sempre molto disinvolti nel modellare le liturgie secondo i loro criteri.

    Ma ora essi si sentono al sicuro. Hanno avuta la conferma dello scampato pericolo dallo stesso papa Francesco, in una udienza loro accordata il 5 settembre.

    *

    Quello che è certo è che l'attuale papa, in quell'intervista a "La Civiltà Cattolica" che è il manifesto del suo avvio di pontificato, nel descrivere la riforma liturgica postconciliare mostra di concepirla in termini puramente funzionali:

    "Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta".

    Se Bergoglio fosse un allievo del professor Ratzinger – grandissimo studioso e innamorato di quella liturgia che il Concilio Vaticano II ha definito "culmine e fonte" della vita della Chiesa – vedrebbe queste sue righe segnate con la matita blu.

    *

    La nota che segue ha per autore uno dei consultori dell'ufficio delle celebrazioni papali congedati da papa Francesco, il liturgista "ratzingeriano" Nicola Bux.

    Ed è stata scritta come "un invito alla riflessione per quanti mettono in giro la voce che papa Francesco stia per 'cambiare' la liturgia".

    __________



    "CAMBIARE" LA LITURGIA?

    di Nicola Bux



    Oggi è più che manifesto il dissenso sulla natura della liturgia. È essa opera di Dio, in cui egli ha competenza, ha i suoi diritti? Oppure è intrattenimento umano dove fare ciò che noi vogliamo?

    Le ombre, gli abusi e le deformazioni – termini usati da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ed effetti della bramosia di innovazione – hanno messo all'angolo la tradizione per cui “ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dar loro il giusto posto” (così Benedetto XVI nella lettera di presentazione ai vescovi del motu proprio "Summorum pontificum").

    Senza "traditio" – la consegna di ciò che abbiamo ricevuto, come scrive l'Apostolo – non si sviluppa organicamente il nuovo. Il dissenso si può risolvere solo comprendendo che la liturgia è sacra, cioè appartiene a Dio ed egli vi è presente e opera.

    Ma a chi compete salvaguardare i diritti di Dio sulla sacra liturgia? Alla Sede Apostolica e, a norma di diritto, al vescovo ed entro certi limiti alle conferenze episcopali compete “moderare” la liturgia: così recita il testo latino della costituzione liturgica del Concilio Vaticano II (n. 22, § 1-2).

    Che vuol dire “moderare”? Confrontando altri passi del Vaticano II, significa salvaguardare la legittima diversità delle tradizioni in campo liturgico, spirituale, canonico e teologico: si pensi alle liturgie occidentali come la romana e l'ambrosiana e alle numerose liturgie orientali ritenute all'interno dell'unica Chiesa cattolica.

    Il termine può essere tradotto anche “regolare”, il che presume che l'operazione avvenga "sotto la direzione" di un'autorità suprema. Da un altro documento del Vaticano II, il decreto sull'ecumenismo (Unitatis redintegratio n. 14), sappiamo che i redattori del testo intendevano "moderante" come "sotto la presidenza", o in francese: "intervenant d’un commun accord" (la traduzione francese è stata fatta dagli estensori del decreto). La formula limita gli interventi romani "ad extra" al sorgere di uno screzio grave circa la fede o la disciplina.

    La sacralità della liturgia, dunque, spinge la costituzione liturgica conciliare a tirare le conseguenze: “Perciò nessun altro, assolutamente, anche se sacerdote, aggiunga, tolga o muti alcunché  di sua iniziativa, in materia liturgica”(n. 22 § 3).

    Il Catechismo della Chiesa cattolica ha ulteriormente precisato che “anche la suprema autorità della Chiesa [ossia il papa - ndr] non deve modificare la liturgia arbitrariamente, ma solo in obbedienza alla fede e con rispetto religioso per il mistero della liturgia” (n. 1125).

    Ha scritto Joseph Ratzinger nella prefazione al libro di Alcuin Reid "Lo sviluppo organico della liturgia", Cantagalli, Siena, 2013:

    “Mi sembra molto importante che il Catechismo, nel menzionare i limiti del potere della suprema autorità della Chiesa circa la riforma, richiami alla mente quale sia l'essenza del primato, così come viene sottolineato dai concili Vaticano I e II: il papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell'antica Tradizione [una delle due fonti della divina rivelazione – ndr),  e il primo garante dell'obbedienza. Non può fare ciò che vuole, e proprio per questo può opporsi a coloro che intendono fare ciò che vogliono. La legge cui deve attenersi non è l'agire 'ad libitum', ma l'obbedienza alla fede. Per cui, nei confronti della liturgia, ha il compito di un giardiniere e non di un tecnico che costruisce macchine nuove e butta quelle vecchie. Il 'rito', e cioè la forma di celebrazione e di preghiera che matura nella fede e nella vita della Chiesa, è forma condensata della Tradizione vivente, nella quale la sfera del rito esprime l'insieme della sua fede e della sua preghiera, rendendo così sperimentabile, allo stesso tempo, la comunione tra le generazioni, la comunione tra coloro che pregano prima di noi e dopo di noi. Così il rito è come un dono fatto alla Chiesa, una forma vivente di 'paradosis'".

    È questo un invito alla riflessione per quanti mettono in giro la voce che papa Francesco stia per “cambiare” la liturgia.

    Nel secolo scorso in Russia, il tentativo del patriarca Nikon di cambiare i libri liturgici ortodossi produsse uno scisma. Anche tra i cattolici lo scisma di mons. Lefebvre fu dovuto in buona parte all'aver toccato la liturgia e ne soffriamo tuttora le conseguenze.

    __________


    Oltre a Nicola Bux, i consultori dell'ufficio delle celebrazioni liturgiche pontificie congedati da papa Francesco sono Mauro Gagliardi, Juan José Silvestre Valor, Michael Uwe Lang e Paul Gunter.

    Al loro posto, il 26 settembre, il papa ha nominato Silvano Maggiani, Corrado Maggioni, Giuseppe Midili, Angelo Lameri e Manuel Nin.

    __________


    Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

    7.10.2013
    > Le encicliche hanno un nuovo formato: l'intervista
    È la modalità preferita da papa Francesco per parlare ai fedeli e al mondo. Con tutti i rischi del caso. Pietro De Marco analizza criticamente i primi atti di questo "magistero"

    3.10.2013
    > La svolta di Francesco
    Ha svelato il vero programma del suo pontificato in due interviste e in una lettera a un intellettuale ateo. Rispetto ai papi che l'hanno preceduto il distacco appare sempre più netto. Nelle parole e nei fatti

    1.10.2013
    > Quando Bergoglio sconfisse i teologi della liberazione
    Un vescovo che fu testimone diretto dello scontro ne racconta lo svolgimento e la posta in gioco. Se poi Francesco fu eletto papa, lo si deve anche a ciò che accadde nel 2007 ad Aparecida


    [SM=g1740771]
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    00 12/10/2013 11:32

    Bergoglio faccia attenzione: "Gregge o dottrina? Così si rischia si perdere entrambi"

     

    Papa Francesco punta tutto sulla carità cristiana perché la Chiesa è in difficoltà. Ma curare le umane sofferenze senza tenere ferma l'ortodossia è strategia pericolosa

     - da il Giornale di 10/10/2013 

    http://www.ilgiornale.it/news/cultura/gregge-dottrina-si-rischia-perdere-entrambi-957158.html

     

    La famosa intervista di papa Francesco a Civiltà cattolica dovrebbe avere chiarito a questo punto il programma del pontificato Bergoglio e gli spunti di perplessità che certe affermazioni «a braccio» alla stampa o certi gesti avrebbero generato in alcuni.

     

    È sembrato che, per esempio, il primo viaggio proprio a Lampedusa tra i clandestini sia stato frutto di un impulso dopo aver visto in tivù le immagini dell'ennesimo naufragio. Gli auguri ai musulmani per il ramadan, le telefonate improvvisate a comuni fedeli, gli scambi di zucchetto in piazza, le esortazioni ai disoccupati a «lottare» per il lavoro, il rifiuto di scarpe rosse, ornamenti d'oro, residenze vaticane, l'uso di auto di serie seduto accanto al guidatore; tutto questo, insomma, avrebbe fatto pensare a certuni che l'ex arcivescovo di Buenos Aires continui a comportarsi come ha sempre fatto e a considerare l'intera cattolicità come se fosse una delle periferie degradate della capitale argentina. L'atteggiamento da simpaticone (squilla il cellulare: ciao, sono papa Francesco) o l'interlocuzione privilegiata con Eugenio Scalfari (promuovendolo «papa» dei laicisti), autorizzerebbero a ritenerlo.

    Ma l'intervista a Civiltà cattolica ha spazzato ogni dubbio: il papa sa quello che fa, e quello che fa è parte di una precisa strategia. Eccola, in sintesi.
    L'uomo contemporaneo è ormai completamente plagiato da una cultura relativistica che ha azzerato ogni valore sia divino che umano. Parlargli di principi non negoziabili è pura perdita di tempo: non li capisce più. L'attacco di secoli al principio di autorità ha stravinto e la gente non sopporta più i maestri. Ma la civiltà odierna è anche un tritacarne che aumenta esponenzialmente il numero degli scarti. L'uomo moderno, ferito e maciullato dal lato oscuro della modernità (che, promettendo felicità a tutti, ha realizzato un grado di malessere mai visto), allorché giace a terra sanguinante bada solo alla mano che lo risolleva e cura, poco importandogli se è di un Samaritano (cioè, esponente di una categoria che gli è stato insegnato a odiare).

    Ecco, dunque, il programma: aprire le braccia ai sofferenti e ai drop-out, senza polemizzare, senza controbattere, senza rinfacciare gli errori. Dopo che la corazza mentale sarà stata dissolta dalla condizione di bisogno, il disgraziato vedrà nella Chiesa una madre misericordiosa e non, come gli è stato inculcato, un centro ideologico di potere. Il problema urgente è la crisi di fede, di cui la crisi morale è solo conseguenza. Da qui, dice papa Francesco, bisogna ripartire. Da zero. Alla luce di ciò il modus operandi di Bergoglio appare più chiaro.

    Quella che sta proponendo è una sorta di gigantesca «scelta religiosa» da parte dell'intera Chiesa: curare in primis le umane sofferenze, poi, solo poi, insegnare il catechismo e tutto il resto. Da qui anche la reticenza a parlare di temi «scomodi» come nozze gay, aborto, eutanasia. Dice: quale sia la posizione della Chiesa su questi argomenti lo sanno tutti ed è inutile che il papa la ripeta continuamente. Epperò -vien da pensare- anche il primato dell'ortoprassi sull'ortodossia (per usare un linguaggio da addetti ai lavori clericali) è un dèjà vu.

    Dal primato al distacco, poi, il passo è breve, e una prassi slegata dall'ortodossia l'abbiamo già vista nella famosa «teologia della liberazione». Se non inietti costantemente nella prassi la tua dottrina, un'altra ne prenderà il posto, magari una che le somiglia: ieri il marxismo, oggi il buonismo relativista. È un rischio, speriamo calcolato. Trasformare l'intera Chiesa in una Caritas sarà sufficiente alla nuova evangelizzazione? Dare alla gente quell'immagine della Chiesa che la gente vuole (assistenza gratuita, silenzio sul peccato e l'errore) è davvero l'idea vincente? A queste domande solo il futuro potrà rispondere.

    Ma almeno un esempio nel passato c'è, Madre Teresa, che in India faceva esattamente quel che papa Bergoglio indica a tutti i cattolici oggi: la carità silenziosa. Assisteva lebbrosi e moribondi senza aprir bocca sulla dottrina di Cristo: gli indiani, che già la accusavano di proselitismo, avrebbero cacciato lei e le sue suore. Ma cosa rimane in India di tanto duro lavoro sugli «ultimi»? La cristianizzazione del subcontinente galoppa? I cristiani locali non vengono più perseguitati?

    In attesa, comunque, che la strategia «samaritana» di papa Bergoglio dia risultati, ci si chiede quanto rimanga utile un Cortile dei Gentili, dispendiosa passerella per Scalfari & Odifreddi vari. Così il famoso «dialogo», e pure l'ecumenismo, la teologia e l'apologetica, vecchi arnesi che, come lo stesso catechismo, nulla dicono all'uomo contemporaneo; anzi, ci sta che lo infastidiscano e respingano. «Scelta religiosa», dunque. Del resto, l'ha già fatta il «popolo di Dio» di sua iniziativa, disertando le parrocchie e riversandosi nei santuari mariani: basta andare a Medjugorje per rendersene conto. Qui, pure la Madonna va al sodo: non parla di catechismo e di dottrina, ma dice solo «convertitevi, pregate, digiunate». 

    Forse perché è vicina l'ora di chiudere il sipario? Chissà...


    [SM=g1740771]


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    00 13/10/2013 16:08

    EFFETTO IDOLATRIA............

    idolatria






    [SM=g1740733] finchè gli lanciano corone del Rosario... anche se inusuale, passi.....
    speriamo che non gli lancino qualcos'altro o un quadro...... o che non sia un grosso Crocefisso....

    E non è la prima volta che gli lanciano le corone del Rosario, molte delle quali FINISCONO VERGOGNOSAMENTE A TERRA..... un'altra volta che gliela tirarono il Papa non fece in tempo ad afferrarla, e finì a terra.....
    Per ora sorridiamo con il Papa per lo scampato pericolo, ma è troppo vulnerabile: lui e l'oggetto sacro....
    ed è questo che intendo per IDOLATRIA....
     la Corona del Rosario, specialmente se benedetta, è un oggetto sacro e una volta, scagliarlo e lanciarlo (almeno che non si lanciava contro un posseduto) era definito un peccato veniale se fatto per ignoranza, peccato grave se fatto con deliberato consenso.....

    La Madonna a Lourdes, durante una apparizione quando Bernadette le chiede una grazia per una sua conoscente, le dice: "dove ha la sua corona del Rosario? La porta? E tu hai la corona del Rosario con te?"
    - O si! - risponde Bernadette -  eccola, la porto in tasca....
    Bene - dice la Madonna - non separatevi mai dalla Corona benedetta, non è un oggetto come un altro, usatela sempre per pregare, ogni giorno, e le grazie arriveranno...."

    La Corona del Rosario viene messa fra le mani del Defunto.... affinché sia accompagnato dalla Madonna nel trapasso.....

    Infine il Papa NON E' UN VIP.... e queste scene sono orripilanti, sono immagini da stadio, da concerto rock ....  passerelle di attori.....
    VI PREGO, PIU' RISPETTO PER IL PAPA, MA PIU' RISPETTO ANCHE  PER LE CORONE DEL ROSARIO.....VI RICORDIAMO CHE ALL'INIZIO O ALLA FINE DELLA CORONA C'E' UN CROCEFISSO.....



    [SM=g1740750] [SM=g1740752]

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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 13/10/2013 17:56

    [SM=g1740758] INFALLIBILITÀ DI PIETRO E DEL PAPA

    La Chiesa non potrà mai venir meno, non potrà mai errare: ma su chi poggia? «Tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt. XVI, 16). Come reggerebbe lo edificio se la pietra-base tremasse? Se Pietro - il papa - sbagliasse, la Chiesa lo seguirebbe o no? Se sì, dov'è l'aiuto divino, dove è la forza delle parole di Cristo, mentre egli ha detto: «passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole non passeranno» (Mt. XXIV, 35). Sennò, con quale autorità? dietro le direttive di chi? e, ad ogni
    modo, non si staccherebbe così da quella che è invece la roccia-base su cui poggia e per la quale «le porte dell'inferno non vinceranno» (Mt. XVI, 18)?

    Pietro ha le chiavi del regno dei cieli, ma queste riguardano non solo le opere ma anche la fede, se è vera la parola di Gesù: «chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato» (Mt. XVI, 16);

    Pietro è il pastore supremo del gregge, cui questo è tenuto ad obbedire. Ma se egli potesse errare e far errare non sarebbe più il pasto­re che nutre, ma il lupo rapace che distruggerebbe quella Chiesa che invece Paolo chiama «colonna e fondamento della vita» (I Tim. III, 15);

    4) Gesù ha pregato per Pietro: «affinché la tua fede non venga meno; e tu... conferma i tuoi fratelli» (Lc. XXII, 32). Se dunque Gesù ha pregato perché non venga meno la fede di colui che deve confermare gli altri nella fede, come si potrà dubitare dell'efficacia di questa pre­ghiera e di questa promessa?

    5) I privilegi di Pietro non cessano con la sua morte ma - come è stato dimostrato - si trasmettono ai suoi successori, perennemente.

    Il Papa perciò è erede dell'infallibilità di Pietro assistito dallo Spirito Santo che «resterà con gli Apostoli in eterno» (Giov. XIV, 16) e dallo stesso Cristo: «Ecco io sono con voi sino alla fi­ne del mondo» (Mt. XXVIII, 20). Perciò S. Ago­stino: «Roma ha parlato, la causa è finita».

    La definizione del Concilio Vaticano.

    Il Concilio Vaticano nel 1870 definì l'infalli­bilità del Romano Pontefice.

    E' importante conoscerne il testo preciso: «Definiamo che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, vale a dire quando, compiendo il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani e facendo uso della sua suprema autorità apostolica, definisce doversi tenere da tutta la Chiesa una dottrina circa la fede e i costumi, per l'assistenza divina a lui promessa nel beato Pietro, gode della stessa infallibilità di cui il divin Redentore volle fosse munita la sua Chiesa».

    Perché dunque si possa parlare di una proclamazione infallibile è necessario:

    a) che sia evidentemente una «definizione» - si pensi che dal 1870 ad oggi i teologi non vedono con assoluta sicurezza nessuna vera e propria definizione (tranne, probabilmente, la condanna del modernismo). (Si vedano, ad es., le parole della definizione dell'Imma­colata Concezione di Maria: (Bolla «Ineffabilis» del 1854) «dichiariamo, definiamo, promulghiamo...»).

    b) che si tratti di verità di fede e di morale - e non di scienze terrene -;

    c) che il Papa parli ex cathedra come pastore e maestro supremo di tutti i Cristiani - non c'è dunque infallibilità nel Papa dottore pri­vato, scrittore di libri, oratore; non nelle lettere apostoliche a particolari persone o nazioni ec­cetera -.

    Nota - Che il Papa sia infallibile solo alle condizioni succitate non significa che i fedeli non debbano a ogni suo atto e a ogni sua parola sudditanza e devozione assoluta: i sem­plici desideri del padre sono comandi per i figli buoni.

    A parte l'infallibilità non va dimenticata la naturale sapienza e prudenza del Papa nonché l'ordinaria ma certo specialissima assistenza della Divina Provvidenza.

    Conferma dei fatti.

    1)       In tutti i tempi i papi si ritennero in diritto di decidere autorevolmente, e irreformabilmente le questioni di fede e di morale.

    2)       S'è visto come negli stessi concili ecumenici l'autorità del Papa era riconosciuta somma; più d'una volta il concilio si ridusse a una sem­plice approvazione del dichiarato pensiero pontifìcio.

    3)       Mai fu riformata una definizione pontificia ex cathedra - come mai nessuna definizione di un concilio ecumenico! -.

    Obiezioni.

    Ormai fuori moda, perché si è compreso che non toccano l'infallibilità pontificia. Un tempo si obiettava per la cattiva condotta di alcuni pontefici, specie nei secoli X e XVI; per la condanna di Galileo; per lo stesso potere temporale etc.

    Più gravi le accuse contro i papi Liberio e Onorio quasi che avessero l'uno sottoscritto una formula semi-ariana, e l'altro approvato il monotelismo (la dottrina che sosteneva un'unica volontà in Cristo).

    In realtà Papa Liberio (+ 366) sottoscrisse la 2a o 3a formu­la di Sirmio - suscettibili di interpretazione ortodossa - non senza dichiarare esplicitamente che manteneva piena fede alla definizione di Nicea (che condannava l'Arianismo). D'al­tra parte è evidente che siamo assolutamente lontani da una definizione ex-cathedra.

    Ciò si dica anche delle lettere di Papa Onorio (+ 638) al patriarca Sergio. Il Papa del resto non nega che in Cristo vi siano due nature perfette ed integre, con tutte le loro proprietà; e se parla di un unico volere si è solo perché afferma che in Cristo, tra la volontà umana e quella divina, non vi è alcun contrasto, ma perfetta unità morale.

    Osservazioni generali.

    1)  L'infallibilità è prerogativa esclusivamente personale del Papa; non sono dunque infallibili le decisioni - per quanto autorevoli - delle Congregazioni Romane;

    2)             Non bisogna confondere l'infallibilità dell'insegnamento dottrinale con l'impeccabilità: Gesù ha promesso la prima ma non la seconda (lo stesso Pietro ha rinnegato!);

    Non scambiare le opinioni personali dei Papi con le definizioni ex cathedra;

    II Concilio Vaticano I - che ha definito l'infallibilità pontificia conosceva bene tutte le difficoltà che vi si opponevano: difficoltà di­scusse appassionatamente in quegli anni, anche dai nemici della Chiesa. A parte l'assistenza divina, sarebbe umanamente inconcepibile che il Concilio avesse emanato una definizione che, in contrasto con fatti ben conosciuti, sarebbe stata nient'altro che l'atto di morte dell'autorità pon­tificia!

    Il Papa va ascoltato come Papa, ossia con assoluta fiducia e docilità solo quando parla ufficialmente in materia di fede o di morale. E' su questo piano che non sbaglia.
    Ma un'intervista - o un libro-intervista - non costituisce vero e prorpio magistero pontificio, ma solo un'amichevole conversazione o chiacchierata dove egli si esprime semplicemente alla buona al massimo come dottore privato e quindi fallibile.


    BIBLIOGRAFIA

    Anzitutto la piccola enciclopedia «Tu es Petrus» edita a Parigi da Bloud et Gay: volume interessante che tratta di quanto riguarda il Papa sotto tutti i punti di vista (esegetico, storico, giuridico, etc). Sul Primato di Pietro negli Atti degli Apostoli ha pubblicato un bell'opuscolo Mons. E. Florit - Verbum - Roma.

    Un libro di gran valore che sviluppa di più le testimonian­ze dei quattro evangeli è quello del dotto domenicano in­glese Mc Nabb: Testimonianza del N. T. a S. Pietro - Morcelliana - Brescia.

    Sul Papa l'opera classica, appassionata e battagliera di G. De Maistre: Il Papa - Fiorentina - Firenze.

    Sull'infallibilità pontificia vedere il già citato Tu es Petrus nonché le annate precedenti al 1870 della gloriosa rivista Civiltà Cattolica - Roma.

    Su Galileo molti e buoni libri; anche recentissimi. Basta vedere Fenu: Il processo di Galileo. Vita e Pensiero - Milano. Più recenti due opuscoli su Galileo nella collana «Linea recta brevissima» della S. E. I. di Torino.

    Interessante, benché popolare, e in risposta a molte obie­zioni: Mioni: Menzogne storielle esposte e confutate - Gal­la - Vicenza.

    CONCLUSIONE

    Emilio Littré, quando era ancora corifeo del positivismo, disse: «Se credessi in un Dio personale mi farei cristiano»: e pare certo che un anno prima di morire si convertì.

    Ma «se il Cristianesimo è vero, il Cattolicesimo è il Cristianesimo»: è la conclusione logica e luminosa dell'indagine serrata e travagliata di tanti spiriti eletti, così precisamente formulata da uno di essi, l'anglicano Enrico Edoardo Manning - poi cattolico, sacerdote, cardinale -.

    Dio esiste; s'è rivelato per mezzo di Cristo, vero uomo e vero Dio; Cristo-Dio non può ingannarsi né ingannarci; ha fondato la sua Chiesa con un capo supremo e l'ha fatta maestra della verità, garantendo ad essa e al Capo in partico­lare un infallibile magistero. Perciò ascoltando la Chiesa l'uomo ha l'assoluta certezza di ascol­tare Dio, di essere dinanzi alla Verità.

    Ubi Petrus, ibi Ecclesia; ubi Ecclesia, ibi Christus; ubi Christus, ibi Deus; ubi Deus, ibi Veritas.

    [SM=g1740733]



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 23/10/2013 13:59
       LO CONFESSO.... è uno di quegli articoli che avrei voluto saper scrivere io....perché il 99% lo condivido.... se soltanto il Signore me ne avesse dato il talento per trasmetterlo in un testo  
    ma siccome non tutto possiamo fare, allora lo condivido volentieri.... leggetelo attentamente 



    di Costanza Miriano    da Il Foglio

    Una si trova con anni di trincea sulle spalle, veterana, piena di stellette in onore al merito di avere difeso Benedetto XVI a spada tratta in riunioni di redazione, cene di amici, raduni di parenti e assemblee condominiali, a volte anche con i passanti; si è letta di notte i suoi libri meravigliosi ma densissimi, lottando eroicamente contro il sonno e contro Nora Ephron che ammiccava dallo scaffale; ha elogiato la coscienza, si è introdotta allo spirito della liturgia, ha sfoderato sant’Agostino per tenere testa al collega colto; ha vegliato e pregato in piazza san Pietro per far sentire tutto l’affetto possibile al vicario di Cristo martire mediatico, e poi, così, a un certo punto, di botto, stanca e piena di cicatrici ma con ancora la scimitarra tra i denti, in un giorno solo, si ritrova senza preavviso pericolosamente circondata da amici.

    Ma come? Dove sono finiti quelli che dovevo convincere? Dove sono finiti quelli che insultavano il mite Papa dandogli del nazista, e la Chiesa retrograda e ricca (dir male della Chiesa si porta sempre)? Rivoglio il mio mondo rassicurante, diviso in due, i vicini e i lontani. Certo, si sapeva sempre ben distinguere tra errore ed errante, tra carità e verità, tra amore per il fratello e chiarezza di giudizio, ma insomma uno schema era fatto. Io sto dalla parte della ragione, tu del torto, ma ti voglio bene lo stesso.

    Adesso che è questo coro di consensi al Papa? Tutti in visibilio per croci di ferro e scarponi e metropolitane e case semplici. Che nervi la folla osannante. È molto meglio sentirsi tra i pochi che hanno capito. Anzi, meglio ancora sentirsi sulla soglia, sempre a un pelo dall’entrare tra i pochi, i felici (perché anche io come Groucho non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci una come me).

    Insomma, che piccolo fastidio all’inizio il coro forse un po’ superficiale di consensi. E insieme che dispiacere scoprire di non provare lo stesso slancio per certi atteggiamenti e parole del Papa, che pure riconoscevo evangelici.

    In questa mancata adesione mi sono trovata in compagnia di tanti cattolici, che pure stimo, e di cui condivido le idee. Il loro dissenso ha cominciato ad essere ampio, e anche sostanziale. Di fronte ai dubbi rispettosi e riservati mi si è stretto il cuore, di fronte a certe loro durezze contro il Papa, invece, ho provato un grande disagio soprattutto se ad esprimerle erano miei amici.

    Nel tentativo di trovare il bandolo, proverei invece a capovolgere la questione, non solo perché il Catechismo dice che i fedeli devono aderire al successore di Pietro “col religioso ossequio dello spirito” credendo che lui è assistito da Dio, non solo perché un cattolico non si sceglie in cosa credere, si prende il pacchetto completo, ma perché trovo molto più interessante il punto di vista opposto, almeno sul piano spirituale (mentre mi dichiaro ampiamente priva di strumenti e inadeguata a valutare un pontificato dal punto di vista storico, che è probabilmente, legittimamente, l’aspetto che più interessa gli atei devoti e questo giornale).

    Se alcune scelte del Papa danno fastidio a molte persone, tra cui diverse che stimo moltissimo, e se a volte anche io, lo ammetto, non ho condiviso lo slancio entusiastico che sembra avere contagiato tutti, mi sembra fondamentale chiedermi il perché. Quando qualcosa ci dà fastidio, può anche succedere che invece il problema siamo noi. Quindi: che problema ho io?

    È come quando ai miei figli non torna qualcosa in un compito: la loro primissima ipotesi è sempre che sia il libro ad essere sbagliato, anche se si astengono dall’esprimere la loro intima convinzione, perché la filippica  che si beccherebbero li allontanerebbe dall’unico vero obiettivo della loro dedizione al sapere: la merenda.

    Cosa ci dà fastidio, dunque, e perché? Il problema è il nostro?giornata_con_papa_francesco_645

    Perché fatico a capire che quando il Papa dice che il bene è una relazione non sta affatto facendo concessioni al relativismo, ma mettendo l’accento sulla carità? Perché dimentico che quando un Papa dice che bisogna obbedire alla coscienza non parla di assecondare pensieri ed emozioni spontanei ma intende certo tendere una mano ai lontani, sapendo che per la nostra dottrina è la coscienza il luogo nel quale “l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi”, (Catechismo della Chiesa Cattolica, niente di meno), e che la coscienza va sempre rettamente formata?

    Io credo che a volte mi capiti di dimenticare tutte queste cose fondamentalmente perché una figura di Papa sacrale e lontana permette a noi “vicini” di sentirci un po’ migliori degli altri. A noi piace essere figli di Dio, certo. Significa che siamo di stirpe regale, e lo siamo davvero; ma non ci piace, invece, essere fratelli – siamo tutti figli, ma io un po’ più figlia degli altri – perché dei fratelli vediamo tutti i limiti, le meschinità, le scarpe sporche, la puzza, la goffaggine, l’inadeguatezza. Quello che vediamo ci dà fastidio perché ci ricorda esattamente come siamo noi, è come vedere noi stessi in uno specchio: dei tipi sgangherati. Creature. E creature in cui “il mistero dell’iniquità è in atto”.

    Il fatto è che la fede nasce da un incontro, mentre il modo in cui tendiamo a intenderla è piuttosto una religiosità naturale che è segno della nostra immaturità, una religiosità che serve a confermarci e non a convertirci.

    Ci sono delle persone che hanno fatto l’incontro che cambia davvero la vita, quello con Gesù Cristo. Loro oltre a sapersi figli amatissimi – sgangherati ma amatissimi – si scoprono anche fratelli, e il male degli altri piano piano cominciano a non vederlo più. È perché non risuona in loro. Non rispondono alle calunnie, non si accorgono degli sgomitamenti e delle cattiverie, sembrano quasi scemi. Ma non è così: è che stando vicino a Gesù, anche per poco, anche a tratti, si vedono tutte le proprie magagne, faticosamente mascherate in pubblico.

    La fede è sostanzialmente diffidare di sé, aderire a Gesù Cristo, spegnere il nostro ego cialtrone, chiacchierone e millantatore, e anche la nostra bontà da quattro soldi. Fare spazio a Dio. Quando uno ha incontrato davvero Gesù diventa credibile, e il cristianesimo allora non è più una dottrina ma una somiglianza. È così, solo così che è possibile una vera evangelizzazione: per inseguimento. Lasciarci inseguire per la nostra bellezza, pienezza e ricchezza è esattamente il contrario del proselitismo. Quando i nostri mosci inviti a portare la gente a raduni parrocchiali cadono nel vuoto, è perché non siamo attraenti (quando, peggio, non facciamo da tappo: non lasciamo entrare, ma non lasciamo neanche uscire, come se Gesù fosse nostra proprietà, e la religione qualcosa per giudicare gli altri).

    Come è potuto succedere che Gesù, uno che camminava per le strade persino prima del catechismo di san Pio X, convertendo con la sua autorevolezza e innamorando con la sua misericordia, sia stato trasformato in uno schema che giudica chi non ci rientra dentro?foto

    È ovvio che sia necessario il Magistero, la Tradizione, cioè la trasmissione del deposito che attraverso i santi e i martiri ci è stato lasciato nei secoli, il Catechismo, il Papa: solo tutto questo ci conferma nella nostra fede e ci garantisce che quello in cui crediamo non è un parto della nostra fantasia, né una nostra proiezione. È anche chiaro che siamo in un momento storico in cui i cristiani sono da soli, chiamati a difendere, insieme a pochi uomini di buona volontà, l’idea stessa di uomo, maschio e femmina, la vita, soprattutto quando è più fragile, alcuni fondamentali dell’umanità tutta che per la prima volta da parecchi secoli sembrano messi in discussione. Perché poi ci sono anche sacerdoti che spendono la loro vita in confessionale, e che costretti a negare l’assoluzione, si sentono chiedere “ma come, non vi siete ancora aggiornati, col nuovo Papa?”, e devono fare un paziente, eroico lavoro per spiegare che  la dottrina non è cambiata di una virgola, né pare in procinto di, visto che le regole che questa Chiesa retrograda insiste a proporre sono perché l’uomo viva.

    Ma è altrettanto vero che un rapporto vivo e vero con Gesù ti scomoda in continuazione. È bellissimo, ma è una relazione, e l’unico equilibrio possibile è quello della bicicletta: ci si regge solo in movimento, mentre avere a che fare con delle regole rigide e rassicuranti è sicuramente più facile. Basta fare quello che fa la maggioranza dei cosiddetti credenti: mettiamo al posto di Dio il nostro superIo. In una sorta di sconfinamento nei confronti di Dio, lo mettiamo su quel tasto della nostra coscienza sul quale i genitori quando eravamo piccoli hanno posizionato le regole base, il senso di colpa e della punizione che servono a evitare che i bambini facciano troppi danni, a se stessi e agli altri. L’uomo è anarchico e disordinato, e il superIo che i genitori cercano di costruire serve a mettere ordine. Ma in un rapporto maturo con Dio la dinamica è tutta un’altra, si diventa figli, figli del re, si è davvero, davvero liberi, entra la misericordia e la creatività e lo Spirito Santo, senza la cui forza “nulla è nell’uomo, nulla senza colpa”. Allora, pur da sgangherati, si diventa anche fecondi, padri e madri (non solo biologicamente): se non si è fecondi, come anche tanti credenti, si perde il contatto con la realtà, e la religione diventa un modo per alimentare e confermare le nostre stramberie o nevrosi o chiamiamole come vogliamo.

    Signore abbi pietà di me, delle mie fisse. Signore, perdona me e perdona gli altri che sono proprio come me, questa è la preghiera di chi vuole diventare davvero figlio. Tutti i litigi e le polemiche, le riunioni e i convegni e i seminari inutili vengono dal non avere un rapporto personale e diretto con Dio, un rapporto che nasce dall’incontro con Cristo, molto più pericoloso e avvincente dell’incontro con i cattoliconi che tanto mi piacciono. L’amore di Cristo stringe e assedia da ogni parte. Da assediati si sta un po’ scomodi. Ma “occhio non vide né orecchio udì né mai salì in cuore d’uomo quello che Dio tiene preparato per quelli che lo amano”.

    Io credo che il Papa voglia ricordarcelo in un modo potentissimo, e che se a volte qualche stonatura – anche lui è una creatura – ci va contropelo non sia poi così importante.

    da Il Foglio 23.10.2013









    Fraternamente CaterinaLD

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    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 25/10/2013 09:01

      Papa Francesco, ad Assisi chiarisce la “spogliazione” che ha in mente

    5 ottobre 2013
    di Angela Ambrogetti


    “Gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa distaccata dal mondo emerge in modo più chiaro.”

    Nel testo originale in tedesco la parola esatta era entweltlichte demondanizzata, più forte giornalisticamente e facilmente accostabile a “mondanità spirituale”, l’espressione che usa Francesco. La frase iniziale è di Benedetto XVI che l’ha pronunciata a Friburgo il 25 settembre del 2011. Non vi sembra che siano le stesse idee di Francesco? Allora perchè il mainstream ideologizzato parla di “rivoluzione” e nuova primavera della Chiesa come se i predecessori di Bergoglio fossero papi rinascimentali?


    Certo la memoria del benpensantismo nostrano è davvero corta. Forse volutamente. Perché è facile mettersi a creare contrasti nella Chiesa cattolica usando solo gli aspetti più esteriori e passeggeri. Ma più difficile è capire che la Chiesa è di Dio e non dei Pontefici, e il messaggio di Gesù è uno solo.

    Si certo, a volte gli uomini lo hanno frainteso e strapazzato. Come ha detto recentemente Francesco : “siamo una Chiesa di peccatori; e noi peccatori siamo chiamati a lasciarci trasformare, rinnovare, santificare da Dio.” Ecco il “distacco dal mondo” come lo si legge nel Vangelo e come lo leggono i pontefici.

    Ad Assisi Francesco ha chiarito molto bene che intende per “spogliarsi”, a dispetto dei sensazionalismi che cercano sempre eventi show e che alla fine rischiano di rovinare anche Papa Francesco rendendolo una macchietta.

    Eppure il Papa si è spiegato molto bene: “In questi giorni, sui giornali, sui mezzi di comunicazione, si facevano fantasie. “Il Papa andrà a spogliare la Chiesa, lì!”. “Di che cosa spoglierà la Chiesa?”. “Spoglierà gli abiti dei Vescovi, dei Cardinali; spoglierà se stesso”. Questa è una buona occasione per fare un invito alla Chiesa a spogliarsi. Ma la Chiesa siamo tutti! Tutti! Dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa, e tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha percorso una strada di spogliazione, Lui stesso. E’ diventato servo, servitore; ha voluto essere umiliato fino alla Croce. E se noi vogliamo essere cristiani, non c’è un’altra strada. Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano – dicono – senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero! Qualcuno dirà: “Ma di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?”. Deve spogliarsi oggi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità.”

    Mondanità, demondanizzare. Stessa idea, precisa. Si certo espressa con parole diverse, perchè fortunatamente non siamo tutti uguali, e solo chi non conosce il Vangelo può immaginare che lo stile personale del Papa possa essere segno di una diversa lettura della dottrina.

    “Non si tratta qui di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa. Si tratta piuttosto di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità, che non trascura né reprime alcunché della verità del nostro oggi, ma realizza la fede pienamente nell’oggi vivendola, appunto, totalmente nella sobrietà dell’oggi, portandola alla sua piena identità, togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede, ma in verità è convenzione ed abitudine.”

    Lo ha detto Ratzinger a Friburgo e letto ora sembra un monito per coloro che anche dentro la Chiesa, pensano ai tatticismi, al “metodo comunicativo”. Certo, il mondo moderno vive di comunicazione. Ma se poi la comunicazione racconta cose che non esistono? E comunque, come dice Papa Francesco, sui giornali le notizie le si ascoltano “uno, due, tre giorni, poi viene un altro, un altro…” E per questo sembra anche che il Papa abbia voluto così ridimensionare il valore delle sue interviste, che ha sempre detto del resto di non amar fare.

    Insomma quello che insegna un Papa non viene da come si veste o da come abbraccia i bambini. Quelli sono gesti legati al carattere, alla personalità. Impariamo ad ascoltarlo il Papa, in continuità con i predecessori, e non solo ad applaudirlo come fosse una pop star se dice: buon pranzo.



    Il problema principale è sempre quello della chiarezza. Negli ultimi tempi due temi hanno avuto grande spazio nel dibattito mediatico: la possibilità per i divorziati risposati di accedere all’ Eucaristia, e la vicenda del vescovo della diocesi tedesca di Limburg. Questioni diversissime tra loro ovviamente, ma legate da una caratteristica: i media hanno confuso le idee dei fedeli ma il Papa non si è lasciato intrappolare dai luoghi comuni.

    Cominciamo dall’annosa questione dei divorziati risposati. Un tema difficile, affrontato da anni in diversi sinodi, convegni, riunioni e dibattiti, discusso da canonisti, teologi e pastori, ma alla fine la unica verità da cui partire è la indissolubilità del sacramento del matrimonio nella Chiesa cattolica, se valido. Ecco una delle strade da percorrere è quella dell’accertamento della validità del sacramento. Joseph Ratzinger era un sostenitore fin da cardinale e poi da Papa della attenzione su questo punto: come riconoscere la validità del sacramento. Perchè nella società contemporanea è ovvio che la mancanza di fede con cui si arriva all’altare può “viziare” la validità del sacramento.

    Un tema che fa discutere canonisti e teologi. Poi ci sono i parroci che si trovano ogni giorno ad affrontare chi chiede di accedere alla Eucaristia. La Chiesa ha sempre manifestato attenzione e misericordia, ma non può negare la verità del Vangelo.

    Così dopo l’entusiamo seguito alle parole di Papa Francesco di ritorno da Rio, intepretate in mondo impreciso, ecco la “doccia fredda” del testo del Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede Mueller che mette in chiaro le cose.

    Si scatenano di nuovo i tweet e i commenti, ma è ovvio che il prefetto ha l’assenso del Papa, altrimenti l’articolo non sarebbe apparso sull’ Osservatore Romano.





    [Modificato da Caterina63 25/10/2013 09:02]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 14/11/2013 16:20

    <header class="post-header">

      Melloni & C. in lutto, traditi dal “loro” papa
    di Sandro Magister

    </header>

    melloni

    Un apprezzamento come questo nessuno se lo aspettava da papa Francesco. Eppure è arrivato. E ha del clamoroso:

    “Una volta Le ho detto, caro Mons. Marchetto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II”.

    A Bologna, nel santuario di quella “scuola” oggi diretta dal professor Alberto Melloni che ha il monopolio mondiale dell’interpretazione del Concilio Vaticano II, avranno listato le bandiere a lutto.

    Perché Agostino Marchetto era la loro bestia nera, il loro critico più irriducibile, da sempre.

    I “bolognesi” avevano annesso alla loro interpretazione del Concilio persino Benedetto XVI. Di papa Francesco fino a ieri dicevano entusiasti che “del Concilio parla poco perché lo attua nei fatti”, a modo loro, naturalmente. Mentre alle critiche di Marchetto non hanno mai puntualmente replicato. Semplicemente se ne facevano beffe, lo irridevano.

    E ora se lo ritrovano davanti come “il migliore ermeneuta del Concilio”, insignito di ciò nientemeno che dal loro fu beniamino Jorge Mario Bergoglio.

    Il riconoscimento del papa a Marchetto è stato reso pubblico il 12 novembre, in occasione della presentazione in Campidoglio di un volume in suo onore, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

    Ecco il testo integrale della lettera del papa:

    Caro Mons. Marchetto,
    Con queste righe desidero farmi a Lei vicino e unirmi all’atto di  presentazione del libro: “Primato pontificio ed episcopato. Dal primo millennio al Concilio ecumenico Vaticano II”. Le chiedo che mi senta spiritualmente presente.
    La tematica del libro è un omaggio all’amore che Ella porta alla Chiesa, un amore leale e al tempo stesso poetico. La lealtà e la poesia non sono oggetto di commercio: non si comprano né si vendono, sono semplicemente virtù radicate in un cuore di figlio che sente la Chiesa come Madre; o per essere più preciso, e dirlo con ”aria” ignaziana di famiglia, come “la Santa Madre Chiesa gerarchica”.
    Questo amore Lei lo ha manifestato in molti modi, incluso correggendo un errore o imprecisione da parte mia, – e di ciò La  ringrazio di cuore –, ma soprattutto si é manifestato in tutta la sua purezza negli studi fatti sul Concilio Vaticano II.
    Una volta Le ho detto, caro Mons. Marchetto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero  il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II. So che é un dono di Dio, ma so anche che Ella lo ha fatto fruttificare.
    Le sono grato per tutto il bene che Lei ci fa con la sua testimonianza di amore alla Chiesa e chiedo al Signore che ne sia ricompensato abbondantemente.
    Le chiedo per favore che non si dimentichi di pregare per me.
Che Gesù La benedica e la Vergine Santa La protegga.
    Vaticano 7 Ottobre 2013
Fraternamente,
    Francesco


    Marchetto è un sostenitore indefesso di quell’ermeneutica del Concilio Vaticano II che Benedetto XVI ha definito come “riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa”.

    La sua battaglia interpretativa, in vivace dialettica con quella della “scuola di Bologna”, è ripercorribile in questa sequenza di servizi di www.chiesa

    > Vaticano II: la vera storia che nessuno ha ancora raccontato (22.6.2005)
    > Grandi ritorni: Romano Amerio e le variazioni della Chiesa cattolica(15.11.2007)
    > Confermato: il Concilio fu “svolta epocale”. La scuola di Bologna annette Benedetto XVI (11.12.2007)
    > Le cinque giornate “conciliari” di Benedetto XVI (12.10.2012)
    > La guerra dei due Concili: il vero e il falso (15.2.2013)

     

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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 16/11/2013 19:14

        "Cancellata" la conversazione con Scalfari.
    Cosa significa?
    di Riccardo Cascioli
    16-11-2013
    da LaNuovaBussola

    Papa Francesco

    Da ieri il testo del colloquio tra papa Francesco e il fondatore del quotidiano Repubblica, Eugenio Scalfari, non compare più sul sito della Santa Sede (www.vatican.va). Come si ricorderà il Papa aveva ricevuto Scalfari in Vaticano dopo la pubblicazione su Repubblica della lettera che papa Francesco gli aveva inviato in risposta a due articoli dello stesso Scalfari. Il giornalista aveva poi pubblicato anche il contenuto della conversazione in Vaticano, quello che ieri è stato tolto dal sito della Santa Sede. Per spiegare la decisione il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, ha detto che «il testo è attendibile nel suo senso generale ma non nelle singole formulazioni virgolettate, non essendo stato rivisto parola per parola». In sostanza, ha detto padre Lombardi, «togliendolo  si è fatta una messa a punto della natura di quel testo. C'era qualche equivoco e dibattito sul suo valore». Quanto alla paternità della decisione – ha concluso - «non c'è bisogno di pensare a interventi di particolare rilievo, può essere stato deciso a qualsiasi livello della Segreteria di Stato, responsabile per il sito internet del Vaticano».

    In effetti fin dai primi giorni padre Lombardi aveva chiarito che il testo non era stato rivisto dal Papa e comunque erano attribuite a Francesco delle espressioni sulla cui autenticità i vaticanisti più preparati avevano subito dubitato. Sicuramente sbagliato – smentito dai cardinali testimoni - era poi il particolare raccontato della preghiera del papa prima di accettare l’elezione. 

    Ora c’è da scommettere che la decisione di rendere non consultabile quell’articolo sul sito del Vaticano farà riaccendere le polemiche sia sui contenuti dell’articolo – le affermazioni attribuite al Papa – sia sull’opportunità di certe scelte pastorali. Del resto che alcune affermazioni contenute nell’articolo avessero provocato disorientamento in tanti fedeli è innegabile, e lo stesso padre Lombardi – sebbene con un linguaggio molto diplomatico – ha dovuto ieri ammetterlo. Piuttosto c’è da chiedersi perché si sia aspettato tanto per fare «una messa a punto della natura di quel testo»: si fosse provveduto immediatamente si sarebbero evitati molti fraintendimenti sul pensiero e sulle intenzioni del Papa. 

    Come sulle nostre colonne aveva immediatamente chiarito monsignor Antonio Livi, questi testi giornalistici non sono Magistero, e se proprio gli si vuole dare un valore, quelle affermazioni devono essere interpretate alla luce del Magistero. Questo vale non solo per l’articolo in questione, ma anche per la prima lettera inviata a Scalfari, per la conferenza stampa sull’aereo e per l’intervista concessa alla Civiltà Cattolica. E vale anche per la lettera scritta dal papa emerito Benedetto XVI al matematico Piergiorgio Odifreddi e pubblicata sempre su Repubblica.

    Nel merito dei contenuti – su coscienza e Verità – rimando all’articolo di monsignor Livi a commento della lettera a Scalfari, mentre sul modo di porsi di fronte a queste scelte pastorali riprendo un passaggio di un secondo articolo di Livi, che fornisce il giusto criterio per porsi davanti a quelle che sono a tutti gli effetti scelte pastorali: 

    «Possono esserci tante scelte diverse, tutte ugualmente buone e meritorie perché animate dalla medesima intenzione di applicare con intelligente fedeltà la verità rivelata (il Vangelo), che di per sé è assoluta, alle situazioni concrete nelle quali ci si trova a operare e che sono logicamente relative ai tempi e ai luoghi, nonché alle risorse umane delle quali si dispone in quel momento.(…) Trattandosi di scelte dettate da valutazioni di tipo prudenziale (funzione della recta ratio agibilium), ogni iniziativa che nella forma e nella sostanza risulti compatibile con il dogma e la morale della Chiesa può essere adottata legittimamente, e chi opera queste scelte pastorali va rispettato dagli altri fedeli, liberi a loro volta di pensarla in modo diverso sull’opportunità di tali scelte. 

    Il disaccordo è legittimo, ma deve essere espresso con toni rispettosi, senza attentare all’unità nella fede e senza dogmatizzare quello che, appunto, è opinabile. Viene a proposito il saggio principio patristico: «In necessariis unitas; in dubiis libertas; in ommnibus caritas». E questo criterio, che è l'unico che si possa dire davvero cattolico, vale tanto per le opinioni teologiche (delle quali mi sono occupato sistematicamente con il trattato su Vera e falsa teologia) quanto per le scelte pastorali (come sono quelle dei papi che ritengono opportuno scrivere a dei giornali di orientamento laicista). Se quelle sono mere ipotesi di interpretazione del dogma, queste sono ipotetiche (possibili) applicazioni pratiche dello spirito evangelico».

    Un’ultima notazione: la decisione presa ieri e le parole di padre Lombardi confermano quello che già da tempo stiamo dicendo, ovvero la necessità in Vaticano di porsi il problema della comunicazione, perché come si è visto spesso con papa Francesco – ma è successo diverse volte anche con Benedetto XVI – sui media rischia di passare un messaggio diverso se non opposto alle intenzioni del Papa, con effetti ovviamente deleteri per la missione della Chiesa. Chi ha a cuore la missione della Chiesa e l'annuncio della Verità non può permettersi di pubblicare sul sito del Vaticano per mesi un testo che è fonte di «equivoci».





    Il questionario di PietroLa chiesa di Francesco è diventata il luogo delle opinioni, piuttosto che delle verità. Intanto un’acqua torbida e tumultuosa vorrebbe spazzare via il muro dottrinale che protegge l’indissolubilità

    Anche quando dovrebbe essere al servizio di Nostro Signore, la burocrazia ecclesiale finisce sempre per provvedere soprattutto a se stessa, proprio come quella mondana. Non fa che parlare di sé, avocare ogni atto a sé e vedere chiesa e mondo a immagine di sé. Il questionario di preparazione per il Sinodo straordinario sulla famiglia recentemente diramato da Roma ne è solo l’ultima conferma. Riesce difficile vederne l’utilità, se si vuole veramente comprendere che cosa crede e che cosa pensa, quindi che cosa prega e che cosa è, il gregge affidato a Pietro.

    Fino a qualche decennio fa, sarebbe bastato molto meno per avere contezza della situazione: qualsiasi prete che dicesse messa santamente, dopo il “Salve Regina” finale, avrebbe saputo riferire immediatamente al vescovo, e poi questi al Papa, senza dimenticare un volto e un’anima. Ma era un’altra messa ed era un modo di “sentire cum Ecclesia” che non va più di moda. La domenica mattina, dopo l’esile e orante “Asperges me…” intonato dal sacerdote, il popolo proseguiva vigoroso e sicuro sulla melodia gregoriana nell’implorare “Domine hyssopo et mundabor, lavabis me et super nivem dealbabor…”. Sulle parole del Salmo 50, ciascuno chiedeva per sé e per i fratelli di essere mondato nel sentore sacro dell’issopo e nel lavacro divino che lo avrebbero reso più bianco della neve. Intanto, racchiuso nel piviale sorretto dai chierichetti, il celebrante si era avviato lungo la navata ad aspergere e mondare con acqua benedetta coloro che, ancora una volta, accorrevano al sacrificio del Golgota. Per ognuno aveva uno sguardo e un’attenzione speciali, a ciascuno secondo il suo bisogno, poiché ne conosceva le virtù e i peccati. Era Cristo che passava ancora tra le folle della Galilea e della Giudea: “Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam…”, e chi sentiva il gregoriano risuonare da fuori si affrettava per toccare il lembo del mantello di Colui che li conosceva e li amava uno per uno.

    “Il padre Smith”, racconta Bruce Marshall nel romanzo della lotta di questo sacerdote con la carne e il mondo, “percorse le file dei fedeli, mentre Patrik O’Shea lo precedeva con secchiello dell’acqua benedetta, e spruzzò di gocce d’argento i facchini ferroviari, gli scaricatori del porto, i marinai, le maestre di scuola, le commesse e le servette, che si segnarono. Sui capelli, sugli scialli, sulle zucche pelate, il prete spargeva l’acqua santa, lavando tutti, simbolicamente, dai pensieri e dalle ambizioni dei giorni feriali. Arrivò alle vecchine degli ultimi banchi che avevano in testa il berretto del marito appuntato con un grosso spillo perché se san Paolo aveva detto che la gloria della donna è la sua capigliatura, aveva detto anche che quando andava in casa del Signore doveva tenerla coperta. Alle tre girls del varietà, coi capelli che parevano trucioli, il padre Smith dette una spruzzatina speciale, perché quei loro visi gialli gli fecero un effetto così tremendo, e lo stesso fece per il professor Bordie Ferguson, in terza fila, perché pensava che questo metafisico soffrisse di orgoglio intellettuale”.

    Padre Smith, come ogni altro sacerdote dei suoi tempi e della sua pasta, non avrebbe avuto bisogno di un questionario arrivato da Roma e anticipato dai giornali per sapere che cosa pensassero le sue pecorelle della fede, della dottrina, della morale e delle follie del mondo e della carne. Parlava al suo gregge con le parole di Dio e riferiva a Dio con le parole del suo gregge, che nulla avevano di mondano: mediatore sull’altare, lo era anche in canonica e lungo le strade della sua città.
    Ora, la chiesa di Roma si appresta al Sinodo sulla famiglia e avvia un’indagine conoscitiva in ogni diocesi per sapere che cosa frulla nella testa dei fedeli. C’è chi ha gridato al sondaggio e se, formalmente, si può anche eccepire, materialmente non si può ignorare la deriva mondana che concede molto, forse troppo, all’ansia sondaggistica. A cominciare dal linguaggio dolciastro e pedestre che ricorda tanto le preghiere dei fedeli delle messe di oggigiorno: “Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono alla chiesa a proposito dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione? (…) Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come si svolge tale attività pastorale? Esistono programmi al riguardo a livello nazionale e diocesano? Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della chiesa al loro cammino di fede?”.

    E’ sempre la liturgia a dettare la metrica e il linguaggio della chiesa e se, in un ospedale da campo, viene celebrata la messa inventata a furor di Concilio da monsignor Achille Bugnini non ci si può attendere altro: una specie di questionario da accettazione per un pronto soccorso, ma meno preciso. Non potrebbe essere adottato strumento migliore per dare corpo a quella contiguità con il mondo che piace tanto ai fan del pontificato di Papa Francesco. Gilbert Keith Chesterton, con piena ragione, amava ripetere che ogni secolo ha bisogno di santi che lo contraddicano, ma oggi è difficile sentir dire da un pastore che, per esempio, nella chiesa si entra in ginocchio lasciando il secolo sulla soglia. “Eppure”, diceva in un’intervista Marshall McLuhan a proposito della sua conversione, “quando le persone iniziano a pregare hanno bisogno di verità. Tu non arrivi alla chiesa per idee e concetti, e non puoi abbandonarla per un mero disaccordo. Ciò avviene per una perdita di fede, una perdita di partecipazione. Quando le persone lasciano la chiesa possiamo dire che hanno smesso di pregare. Il relazionarsi attivamente alla preghiera e ai sacramenti della chiesa non avviene per mezzo delle idee. Oggi un cattolico che è in disaccordo intellettuale con la chiesa, vive un’illusione. Non si può essere in disaccordo intellettuale con la chiesa: non ha senso. La chiesa non è un’istituzione intellettuale, è un’istituzione sovrumana”.

    Laddove rimanga un minimo di rigore liturgico e razionale, risuona patetica la rincorsa al dissidente per offrirgli qualcosa di meno invece che qualcosa in più. Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia è un repertorio di suggerimenti al ribasso, ricco di perle che possono solo inquietare. “Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale” vi si dice per esempio “potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali”. Sembra che la chiesa abbia scoperto oggi il territorio prima del tutto ignoto del dolore e della sofferenza abitato dalle famiglie distrutte e dalle coppie ricostruite che non possono accedere alla Comunione. Finalmente, nell’ospedale da campo di Papa Francesco, dopo secoli di indifferenza e di distrazione, si troverà la medicina giusta.

    Ma sui divorziati risposati, e ai divorziati risposati, la chiesa dice da sempre tutto quello che c’era, c’è e ci sarà da dire: “Ci sono nella vita situazioni coniugali che chiedono comprensione e destano compassione senza fine (…). Questi casi veramente pietosi di donne tradite, disprezzate, abbandonate, ovvero di mariti umiliati dal contegno della propria moglie rappresentano, per la chiesa e per il cristiano, casi meritevoli di molto rispetto e di sofferta considerazione”. Parole scritte nel febbraio 1967 da monsignor Pietro Fiordelli, vescovo di Prato che assurse agli onori delle cronache per la sua battaglia antidivorzista. E’ del 14 settembre 1994, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il documento firmato dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger e rivolto a tutti i vescovi del mondo “circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”. Stiamo parlando di 19 anni fa. Il Sant’Uffizio, citando la “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II, Anno Domini 1982, parte dalla considerazione che “speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari”. E poi scrive che “i pastori sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della chiesa” accogliendo con amore queste persone, “esortandoli a confidare nella misericordia di Dio e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione. Il Sant’Uffizio del “pastore tedesco” conosceva già la misericordia di Dio e la sofferenza bisognosa e, proprio per questo, nel capoverso successivo, citando la “Humanae vitae” di Paolo VI, concludeva: “Consapevoli però che l’autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità, i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell’eucarestia”.

    La pastoralità non può mangiarsi la dottrina e il documento del 1994 ribadisce che la chiesa “fedele alla parola di Gesù Cristo non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio”. Questo concetto si chiama indissolubilità, è un vincolo di diritto divino e nessuna autorità, nemmeno un Papa, potrebbe arbitrariamente rinnegarlo. Da Enrico  all’ultima pecorella di padre Smith, nessuno può cancellare quel vincolo, se esiste ed è valido. “Perciò”, conclude in modo euclideo il Sant’Uffizio, “se i divorziati si sono risposati civilmente, si trovano in una condizione che contrasta oggettivamente con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica per tutto il tempo in cui perdura tale situazione”. La chiesa è, innanzi tutto, custode dell’eucarestia e non può venire a patti sul monito paolino che mette in guardia dal comunicarsi senza essere il grazia di Dio per non mangiare la propria condanna.

    Se un’anima è in peccato mortale, nessun atto formale che sia ingiusto potrebbe cancellare una verità di fatto, anche se reca la firma di un uomo di chiesa. Non è possibile nessuna “amnistia”, neanche per i divorziati risposati, perché essa non cambierebbe in alcun modo la loro condizione reale davanti a Dio. Ma oggi, dentro la chiesa, si è smarrito il senso del peccato e ciò che inquieta nel questionario inviato a tutte le diocesi dell’Orbe è l’implicita rassegnazione a tale fenomeno. Questa sorta di tensione anagogica al contrario turba sempre meno anime, come scriveva Cristina Campo in una lettera del 1965 a Maria Zambrano: “Come mai si celebra ancora la festa dogmatica dell’Unica Immacolata, mentre implicitamente si nega, in mille modi, la maculazione di tutti gli altri? In un mondo dove non è più riconosciuto non dico il sacrilegio, l’eresia, la blasfemia, la predestinazione al male – ma il puro e semplice concetto di peccato? Padre Mayer mi disse un giorno di scrivergli tutte le cose che mi turbano nello svolgersi del Concilio; e io gli riposi: ‘Ma non sono che due, sempre le stesse: la negazione della Comunione dei Santi (potenza della preghiera, ruolo sovrano della contemplazione, reversibilità e trasferimento delle colpe e delle pene) e il rifiuto della croce (l’uomo ‘non deve più soffrire’, restare un’ora sola inchiodato alla croce della propria coscienza o alla porta chiusa di un irrevocabile ‘non licet’)”.

    Quel “non licet” oggi spaventa soprattutto la chiesa, anche se è stato meritoriamente ribadito dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, subito rimbrottato dal confratello Reinhard Marx. Sarebbe segno di ingenuità sottovalutare il sommovimento teso ad ammorbidire la posizione della chiesa. Il dibattito avviato negli ultimi tempi non è altro che lo sbocco in superficie di un fiume carsico presente nel mondo cattolico da decenni. Un’acqua torbida e tumultuosa che vorrebbe spazzare via il muro dottrinale che protegge l’indissolubilità matrimoniale. Per motivazioni di ordine pastorale, per realismo e apertura al mondo e alle sue esigenze pratiche. Non si contano i parroci, i moralisti, i docenti di seminario, i vescovi che su questa faccenda hanno abbandonato da tempo quanto insegnato dalla chiesa. C’è chi pensa al modello ortodosso, che consente un bonus, una sorta di carta jolly per validare il secondo matrimonio dopo il fallimento del primo. C’è chi studia l’idea della “benedizione” delle seconde nozze, come succedaneo del sacramento vero e proprio.

    Dal Concilio Vaticano II in poi, la chiesa ha preso a concepirsi e presentarsi come problema invece che come soluzione per la salvezza degli uomini. Anche quando parla del mondo, in realtà lascia trasparire o dice palesemente la propria inadeguatezza e promette solennemente di porvi rimedio recuperando il terreno perso dall’avvento dell’illuminismo in poi. La portata di tale mutamento di prospettiva la si può paragonare a quanto avvenne in filosofia con il criticismo di Kant. Con l’avvento della filosofia kantiana, l’uomo non è più ritenuto capace di conoscere il mondo nella sua intima realtà poiché la ragione non viene più ritenuta in grado di raggiungere il noumeno, la cosa in sé, il vero nucleo dell’esistente. Di conseguenza, essendo considerata incapace di conoscere veramente il reale, la ragione viene anche considerata incapace di definirlo e si ripiega su stessa, non parla che di se stessa e finisce inevitabilmente per concepirsi come un problema. Oggi la chiesa appare intimidita davanti al mondo al pari dell’uomo kantiano davanti al noumeno. Dubita dei propri fondamenti intellettuali e pertanto, pur proclamando di aprirsi al mondo, in realtà si considera incapace di conoscerlo, di definirlo e, quindi, rinuncia a insegnare e a convertire: tenta solo di interpretare.

    Se tutto diviene oggetto di interpretazione, è normale che sorgano le torri di Babele di documenti nei quali ogni minimo aspetto dello scibile viene preso in esame fin nei dettagli. Ma è ancora più naturale che i documenti non sortiscano alcun effetto sulla realtà per il semplice fatto che, in fondo, non se ne curano. Del resto, un organismo costretto a dubitare della propria capacità di conoscere e intervenire sul mondo non può che rifugiarsi in un universo fittizio creato sulla carta.

    Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia conferma tale deriva. E ora ne seguiranno altri, molti altri, moltiplicheranno le domande suggerendo un ancor maggiore numero di risposte. Se la chiesa aveva affascinato Chesterton come “luogo dove tutte le verità si danno appuntamento”, oggi sembra diventata il luogo dove si danno appuntamento le opinioni. In un luogo simile si sarebbe trovata a disagio una santa anima sacerdotale come il Curato d’Ars. A un confratello che gli confidava le pene per la condotta immorale dei suoi parrocchiani, quella creatura naturaliter antikantiana non consigliò di far circolare un questionario, chiese semplicemente: “Ha provato a flagellarsi?”.

    di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

    Leggi tutti gli interventi Questo Papa non ci piace - Orgoglioso lamento cattolico - Cristo senza dottrina né verità - L’ospedale da campo dei follower - Epater le bourgeois catholique - Leggi anche Matzuzzi Ma il gesuita già delude i mondani




    [Modificato da Caterina63 16/11/2013 20:20]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 18/11/2013 15:04

      Papa Francesco sta cominciando a mettere i puntini sulle "i" non sappiamo se merito anche dello scandalo (quello che Gesù definisce necessario) con l'intervista a Scalfari e se dalle parole infelici di Napolitano.... ma resta palese che l'omelia di stamani è da incorniciare e da tenere il alta considerazione... Invito TUTTI - soprattutto ai cultori del "papa-piacione" a tenerne conto per rispondere anche ai vari difensori dello spirito adulto ..... o anche per istruire .... il chè sarebbe una delle opere di carità spirituali, precetto della Chiesa 

    Il Papa: Dio ci salvi dallo spirito mondano che negozia tutto e dal pensiero unico




    Il Signore ci salvi dallo “spirito mondano che negozia tutto”, non solo i valori ma anche la fede. E’ quanto affermato stamani 18 novembre 2013, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi avvertito che bisogna stare in guardia da una “globalizzazione dell’uniformità egemonica”, frutto della mondanità. Il servizio di Alessandro GisottiRealAudioMP3 


    Il Popolo di Dio preferisce allontanarsi dal Signore davanti ad una proposta di mondanità. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima Lettura, un passo del Libro dei Maccabei, per soffermarsi sulla “radice perversa” della mondanità. Le guide del popolo, sottolinea il Papa, non vogliono più che Israele sia isolato dalle altre nazioni e così, abbandonano le proprie tradizioni, per andare a trattare con il re. Vanno a “negoziare” e sono entusiasti per questo. E’ come, annota, se dicessero “siamo progressisti, andiamo con il progresso dove va tutta la gente”. Si tratta, avverte, dello “spirito del progressismo adolescente” che “si crede che andare avanti in qualsiasi scelta è meglio che rimanere nelle abitudini della fedeltà”. Questa gente, dunque, negozia con il re “la fedeltà al Dio sempre fedele”. “Questo – è il monito del Papa – si chiama apostasia”, “adulterio”. Non stanno, infatti, negoziando alcuni valori, evidenzia, “negoziano proprio l’essenziale del suo essere: la fedeltà al Signore”. 

    “E questa è una contraddizione: non negoziamo i valori ma negoziamo la fedeltà. E questo è proprio il frutto del demonio, del principe di questo mondo, che ci porta avanti con lo spirito di mondanità. E poi, accadono le conseguenze. Hanno preso le abitudini dei pagani, poi un passo avanti: il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo e ciascuno abbandonasse le proprie usanze. Non è la bella globalizzazione dell’unità di tutte le Nazioni, ma, ognuna con le proprie usanze ma unite, ma è la globalizzazione dell’uniformità egemonica, è proprio il pensiero unico. E questo pensiero unico è frutto della mondanità”. 

    E dopo questo, rammenta, “tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re; accettarono anche il suo culto, sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato”. Passo dopo passo, “si va avanti su questa strada”. E alla fine, rammenta il Papa, “il re innalzò sull’altare un abominio di devastazione”: 

    “Ma, Padre, questo succede anche oggi? Sì. Perché lo spirito della mondanità anche oggi c’è, anche oggi ci porta con questa voglia di essere progressisti sul pensiero unico. Se presso qualcuno veniva trovato il Libro dell’Alleanza e se qualcuno obbediva alla Legge, la sentenza del re lo condannava a morte: e questo l’abbiamo letto sui giornali, in questi mesi. Questa gente ha negoziato la fedeltà al suo Signore; questa gente, mossa dallo spirito del mondo, ha negoziato la propria identità, ha negoziato l’appartenenza ad un popolo, un popolo che Dio ama tanto, che Dio vuole come popolo suo”. 

    Il Papa fa riferimento, dunque, al romanzo, di inizio ‘900, “Il padrone del mondo” che si sofferma proprio su “quello spirito di mondanità che ci porta all’apostasia”. Oggi, avverte il Papa, si pensa che “dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali, come fanno tutti, con questo progressismo adolescente”. E poi, osserva amaramente, “segue la storia”: “le condanne a morte, i sacrifici umani”. “Ma voi – è l’interrogativo del Papa – pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono”: 

    “Ma quello che ci consola è che davanti a questo cammino che fa lo spirito del mondo, il principe di questo mondo, il cammino di infedeltà, sempre rimane il Signore che non può rinnegare se stesso, il Fedele: Lui sempre ci aspetta, Lui ci ama tanto e Lui ci perdona quando noi, pentiti per qualche passo, per qualche piccolo passo in questo spirito di mondanità, andiamo da Lui, il Dio fedele davanti al Suo popolo che non è fedele. Con lo spirito di figli della Chiesa preghiamo il Signore perché con la Sua bontà, con la Sua fedeltà ci salvi da questo spirito mondano che negozia tutto; che ci protegga e ci faccia andare avanti, come ha fatto andare avanti il suo popolo nel deserto, portandolo per mano, come un papà porta il suo bambino. Alla mano del Signore andremo sicuri”.



    del sito Radio Vaticana 


      ( P.S. vi aggiungo che il romanzo citato (e che trovate cliccando qui)  è molto caro alla tradizione della Chiesa del '900 ;-) anzi, è una delle prime letture che si consiglia di fare in questo tempo moderno....)

     

    Rahner kaputt. Il “Denzinger” trionferà.

    Papa Francesco durante l'omelia del 18 novembre 2013.

    Papa Francesco durante l’omelia del 18 novembre 2013.

    È durata poco l’intervista volterriana. Francesco contro lo spirito del mondo. Denzinger, pioniere del dogma. Rahner: buona coscienza e libero esame. Si assolvono i peccatori, non i peccati, ecco il punto.

    di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro (20/11/2013)

    Accolta “con gioia” come si usa nella Chiesa d’oggi, difesa senza “se” e senza “ma”, ermeneutizzata come si conviene e poi, alla fine, ritirata dal sito internet vaticano, dove era rimasta un mese e mezzo: da famosa che era, l’intervista di papa Francesco a Eugenio Scalfari è stata archiviata con un semplice click. Attendibile nel suo complesso, ha spiegato il direttore della sala stampa padre Lombardi, non lo è in alcune singole parti, anche se il controverso passaggio sulla coscienza sarebbe “del tutto compatibile con il Catechismo della Chiesa cattolica”.

    Pur deposta nei faldoni della semplice cronaca, tale vicenda rimane a indicare un tasso di confusione eccessivo persino per un ospedale da campo. È davvero strano che nessuno si sia chiesto, preventivamente e prudentemente, se l’intervistatore della stampa volterriana fosse un malato venuto a farsi curare o un untore neanche troppo mimetizzato. Riconoscere cosa vi sia nell’animo dell’interlocutore mondano è questione che lo stesso papa Francesco, nell’omelia di Santa Marta di lunedì scorso, ha indicato come essenziale. Commentando un passo del “Libro dei Maccabei” ha messo in guardia dal rischio di fare mercimonio della fedeltà al Signore, poiché lo spirito del mondo negozia tutto. Ma l’istantanea della chiesa postmoderna ritrae da decenni un luogo di mediazione più che una cittadella decisa a resistere. Un posto dove molti agiscono con aria di sufficienza nell’adozione di criteri, metodi e strumenti necessari per comprendere tanto le lusinghe del mondo quanto i lamenti della Chiesa.

    La tensione al ragionevole rigore di moda sotto Benedetto XVI, che insieme all’ascesi e alla preghiera mette al riparo dalle sirene del mondo, pare evaporata. Oggi, basta solo richiamare la precisione affilata e caritatevole con cui la Chiesa si è sempre espressa su fede, dottrina e morale per passare come ideologizzati specialisti del Logos. Guai a chi osi evocare l’opera di un benemerito pioniere della teologia dogmatica come Heinrich Denzinger: si viene tacciati di voler sostituire il Vangelo con il suo Enchiridion Symbolorum, quel cristallino compendio dei principali testi del magistero che dovrebbe fare da argine là dove il mondo interroga, provoca, negozia, corrompe.
    Aggiornato costantemente nel corso dei decenni, il “Denzinger”, che ha preso il nome del suo primo autore, è uno dei riferimenti più sicuri per chiunque voglia conoscere e praticare il perenne pensiero della chiesa: ma non piace più, irrita, infastidisce.

    Per scoprire la ragione di tale avversità basterebbe andare su Wikipedia, dove, in un’impietosa, sinteticissima riga, si legge: «Il grande teologo fondamentale gesuita Karl Rahner ha tuttavia messo in guardia studenti e studiosi sul rischio riduzionistico di una “teologia del Denzinger”». Se si considera che, nella Chiesa contemporanea, l’inventore della teoria dei “cristiani anonimi” ha sostituito san Tommaso come doctor communis, diviene comprensibile l’universale avversione per il “Denzinger”, severo giudice di chiunque ami abbandonarsi a un qualunque incontro personale con il Vangelo. In qualche modo, ritorna in superficie il tema della coscienza personale che Rahner, confratello di papa Francesco, ha descritto nella Fatica di credere in termini che hanno indubbiamente fatto scuola, e che scuola:

    “Chiunque segue la propria coscienza, sia che ritenga di dover essere cristiano oppure non-cristiano, sia che ritenga di dover essere ateo oppure credente, un tale individuo è accetto e accettato da Dio e può conseguire quella vita eterna che nella nostra fede cristiana noi confessiamo come fine di tutti gli uomini”.

    “In altre parole: la grazia e la giustificazione, l’unione e la comunione con Dio, la possibilità di raggiungere la vita eterna, tutto ciò incontra un ostacolo solo nella cattiva coscienza di un uomo”.

    Posto davanti al Vangelo, un pensiero simile non può che rifuggire il cogente rigore del “Denzinger”, che è il cogente rigore della Chiesa. Ma la fede cattolica non può risolversi nel semplice incontro personale con il Vangelo. Lo spiega il domenicano padre Roger-Thomas Calmel nella Breve apologia della Chiesa di sempre: «Che ci sia dunque un andirivieni frequente dalla lettera della Scrittura alle formule dei Concili e del Catechismo e viceversa. Passiamo dalla lettera dell’Antico o del Nuovo Testamento alle definizioni conciliari o pontificie per meglio coglierne il contenuto esatto, il vero significato del testo sacro. Poi ritorniamo dai Concili e dal Catechismo al semplice testo scritturale per non perdere mai di vista il dato vivo, concreto, soprannaturale, inesauribile, del quale le formulazioni del magistero ecclesiastico esprimono, con tutta la precisione necessaria, la profondità e il mistero».

    La guerra al “Denzinger”, e quindi all’armonioso dipanarsi e manifestarsi della dottrina perenne della Chiesa, viene da lontano. Non a caso Rahner spiega che «gli enunciati della fede tradizionale sono inadeguati, in buona parte, per lo meno per quanto concerne ciò che è necessario prima di ogni altra cosa: l’annuncio della fede (…) Proposizioni come “vi sono tre persone in Dio”, “noi siamo salvati dal sangue di Gesù Cristo” sono puramente e semplicemente incomprensibili per un uomo moderno (…) esse fanno la stessa impressione della pura mitologia di una religione del tempo passato».

    Secondo il teologo gesuita, dunque, al palato dell’uomo contemporaneo, Gesù che resuscita Lazzaro ha lo stesso sapore di Ercole che sconfigge l’Idra o di Teseo che uccide il Minotauro. Quindi non rimane che riformare l’annuncio e sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda della modernità, trarre le parole dai desideri del nuovo uditorio.

    Giuseppe Siri, un cardinale che rischiò di diventare papa, coglie lucidamente la questione, quando in Getsemani scrive: «Il grande principio di morte è il principio di secolarizzazione: il mondo contiene la forza della plenaria realizzazione degli uomini e ne è anche l’ambiente, in cui lo scopo della vita dell’uomo deve essere raggiunto; occorrerebbe dunque abolire ogni distinzione tra sacro e profano, tra chiesa e mondo». Diagnosi confermata da quanto Edward Schillebeeckx andava dicendo nel 1970: «In Cristo è ora possibile dire “Amen” alla realtà mondana e considerarla come culto poiché, dopo l’apparizione di Gesù, sulla terra abita la pienezza di Dio».

    Se l’oggetto del nuovo culto è il mondo, diventa impossibile entrarvi in conflitto. I vescovi americani che contestano Barack Obama, evidentemente, non seguono Rahner o Schillebeeckx. Ma centinaia di gesuiti con le loro università cattoliche e centinaia di suore in rivolta dicono “Amen” al presidente e rendono culto al mondo. Il vero problema dell’ospedale da campo è distinguere chi vi distribuisce la medicina buona e chi fa eutanasia al paziente.

    Se è vero che lo spirito mondano induce a negoziare finanche la fedeltà a Dio, come ha detto il Papa nell’omelia del 18 novembre, bisognerebbe avere anche il coraggio di denunciare chi, nell’accampamento cattolico, si macchia di intelligenza col nemico. Non è possibile additare le lusinghe del mondo e tollerare un Rahner che dice: «Con il progredire della storia della grazia, il mondo diviene sempre più indipendente, maturo, profano, e deve pensare ad auto-realizzarsi. Questa crescente mondanità storica (…) non è una sventura che si contrappone ostinatamente alla grazia e alla chiesa, ma è invece il modo nel quale la grazia si realizza a poco a poco nella creazione».

    Sulla scia dell’ambiguo e ossessivo “primato della Parola” e del “sola fide” di matrice luterana, la Chiesa ha finito per specchiarsi nell’orizzonte ribaltato di un pelagianesimo che nega il senso del peccato e osanna il mondo. L’esito è comunque il depotenziamento della tradizione e della funzione di mater et magistra. Il libero esame, il soggettivismo, la “sola scriptura” prendono la scena svuotando di significato il ruolo dei vescovi e del papa. Ma l’orizzonte logico di tale operazione è debolissimo poiché è la tradizione a precedere e definire la parola: è la chiesa a stabilire quali siano i testi sacri e come vadano interpretati. Fatto che determina l’impossibilità di parlare di “religione del libro”, posto che i testi sacri sono oggettivamente diversi nella lettera e nella loro interpretazione. La Chiesa precede storicamente e logicamente la scrittura e per questo, spiega il cardinale Siri, «colui che relativizza la Tradizione relativizza la Scrittura».

    La bellezza perenne e unica del cattolicesimo sta nella capacità di comporre e armonizzare tutti questi elementi. Sta nella continua tensione tra ragione e mistero, tra anelito terreno e risposta celeste che, pazientemente, crea un calco nel quale la creatura si adagia, magmatica e informe, per risorgerne solida e levigata, come la farfalla da una crisalide. Perché conoscere la dottrina significa amarla e pregarla assecondandone forme e definizioni. È come un dire le preghiere secondo formule dettate da altri con precisione ispirata e insondabile. Allora, lontano dai sentimenti, dalle divagazioni, dagli inutili discorsi, senza uno iota di troppo, sgorga quel che della beatitudine è concesso su questa terra, che è un dire sottovoce, un fare e un vivere invece che un discorrere: «I molti discorsi non appagarono l’anima», insegna l’Imitazione di Cristo, «ma la vita buona dà ristoro alla mente».

    L’annuncio a Maria narrato da San Luca non produrrebbe nelle anime oranti la stessa tensione verso il “partorire Dio” predicato da sant’Ambrogio se il Concilio di Efeso, nel 431, non avesse affilato la lama della dottrina definendo la Vergine Theotokos, Madre di Dio: «Se qualcuno non Confessa che l’Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la Santa Vergine è madre di Dio perché ha generato secondo la carne il Verbo che è da Dio, sia anatema». Non vi è nulla di più amato dalla gente cristiana aliena al mondo che un tale rigore. «Tutto il popolo della città rimase in attesa dal mattino alla sera, aspettando il giudizio del santo sinodo», racconta san Cirillo d’Alessandria, che fu l’artefice di quella decisione. «(…) Alla nostra uscita dalla Chiesa, fummo ricondotti fino alle nostre dimore. Era la sera, tutta la città si illuminò, donne camminavano innanzi a noi con incensieri. A coloro che bestemmiavano il suo Nome, il Signore ha dimostrato la sua onnipotenza».

    A saperlo leggere, a studiarlo in amorevole andirivieni con la Scrittura, il “Denzinger” racconta queste storie e alimenta la vita buona che, a sua volta, nutre la mente. È la vita della Chiesa che corre lungo i secoli dandovi forma, è la tradizione che bussa imperiosamente alle anime chiamandole a scegliere. Non vi è alternativa nella guerra allo spirito mondano: alla tentazione di negoziare persino sulla fede si può opporre solo l’immutabilità e l’irreformabilità del magistero. Per tutta la sua vita, la chiesa lo ha fatto, contendendo al mondo il tempo e lo spazio, le due dimensioni in cui si espande la tradizione. Le definizioni raccolte dal “Denzinger” si sono tramandate senza mutare nel corso dei secoli e, senza mutare, hanno raggiunto gli avamposti più remoti della fede. Quelle stesse pagine che ora si trovano facilmente a stampa in libreria, hanno corso il mondo in itinerari avventurosi che Harold Innis ha raccontato nel suo epico Impero e comunicazioni. Hanno viaggiato su pergamena, “supporto pesante” adatto al permanere della verità religiosa irreformabile e perenne, a differenza di ciò che viaggiava su papiro e su carta, “supporti leggeri” che alimentavano la burocrazia civile caduca e fallace.

    Così, la Chiesa di Roma ha propagato il regno di Cristo e ha conquistato, anima per anima, le intelligenze più semplici e quelle più laboriose, tutte bisognose dello stesso nutrimento. Se John Henry Newman non si fosse trovato al cospetto di verità e pronunciamenti immutabili nello spazio e nel tempo, non avrebbe mai avuto la forza e l’esigenza di lasciare la comunione anglicana per entrare nella chiesa di Roma. Nell’Apologia pro vita sua, il cardinale spiega che compì il gran passo verso casa solo quando si rese conto che gli argomenti degli anglicani contro i padri del Concilio di Trento erano gli stessi di quelli contro i padri del Concilio di Calcedonia, che condannare i Papi del Sedicesimo secolo voleva dire condannare anche quelli del Quinto: «Il dramma della religione, il combattimento della verità e dell’errore erano sempre gli stessi. I principi e i procedimenti della chiesa d’oggi erano identici a quelli della Chiesa d’allora; i principi e i procedimenti degli eretici di oggi erano quelli dei protestanti di oggi. Lo scopersi quasi con terrore».

    Ma la Chiesa non lascia da sola anima alcuna davanti a una verità che possa atterrire. A ciascuno porge la carezza rigorosa e soave del rito. La tradizione si presenta sempre all’uomo attraverso un poema sacro che nel cattolicesimo, come scrive Domenico Giuliotti, ha la sua espressione celeste nella celebrazione eucaristica: «La Messa, e non già la Divina Commedia, è il “poema” veramente “sacro al quale hanno posto mano e cielo e terra”. (…) Dio, la Trinità e tutti gli Angeli ne formano l’argomento. La Consacrazione, che rinnova l’Incarnazione, è il punto culminante di questo immenso mistero. E il Prete n’è, al tempo stesso, il taumaturgo e il poeta».

    Emanazione del Cielo in terra, tradizione e liturgia sono quasi consustanziali persino nel metodo con cui gli uomini hanno contribuito alla loro formazione. Mentre una è il repertorio di pensieri da cui è decaduto tutto, tranne ciò che dice definitivamente il divino, l’altra è la composizione di gesti e di parole immutabili depurati da ciò che è solo umano. Sono due ingressi allo stesso mondo, dove ciascuno riceve perennemente ciò che gli spetta, in qualunque luogo si trovi e in qualunque tempo viva. Sulla terra non vi è nulla di più equo. Lo racconta con soave precisione Newman nel romanzo Perdita e guadagno, là dove descrive i pensieri e le sensazioni del giovane protagonista che, per la prima volta, assiste a una celebrazione cattolica: «Quello che lo colpì più di tutto fu che, mentre nella chiesa d’Inghilterra l’ecclesiastico oppure l’organo erano tutto e la gente non era niente, salvo che veniva rappresentata al funzionario laico, qui era esattamente il contrario. Il prete diceva poco o niente, almeno in modo da farsi sentire, invece l’assemblea era come un solo vasto strumento un panharmonicum che suonava insieme; cosa ancora più mirabile, pareva che suonasse da solo. (…) Le parole erano in latino, ma tutti le capivano benissimo, e offrivano le loro preghiere alla Santissima Trinità, e al Salvatore incarnato, e alla grande Madre di Dio, e ai santi nella gloria del Paradiso, con nel cuore un’energia pari a quella con cui davano voce al suono. Vicino a lui c’era un ragazzino, e una povera donna, che cantavano a squarciagola. No, qui non ci si poteva sbagliare, Reding disse fra sé e sé: “Questa sì che è una religione popolare”».

    A quei tempi, nella Chiesa, la stessa dottrina e la stessa liturgia erano buone per tutti, per i santi e per i peccatori, per i vivi e per i morti, per i romani e per i barbari. Per questo la religione cattolica era equanime e misericordiosa: era popolare. Ancora non risuonava il lamento che più tardi avrebbe vergato Nicolás Gómez Dávila: «La Chiesa un tempo assolveva i peccatori, oggi ha deciso di assolvere i peccati».

    © – FOGLIO QUOTIDIANO

     



    [Modificato da Caterina63 20/11/2013 23:49]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 22/11/2013 12:21

    Anche il papa fa autocritica. E corregge tre errori

    Abbassa il "rating" della sua intervista a Scalfari. Rettifica i suoi giudizi sul Concilio Vaticano II. Prende le distanze dalle correnti progressiste che l'hanno fin qui più applaudito. Ma i media tacciono su questo suo cambio di passo 

    di Sandro Magister




    ROMA, 22 novembre 2013 – Nel giro di pochi giorni papa Francesco ha corretto o fatto correggere alcuni tratti rilevanti della sua immagine pubblica. Almeno tre.

    Il primo riguarda il colloquio da lui avuto con Eugenio Scalfari, messo per iscritto da questo campione del pensiero ateo su "la Repubblica" del 1 ottobre.

    La trascrizione del colloquio aveva effettivamente generato un diffuso sconcerto, a motivo di alcune affermazioni sulla bocca di Francesco che suonavano più congeniali al pensiero laico dominante che alla dottrina cattolica. Tipo la seguente:

    "Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce".

    Nello stesso tempo, però, l'intervista era stata da subito avvalorata da padre Federico Lombardi come "fedele al pensiero" del papa e "attendibile nel suo senso generale".

    Non solo. Poche ore dopo l'uscita su "la Repubblica", l'intervista era stata riprodotta integralmente sia su "L'Osservatore Romano" che nel sito web ufficiale della Santa Sede, al pari degli altri discorsi e documenti del papa.

    Nacque da ciò l'idea che Jorge Mario Bergoglio avesse scelto volutamente la modalità espressiva del colloquio, in questa come in altre occasioni, come nuova forma del suo magistero, capace di raggiungere più efficacemente il grande pubblico.

    Ma nelle settimane successive il papa deve essersi reso conto anche del rischio che tale modalità comporta. Il rischio che il magistero della Chiesa scada al livello di una mera opinione offerta al libero confronto. 

    Ne è derivata infatti la decisione, il 15 novembre, di far sparire dal sito dello Santa Sede il testo del colloquio con Scalfari.

    "Togliendolo – ha spiegato padre Lombardi – si è fatta una messa a punto della natura di quel testo. C'era qualche equivoco e dibattito sul suo valore".

    Il 21 novembre, intervistato nella sede romana della stampa estera, Scalfari ha comunque rivelato altri particolari della vicenda.

    Ha detto che il papa, al termine della conversazione, aveva consentito che la si rendesse pubblica. E alla proposta di Scalfari di mandargli il testo in anticipo aveva risposto: "Mi sembra una perdita di tempo, di lei mi fido".

    In effetti, il fondatore di "la Repubblica" inviò il testo al papa, accompagnato da una lettera nella quale tra l'altro scriveva:

    "Tenga conto che alcune cose che Lei mi ha detto non le ho riferite. E che alcune cose che Le faccio riferire, non le ha dette. Ma le ho messe perché il lettore capisca chi è Lei"

    Due giorni dopo – sempre stando a quanto riferito da Scalfari – arrivò per telefono dal secondo segretario del papa, Alfred Xuereb, l'ok per la pubblicazione. Che avvenne l'indomani.

    Scalfari ha commentato: "Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite il papa non le condivida, ma credo anche che egli ritenga che, dette da un non credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge".

    *

    Ma anche la calibrata e studiatissima intervista di papa Francesco a "La Civiltà Cattolica" – pubblicata il 19 settembre da sedici riviste della Compagnia di Gesù in undici lingue – è entrata nei giorni scorsi nel cantiere delle cose da correggere.

    Su un punto chiave: l'interpretazione del Concilio Vaticano II.

    Lo si è capito da un passaggio della lettera autografa scritta da Francesco all'arcivescovo Agostino Marchetto in occasione della presentazione di un volume in suo onore, il 12 novembre nella cornice solenne del Campidoglio. Lettera che il papa ha voluto fosse letta in pubblico. 

    Il passaggio è il seguente:

    "Questo amore [alla Chiesa] Lei lo ha manifestato in molti modi, incluso correggendo un errore o imprecisione da parte mia, – e di ciò La  ringrazio di cuore –, ma soprattutto si é manifestato in tutta la sua purezza negli studi fatti sul Concilio Vaticano II. Una volta Le ho detto, caro Mons. Marchetto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II".

    Già la definizione di Marchetto come "il migliore ermeneuta" del Concilio ha del clamoroso. Marchetto è infatti da sempre il critico più implacabile di quella "scuola di Bologna" – fondata da Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo e oggi diretta dal professor Alberto Melloni – che ha il monopolio mondiale dell'interpretazione del Vaticano II, in chiave progressista.

    L'ermeneutica del Concilio sostenuta da Marchetto è la stessa di Benedetto XVI: non "rottura" e "nuovo inizio", ma "riforma nella continuità dell'unico soggetto Chiesa". Ed è questa l'ermeneutica che papa Francesco ha voluto dar segno di condividere, nel tributare un così alto apprezzamento a Marchetto.

    Ma se si va a rileggere il succinto passaggio che Francesco dedica al Vaticano II nell'intervista a "La Civiltà Cattolica", l'impressione che se ne ricava è diversa. "Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità", concede il papa. "Tuttavia – aggiunge – una cosa è chiara": il Vaticano II è stato "un servizio al popolo" consistente in "una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea".

    Nelle poche righe dell'intervista dedicate al Concilio, Bergoglio ne definisce così l'essenza per ben tre volte, applicandola anche alla riforma della liturgia.

    Un simile giudizio sul grandioso evento conciliare era apparso subito a molti così sommario che persino l'intervistatore del papa, il direttore de "La Civiltà Cattolica" Antonio Spadaro, confessò il suo stupore, nel trascriverlo dalla viva voce di Francesco.

    Intanto, però, questo giudizio ha continuato a riscuotere largo consenso. 

    Ad esempio, nel ricevere in visita al Quirinale papa Francesco il 14 novembre, il presidente della repubblica italiana Giorgio Napolitano lo ha ringraziato proprio per far "vibrare lo spirito del Concilio Vaticano II come 'rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea'", citandone le precise parole.

    E un plauso al papa per queste stesse parole è venuto – altro esempio – dal numero uno dei liturgisti italiani, Andrea Grillo, docente al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, secondo cui Francesco avrebbe finalmente inaugurato la vera e definitiva "ermeneutica" del Concilio, dopo aver "messo subito in secondo piano quella diatriba sulla 'continuità' e la 'discontinuità' che aveva lungamente pregiudicato – e spesso del tutto paralizzato – ogni efficace ermeneutica del Vaticano II".

    In effetti non è un mistero che "servizio al popolo" e rilettura del Vangelo "attualizzata nell'oggi" sono concetti cari alle interpretazioni progressiste del Concilio e in particolare alla "scuola di Bologna", più volte dichiaratasi entusiasta di questo papa.

    Ma evidentemente c'è chi ha fatto notare di persona a papa Bergoglio che ridurre il Concilio a tali concetti è per lo meno "impreciso", se non "errato".

    Ed è stato proprio Marchetto a fare questo passo. Tra lui e Bergoglio c'è da tempo una grande confidenza, con reciproca stima. Marchetto abita a Roma nella casa del clero di via della Scrofa, nella stanza 204 che è adiacente alla 203 nella quale alloggiava l'allora arcivescovo di Buenos Aires nelle sue trasferte romane.

    Papa Francesco non solo ha ascoltato le critiche dell'amico, ma le ha accolte. Al punto da ringraziarlo, nella lettera fatta leggere il 12 novembre, per averlo aiutato "correggendo un errore o imprecisione da parte mia".

    C'è da presumere che in futuro Francesco si esprimerà sul Concilio in altro modo che come ha fatto nell'intervista a "La Civiltà Cattolica". Più in linea con l'ermeneutica di Benedetto XVI. E con grande delusione per la "scuola di Bologna".

    *

    La terza correzione è coerente con le due precedenti. Riguarda il timbro "progressista" che papa Francesco si è visto stampare addosso in questi primi mesi di pontificato.

    Un mese fa, il 17 ottobre, Bergoglio era parso avvalorare un volta di più questo suo profilo quando nell'omelia mattutina a Santa Marta aveva diretto parole sferzanti contro i cristiani che trasformano la fede in "ideologia moralista", tutta fatta di "prescrizioni senza bontà".

    Ma un mese dopo, il 18 novembre, in un'altra sua omelia mattutina il papa ha suonato tutt'altra musica.

    Ha preso spunto dalla rivolta dei Maccabei contro le potenze dominanti dell'epoca per dare una tremenda lavata di capo a quel “progressismo adolescenziale”, anche cattolico, disposto a sottomettersi alla “uniformità egemonica” del “pensiero unico frutto della mondanità”.

    Non è vero, ha detto Francesco, che "davanti a qualsiasi scelta sia giusto andare avanti comunque, piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni". A forza di negoziare su tutto, finisce che i valori siano talmente svuotati di senso da restare soltanto “valori nominali, non reali”. Anzi, si finisce per negoziare proprio "la cosa essenziale al proprio essere, la fedeltà al Signore".

    Il pensiero unico che domina il mondo – ha continuato il papa – legalizza anche “le condanne a morte”, anche “i sacrifici umani”. “Ma voi – ha chiesto – pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono”.

    Difficile non vedere in questo grido di dolore di papa Francesco le innumerevoli vite umane falciate sul nascere con l’aborto, oppure stroncate con l'eutanasia.

    Nel deprecare l’avanzata di “questo spirito di mondanità che porta all’apostasia” il papa ha citato un romanzo “profetico” d’inizio Novecento che è una delle sue letture preferite: “Il padrone del mondo” di Robert H. Benson, un sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo.

    Con l'eccezione di rare testate cattoliche, i media di tutto il mondo hanno ignorato questa omelia di papa Francesco, che in effetti contraddice clamorosamente gli schemi progressisti, o addirittura rivoluzionari, con cui egli viene generalmente descritto.

    Ma ora è agli atti. E lì resta.

    Una curiosa coincidenza: alla messa in cui Francesco ha pronunciato questa omelia ha preso parte anche il nuovo segretario di Stato Pietro Parolin, nel suo primo giorno di servizio effettivo nella curia romana.

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    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 09/12/2013 11:52
     per leggere quanto segue ricordiamo che NON condividiamo tutto della FSSPX, ma l'analisi che segue ha un'ottima base di discussione e di riflessione..... che condividiamo....

    Mons. Fellay intervistato dall'Agenzia DICI

    Nuova intervista concessa dal Superiore Generale della Fraternità San Pio X (FSSPX), il vescovo Mons. Bernard Fellay, all’agenzia di stampa della Fraternità, DICI (la versione originale francese fornita da DICI).La traduzione è nostra (Una Fides)
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    L'arrivo di un nuovo papa

    L'arrivo di un nuovo papa può essere un po’ come resettare il nostro contachilometri a zero. Soprattutto con un papa che si distingue dai suoi predecessori per il suo modo di agire, parlare e intervenire e fa un bel contrasto. Questo può indurre la gente a dimenticare il pontificato precedente, e questo è quanto un po’ è successo. Almeno a livello di alcune linee di conservazione o di riforma rimarcate da Papa Benedetto XVI. È certo che i primi interventi del papa hanno causato un sacco di nebulosità e anche quasi una contraddizione, in ogni caso, un contrasto in relazione a tali linee di riforma.



    Un esempio: i Francescani dell'Immacolata

    Nella loro spiritualità seguono le linee guida di Padre Massimiliano Kolbe.

    Questo è molto interessante, perché Massimiliano Kolbe vuole un combattimento per l'Immacolata, un combattimento dalla parte dell'Immacolata, la vittoria di Dio sui nemici di Dio cioè, possiamo davvero usare questo termine, la massoneria. È molto interessante vedere che questa lotta contro il mondo, contro lo spirito del mondo li ha resi vicini a noi, quasi per natura, si potrebbe dire, perché per arruolarsi in un combattimento contro il mondo implica la croce in un modo o nell’altro. Ciò implica i principi eterni della Chiesa: quello che viene chiamato lo spirito cristiano. Questo spirito cristiano si esprime magnificamente nella Messa antica, nella Messa tridentina. Così che quando Benedetto XVI ha pubblicato il suo Motu Proprio, che ha di nuovo reso tale Messa ampiamente disponibile, quella congregazione decise nel suo capitolo, in altre parole in una decisione di tutta la  Congregazione, di tornare alla Messa antica, e davvero di farlo su tutta la linea, rendendosi conto che avrebbero avuto un sacco di problemi in quanto hanno le parrocchie, ma che nondimeno questi problemi non erano insormontabili. Alcuni di loro hanno anche iniziato a porre alcune domande circa il Concilio.



    Come risultato, alcuni malcontenti, una manciata se si considerano il numero di loro (ci sono circa 300 sacerdoti e fratelli in tutto), forse una dozzina ha protestato a Roma, dicendo: "Stanno cercando di imporre la Messa antica su di noi, attaccano il Concilio". Questo ha provocato una forte reazione da parte di Roma, già durante il pontificato di Benedetto XVI, è necessario fare questa precisazione. Tuttavia, le conclusioni sono state adottate le misure disciplinari sotto il pontificato di Francesco.Queste includono, tra l'altro, il divieto di celebrare la Messa antica per tutti i membri, con poche eccezioni e permessi, possibilmente, qui o là ....Questo è direttamente contrario al Motu Proprio, che ha parlato di un diritto, che i sacerdoti hanno il diritto di celebrare la Messa antica, e quindi non c'era bisogno di autorizzazione, sia da parte dell’ordinario o anche dalla Santa Sede. Pertanto che è abbastanza scioccante, ovviamente questo è un segnale.



    Un nuovo approccio da parte della Chiesa

    "Stiamo chiudendo la parentesi." Questo è lo slogan utilizzato da più progressisti per la venuta del Papa Francesco. Penso che in ogni caso, per coloro che sono chiamati progressisti, era quello che volevano. In altre parole, dopo il pontificato di Benedetto XVI, hanno voluto consegnare all'oblio suo pontificato e le sue iniziative che avevano l'intenzione di ristabilire, nel bene e nel male, la situazione con un paio di correzioni, è possibile dire "restaurazione?". In parte, in ogni caso, c’era almeno il desiderio di trarre la Chiesa fuori del disastro in cui si trova.

    Il nuovo papa arriva con diverse posizioni, attaccando quasi tutto.Tutti hanno capito: Benedetto XVI è stato dimenticato! Era inutile dire: "Ma no! Questo è lo stesso combattimento, Benedetto e Francesco, lo stesso combattimento! "Ovviamente, l'atteggiamento non è lo stesso a tutti. L'approccio, la definizione dei problemi che interessano la Chiesa non è la stessa! Questa idea di introdurre riforme che sono ancora più ampie di tutto ciò che è stato fatto finora. In ogni caso, non si ha l'impressione che esse saranno solo formali, queste riforme di Papa Francesco!

    Allora come saranno le conseguenze per la Chiesa? È molto difficile da dire.



    Un clima di confusione

    La venuta di un nuovo papa fa dimenticare quello che lo ha preceduto, come se si ricominciasse da zero, con un sacco di sorprese, un sacco di trasgressioni, anche perché con le sue parole ha irritato quasi tutti, non solo noi, ma tutti i conservatori in generale. Su questioni di moralità, ha preso posizioni sorprendenti, per esempio, con la domanda sugli omosessuali: "Chi sono io per giudicare?" "Beh, il Papa, tanto per iniziare". Egli è il giudice supremo qui sulla terra! Quindi se c'è qualcuno che può giudicare, che deve giudicare e che deve ricordare la legge di Dio al mondo, quello è sicuramente lui! Quello che il papa pensa personalmente non ci interessa, quello che ci aspettiamo da lui è che sia la voce di Cristo e quindi la voce di Dio, che ci ripete ciò che Dio ha detto!E Dio non ha detto, "Chi sono io per giudicare". Ha davvero detto qualcosa di diverso: si vede, le condanne che troviamo negli scritti di San Paolo, e non solo quelli del Vecchio Testamento - pensiamo a Sodoma e Gomorra - sono molto espliciti. San Paolo e l'Apocalisse parlano con molta forza contro tutta quella folla innaturale. Quindi espressioni come quella, anche se sono state poi spiegate correttamente in seguito, danno l'impressione che su molti argomenti è stato detto tutto e il contrario di tutto. Questo crea un clima di confusione, le persone sono confuse: necessariamente si aspettano chiarezza sulla morale, e ancor di più sulla fede, le due cose sono collegate. La fede e la morale sono i due punti che la Chiesa insegna e dove l’infallibilità può essere invocata, e tutto in una volta vediamo un papa di fare affermazioni confuse ...

    Si va molto più lontano di quanto segue: durante un'intervista con i gesuiti, il Papa attacca coloro che desiderano chiarezza. incredibile! Non usa la parola chiarezza, egli usa la parola certezza, chi vuole la sicurezza dottrinale. Ovviamente la gente vuole questo! Nel trattare con le parole di Dio stesso, il Signore, che dice che nemmeno una virgola dovrebbe essere abbandonato, è meglio essere precisi!

    Un papa meno credibile

    È difficile arrivare ad un giudizio sulle sue parole, perché un po' più tardi, o quasi, allo stesso tempo, si possono trovare parole sulla fede, sui punti di fede, sui punti della morale, che sono molto chiare e anche condanne per il peccato, il diavolo, dichiarazioni che spiegano con molto forza e molto chiaramente che nessuno può andare in paradiso senza vera contrizione dei propri peccati, che nessuno può aspettarsi la misericordia del buon Dio se non si rammarica seriamente i propri peccati. Tutti questi sono moniti di cui siamo molto felici, moniti molto necessari! Ma purtroppo hanno già perso gran parte della loro forza a causa delle dichiarazioni contrarie.

    Penso che una delle cose più sfortunate su queste affermazioni è che hanno rovinato la sua credibilità, hanno portato via gran parte della credibilità del Sommo Pontefice, in modo che quando deve parlare di cose importanti, ora o in futuro, tali dichiarazioni saranno messe allo stesso livello delle altre. La gente dirà: “Sta cercando di accontentare tutti. Uno spostamento a sinistra, uno spostamento a destra”. Io spero di sbagliarmi, ma si ha l'impressione che questo sarà uno dei tratti di questo pontificato.

    Quanto più in alto è la posizione di autorità cui si è elevati, tanto più attenti si deve essere su ciò che si dice, e questo è particolarmente vero per le parole del papa. Penso che lui parla troppo. Di conseguenza, le sue parole diventano confuse, volgari e ciò forse nel senso più profondo del termine non decet: non è giusto, questo non è come un papa deve agire.

    Non è più possibile dire che cosa è una opinione privata e che cosa è dottrina ... le commistioni si verificano immediatamente. "Oh, ma questo è il papa che parla!" Ora il papa non è una persona privata. Certo che può parlare come teologo privato, ma comunque è sempre il papa a parlare! E i giornali non dicono, "Questa è l'opinione privata del papa", ma piuttosto "il Papa è colui che dice che… La Chiesa pensa in questo modo"

    Il papa, un uomo d'azione

    Non credo che potrei osare dire che posso già fare una sintesi. Vedo molti elementi disparati, vedo un uomo d'azione. Questo è il primato dell'azione, non c'è dubbio, questo non è un uomo di dottrina. Un argentino mi ha detto: "Voi europei avrete un sacco di difficoltà a comprendere la sua personalità, perché Papa Francesco non è un uomo di dottrina, è un uomo d'azione, della prassi. Lui è un uomo estremamente pragmatico, molto terra terra". Si vede che nei suoi sermoni. Egli è vicino alla gente e questo è forse ciò che lo rende molto popolare, perché quello che dice tocca tutti. Irrita anche un po' tutti, ma lui è molto terra terra.Non c'è più teoria. Si vede chiaramente: questa è azione, pura e semplice.

    Questo è ciò che si vede. Ma come ciò influenzerà la Chiesa? Quali saranno le conseguenze per la vita della Chiesa nel suo insieme? Questa è semplicemente una voce che grida nel deserto, che non avrà effetto per niente, o al contrario sarà una parte della Chiesa, la parte progressista, a trarre beneficio da esso? Si può dire che vorrebbero approfittarne.

    Quello che è interessante, anche ora, in questa analisi della situazione della Chiesa, è vedere che le parole maldestre sono pronunciate, alcuni traggono conclusioni da loro, e poi arriva un "chiarimento" (un tentativo di ristabilire la dottrina). Ci sono già stati uno o due notevoli chiarimenti-interventi da parte del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ribadisce chiaramente e fermamente che i punti trattati non sono stati intaccati dal papa. È quasi come se il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede abbia dovuto censurare o correggere ... è un po' imbarazzante! Infine, i progressisti, a un certo punto, cambieranno la loro melodia e cominceranno a dire che questo non è ciò che si aspettavano. Nel frattempo, il papa sta dando loro una speranza, una falsa speranza....

    Un papa modernista?

    Ho usato la parola "modernista". Penso che non è stato capito da tutti. Forse avrei dovuto dire un modernista nelle sue azioni. Ancora una volta, non è un modernista in assoluto, senso teorico: un uomo che sviluppa un intero sistema coerente, quando la coerenza non esiste.Esistono linee, per esempio, la linea evolutiva, che è appunto collegata con l'azione. Quando il papa dice che vuole una nebulosità in dottrina, quando viene introdotto dubbio, e non solo nebulosità, ma dubbio, arrivando a dire che anche i grandi leader della fede, come Mosè, davano spazio a dubbi .... Io conosco solo un dubbio di Mosè: il momento in cui dubitò e colpì la roccia! A causa di ciò il buon Dio lo punì e lui non poté entrare nella Terra Promessa. Bene, allora! Non credo che questo dubbio sia un merito di Mosè, il resto del tempo fu piuttosto forte nelle sue affermazioni ... senza dubbio.

    È davvero sorprendente, questa idea che ci devono essere dubbi su tutto, ma è molto particolare! Non voglio dire che questo ricorda Descartes, ma ... si crea un'atmosfera. E ciò che è veramente pericoloso è che lasciano le cose come stanno sui giornali e i media ... Lui è in qualche misura il beniamino dei media, è ben considerato, lo lodano, lo mettono un vetrina, ma che non ottiene che si arrivi al nocciolo della questione.

    Una situazione invariata

    Questa è un’atmosfera che è venuta a porsi accanto alla reale situazione della Chiesa, ma la situazione in sé non è cambiata. Siamo passati da un pontificato all'altro, e la situazione della Chiesa è rimasta la stessa. Le linee di base rimangono le stesse. Sulla superficie ci sono variazioni: si potrebbe dire che si tratta di variazioni su un tema ben noto! Le affermazioni fondamentali le troviamo, per esempio, sul Concilio.Il Concilio è una reinterpretazione del Vangelo alla luce della civiltà contemporanea o moderna, il papa ha usato entrambi i termini.

    Penso che dovremmo cominciare da molto seriamente col chiedere una definizione di ciò che è la civiltà moderna contemporanea. Per noi e per la media dei mortali, è semplicemente il rifiuto di Dio, è "la morte di Dio". È Nietzsche, è la Scuola di Francoforte, è una ribellione quasi universale contro Dio. Lo vediamo quasi ovunque. Lo vediamo nel caso dell'Unione europea, che nella sua Costituzione rifiuta di riconoscere le sue radici cristiane. Lo vediamo in tutto ciò che i media propagano, in letteratura, filosofia, arte: tutto tende verso il nichilismo, l'affermazione dell'uomo senza Dio, e anche in ribellione contro Dio.

    Allora come possiamo rileggere il Vangelo in quella luce? Non è semplicemente possibile, è come la quadratura del cerchio! Siamo d'accordo con la definizione appena data e da essa traiamo le conseguenze che sono radicalmente diverse da quelle del Papa Francesco, che si spinge fino a mostrare, per esporre la continuazione del suo pensiero dicendo: "Guardate i bei frutti, i meravigliosi frutti del Concilio: guardate la riforma liturgica". Ovviamente ciò manda un brivido lungo la nostra spina dorsale! Dal momento che la riforma liturgica è stata descritta dal suo predecessore immediato come la causa della crisi della Chiesa, è difficile da vedere e da capire come tutto ad un tratto ciò debba essere descritto come uno dei migliori frutti del Concilio! È certamente un frutto del Concilio, ma se questo è un bel frutto, allora che cosa è bello e buono o cattivo? Tutto ciò fa girare la testa!

    Per il momento, nulla è stato fatto per guarire la Chiesa

    Per il momento, nulla è stato fatto per porre rimedio alla situazione di devianza, di decadenza nella Chiesa, assolutamente niente, nessuna misura che interessa tutta la Chiesa. Potremmo citare l'Enciclica sulla fede, non credo che possiamo considerarla una misura efficace. Certo che no. Che non tocca, che non guarisce il corpo mistico malato, malato in punto di morte, la Chiesa morente. Cosa stanno facendo per uscire da questa situazione? Niente, dopo tutto, fino ad ora, nulla. Parole, poche parole passeggere che vanno da un orecchio ed escono dall'altro, qualcuno potrebbe dire che io sia troppo duro, io non lo so, ma in pratica dove sono le misure adottate o annunciate per correggere l'obiettivo?Non ce ne sono. Molto semplicemente.

    La Chiesa ha comunque promesse di vita eterna

    Nostro Signore ha detto molto chiaramente: le porte degli inferi non prevarranno contro di lei. Piacerebbe, sulla base di queste parole, piacerebbe rivolgersi a Nostro Signore e dirgli: "Ma che stai facendo?!Guarda che stai lasciando accadere cose che sembrano andare contro la tua promessa! "In altre parole, siamo in po' sorpresi da ciò che sta accadendo. Qui sto parlando della storia della Chiesa. Queste parole, ne sono convinto, sono state per la maggior parte dei teologi la fonte di dichiarazioni circa l'impossibilità di vedere nella Chiesa proprio quello che stiamo vedendo ora. Considerando che è assolutamente impossibile, a causa di questa promessa da Nostro Signore. Bene, allora, non potremo negare le promesse di Nostro Signore, cercheremo di dire quanto queste promesse, che sono infallibili, sono ancora possibili in una situazione che sembra in contrasto con esse. Ci sembra che questa volta le porte dell'inferno hanno fatto una entrata di prima classe nella Chiesa. Penso che sia necessario stare attenti, non dobbiamo equivocare. Soprattutto con tali dichiarazioni, dichiarazioni profetiche di nostro Signore, è necessario mantenere il significato di base. Questi sono analogie molto forti, c'è una realtà che si sta affermando qui che è innegabile: le porte degli inferi non prevarranno. Un punto, e questo è tutto. Ma questo non significa che la Chiesa non sia destinata a soffrire. Bene, allora, fino a che punto può andare questa sofferenza? E qui c'è spazio per l'interpretazione, siamo obbligati ad estendere un po 'più quello che eravamo abituati a pensare.

    Quando pensiamo di San Paolo, che parla del figlio della perdizione, che avrà alcuni che lo adorano come Dio, non è quindi solo un militare o, si potrebbe dire, un anticristo civile, questo è una persona religiosa, una persona che  ha gente che lo adora, che reclama atti di adorazione per se stesso. E l'abominio della desolazione è collegato con questo? Credo di sì. Quindi questo significa che ci sono, accanto a questo annuncio delle promesse della indefettibilità della Chiesa, gli annunci di un periodo terribile per la Chiesa, in cui le persone si faranno domande.In realtà, questa domanda: ma allora che dire di questo indefettibilità, queste promesse di Nostro Signore? La Vergine ... le famose parole di La Salette, che si ripetono quasi parola per parola in Leone XIII - queste non sono rivelazioni, questa è la Chiesa e, potremmo dire, la Chiesa stessa in un atto: Leone XIII compone un esorcismo, quel famoso esorcismo di Leone XIII, ma in seguito hanno cancellato l'espressione più solenne di quella esorcismo, che annuncia che Satana regnerà e imporrà il suo trono a Roma. Molto semplicemente. Pertanto, la sede della Chiesa improvvisamente si troverà ad essere la sede dell'Anticristo. Queste sono le parole stesse della Vergine: "Roma diventerà la sede dell'Anticristo." Queste sono le parole di La Salette. Proprio come: "Roma perderà la fede", "l'eclissi della Chiesa": così parole molto forti in contrasto con la promessa. Questo non significa che la promessa è nulla, ovviamente rimane, ma non esclude un momento di tanta sofferenza per la Chiesa che si potrebbe considerare come una morte apparente.

    Passione di Cristo, Passione della Chiesa

    Penso che siamo arrivati ​​a quel punto. La domanda rimane: fino a che punto Nostro Signore chiederà al Suo Corpo mistico di accompagnare, di imitare ciò che il Suo Corpo fisico dovuto sopportare fino alla morte.Intende andare a quel punto, o si fermerà ad un passo da esso? Noi tutti speriamo che si fermi a breve. Penso - che non sarebbe la prima volta, che il Buon Dio intervenga per ristabilire le cose, nel momento in cui tutti pensano: questa volta è finita. Penso che questa sarà una delle prove dell'origine divina della Chiesa. Nel momento in cui tutti gli sforzi umani sono finiti, esauriti, in altre parole, quando tutto è finito, quello è proprio il momento in cui Egli agirà. Credo. E allora sarà una manifestazione straordinaria, infatti, del fatto che questa Chiesa è l'unica che è veramente divina.

    L'atteggiamento dei fedeli

    Prima di tutto, devono mantenere la fede. Questo è il messaggio principale, possiamo dire, di San Paolo, era anche il messaggio per i tempi di persecuzione: essere fermi, state [in latino], tenetevi su, rimaniamo in piedi, state saldi nella fede. Mantenere la fede non può essere puramente teorica. C'è una cosa come quella che chiamerei la fede "teorica": la fede di qualcuno che è in grado di recitare il Credo, ha imparato il catechismo, lui lo sa, è capace di ripeterlo, e naturalmente questo tipo di la fede è l'inizio che si deve avere, altrimenti non hai la fede. Ma questa fede non ancora ciò che conduce al cielo. Questo è ciò che dovete capire. La fede di cui la Scrittura parla è la fede che è, per usare l'espressione tecnica, informata dalla carità. San Paolo parlava di questo rapporto tra Fede e della Carità, quando disse ai Corinzi: "Se dovessi avere tutta la fede, in modo da poter muovere le montagne", (che non è poco, dal momento che una fede che può spostare le montagne non è qualcosa che si vede tutti i giorni!) "e non ho la carità, non sono nulla .... Io sono solo un bronzo risonante o uno cembalo squillante ... "

    Non è abbastanza fare grandi professioni di fede, non è sufficiente attaccare o condannare errori, molti pensano di aver adempiuto il loro dovere come cristiani, quando hanno fatto questo, ma questo è un errore.Non sto dicendo che non si deve fare, ma è una parte, ma la fede di cui San Paolo e la Sacra Scrittura parla, è la fede informata, in altre parole, la fede intrisa di carità. La carità è ciò che dà forma alla fede. La carità è l'amore di Dio e di conseguenza l'amore del prossimo. Quindi si tratta di una fede che trasforma verso questo vicino di casa che è certamente in errore e gli ricorda la verità, ma in modo tale che, grazie a questi richiami, il cristiano sarà in grado di seminare la fede, ristabilire qualcuno nella verità , guidare questa anima verso la verità. Quindi non è uno zelo amaro, al contrario si tratta di una fede resa ardente dalla carità.

    Il dovere dello stato

    Che i fedeli devono fare il loro dovere nel loro stato di vita. Per mantenere la fede, una fede propriamente intrisa di carità, profondamente ancorata nella carità, che consentirà loro di evitare lo scoraggiamento, lo zelo amaro e disprezzo, e invece di provare gioia, la gioia cristiana che si compone di sapere che Dio ci ama così tanto che Egli è pronto a vivere con noi, a vivere in noi per mezzo della grazia. Questo getta luce su tutto ciò che accade, e dà una gioia che ci fa dimenticare i problemi e li mette al loro posto - problemi che di certo possono essere gravi. Ma cosa sono in confronto con il Cielo che viene guadagnato proprio attraverso queste prove? Queste prove sono preparate, organizzate dal Buon Dio, non per farci cadere, ma in modo da farci vincere. Dio si spinge fino a vivere in noi, come dice san Paolo: «non sono più io he vivo, ma Cristo vive in me" Questo è così bello! Il cristiano è un tabernacolo della Santissima Trinità, un tempio di Dio, un tempio vivente!

    Il ruolo della Società di San Pio X

    La sua preoccupazione principale è veramente ciò che mantiene in vita la Chiesa: la Messa. Il Santo Sacrificio della Messa è davvero la concreta applicazione quotidiana dei meriti di Nostro Signore Gesù Cristo, tutto quello che ha guadagnato, meritato sulla Croce, che è veramente la totalità delle grazie per tutti gli esseri umani, dai primi, Adamo ed Eva, fino a quelli della fine del mondo. Tutte le grazie sono state meritate da Nostro Signore sulla Croce. La Messa è la perpetuazione, il rinnovo, la rappresentazione di questo sacrificio; sull'altare c'è un sacrificio identico a quello della Croce, che ogni giorno mette a disposizione dei cristiani (per estensione si potrebbe dire a disposizione dell'umanità) i meriti di Nostro Signore, la Sua soddisfazione, la sua riparazione, in modo da ottenere il perdono per tutti i peccati, quell'oceano di peccati commessi ogni giorno, e anche per ottenere le grazie di cui abbiamo bisogno. La Messa è davvero la pompa che distribuisce in tutto il corpo mistico le grazie meritato sulla Croce. Per questo si può dire che è il cuore che distribuisce mediante tutto il sangue che le cellule del corpo hanno bisogno. È questo la Messa: è il cuore.Prendendoci cura di questo cuore, ci prendiamo cura di tutta la vita della Chiesa.

    Ripristino della Chiesa attraverso la messa

    Se vogliamo una restaurazione della Chiesa, e certamente noi la vogliamo,  è lì dove dobbiamo andare.  Alla fonte, e la fonte è la Messa Non solo ogni liturgia, ma, voglio dire, una liturgia estremamente santa,santa in misura inimmaginabile, che ha una santità straordinaria, che è stata veramente forgiato dallo Spirito Santo nel corso dei secoli, composta dai santi papi stessi, e quindi con una profondità straordinaria. Non c'è assolutamente paragone tra la nuova Messa e questa Messa: sono davvero due mondi diversi e, stavo per dire, i cristiani che sono un po’ sensibili alla grazia lo capiscono molto rapidamente. Molto rapidamente.Purtroppo, oggi, osserviamo che molte persone nemmeno la vedono più!Ma per me è ovvio che il restauro della Chiesa deve cominciare da lì.Quindi è per questo che sono profondamente in debito con Papa Benedetto XVI per aver ripristinato la Messa. Era di importanza capitale. È di capitale importanza.

    Formazione dei Sacerdoti

    La Società promuove la Messa, vuole questa Messa, e promuove anche l'uomo che la dice, e non c'è nessun altro che può se non il prete da solo. Quindi questo è davvero lo scopo della Società: il sacerdozio, il sacerdote, formare sacerdoti, aiutare i sacerdoti, senza alcuna limitazione, senza limitazioni, senza esclusioni, no! È il prete, come per Nostro Signore, lo scopo. Ricordandogli proprio i tesori che molti ignorano oggi.È tragico.

    Riscoprire lo spirito cristiano

    La Messa è ancora più importante. La Messa è ciò che impartisce la fede, questo è ciò che nutre la fede. Ovviamente, se qualcuno celebra la messa senza fede, c'è un grosso problema. Quindi non è una questione di provocare antagonismo, è una questione di unire veramente quello che dovrebbe essere uniti. Ma credo che già con questi due elementi abbiamo enormi risorse per la sopravvivenza della Chiesa, francamente. Diciamo che tutto il mondo vede che la Chiesa è stata attaccata a vari livelli, ma il problema più profondo, sono convinto, è la perdita dello spirito cristiano.I cristiani hanno cercato di diventare come il mondo. Hanno detto così per tutto il tempo, era lo scopo del Concilio di accomodarsi al mondo moderno. Beh, no: non è possibile! Noi viviamo in questo mondo, quindi usiamo un sacco di cose da esso, che rimangono circostanze storiche concrete che passano via. La fondazione che rimane, è l'attaccamento al Buon Dio, il servizio reso al Buon Dio che comprende, naturalmente, la fede, la grazia, e questo spirito cristiano. Vuoi andare in paradiso? Si dovrebbe voler andare in cielo, e per farlo è necessario evitare il peccato e fare del bene. Entrambi. Finché non torniamo a quei principi fondamentali, la Chiesa continuerà, potremmo dire, a essere colpita da un virus letale, che è il virus del mondo moderno, proprio della civiltà moderna.

    Il trionfo del Cuore Immacolato di Maria

    "Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà". Questa è una dichiarazione assoluta, nulla è condizionato da quello che è successo prima. Ed è davvero una dichiarazione che suscita e fissa una speranza: è una roccia. Ovviamente, poiché sembra giusto che questo trionfo sia connesso con la consacrazione (della Russia), chiediamo la consacrazione, cioè del tutto normale. Quanto dovremo aspettare per vederla fatta come è stato richiesto, o sarà il buon Dio, ancora una volta, accontentarsi di meno? Non lo sappiamo. Quello che sappiamo è che alla fine ci sarà questo trionfo. E quindi questa è una certezza. Noi non parliamo di una certezza di fede, perché questa non è una questione di fede, ma è una parola data dalla Beata Vergine, e quindi sappiamo molto bene quello che vale la sua parola! Questo è tutto.


    PUBBLICATO DA UNAFIDES 7.12.2013







    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 12/12/2013 13:24

    “tenendosi per mano al mondo, senza assegnarsi più il compito di insegnare ma solo quello di accompagnare, la Chiesa prosegue senza freni nel processo di liquefazione”

    di  Alessandro Gnocchi – Mario Palmaro

    fonte: Il Foglio

    prttlrSe l’urticante “Questo Papa non ci piace” fosse stato l’incipit di un feuilleton per amanti di talari e vecchi merletti con un tocco mondano che piace anche al cattolico che piace, ora potrebbe trovare epilogo in un gagliardissimo “vissero a lungo felici e contenti”. Dopo tanto vociare, giungerebbe puntuale un travolgente happy end per protagonisti, antagonisti, comprimari e comparse, perché il mondo cattolico d’oggi è fatto così: non ama nulla tanto follemente quanto l’unità. Erede, e se non fosse per la fede incrollabile nel divino “non praevalebunt” verrebbe da dire capolinea, di una storia cresciuta rigogliosa nel sangue dei martiri, non vuole percepire neanche l’eco del conflitto. Brama l’unità, non importa in che cosa e per far cosa, purché nessuno turbi l’acqua cheta in riva alla quale stanno tutti a godersi il pallido sole della pentecoste secolare.

    Anche i villani malcreati si vorrebbe tenerli nel recinto, persino quelli che, invece di sdraiarsi sul salvettione in riva allo stagno, non riescono a trattenersi dal tirarci il sasso. Così, nel bel mezzo della polemica, quelle canaglie a prescindere che criticavano Papa Francesco, si son sentite suggerire di accomodare la questione con uno scritto su tutto il bello del pontificato in corso. Per non cadere in tentazioni scismatiche, sarebbe bastato incontrarsi a metà strada come al mercato del bestiame, dove ogni sensale stringe sorridendo la mano all’altro, convinto di averlo fregato. Oppure, a dar retta ad altri, sarebbe stata una gran cosa seguire la massima eterna e perbenino del si fa ma non si dice, opportunamente declinata nel clerical-intellettuale si pensa ma non si scrive. E per altri ancora, secondo cui fino a ieri bisognava adottare lo stile razionale e accademico di Ratzinger, oggi sarebbe meglio essere un po’ gesuiti e un po’ tangueri e domani chissà. Tutto, naturaliter, a maggior gloria di quella benedetta unità.

    Come se si trattasse di una questione politica: e invece si tratta di una questione di fede. Come se si trattasse di ritirare una mozione al congresso del partito: e invece si tratta di chiarirsi in famiglia. Qui non si fa la conta delle tessere, si mettono a nudo le anime per amore di Nostro Signore, della sua croce, della Chiesa che è il suo Corpo mistico e del suo Vicario che ora si chiama Francesco. Mettere pubblicamente in questione parole e gesti dell’autorità, specie se è tuo padre, è un atto che scuote fin nelle radici dell’anima, anche quando lo si fa in nome di una verità e di una casa di cui lui è il servus servorum.

     A un padre si può dire sì per amore, per obbedienza, per riverenza, per convinzione, per convenienza e anche per debolezza o per codardia. Ma gli si dice un no cristiano e virile solo per amore. Dire sì, a volte, può essere doloroso, dire no lo è sempre. Dire sì può costare l’incomprensione si chi sta fuori dalla casa, dire di no costa sempre l’incomprensione anche di chi sta dentro. Dire di no al padre in nome del tesoro di cui è custode non è un atto di ribellione orgogliosa, ma premessa a momenti di solitudine e di dubbio in cui consola soltanto il sentirsi comunque dentro casa.

    Onorare l’impegno di viri christiani assunto con il battesimo non è privo di spine. E se le spine sono sempre le stesse, invece che creare abitudine e assuefazione, producono un dolore sempre più penetrante e acuto perché sempre più consapevole e gradito. Può darsi che sia questa la prova affidata oggigiorno ai piccoli di casa che si baloccano con le storie di famiglia fatte di insegnamenti tramandati nei secoli, di riti, di preghiere e di ammonimenti. A questi bambini fa male ma non fa scandalo che il padre non si curi delle loro piccole pene e li chiami, ancora una volta, “profeti di sventura”. Continuano a mostrare le loro spine, anche se sanno di infastidire i grandi, perché questo è tutto ciò che sono capaci di fare.

    I bambini sono fatti così, non fa niente se si torna ogni volta da capo e ricomincia la solita storia: “Il Concilio Vaticano II” dice Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica “ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le conferenze episcopali possono ‘portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente’. Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria”.

    Qui giunti, riesce difficile non correre con la mente a certi passi della “Sacrosanctum Concilium”, la Costituzione del Vaticano II in cui l’autorità liturgica di Roma è stata minata con maliziose infiltrazioni di desistenza a beneficio delle esigenze locali. Si ribadiva l’uso del latino, per esempio, e subito dopo si concedeva mano libera all’introduzione del vernacolo e degli usi regionali. Ma, in tal modo, si ponevano le basi teoriche di una creatività che risponde alle esigenze della latitudine e dell’estro personale invece che alle leggi di Dio. La conseguente deriva subita in questi ultimi cinquant’anni dalla lex orandi non sembra un buon viatico per la lex credendi data in pasto alle Conferenze episcopali.

    Le assemblee nazionali e regionali dei vescovi si sono trasformate in veri e propri centri di potere ecclesiale che sottraggono autorità e peso a Roma dopo aver annichilito il ruolo del singolo pastore. Aumentarne il peso in campo dottrinale implicherebbe un vulnus irreparabile per la tradizionale trasmissione della fede dal Papa al vescovo nella sua diocesi fino ai parroci e ai fedeli. Interrotta questa catena, che è a servizio della verità e quindi di ogni uomo, si sta assistendo a una sorta di nazionalizzazione del cattolicesimo: un vero e proprio ossimoro religioso, se si pensa che nazionale significa particolare e cattolico significa universale. Ogni Paese, sui temi più disparati, esprime una sua dottrina: talvolta opposta a quella di altri Paesi, non di rado diversa.

    Dietro il paravento dell’inculturazione e della legittima attenzione a stili e culture, prende corpo una sorta di federalismo dottrinale. E’ difficile pensare a un progetto diverso quando si legge: “Sebbene sia vero che alcune culture sono state strettamente legate alla predicazione del Vangelo e allo sviluppo di un pensiero cristiano, il messaggio rivelato non si identifica con nessuna di esse e possiede un contenuto transculturale”. Ma sul legame inscindibile tra cultura biblica e pensiero greco non la pensavano allo stesso modo Giovanni Paolo II nella “Fides et ratio” e Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona.

    Il virtuoso adagio che vuole la lex credendi accompagnarsi alla lex orandi, di questi tempi ne fa due spine che non possono stare separate. Se nella dottrina sono stati oscurati il rigore della ragione e l’asprezza del dogma, nella liturgia sono stati censurati l’esigenza del sacrificio e lo scandalo brutale della croce. Nel pregare, come nel credere, il protagonista è diventato l’uomo, che è andato a sostituire la centralità di Dio.

    Così, mentre nella Messa preconciliare centrata sulla rinnovazione incruenta del Sacrificio del Calvario, l’uomo è chiamato a partecipare alla passione di Cristo per meritare, anche se indegno, di essere glorificato con Lui, in quella postconciliare diviene commensale di Dio al banchetto in cui celebra la propria gloria fondata sulla libertà. Nel primo caso il cristiano è chiamato a compatire con Gesù, nel secondo è invitato a collaborare con Dio. Se prima adorava, chiedeva perdono e offriva il proprio nulla davanti al Figlio di Dio sacrificato, ora si limita a rendere grazie della libertà che lo rende somigliante a Dio.

    Non è un caso se, tra le molte parti della Messa antica eliminate nel nuovo messale, c’è quella in cui prima di salire all’altare il sacerdote si inchina a chiedere perdono come il pubblicano della parabola del Vangelo di San Luca. Lui, che presta il suo corpo a Cristo, confessa a Dio Onnipotente, alla Beata Maria sempre Vergine, al beato Miche Arcangelo, al beato Giovanni Battista, ai Santi apostoli Pietro e Paolo, a tutti i Santi, al chierichetto inginocchiato al suo fianco, al sacrestano che ha preparato l’altare e a tutti i fedeli compresi i più barabba che ha molto peccato in pensieri, parole e opere “mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa”. E ha l’umiltà di farsi confortare anche  dall’ultimo dei barabba che gli risponde: “Il Signore abbia misericordia di te e, rimessi i tuoi peccati, ti conduca alla vita eterna”. Se questi, secondo i nuovi canoni, sono farisei che “dicono preghiere”, viene da chiedersi cosa sia il cristiano d’oggi, privo del senso del peccato e indotto dal nuovo rito a considerare compiaciuto: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano”.

    Poi, una volta uscito di chiesa, il fariseo felice di non essere come gli altri peccatori si avvia a patteggiare con lo spirito  mondano: sufficiente e orgoglioso al punto giusto. Questa spina, che i cattolici infanti hanno colto sulla pianta del Vaticano II, ha ridefinito l’antico rapporto Chiesa-mondo. Fino al Concilio, la Chiesa sapeva di dover insegnare una dottrina ostica al vasto campo dell’umanità, che una scrittrice cattolica come Flannery O’Connor chiamava significativamente il territorio del diavolo. Era il mondo come spazio da evangelizzare, ma anche come nemico dichiarato della Chiesa, pericoloso perché impegnato da sempre a combatterla. Lo schema evocava naturalmente la militanza come categoria feriale e ineluttabile del cattolico fervente. Era un modello semplice e lineare, durato quasi duemila anni: la Chiesa insegna, il mondo in parte accoglie, in parte respinge, e così fino alla fine dei tempi. Oggi le posizioni si sono capovolte. La Chiesa si dichiara “in ascolto” del mondo, benigna al cospetto delle sue istanze, bisognosa di imparare, di capire, di comprendere, di cambiare pelle pur di seguire la mondanità in tutte le sue evoluzioni. Scopre di possedere lo stesso sguardo, di avere lo stesso sangue e, fatalmente, si accontenta di fare un po’ di strada insieme.

    Così, tenendosi per mano al mondo, senza assegnarsi più il compito di insegnare ma solo quello di accompagnare, la Chiesa prosegue senza freni nel processo di liquefazione. Intimidita da ciò che sta fuori le mura, risulta completamente inerme anche al cospetto dei tradimenti interni. Una vittima perfetta per la collaudata strategia modernista descritta da San Pio X, che non aggredisce frontalmente la dottrina, ma la erode attraverso la tecnica della diluizione. Le verità morali o dogmatiche vengono lasciate decadere e sottaciute, svuotate di significato oggettivo, svaniscono sullo sfondo in dissolvenza, mentre pastori e teologi parlano, parlano, parlano: parlano d’altro e parlano in altro modo. Diffondono il niente sostenuto da un linguaggio approssimativo, evocativo, emozionale che ha esautorato il tradizionale e faticoso linguaggio definitorio, didattico, assertivo. Nulla è dimenticato, ma in realtà tutto è tradito in un limbo un po’ pelagiano e un po’ luterano senza essere mai veramente cattolico.

    Spine come questa non sono spuntate improvvisamente con il pontificato di Papa Francesco, ma sarebbe ingenuo tacere che troppi oggi le colgono come fossero i primi fiori di un’altra primavera promessa. In un libro di quarant’anni fa, Jean Madiran definiva fin dal titolo questo fenomeno come “L’eresia del XX secolo”. Una debacle teologica che “si basa sull’immaginario. E’ una mitologia. Non parte da una concezione falsa di natura e grazia ma da un disconoscimento radicale dell’ordine naturale, il quale porta con sé anche un disconoscimento dell’ordine sovrannaturale. Non si fonda su un aspetto della realtà svalorizzandone o sfigurandone altri aspetti: essa si trova tutta intera fuori da ogni realtà, sta in un limbo ideologico verbale. Non disconosce la realtà naturale e non si inganna: la respinge, distoglie da essa le anime per indirizzarle altrove, verso il nulla”.

    Il modernismo e i suoi derivati, pur dichiarando l’obiettivo prossimo di una nuova teologia, in realtà, come ha mostrato Karl Rahner, mirano all’impossibilità della teologia. Se attaccano il termine “consustanziale” del simbolo di Nicea non lo fanno per affermare un’altra teologia della Trinità, ma per negarla e sprofondare di conseguenza in un vortice nichilista negando l’intelligibilità del reale. Se i concetti di natura, sostanza e persona cambiano a seconda delle mode filosofiche, la legge naturale finirà per non avere alcuna consistenza immutabile, diventerà espressione della coscienza collettiva. E il cerchio anticristico si sarà chiuso: niente più discorso su Dio e, di conseguenza, niente più discorso sull’uomo e niente più ordine nel mondo. Il programma della rivoluzione.

    “La filosofia moderna” dice Madiran “non è in essenza una filosofia, è un atteggiamento religioso al livello della religione naturale, una contro-religione naturale, l’opposto dei primi quattro comandamenti del Decalogo. Essa contesta ogni dipendenza del soggetto pensante e lo stabilisce in una aseità e in una autarchia. E se la filosofia moderna si è sempre più sviluppata nel senso di una prassi, è che non si trattava soltanto di credere o di pretendere, ma, mostruosamente, di ‘far sì’ che il soggetto pensante si facesse autonomo e indipendente. (…) la praxis moderna equivale a dire che le cose dovrebbero essere solo ciò che il soggetto pensante vuole che siano”.

    Prima ancora dei fedeli, le vittime di una tale deriva della coscienza nelle lande dell’autonomia sono stati i sacerdoti. Gettati in pasto al mondo senza poterlo abbracciare del tutto per quel “Tu es sacerdos in aeternum”, quel carattere sacramentale impresso una volta per sempre, si sono trovati improvvisamente fuori posto. Fuori sincrono finanche nell’abbigliamento che è andato scimmiottando quello secolare mantenendo un che di clericale che si percepisce anche a occhio laico. Da qui discende la crisi drammatica, fatta di copiosi abbandoni, di gravi e diffusi problemi morali, di crollo verticale delle vocazioni, di smarrimento di identità e di passione.

    Non sarà certo impregnandosi dello stesso odore delle pecore che i pastori riprenderanno a guidare il gregge e a difenderlo dai lupi. Il pastore che sa di pecora, al più, può essere un onest’uomo. Ma i fedeli non possono accontentarsi di parroci che siano solo onest’uomini. L’abate Giovanni Battista Chautard in aureo libretto intitolato “L’anima di ogni apostolato” diceva impietosamente: “A sacerdote santo, si dice, corrisponde un popolo fervente; a sacerdote fervente un popolo pio; a sacerdote pio un popolo onesto; a sacerdote onesto un popolo empio”.

    Anche per oggi, niente happy end. Ma non fa niente, i bambini ci riprovano, sono fatti così.


    ****************************

    Corriere della Sera, 8 ottobre 2013

      Le parole di Francesco che turbano i cattolici
    di Vittorio Messori

    Occupandomi, in libri e giornali, di cose cattoliche sin dai tempi di Paolo VI, succede che non pochi – magari sconcertati o confusi- insistano nel chiedermi opinioni sui primi mesi del nuovo pontificato. Di solito me la cavo con una battuta che parafrasa la risposta data ai giornalisti, sull’aereo che tornava dal Brasile, proprio da papa Bergoglio: <<Chi sono io per giudicare?>>. Se siamo tenuti a non giudicare alcuno – parola di Vangelo – figurarsi un pontefice, la cui scelta, per i credenti, è fatta dallo Spirito Santo stesso. Certo, ci furono secoli in cui sembrò che gli uomini si fossero sostituiti al Paràclito : conclavi simoniaci o pilotati dalle grandi potenze dell’epoca, con candidature e veti imposti dalla politica. Eppure, chi conosce davvero la storia della Chiesa – condizione che non è dei troppi faciloni e orecchianti – chi sappia cogliere la dinamica della “lunga durata“ distesa su ben venti secoli, finisce col sorprendersi. Scoprendo, cioè, che san Paolo sembra avere davvero ragione quando afferma che omnia cooperantur in bonum, tutto coopera al bene. Anche quello della Chiesa che, per la fede, non è soltanto guidata dal Cristo ma ne è addirittura il “corpo mistico“.

    Comunque, se stiamo al nostro tempo, non c’è bisogno di fidarsi, malgrado tutto, di una Provvidenza che talvolta può sembrarci incomprensibile. Non c’è bisogno, perché a tutti è evidente la qualità umana di coloro che si sono avvicendati negli ultimi decenni nel ruolo di pontefici romani. Per stare soltanto alla successione di questo dopoguerra, ecco le figure di Pacelli, Roncalli, Montini, Luciani,Wojtyla, Ratzinger e, ora, Bergoglio. Chi, pur lontano o avverso alla Chiesa, chi potrà negare che si tratta di personalità di insolito rilievo, unite dalla stessa fede e dalla stesso impegno nel loro ufficio ma con grandi differenze caratteriali, diverse storie e culture, diversi stili pastorali ? Ed è proprio questo il punto che a molti, anche cattolici, non sembra essere chiaro: quale che sia, cioè, l’uomo giunto al papato, quali che siano le nostre consonanze o dissonanze umorali nei suoi confronti, resta pur sempre il successore di Pietro, il garante e custode dell’ortodossia. Dunque, un uomo di Dio non solo da accettare, ma per il quale pregare e al quale ubbidire con rispetto e amore filiale.

    Cose che dovrebbero essere chiare oggi soprattutto, con questo Vescovo di Roma “giunto quasi dalla fine del mondo“, uomo dalla personalità prorompente, istintivamente impulsiva e magari autoritaria (ammissione sua, nell’intervista alla Civiltà Cattolica) e segnata, malgrado le origini italiane, da un cultura diversa dalla nostra come quella sudamericana. Un papa, per giunta, venuto – per la prima volta in quasi due secoli – non dal clero secolare ma da un ordine religioso contrassegnato da una formazione difforme da ogni altra, nella Chiesa stessa. Una Compagnia (nome militare di un fondatore venuto dalla vita militare) da cinque secoli amata e detestata , ammirata e temuta. Al punto che, caso unico, finì coll’essere soppressa - “propter bonum Ecclesiae“, dice la bolla -da un papa francescano, per essere poi risuscitata, appena possibile, da un papa benedettino.

    Verità impone di ammettere che, soprattutto dando uno sguardo a molti siti e blog sulla Rete, non mancano i nostalgici della sobrietà, del rigore dottrinale, della profondità culturale, del rispetto delle tradizioni, dell’attenzione alla liturgia di Benedetto XVI. E nessuno ha dimenticato il quarto di secolo di quello straordinario ciclone che fu Giovanni Paolo II, di cui già è stata riconosciuta la santità. C’è da capire, i sentimenti sono cosa umanissima. Ma, va ripetuto: ogni confronto tra papi è irrilevante, in una prospettiva cristiana; la sintonia di ogni credente con lui è basata su ben altro che su personali simpatie. La comunità che il successore di Pietro guida e governa ha da sempre e sempre avrà un fine ultimo (e unico) da cui tutto deriva e che è ricordato esplicitamente dal Codice di Diritto Canonico: << Suprema legge della Chiesa è la salvezza delle anime>>. Anche se talvolta sembra che lo si dimentichi, da questo tutto deriva e l’intera istituzione ecclesiale esiste per questo: annunciare la vita eterna promessa dal Vangelo e aiutare ogni uomo - con la predicazione e con i sacramenti - a seguire la strada che porta al traguardo della morte, in realtà nascita alla vita vera. Tutto il resto è solo strumento, sempre riformabile e destinato a passare, a cominciare dalla pur indispensabile burocrazia curiale: Dio stesso ha voluto aver bisogno di una istituzione umana, con i suoi organi e le sue leggi. Ogni papa è, ovviamente convinto di questa priorità della salus animarum ma Francesco, si direbbe, con un’urgenza particolare, tanto da fare di tutto perché clero, religiosi , laici tornino essi pure a esserne consapevoli. Una scelta, questa del pontefice argentino, che sembra dare risultati sorprendenti: per quanto conta, io pure misuro ogni giorno l’’interesse, anzi la simpatia se non addirittura l’adesione di tanti che pur parevano inamovili nella loro indifferenza se non, persino in un laicismo polemico e aggressivo . Il ritorno alla successione naturale , eppur spesso dimenticata (prima la fede, la morale ne verrà come necessaria conseguenza); l’appello alle raisons du coeur prima che alle raisons de la raison, per usare i termini pascaliani; l’uscita dalla gabbia di un credere ridotto a inflessibile norma codificata; le braccia aperte a tutti , ricordando la misericordia del Dio di Gesù, il cui mestiere è perdonare e accogliere i figli, senza eccezione, anche quelli “ prodighi “.Tutto questo sta provocando risultati positivi che richiamano il criterio di valutazione indicato dal Vangelo stesso: << Dai frutti conoscerete l’albero>>. Se il raccolto spirituale si annuncia tanto buono, non sarà altrettanto buona la pianta da cui viene?

    Questo ancor vigoroso settantasettenne, con il suo stile da “parroco del mondo“, vuole impegnare la Chiesa intera in quella sfida di rievangelizzazione dell’Occidente che fu centrale anche nel programma pastorale dei suoi due ultimi predecessori.

    Nessuna frattura, dunque, bensì continuità, pur nella diversità di temperamenti. Questa Chiesa bimillenaria mostra anche così di non avere alcuna intenzione di ridursi a setta rancorosa, non solo minoritaria ma anche marginale. Con Roma e i suoi vescovi, il mondo intero dovrà ancora misurarsi. Così come accade dai tempi dell’Impero romano, quando tutto cominciò.



       





    [Modificato da Caterina63 12/12/2013 23:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 13/12/2013 09:16
     Cari Amici, dopo avervi offerto MOLTE voci diverse sull'attuale situazione, anche per meditare comunque e sempre sul fatto che SI STA CON IL PAPA, SEMPRE ma evitando ogni idolatria, papalatria....  vi offriamo ora una predica interessante di Cantalamessa che ricostruisce situazioni storiche passate, a riguardo della nuova evangelizzazione, e le lotte che la Chiesa ha sempre portato avanti....

    Infatti vi ricordiamo anche.... di leggere LE CROCI DI UN PAPA, tutti i problemi che un Papa deve affrontare e di come Papa Francesco non si sta sottraendo..... preghiamo!


    09 Dicembre 2011 |

    CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 9 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo della Seconda Predica di Avvento 2011, tenuta questa mattina in Vaticano da padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., predicatore della Casa Pontificia.


    ***

    Santo Padre, Venerabili Padri, fratelli e sorelle, in questa meditazione vorrei parlare della seconda grande ondata di evangelizzazione nella storia della Chiesa, quella che seguì al crollo dell’impero romano e al rimescolamento di popoli provocato dalle invasioni barbariche, sempre con lo scopo pratico di vedere cosa da essa possiamo imparare per l’oggi. Data l’ampiezza del periodo storico esaminato e la brevità imposta a una predica, non potrà trattarsi che di una ricostruzione come si dice “a volo d’uccello”.

    1. Una decisione epocale

    Al momento della fine ufficiale dell’impero romano nel 476, l’Europa presenta, ormai da tempo, un volto nuovo. Al posto dell’unico impero, vi sono tanti regni cosiddetti romano-barbarici. Grosso modo, partendo dal nord, la situazione è questa: al posto della provincia romana della Britannia, vi sono gli Angli e i Sassoni, nelle antiche provincie della Gallia i Franchi, a est del Reno i Frisoni e gli Alemanni, nella penisola iberica i Visigoti, in Italia gli Ostrogoti e più tardi i Longobardi, nell’Africa settentrionale i Vandali. In Oriente resiste ancora l’impero Bizantino.

    La Chiesa si trova davanti a una decisione epocale: che atteggiamento prendere di fronte a questa nuova situazione? Non si giunse subito e senza lacerazioni alla determinazione che aprì la chiesa al futuro. Si ripeteva, in parte, quello che era avvenuto al momento del distacco dal giudaismo per accogliere nella Chiesa i gentili. Lo smarrimento generale dei cristiani raggiunse il culmine in occasione del sacco di Roma del 410 da parte di Alarico re dei Goti. Si pensò che fosse arrivata la fine del mondo, essendo ormai il mondo identificato con il mondo romano e il mondo romano con il cristianesimo. S. Girolamo è la voce più rappresentativa di questo smarrimento generale. “Chi avrebbe creduto, scriveva, che questa Roma, costruita sulle vittorie riportate sull’universo intero, dovesse un giorno crollare?”1.

    Chi contribuì di più, dal punto di vista intellettuale, a traghettare la fede nel nuovo mondo fu Agostino con l’opera De civitate Dei. Nella sua visione, che segna l’inizio di una filosofia della storia, egli distingue la città di Dio dalla città terrena, identificata a tratti (forzando un po’ il suo stesso pensiero), con la città di Satana. Per città terrena egli intende ogni realizzazione politica compresa quella di Roma. Dunque, nessuna fine del mondo, ma solo fine di un mondo!

    Nella pratica, un ruolo determinante nell’aprire la fede alla nuova realtà e nel coordinarne le iniziative, fu svolto da romano pontefice. S. Leone Magno ha chiara la consapevolezza che la Roma cristiana sopravvivrà alla Roma pagana e anzi “presiederà con la sua religione divina più ampiamente di quanto avesse fatto questa con la sua dominazione terrena”2.

    A poco a poco l’atteggiamento dei cristiani verso i popoli barbari cambia; da esseri inferiori, incapaci di civiltà, essi cominciano a venire considerati come possibili futuri fratelli di fede. Da minaccia permanente, il mondo barbarico comincia ad apparire ai cristiani un nuovo, vasto campo di missione. Paolo aveva proclamato abolite con Cristo le distinzioni di razza, di religione, di cultura e di classe sociale con le parole: “Non c'è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti” (Col 3,11); ma quanta fatica per tradurre questa rivoluzione nella realtà della storia! E non solo allora!

    2. La rievangelizzazione dell’Europa

    Nei confronti dei popoli barbari, la Chiesa si trovò a combattere due battaglie. La prima fu contro l’eresia ariana. Molte tribù barbare, soprattutto i Goti, prima di penetrare da conquistatori nel cuore dell’impero, in oriente avevano avuto contatti con il cristianesimo e lo avevano accolto nella versione ariana allora in auge, anche per l’opera svolta presso di loro dal vescovo Ulfila (311-383), traduttore della Bibbia in gotico. Una volta insediatisi nei territori occidentali, avevano portato con sé questa versione eretica del cristianesimo.

    L’arianesimo non aveva però una sua organizzazione unitaria e neppure una cultura e una teologia paragonabile a quella dei cattolici. Nel corso del VI secolo, uno dopo l’altro, i regni barbarici abbandonarono l’arianesimo per aderire alla fede cattolica, grazie all’opera di alcuni grandi vescovi e scrittori cattolici e anche, a volte, per calcoli politici. Un momento decisivo fu il concilio di Toledo del 589, animato da Leandro di Siviglia che segnò la fine dell’arianesimo visigotico in Spagna e in pratica in tutto l’occidente.

    La battaglia contro l’arianesimo non era però cosa nuova, era iniziata nel lontano 325. La vera impresa nuova portata a termine dalla Chiesa, dopo il tramonto dell’impero romano, fu l’evangelizzazione dei pagani. Questa avvenne in due direzioni: per così dire, ad intra e ad extra, cioè presso i popoli dell’antico impero e in quelli apparsi da poco sulla scena. Nei territori dell’antico impero, Italia e provincie, la Chiesa si era finora impiantata quasi solo nelle città. Si trattava si estendere la sua presenza alla campagna e ai villaggi. Il termine “pagano” deriva, come si sa, da “pagus”, villaggio, e prese il significato che ha ora dal fatto che l’evangelizzazione delle campagne avvenne, in genere, molto dopo quella delle città.

    Sarebbe certamente interessante seguire anche questo filone dell’evangelizzazione che portò alla nascita e allo svilupparsi del sistema delle parrocchie, come suddivisioni della diocesi, ma per lo scopo che mi sono prefisso devo limitarmi all’altra direzione dell’evangelizzazione, quella ad extra, destinata a portare il Vangelo ai popoli barbari insediatisi nell’Europa insulare e centrale e cioè nell’attuale Inghilterra, Olanda, Francia e Germania.

    Un momento decisivo in questa impresa fu la conversione del re merovingio Clodoveo che nella notte di Natale del 498, o 499 si fece battezzare dal vescovo di Reims S. Remigio. Egli decideva così, secondo il costume del tempo, non solo il futuro religioso del popolo franco, ma anche di altri popoli al di qua e al di là del Reno da lui conquistati. Celebre è la frase che il vescovo Remigio pronunciò al momento di battezzare Clodoveo: “Mitis depone colla, Sigamber; adora quod incendisti, incende quod adorasti”: “China umilmente la nuca, fiero Sigambro: adora quel che hai bruciato, brucia quel che hai adorato”3. A questo fatto la Francia deve il suo titolo di “figlia primogenita della Chiesa”.

    La cristianizzazione del continente fu portata a termine nel IX secolo con la conversione, ad opera dei santi Cirillo e Metodio, dei popoli slavi che erano venuti ad occupare, nell’Europa orientale, i territori lasciati liberi dalle precedenti ondate migratorie spostatesi in occidente.

    L’evangelizzazione dei barbari presentava una condizione nuova, rispetto a quella precedente del mondo greco-romano. Lì, il cristianesimo aveva davanti a sé un mondo colto, organizzato, con ordinamenti, leggi, dei linguaggi comuni; aveva, insomma, una cultura con cui dialogare e con cui confrontarsi. Ora si trova a dover fare, nello stesso tempo, opera di civilizzazione e di evangelizzazione; deve insegnare a leggere e scrivere, mentre insegna la dottrina cristiana. L’inculturazione si presentava sotto una forma del tutto nuova.

    3. L’epopea monastica

    L’opera gigantesca di cui ho potuto solo tracciare qui le grandi linee, fu portata avanti con la partecipazione di tutte le componenti della Chiesa. In primo luogo del papa, alla cui iniziativa diretta risale l’evangelizzazione degli angli e che ebbe una parte attiva nell’evangelizzazione della Germania ad opera di S. Bonifacio e dei popoli slavi ad opera dei santi Cirillo e Metodio; poi dai vescovi, dai parroci, a mano a mano che venivano formandosi comunità locali stabili. Un ruolo silenzioso, ma decisivo, fu esercitato da alcune donne. Dietro alcune grandi conversioni di re barbari vi è spesso l’ascendente esercitato su di essi dalle rispettive mogli: santa Clotilde per Clodoveo, santa Teodolinda per il re longobardo Autari, la sposa cattolica del re Edvino che introdusse il cristianesimo nel nord dell’Inghilterra.

    Ma i veri protagonisti della rievangelizzazione dell’Europa dopo le invasioni barbariche furono i monaci. In Occidente, il monachesimo, iniziato nel IV secolo, vi si diffonde rapidamente in due tempi e da due direzioni diverse. La prima ondata parte dalla Gallia meridionale e centrale, specialmente da Lerino (410) e da Auxerre (418), e grazie a S. Patrizio formatosi in quei due centri, raggiunge l’Irlanda di cui feconderà l’intera vita religiosa. Di qui, con san Columba, fondatore di Iona (521-597), passa in Scozia e con san Cuthbert di Lindisfarne (635-687, all’Inghilterra del Nord, impiantandovi un cristianesimo e un monachesimo dalle particolari tinte celtiche.

    La seconda ondata monastica, destinata a prendere il sopravvento e a unificare le diverse forme di monachesimo occidentale, ha origine in Italia da s. Benedetto (+ 547). Ad essa appartenevano il monaco Agostino e compagni, inviati da papa san Gregorio Magno. Essi evangelizzarono il Sud dell’Inghilterra, portando con sé un cristianesimo di tipo romano che finì per prevalere su quello celtico e uniformare al resto della cristianità (per esempio nella data della Pasqua) le isole britanniche.

    Dal V all’ VIII secolo, l’Europa si ricopre letteralmente di monasteri, molti dei quali svolgeranno un compito primario nella formazione dell’Europa, non solo della sua fede, ma anche della sua arte, cultura e agricoltura. A ragione S. Benedetto è stato proclamato Patrono d’Europa e il Santo Padre, Benedetto XVI nel 2005, scelse Subiaco per la sua lezione magistrale sulle radici cristiane d’Europa.

    Le grandi figure di monaci evangelizzatori del continente appartengono quasi tutti alla prima delle due correnti ricordate, quella che torna sul continente dall’Irlanda e dall’Inghilterra. I nomi più rappresentativi sono quelli di S. Colombano (542-615) e di S. Bonifacio (672-754). Il primo, partendo da Luxeuil, evangelizzò numerose regioni nel nord della Gallia e le tribù tedesche meridionali, spingendosi fino a Bobbio, in Italia; il secondo, considerato l’evangelizzatore della Germania, da Fulda estese la sua azione missionaria fino alla Frisia, l’attuale Olanda. A lui il Santo Padre Benedetto XVI dedicò una delle sue catechesi del mercoledì, l’11 Marzo del 2009, mettendone in luce la collaborazione stretta con il Romano Pontefice e l’azione civilizzatrice presso i popoli da lui evangelizzati.

    A leggere le loro vite si ha l’impressione di rivivere l’avventura missionaria dell’apostolo Paolo: la stessa ansia di portare il vangelo a ogni creatura, lo stesso coraggio nell’affrontare ogni sorta di pericoli e di disagi e, per S. Bonifacio e tanti altri, anche la stessa sorte finale del martirio.

    Le lacune di questa evangelizzazione a vasto raggio sono note e proprio il confronto con san Paolo mette in luce la principale. L’Apostolo insieme con l’evangelizzazione, curava, in ogni luogo, anche la fondazione di una Chiesa che ne assicurasse la continuità e lo sviluppo. Spesso, per la scarsità dei mezzi e la difficoltà di muoversi all’interno di una società ancora allo stato magmatico, questi pionieri non erano in grado di assicurare un seguito alla loro opera.

    Del programma indicato da S. Remigio a Clodoveo, i popoli barbari tendevano a mettere in pratica solo una parte: adoravano ciò avevano bruciato, ma non bruciavano ciò che avevano adorato. Molta parte del loro bagaglio idolatra e pagano rimaneva e rispuntava alla prima occasione. Succedeva come con certe strade tracciate nella foresta: non mantenute e non trafficate esse vengono presto riprese e cancellate dalla giungla circostante. L’opera più duratura di questi grandi evangelizzatori fu proprio la fondazione di una rete di monasteri e, con Agostino in Inghilterra e S. Bonifacio in Germania, la erezione di diocesi e la celebrazione di sinodi che assicureranno in seguito la ripresa di una evangelizzazione più duratura e più in profondità.

    4. Missione e contemplazione

    Ora è arrivato il momento di trarre qualche indicazione per l’oggi dal quadro storico tracciato. Notiamo anzitutto una certa analogia tra l’epoca che abbiamo rivisitato e la situazione attuale. Allora il movimento di popoli era da Est a Ovest, ora esso è da Sud a Nord. La Chiesa, con il suo magistero, ha fatto, anche in questo caso, la sua scelta di campo che è di apertura al nuovo e di accoglienza dei nuovi popoli.

    La differenza è che oggi non arrivano in Europa popoli pagani o eretici cristiani, ma spesso popoli in possesso di una loro religione ben costituita e cosciente di se stessa. Il fatto nuovo è dunque il dialogo che non si oppone all’evangelizzazione, ma ne determina lo stile. Il beato Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Redemptoris missio”, sulla perenne validità del mandato missionario, si è espresso con chiarezza al riguardo:

    “Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa . Inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non è in contrapposizione con la missione “ad gentes” anzi ha speciali legami con essa e ne è un'espressione… Alla luce dell'economia di salvezza, la chiesa non vede un contrasto fra l'annuncio del Cristo e il dialogo interreligioso; sente, però, la necessità di comporli nell'ambito della sua missione ad gentes. Occorre, infatti, che questi due elementi mantengano il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti come se fossero intercambiabili”4.

    Ciò che avvenne in Europa dopo le invasioni barbariche ci mostra soprattutto l’importanza della vita contemplativa in vista dell’evangelizzazione. Il decreto conciliare “Ad gentes”, sull’attività missionaria della Chiesa, scrive a questo riguardo:

    “Meritano speciale considerazione le varie iniziative destinate a stabilire la vita contemplativa. Certi istituti, mantenendo gli elementi essenziali della istituzione monastica, tendono a impiantare la ricchissima tradizione del proprio ordine; altri cercano di ritornare alla semplicità delle forme del monachesimo primitivo. Tutti comunque devono cercare un reale adattamento alle condizioni locali. Poiché la vita contemplativa interessa la presenza ecclesiale nella sua forma più piena, è necessario che essa sia costituita dappertutto nelle giovani Chiese”5.

    Questo invito a cercare, nuove forme di monachesimo in vista dell’evangelizzazione, anche ispirandosi al monachesimo antico, non è rimasto inascoltato.

    Una delle forme in cui l’auspicio si è realizzato sono le “Fraternità monastiche di Gerusalemme”, conosciute come i monaci e le monache di città. Il suo fondatore, Padre Pierre-Marie Delfieux, dopo aver trascorso due anni nel deserto del Sahara, in compagnia soltanto dell’Eucaristia e della Bibbia, capì che il vero deserto sono oggi le grandi città secolarizzate. Iniziate a Parigi nella festa di Tutti i Santi del 1975, queste fraternità sono presenti ormai in varie grandi città d’Europa, compresa Roma, dove hanno preso la chiesa di Trinità dei Monti. Il loro carisma è evangelizzare attraverso la bellezza dell’arte e della liturgia. Monastico è il loro abito, lo stile di vita semplice e austero, l’intreccio tra lavoro e preghiera; ma nuova è la collocazione al centro delle città, in genere in chiese antiche di grande richiamo artistico, la collaborazione tra monaci e monache nell’ambito liturgico, pur nella totale indipendenza reciproca a livello di abitazione e di autorità. Non poche conversioni di lontani e ritorni alla fede di cristiani nominali sono avvenute intorno a questi luoghi.

    Di diverso genere, ma facente parte anch’esso di questa fioritura di nuove forme monastiche, è il monastero di Bose in Italia. In ambito ecumenico, il monastero di Taizé in Francia è un esempio di una vita contemplativa direttamente impegnata anche sul fronte dell’evangelizzazione.

    Il primo Novembre del 1982, ad Avila, accogliendo una vasta rappresentanza della vita contemplativa femminile, Giovanni Paolo II prospettò, anche alla vita claustrale femminile, la possibilità di un impegno più diretto nell’opera di evangelizzazione.

    “I vostri monasteri –disse - sono comunità di orazione in mezzo alle comunità cristiane, alle quali date aiuto, alimento e speranza. Sono luoghi consacrati e potranno essere anche centri di accoglienza cristiana per quelle persone, soprattutto giovani, che spesso vanno cercando una vita semplice e trasparente, in contrasto con quella che viene loro offerta dalla società dei consumi”.

    L’appello non è rimasto inascoltato e si sta traducendo in iniziative originali di vita contemplativa femminile aperta all’evangelizzazione. Una di esse ha avuto modo di farsi conoscere in occasione del recente Convegno promosso, qui in Vaticano, dal Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. Tutte queste forme nuove non sostituiscono le realtà monastiche tradizionali, molte delle quali centri anch’esse di irradiazione spirituale e di evangelizzazione, ma le affiancano e le arricchiscono.

    Non basta che nella Chiesa vi sia chi si dedica alla contemplazione e chi si dedica alla missione; bisogna che la sintesi tra le due cose avvenga nella vita stessa di ogni missionario. Non basta, in altre parole, la preghiera “per i” missionari, occorre la preghiera “dei” missionari. I grandi monaci che rievangelizzarono l’Europa dopo le invasioni barbariche erano uomini usciti dal silenzio della contemplazione e che vi rientravano appena le circostanze lo permettevano loro. Anzi, con il cuore non uscivano mai del tutto dal monastero. Mettevano in pratica, in anticipo, il consiglio che Francesco d’Assisi dava ai suoi frati nell’inviarli per le strade del mondo: “Noi, diceva, abbiamo un eremitaggio sempre con noi dovunque andiamo e ogni volta che lo vogliamo possiamo, come eremiti, rientrare in questo eremo. Fratello corpo è l’eremo e l’anima l’eremita che vi abita dentro per pregare Dio e meditare6.

    Di questo abbiamo un esempio ben più autorevole. La giornata di Gesù era un intreccio mirabile tra preghiera e predicazione. Egli non pregava solo prima di predicare, pregava per sapere cosa predicare, per attingere dalla preghiera le cose da annunciare al mondo. “Le cose che io dico – affermava - le dico così come il Padre me le ha dette” (Gv 12,50). Da qui veniva a Gesù quell’ ”autorità” che tanto impressionava nel suo parlare.

    Lo sforzo per una nuova evangelizzazione è esposto a due pericoli. Uno è l'inerzia, la pigrizia, il non fare nulla e lasciare che facciano tutto gli altri. L'altro è il lanciarsi in un attivismo umano febbrile e vuoto, con il risultato di perdere a poco a poco il contatto con la sorgente della parola e della sua efficacia. Si dice: ma come starsene tranquilli a pregare, quando tante esigenze reclamano la nostra presenza, come non correre quando la casa brucia? E' vero, ma immaginiamo cosa succederebbe a una squadra di pompieri che accorresse a spegnere un incendio e poi, una volta sul posto, si accorgesse di non avere con sé, nei serbatoi, una sola goccia d'acqua. Così siamo noi, quando corriamo a predicare senza pregare.

    La preghiera è essenziale per l’evangelizzazione perché “la predicazione cristiana non è primariamente comunicazione di dottrina, ma di esistenza”. Fa più evangelizzazione chi prega senza parlare che chi parla senza pregare.

    5. Maria, stella dell’evangelizzazione

    Terminiamo con un pensiero suggerito dal tempo liturgico che stiamo vivendo e dalla solennità dell’Immacolata che abbiamo celebrato ieri. Una volta, in un dialogo ecumenico, un fratello protestante mi chiese, ma senza polemica, solo per capire: “Perché voi cattolici dite che Maria è “la stella del’evangelizzazione”? Che fa fatto Maria che giustifichi tale titolo?”. È stata per me l’occasione di riflettere sulla cosa e non ho tardato a scoprirne la ragione profonda. Maria è la stella dell’evangelizzazione perché ha portata la Parola, non a questo o quel popolo, ma al mondo intero!

    E non solo per questo. Ella portava la Parola nel seno, non sulla bocca. Era piena, anche fisicamente, di Cristo e lo irradiava con la sua sola presenza. Gesù le usciva dagli occhi, dal volto, da tutta la persona. Quando uno si profuma, non ha bisogno di dirlo, basta stargli vicino per accorgersene e Maria, specie nel tempo in cui lo portava in seno, era piena del profumo di Cristo.

    Si può dire che Maria è stata la prima claustrale della Chiesa. Dopo la Pentecoste, ella è come entrata in clausura. Attraverso le lette­re degli apostoli, conosciamo innumerevoli personaggi e anche tante donne della pri­mitiva comunità cristiana. Una volta troviamo menzionata anche una certa Maria (cf Rm 16, 6), ma non è lei. Di Maria, la Madre di Gesù, nulla. Ella scompare nel più pro­fondo silenzio. Ma cosa significò per Giovanni averla accanto mentre scriveva il Vangelo e cosa può significare per noi averla accanto mentre proclamiamo lo stesso Vangelo! “Primizia dei Vangeli –scrive Origene - è quello di Giovanni, il cui senso profondo non può cogliere chi non abbia poggiato il ca­po sul petto di Gesù e non abbia ricevuto da lui Maria, come sua propria madre”7.

    Maria ha inaugurato nella Chiesa quella seconda anima, o vocazione, che è l'anima nascosta e orante, accanto all'anima apostolica o attiva. Lo esprime a meraviglia l'icona tradizionale dell'Ascensione, di cui abbiamo una rappresentazione sul lato destro di questa cappella. Maria sta in piedi, con le braccia aperte in atteggia­mento orante. Intorno a lei gli apostoli, tutti con un piede o una mano alzata, cioè in movimento, rappresentano la Chiesa attiva, che va in missione, che parla e agisce. Maria sta immobile sotto Gesù, nel punto esatto da cui egli è asceso, quasi a tenere viva la memoria di lui e l'attesa del suo ritorno.

    Terminiamo ascoltando le parole finali della “Evangelii nuntiandi” di Paolo VI, in cui per la prima volta, nei documenti pontifici, Maria è chiamata con il titolo di Stella dell’evangelizzazione:

    “Al mattino della Pentecoste, Ella ha presieduto con la sua preghiera all'inizio dell'evangelizzazione sotto l'azione dello Spirito Santo. Sia lei la Stella dell'evangelizzazione sempre rinnovata che la Chiesa, docile al mandato del suo Signore, deve promuovere e adempiere, soprattutto in questi tempi difficili ma pieni di speranza!”

    *

    1 S. Girolamo, Comm. a Ezechiele, III, 25, pref.; cf. Epistole LX,18; CXXIII,15-16; CXXVI,2.

    2 S. Leone Magno, Sermone 82,

    3 Gregorio di Tours, Historia Francorum, II, 31.

    4 Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 55.

    5 L.G., 18.

    6 Legenda Perugina, 80 (FF, 1636).

    7 Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, I, 6,23 (SCh, 120, p. 70).

    (09 Dicembre 2011) © Innovative Media Inc.





    [Modificato da Caterina63 14/12/2013 10:24]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 21/01/2014 09:32




                 Critiche al Papa? In certi ambienti sono troppo facili

    I Papi hanno sempre avuto dei nemici sia dall’interno della Chiesa che dal di fuori. Abbiamo avuto i Papi martiri dei primi secoli, vittime degli imperatori romani. Abbiamo avuto i Papi contestati dagli scismatici orientali a partire dal sec. XI. Abbiamo avuto l’opposizione subìta dagli imperatori tedeschi in occasionedella lotta per le investiture nei secc. XII-XIII. I catari del sec. XIII respingevano il papato. Abbiamo avuto lo scisma d’Occidente nel sec. XIV. Abbiamo avuto le teorie conciliariste contro il primato del Papa nel sec. XV. Abbiamo avuto nel sec. XVI la dura polemica di Lutero ed altri eretici contro l’istituzione stessa del papato. Nel sec. XVII il gallicanesimo e i giansenisti francesi restringevano indebitamente l’ambito di autorità del Sommo Pontefice. Con Napoleone il papato ha subìto gravi umiliazioni. Il papato dell’Ottocento è stato duramente attaccato da varie forze anticristiane: massoni, anarchici, marxisti, positivisti, protestanti, teosofi e comunque ribelli, come un certo patriottismo liberale e mazziniano italiano.

    I modernisti dei tempi di S.Pio X non erano in linea di principio contrari al papato, ma lo intendevano in modo errato, non come magistero infallibile di una verità salvifica immutabile per mandato di Cristo, ma come interpretazione, istituzionalizzazione ed espressione umana e quindi fallibile e mutevole, del libero movimento religioso spirituale popolare suscitato da Cristo simboleggiato dal Vangelo. 

    Con l’avvento del Concilio Vaticano II il papato ha assunto un nuovo ruolo. L’accento non è più venuto sul compito del Pontefice di vigilare sulla purezza ed integrità della dottrina cattolica combattendo errori ed eresie, ma di annunciare il Vangelo all’umanità di oggi, rivolgendosi non solo e non tanto ai cattolici, ma a tutti gli uomini di buona volontà, quali che siano le loro convinzioni religiose, morali o dottrinali, certo respingendo gli errori più gravi, come per esempio l’ateismo, lo scientismo, il laicismo, il totalitarismo, la dittature, la superbia antropocentrica, il lassismo morale, le grandi ingiustizie sociali, il ricorso alla violenza, il gusto della guerra.

    Con questo nuovo stile il papato si è procurato nuovi nemici, diversi da quelli del passato. Fino a Pio XII erano praticamente rimasti i citati nemici ottocenteschi, con l’aggiunta di un non del tutto estinto modernismo che tentò di risorgere con la téologie nouvelle, che fu confutata nella famosa enciclica Humani Generis del 1950.

    Adesso, mentre da una parte il papato, soprattutto col Beato Giovanni XXIII, iniziava un certo dialogo con i dissidenti orientali, col mondo protestante ed ebraico e con gli stessi non-credenti – famosa è rimasta la visita a Papa Giovanni di Agiubei, il genero di Krusciòv -, per cui si mitigava l’ostilità del mondo laicista, massonico, liberale e comunista; il mondo islamico per un certo tempo si è tenuto in disparte. 

    Cominciava a sorgere un’ostilità dall’interno stesso della Chiesa, soprattutto sotto la guida di Mons. Marcel Lefèbvre, per il fatto che le nuove dottrine del Concilio, in particolare il concetto della Messa, di Rivelazione, dello stesso papato (la collegialità episcopale), di Chiesa, di ecumenismo, di libertà religiosa e di dialogo interreligioso e con i non-credenti, apparivano a questa corrente false, moderniste e in contrasto con la Sacra Tradizione.

    Per converso, i modernisti, che non erano mai del tutto scomparsi, ma si erano mascherati sotto una finta ortodossia, come per esempio i rahneriani o gli scillebexiani, e con astutissima manovra aggirando la buona fede di Giovanni XXIII, erano riusciti a mettere qualcuno dei loro tra i periti del Concilio. Oltre a ciò, valendosi di un’abile propaganda e con un forsennato attivismo degno di miglior causa, riuscirono a convincere larghi strati dell’opinione pubblica - non esclusi certi ambienti dell’episcopato - di essere stati loro i protagonisti del Concilio e quindi presentandosi sfacciatamente come indiscutibili ed indiscussi interpreti del Concilio, nonostante tutte le rettificazioni che vennero nei decenni seguenti da parte dei Pontefici, in modo speciale per mezzo delle condanne, confutazioni e chiarificazioni operate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, soprattutto sotto la guida del card. Ratzinger, poi Papa Benedetto XVI. I lefevriani quindi non fecero che convincersi maggiormente della loro interpretazione del Concilio mantenendo la loro opposizione basata sull’equivoco.

    A partire da Paolo VI cominciò come una tempesta l’opposizione dei modernisti, furbescamente celati sotto l’eufemismo di “progressisti”, onde godere di un innocuo lascia-passare: il Concilio non aveva promosso il progresso o il rinnovamento o la modernizzazione della vita cristiana? Scoppiò così la famosa “contestazione” del 1968. In quell’anno stesso Paolo VI dovette subire un’opposizione generalizzata, persino tra i vescovi, alla sua enciclica Humanae vitae.

    Cominciarono a girare impunemente le eresie tra i teologi, sotto colore di libertà e progresso, vescovi latitanti, indisciplina nella liturgia, defezioni di preti e religiosi a migliaia, chiusura di case religiose e conventi, seminari e chiese vuoti, calo delle vocazioni e della frequenza ai sacramenti, diffusione del comunismo, della superstizione e delle sètte nel mondo, crisi della famiglia, caos nelle scuole, diffusione della corruzione nei costumi sessuali e nella condotta politica, aumento della sperequazione tra ricchi e poveri.

    I Papi da Paolo VI fino a Benedetto XVI hanno dovuto subire un’opposizione aperta e crescente da parte dei modernisti: Paolo VI era giunto a parlare di “autodemolizione della Chiesa da parte di se stessa”, e di un “magistero parallelo”, Giovanni Paolo II in più occasioni parlò dei mali della Chiesa, Papa Benedetto parlò senza mezzi termini di una crisi generalizzata della fede. Incessante è stata la polemica proveniente dai lefevriani incorreggibilmente ostinati nel ritenere che i Papi del postconcilio, in quanto eredi del Concilio, insegnassero dottrine false e contrarie alla Tradizione.

    Mentre i modernisti fingono di essere in comunione col Papa e si considerano le punte avanzate della Chiesa ma in realtà, in forza del loro soggettivismo ne relativizzano gli insegnamenti, i lefevriani, coscienti dell’immutabilità della dottrina della fede e sensibili al carisma dell’infallibilità pontificia, per avere buon gioco nel rimproverare il Papa di falsità dottrinale e rottura con la tradizione, restringono indebitamente le condizioni dell’infallibilità a quelle elencate dal Concilio Vaticano I, valide solo per le definizioni dogmatiche solenni (“ex cathedra”), che in realtà sono pochissime in tutta la storia del Magistero pontificio. Dimenticano o trascurano quindi che il Papa è infallibile, ossia dice il vero definitivo ed immutabile anche quando insegna come maestro della fede o annunciatore del Vangelo in qualunque circostanza, semplice o solenne, ordinaria o straordinaria, anche se non dichiara di voler definire come avviene nei casi previsti dal Vaticano I.

    Quanto all’attuale Pontefice, sembra che i modernisti e molti tradizionali nemici della Chiesa, non credenti o credenti di altre religioni, evitino di attaccarlo e che anzi lo gradiscano e che riscuota successo tra di loro, per certe sue posizioni che essi interpretano a loro favorevoli. Non c’è dubbio che se il Papa ha una forte comunicativa e una ricca umanità, essi però tentano slealmente di strumentalizzarlo, cosa che non sono riusciti a fare con i Papi precedenti, i quali o avevano un tono più polemico contro i non-credenti o usavano un linguaggio che meno si prestava all’equivoco. Questo Papa invece sembra più esposto a questa terribile insidia, anche se il buon cattolico non ha nulla da temere, perché il Vicario di Cristo resta comunque infallibile alle condizioni dette, anche se a volte  il Papa usa qualche espressione che ha bisogno di essere interpretata.

    Ma non c’è bisogno di forzare il senso delle sue parole, perché non è da pensare che il Papa ci inganni o si inganni in materia di fede o di morale. Coloro che i lefevriani chiamano con disprezzo i “normalisti” non sono i modernisti o i mezzi modernisti, ma semplicemente i buoni cattolici i quali vedono che il Papa procede normalmente secondo la norma della fede.

    Sono convinto che Papa Bergoglio vuole avviare un dialogo anche con i modernisti, cosa che ai Papi precedenti non è riuscita o non è venuta in mente. Qui sta la vera “rivoluzione” di Papa Francesco, rivoluzione che, se gli riuscirà, i modernisti torneranno o giungeranno alla retta fede e la loro istanza di modernità troverà quella giusta soddisfazione che è promossa dalla retta interpretazione del Concilio.

    A differenza di Papa Benedetto sembra invece che Papa Bergoglio abbia perso i contatti con i lefevriani. Forse si è sbilanciato troppo verso i modernisti. Qui occorrerà che ritrovi il dialogo con i lefevriani. Certo la dolorosa vicenda dei Francescani dell’Immacolata non favorisce questo obbiettivo ineludibile, per cui ritengo che il Papa quanto prima debba moderare le scandalose intemperanze di padre Volpi (commissario dei Francescani dell'Immacolata, ndr), che evidentemente gli ha preso la mano, probabilmente sobillato dai rahneriani, certamente furiosi per la forte critica a Rahner che venne dal convegno teologico internazionale organizzato contro Rahner dai Francescani a Firenze nel 2007, convegno dove io stesso presentai una relazione. Gli atti furono poi pubblicati da Cantagalli di Siena.

    I Francescani debbono correggersi in alcune cose, in particolare bisogna che essi accettino serenamente tutte le dottrine del Concilio Vaticano II, ma la condotta dittatoriale e crudele di padre Volpi, soprattutto nei confronti del Fondatore, il degnissimo Padre Manelli, offende gravemente la carità e la giustizia e deve assolutamente quanto prima cessare.

    L’impresa di Papa Bergoglio di recuperare il buono che c’è nei modernisti è indubbiamente rischiosa e riflette la spericolatezza propria della tradizione ignaziana, ricorda l’atteggiamento di Cristo verso i pubblicani e i peccatori, un atteggiamento che suscita sorpresa e disapprovazione presso i farisei, oggi forse rappresentati dai lefevriani. Ma non mi nascondo che a volte mi viene il dubbio che il Papa sia poco prudente, in questa operazione nei confronti dei modernisti, perché non appare sempre chiaro se egli riesce ad avvicinarli alla Chiesa o sono loro che credono di avere il Papa dalla loro, per cui si sentono autorizzati a continuare nei loro errori e nei loro vizi.

    Il Papa sta redarguendo sia i cattolici preconciliari che i modernisti, senza misconoscere lati buoni negli uni e negli altri, per condurli alla sua linea che intende insistere sulla evangelizzazione in sintonia col Concilio. La recente Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium è una summa di tutto il suo programma di pontificato. Non dobbiamo tanto cercarvi della dottrina – è una semplice “esortazione”! - ma una miniera di spunti e di stimoli per la nuova evangelizzazione. In ciò sta il suo pregio ma anche il suo limite, per cui alcuni aspetti, puramente pastorali, potranno anche essere criticabili, appunto non toccando la dottrina evangelica, dove il Papa non può sbagliare.

    Si è troppo facili in certi ambienti nel giudicare male il Papa. Se per esempio egli afferma che non si sente di giudicare della buona o cattiva fede di un gay, ecco la stampa laicista esultare credendo che il Papa abbia cambiato la legge morale giudicando lecita l’omosessualità. Se il Papa afferma che occorre sempre seguire la propria coscienza e il proprio punto di vista, ecco i liberali di turno esultare perché finalmente la Chiesa riconoscerebbe che non esiste una verità morale oggettiva ed universale, non esiste un bene morale unico per tutti, ma ciascuno è libero di essere legge a se stesso. 

    Se il Papa disapprova la rigidezza dottrinale e il fondamentalismo, ecco i lefevriani insorgere nell’accusarlo di essere contro la tradizione e di negare l’oggettività e l’immutabilità della verità e così via. Se egli dice che il proselitismo è una sciocchezza, ecco le accuse roventi di disprezzare la volontà di condurre a Cristo i non-credenti.

    Esiste un campo del pensiero e della condotta umana nel quale anche un Papa può sbagliare o non agire bene. E’ bene conoscere questo campo, perché non ci è proibito in linea di principio criticarlo o disapprovare, col dovuto rispetto e per fondati motivi, quanto fa o pensa. Si tratta delle sue opinioni politiche, filosofiche, teologiche o esegetiche, delle sue preferenze o dei suoi gusti personali, della sua condotta morale, degli atti del suo governo, delle scelte della sua pastorale, delle sue decisioni, leggi, disposizioni giuridiche o liturgiche, dell’assunzione o del congedo di personale della Curia Romana o delle rappresentanze pontificie nel mondo, e cose del genere.

    Invece per quanto riguarda la sua missione di Successore di Pietro e Maestro della fede, senza giungere a parlare delle definizioni dogmatiche, il Pontefice è sempre infallibile e va sempre obbedito e non ci è lecito accusarlo di errore o di eresia, come fa chi oggi lo accusa di modernismo, indifferentismo o soggettivismo o relativismo. Qui si tratta solo di capire fedelmente il suo insegnamento o eventualmente di interpretare, se occorre, in un senso benevolo, se si vuole essere sul sentiero della verità, del bene e della salvezza.


     






    Fraternamente CaterinaLD

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    00 25/01/2014 00:41
        Obbedienza al Papa, solo in relazione a Cristo
    di Antonio Livi
    18-01-2014

    L’opinione pubblica cattolica, in Italia e non solo, continua a essere agitata da polemiche attorno ai discorsi del Papa e alle diverse interpretazioni che essi hanno avuto da parte di opinionisti che si dichiarano conservatori o progressisti (ma pur sempre credenti) e da parte di altri opinionisti che si dichiarano non credenti ma che hanno praticamente il monopolio dei media. 

    Io, come sacerdote, quando mi riferisco all’opinione pubblica cattolica ho presente soprattutto la fede delle singole persone, e la constatazione che questi eventi mediatici aumentano ogni giorno di più lo sconcerto e il disorientamento tra i fedeli mi induce a prendere ancora una volta la parola per contribuire, con il rigore della logica (che è la mia competenza scientifica) e quella “luce della fede” della quale ha parlato papa Francesco, a ri-orientare i fedeli dis-orientati. Ho collaborato recentemente alla pubblicazione di un volume di vari autori che si intitola appunto Verità della fede: che cosa credere, e a chi (Leonardo da Vinci editore). Ora mi inserisco invece nel proficuo confronto di opinioni che c’è stato su La Nuova Bussola Quotidiana tra Mario Palmaro (che in precedenza era intervenuto a più riprese, assieme ad  Alessandro Gnocchi, sul Foglio di Giuliano Ferrara) e il direttore Riccardo Cascioli, ai quali si è poi aggiunto il sociologo Massimo Introvigne. 

    Palmaro ha esposto di nuovo, nel modo rispettoso che gli è proprio, i suoi dubbi circa l’opportunità (per la pastorale) e l’efficacia (per l’evangelizzazione) degli atteggiamenti e delle parole di papa Francesco; Cascioli, ha replicato ribadendo la linea editoriale della Nuova Bussola Quotidiana, che non ritiene giusto che i cattolici manifestino sui media le proprie opinioni critiche nei confronti del Papa: meglio insistere a chiarire all’opinione pubblica la verità cattolica garantita dal Magistero, e poi confidare nell’indefettibilità che Cristo assicura sempre alla sua Chiesa. Infine Introvigne ha creduto di poter giustificare quegli orientamenti dottrinali e  pastorali di papa Francesco che Palmaro criticava, riconducendoli alla teologia e alla spiritualità gesuitica.  

    Io non posso non condividere le preoccupazioni di Palmaro, e allo stesso tempo comprendo le obiezioni di Cascioli. Sono d’accordo con l’uno e con l’altro, non tanto perché sono amico di tutti due, ma perché ritengo che entrambe le posizioni siano espressione di sincero amore per la fede della Chiesa, per quella fede che sola può garantire l’unità nell’essenziale e allo stesso tempo il legittimo pluralismo nel campo delle scelte teologiche e pastorali, che per loro natura devono essere libere, in quanto non riguardano il dogma ma l’opinabile. Come sacerdote ammiro la mens catholica di questi intellettuali laici che nel loro lavoro professionale si sforzano sempre di fornire all’opinione pubblica i criteri dottrinali per poter distinguere, appunto, tra ciò che è dogmatico e ciò che è opinabile. Non sono affatto d’accordo, invece, con Introvigne, e quanto adesso dirò servirà a spiegare le ragioni del mio accordo con i primi due e del disaccordo con il terzo. Sono ragioni di natura non ideologica e men che meno politica, ma esclusivamente teologica (e pazienza se qualcuno, anche tra i teologi, non è in grado di apprezzare queste distinzioni).

    Va ricordato, innanzitutto, che per tutti noi cattolici, la  principale (e talvolta unica) ragione per cui dobbiamo interessarci delle parole e dei gesti del Papa è perché egli è a capo della Chiesa di Cristo per volontà espressa di Cristo stesso, come sappiamo per fede. È dunque l’adesione convinta al dogma del Corpo Mistico ciò che giustifica l’obbedienza incondizionata alle direttive pastorali del Papa e motiva l’unione affettiva ed effettiva con lui, quella devozione che faceva dire a santa Caterina da Siena, nel Trecento, che il Papa è «il dolce Cristo in terra» (il che non le impediva di recarsi ad Avignone per rimproverarlo di non risiedere a Roma). Un santo del Novecento, Josemaria Escrivà, per indicare il giusto ordine di una devozione sostanziata di fede, diceva che «per noi cristiani i grandi amori sono Cristo, Maria e il Papa». 

    Quello che il Papa fa e dice nell’esercizio del ministero petrino deve interessare tutti i fedeli – indipendentemente dalle diverse appartenenze all’interno della Chiesa, dal diverso feeling o da qualunque altra variabile sul piano umano – sempre e solo per un motivo di fede: perché Cristo stesso lo ha voluto come Pastore della Chiesa universale, ossia perché in modo eminente egli è davvero il “Vicario di Cristo”. Ciò significa che il  Papa – chiunque egli sia in un dato momento della storia – non interessa tanto come personalità umana o come “privato dottore”, cioè come semplice teologo, quanto invece come supremo garante della verità divina affidata alla Chiesa dall’unico Maestro, che è Cristo. 

    Insomma, detto un po’ brutalmente (diciamo pure “papale - papale”, usando un’espressone popolare scherzosa ma non senza contenuto), il Papa interessa relativamente, cioè interessa solo in relazione a Cristo, dal quale riceve l’autorità di «pascere le sue pecorelle» nel suo Nome; solo in relazione a Cristo, la cui Parola egli deve custodire, interpretare e annunciare al mondo, «senza aggiungere e senza togliere alcunché»; solo in relazione a Cristo, del quale il primo Papa, san Pietro, disse che «non ci è stato dato alcun altro Nome sotto il Cielo nel quale possiamo essere salvati»; solo in relazione a Cristo che nel Giubileo dell’anno 2000 la Chiesa, con papa Giovanni Paolo II, ha di nuovo messo al centro della propria vita e della propria missione come Colui che «ieri, oggi e sempre» è l’unico Salvatore. 

    In un’ottica di fede, in un orizzonte di senso autenticamente cristiano, chi interessa assolutamente è solo Cristo, del quale parlano le Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, e la cui vita, morte e Risurrezione è costantemente commemorata dalla liturgia della Chiesa perché a tutti i fedeli sia consentita una sempre maggiore comprensione spirituale del Mistero del «Verbo che si è fatto carne». 

    Invece, la personalità umana, la biografia, i gesti e le parole dell’uomo che in ogni momento storico occupa la sede di Pietro meritano di essere conosciuti e interpretati dai credenti unicamente nella misura in cui servono a conoscere e interpretare sempre meglio la Parola di Cristo, così come l’affetto, la devozione e l’unione con il Papa attuale meritano di essere incentivati nella misura in cui si risolvono puntualmente in un accresciuto spirito di adorazione del “Dio-con-noi” e nel rafforzamento di quella unione con Lui che è iniziata con la grazia del Battesimo. Peraltro, nessuno dei grandi santi che conosciamo sono dipesi, nel loro cammino di fede e nel loro impegno ascetico e apostolico, da una conoscenza approfondita della biografia e delle idee personali del papa o dei papi del loro tempo; dipendevano invece interamente dalla dottrina della fede, ossia dal dogma, conosciuto attraverso l'ordinaria predicazione ecclesiastica e la consuetudine delle Scritture, e confrontato con le diverse esperienze ecclesiali, tra le quali soprattutto le vite dei santi. Un dottore della Chiesa come Agostino, ad esempio, giunse alla conversione dopo aver ascoltato la predicazione di Ambrogio e aver meditato il Vangelo, e scelse la condizione monastica leggendo la Vita di Antonio scritta dal vescovo Atanasio. Teresa d’Avila, anch’essa dottore della Chiesa, in nessuna delle sue opere nomina il papa allora regnante, pur sapendo bene che da lui avrebbe dovuto ottenere l’autorizzazione finale per la riforma del Carmelo.

    Ora, se tutto questo è vero – e indubbiamente è vero, anzi è proprio una “verità sacrosanta” -, allora che cosa si può trovare, che cosa si deve eventualmente cercare oggi, nei discorsi e nelle iniziative di un Papa così assiduamente seguito dalla stampa e dalla televisione di tutto il mondo? Come interpretare rettamente il senso di ciò che fa e di ciò che dice? Ecco dei criteri di discernimento che come sacerdote mi sembra indispensabile fornire a tutti quei fedeli che cercano sinceramente un incremento della loro vita di fede e una maggiore unione con Cristo attraverso l’unione con il Papa. 

    Il criterio fondamentale è che il Papa, ogni Papa, ci ri-porta a Cristo ri-presentando e ri-attualizzando il Vangelo con gli atti del suo magistero e con le sue direttive pastorali. Di questo Papa, come di ogni Papa, non debbono necessariamente interessare tutti i discorsi estemporanei, soprattutto se non vengono poi riprodotti negli Acta Apostolicae Sedis, perché essi non costituiscono un vero e proprio magistero pontificio, nemmeno all’infimo grado di autorevolezza: non sono atti che impegnano in qualche modo quella infallibilità personale che il Vaticano I (1870) ha riconosciuto essere prerogativa del Romano Pontefice e che di per sé è sempre collegata all’intenzione di parlare come Pastore della Chiesa universale per “definire” una dottrina dogmatica o morale. Per di più, il contenuto dottrinale di tali discorsi va compreso ascoltandoli o leggendoli integralmente, tenendo conto del contesto, di tutte le circostanze di tempo e di luogo, cosa che non può avvenire se ci si limita a leggerne un sunto e un’interpretazione arbitraria sulla stampa.  

    Mi si dirà: ma un comune fedele non avrà mai il tempo né sentirà mai il bisogno di andare a verificare se ogni discorso di papa Francesco è stato correttamente interpretato dai media… Giusto!, rispondo io. Ma proprio per questo conviene ai semplici fedeli lasciar perdere l’accavallarsi di notizie estemporanee che fanno di tutta l’erba un fascio, mettendo in risalto solo gli aspetti esteriori e contingenti del papato; non è obbligatorio e nemmeno possibile seguire attentamente e valutare adeguatamente ogni catechesi del mercoledì, ogni omelia nella Messa a Santa Marta, e poi tutti gli interventi estemporanei del Papa (una media di tre al giorno), così come  non è obbligatorio e nemmeno possibile conoscere “in tempo reale” tutte le nomine e i cambiamenti che il Papa fa in vista della cosiddetta “riforma della Curia” e per la cosiddetta “provvista di Chiese” in tutto il mondo cattolico. 

    E, siccome solo conoscendo tutto approfonditamente si può tentare di mettere ciò in rapporto con il “cammino” della Chiesa come tale, in definitiva è meglio che i semplici fedeli (ai quali non interessano affatto le polemiche ideologiche e tanto meno i giochi di potere all’interno della casta clericale) dedichino, come ho detto, lo scarso tempo a disposizione  a quei pochi documenti che costituiscono davvero il magistero di questo Papa: l’enciclica Lumen Fidei e l’esortazione apostolica post-sinodale Evangelii gaudium. Lo dico da sacerdote che ha il dovere di conoscere, rispettare e seguire fedelmente le direttive del Papa: non perdete tempo dietro ai pettegolezzi, non fatevi coinvolgere dagli interessi mondani (così li chiama papa Francesco) e dalle speculazioni pseudo-teologiche dei media; fatevi guidare piuttosto dal vostro buon senso cristiano e limitatevi a leggere, con l’intenzione di trarne profitto, quei due documenti. Vedrete che il Papa, quando esercita il suo magistero ordinario, è sostanzialmente in linea con tutto il magistero precedente (non può essere altrimenti); vi accorgerete che la Lumen fidei non contraddice affatto la Fides et ratio di Giovanni Paolo II, e inoltre riconosce esplicitamente il contributo che il suo predecessore Benedetto XVI ha fornito alla stesura del testo; comproverete che nessun Papa sconfessa la dottrina contenuta nei documenti del magistero precedente e che non è possibile che il carisma dell’infallibilità personale porti paradossalmente a “rompere” con la Tradizione, cioè a insegnare il falso. 

    Ma allora – mi diranno alcuni di questi fedeli - perché “la gente” è convinta che Francesco sia un Papa anti-dogmatico e rivoluzionario, e di conseguenza c’è chi, come Enzo Bianchi, sale sul carro del vincitore nella guerra contro la Tradizione, e sul fronte opposto c’è chi resta sconcertato e scandalizzato credendo di assistere alla liquidazione della Chiesa ad opera dello stesso suo Capo visibile? Il perché è presto detto: tutte le informazioni, di ogni genere e specie, meritano credito solo se provenienti da fonti verificabili e garantite, e se ammettono controlli incrociati: è la logica della conoscenza per testimonianza, che comprende, oltre l’informazione, la conoscenza storica, la divulgazione scientifica, la conoscenza della coscienza altrui, e infine la conoscenza dei misteri soprannaturali, ossia la fede cristiana. Ora, le fonti che forniscono ai comuni fedeli le informazioni riguardanti la vita della Chiesa e il ministero del Papa e le corredano di commenti, non sono mai verificabili e garantite, e difficilmente ammettono controlli incrociati, per cui in questa materia risultano tutte inattendibili. Meglio lasciar perdere, come dicevo. Ma se proprio si vuole cercare di sapere e di capire, occorre almeno seguire questi spassionati consigli che ora do (ai semplici fedeli, s’intende, non a chi ha il dovere d’ufficio di informarsi sulle direttive pastorali e le disposizioni disciplinari della Santa Sede).

    Per prima cosa, consiglio ai comuni fedeli di non dare alcun credito, in questa materia, ai media dichiaratamente “laici” (il che, nel linguaggio politico attuale, equivale ad atei o almeno agnostici, e in pratica significa pregiudizialmente ostili al dogma e alla morale cattolica). Le notizie e i commenti sull’operato del Papa diffusi da chi non crede né alla divinità di Cristo né al fine soprannaturale della Chiesa sono viziati all’origine, sicché ai credenti possono fornire solo informazioni mistificanti e devianti.¬ L’esempio più clamoroso è l’articolo nel quale il fondatore della Repubblica, non contento di aver già prima manipolato il contenuto del suo colloquio con papa Francesco, ritorna a parlarne per inventare «svolte epocali» nella dottrina cattolica, sostenendo addirittura che «il Papa ha abolito il peccato!». 

    Più recentemente, L’Unità e La Stampa parlano di «strappo» alla disciplina canonica che il Papa avrebbe operato battezzando il giorno 12 gennaio il figlio di una coppia di giovani che non avevano celebrato il matrimonio cattolico. In America, The Advocate, la più antica rivista delle organizzazioni omosessuali, mette in copertina papa Bergoglio come l’uomo dell’anno 2013, affermando che con le sue dichiarazioni egli «ha legittimato i gay». Si possono fare mille esempi a dimostrazione che la malsana attenzione con la quale la stampa e la televisione di orientamento laicista segue tutto ciò che il Papa fa e dice, facendo parlare “vaticanisti” e opinionisti di ogni tipo (compresi gli immancabili Cacciari, Vattimo, Flores d’Arcais, Giorello, Odifreddi e Severino) non si deve ovviamente al fatto che si vogliano fornire informazioni corrette sulla realtà religiosa della Chiesa - che per quegli organi di stampa è solo superstizione e ipocrisia – ma alla ben nota strategia culturale dei “poteri forti”, i quali mirano ad abbattere ogni resistenza alle riforme giuridiche e sociali che l’ideologia della secolarizzazione (nella quale confluiscono  il progressismo libertino, l’ateismo militante, l’animalismo, lo scientismo, l’omosessualismo) sta imponendo in tutto l’Occidente. 

    È una strategia evidente, che da settant’anni in qua si è fatta ogni giorno più accanita, grazie anche al fatto che questi malintenzionati commentatori dell’attualità ecclesiale godono oggi di un’egemonia politico-culturale incontrastata, esercitata anche attraverso il monopolio dei media, al punto che gli stessi fedeli cattolici sanno del Papa solo quello che i giornalisti anticattolici propinano loro giorno dopo giorno. Se poi gli opinion makers che pure esistono all’interno della Chiesa (la cosiddetta “stampa di ispirazione cattolica”, ma soprattutto gli operatori della pastorale in tutti gli ambienti) si accontentano di fungere da compiacente eco dei media anticattolici (ritenendo che questo sia un dovere di “dialogo” e di “apertura al mondo di oggi” secondo l’indirizzo pastorale del Concilio e ancora più del Papa attuale), allora il danno che si fa all’autentica pastorale è immenso, perché ai fedeli arrivano solo messaggi ambigui, quando non addirittura mistificatori. 

    È comprensibile - anche se non accettabile, perché contrario alle regole di un vero dialogo, senza secondi fini – che i massoni, i materialisti dialettici e i nichilisti vogliano spacciare per fatti reali, documentabili, quello che altro non è se non il loro sogno, ossia l’auto-distruzione della Chiesa cattolica mediante l’accantonamento dei dogmi e della dottrina morale, fino all’equiparazione della fede cristiana a ogni altra fede e persino all’ateismo; meno comprensibile è che chi ha il dovere istituzionale di orientare l’opinione pubblica intra-ecclesiale contribuisca a trasmettere ai fedeli il messaggio  che papa Francesco, con le sue  direttive dottrinali e disciplinari, stia attuando una radicale riforma della Chiesa, riforma che porterà a non condannare più alcun errore dottrinale o pratico e a considerare buone e giuste tutte le opzioni esistenziali, compresa l’irreligiosità e l’ateismo.  

    Sarebbe come a dire che la Chiesa intende riformarsi proprio nel senso inteso dai suoi nemici di sempre, i quali intendono il dialogo di papa Francesco con loro come una resa senza condizioni, come la piena accettazione  della loro denuncia della Chiesa come sistema di potere oscurantista, nemico del progresso e della libertà di coscienza. In parole povere, il messaggio che arriva ai fedeli è che la Chiesa, con papa Francesco, rinnega il suo Credo e la sua Tradizione e rinuncia alla sua stessa ragion d’essere, che è di proclamare il messaggio soprannaturale della salvezza in Cristo Gesù. Logicamente, chi crede nell’indefettibilità della Chiesa sa che questo è impossibile, e comprende bene che tutti gli argomenti di fatto avanzati dai media anticattolici a favore di questa tesi sono falsi, non sono altro che interpretazioni abusive o addirittura fantasiose di atteggiamenti e di parole pronunciate da papa Francesco in occasioni diverse e con interlocutori diversi: atteggiamenti e parole la cui opportunità ed efficacia pastorale possono non risultare evidenti, ma che sono indubbiamente ispirati dal proposito di perseguire i fini propri della Chiesa di Cristo. Così, in coscienza, penso io e così ritengo che debba pensare ogni fedele che nutra sentimenti di devozione per il Vicario di Cristo e doveroso rispetto per la persona del Papa, chiunque egli sia. 

    Ma, per tutto quello che ho detto, ai comuni fedeli non conviene fidarsi, in questa materia, nemmeno dei media ufficialmente cattolici. L’attenzione prestata ai discorsi del Papa e il modo nel quale questi vengono commentati  da parte dei giornali, dalle riviste e dalle emittenti che si presentano come “di ispirazione cattolica” sono evidentemente materia di libera scelta religiosa e professionale, ma in nessun caso possono prescindere dai dettami della coscienza, perché è dovere di ogni credente, nella Chiesa, di contribuire al bene comune, ossia alla vita di fede del Popolo di Dio. Nell’interesse del popolo di Dio, che ha diritto a essere orientato dai suoi Pastori,  bisogna che tutti contribuiscano, appunto, a orientare, ossia a indirizzare la mente e il cuore dei credenti all’Oriente che è Cristo. 

    Se l’operato del Papa viene presentato come l’espressione di una “corrente” all’interno della Chiesa (quella dei progressisti, dei riformatori, degli antidogmatici), o peggio ancora come l’imposizione a tutta la Chiesa di un “carisma”  particolare e di una specifica “via” spirituale (quella dei gesuiti), non si fa giustizia della funzione propria del papato: il Santo Padre è il padre di tutti, e il suo “carisma” gli impone di riconoscere e promuovere tutti i “carismi” che lo Spirito suscita nella Chiesa, ossia le diverse spiritualità degli ordini e delle congregazioni religiose, dei movimenti e delle associazioni laicali, così come i diversi riti liturgici e le diverse tradizioni pastorali delle Chiese locali in Occidente e in Oriente. 

    Certamente, egli ha tutto il diritto di sentirsi «orgogliosamente gesuita» (come ha detto recentemente nella chiesa del Gesù a Roma) e di optare per forme di pastorale che si ispirano a sant’Ignazio: ma se si presentano le scelte personali del Papa come se con questo egli intendesse stabilire nuove regole, anche canoniche, valide per tutta la Chiesa, appiattisce la figura del Papa al livello delle beghe clericali. Si ricasca così nell’errore funesto di spacciare l’opinabile per dogmatico, il che poi conduce, nella coscienza dei fedeli, a quella relativizzazione dell’assoluto che consegue all’assolutizzazione del relativo. Per questo disapprovo la replica di Introvigne a Palmaro pubblicata dalla Bussola Quotidiana; e per questo disapprovo anche la campagna che sta portando avanti da mesi il gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, il quale, oltre a chiedere e ottenere un’intervista esclusiva di papa Francesco alla sua rivista (presentandola come una specie di enciclica programmatica del pontificato),  ne ha poi fatto una personale esegesi in più di un’occasione, fino alla pubblicazione di un volume di vari autori tradotto in varie lingue e pubblicato, oltre che in Italia, anche in Francia e in America. Successivamente, ha continuato a fare l’esegeta ufficiale del papa gesuita con l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (cfr Antonio Spadaro, «Evangelii gaudium: radici, struttura e significato ella prima Esortazione apostolica di Papa Francesco», in La civiltà cattolica, n. 3923, 7 dicembre 2013, pp. 417-433), presentandola come espressione genuina della tradizione teologico-morale dei gesuiti, cosa che viene più avanti confermata, nel medesimo fascicolo della rivista, da un articolo del gesuita Brian O’Leary, intitolato «Il vocabolario spirituale di Pietro Favre», il gesuita recentemente canonizzato da papa Bergoglio (pp. 459-472). 

    Tutto ciò non contribuisce a orientare i fedeli ma li disorienta definitivamente. Se la scelta (opzione prudenziale) di una determinata spiritualità o l’adozione di una determinata prassi pastorale vengono ideologizzate, tramutate nella dottrina teologica con la quale si intende ri-formare la Chiesa e ri-formulare i dogmi, allora non c’è modo di evitare che alcuni fedeli esaltino il Papa come artefice di quella riforma radicale o rivoluzione che certi pretesi teologi (a cominciare da Enzo Bianchi) auspicano, suscitando la scomposta reazione di altri (giustamente definiti “reazionari”) che finiscono addirittura per temere che il papa non garantisca più l’ortodossia. Pietro Prini parlava molti anni fa di uno «scisma sommerso», alludendo al distacco di gran parte dei comuni fedeli dalla dottrina dogmatica e morale della Chiesa; ora il conflitto tra cattolici dell’una e dell’altra fazione  (un conflitto così ideologico da ricordare gli «opposti estremismi» della politica italiana degli anni Settanta) può degenerare in un moltiplicarsi di scismi conclamati (già c’è stato l’episodio doloroso della Fraternità di san Pio X). 

    Meglio allora, come ho detto, lasciar perdere le tante interpretazioni delle intenzioni del Papa che certi malintenzionati impongono all’opinione pubblica cattolica manipolando il contenuto dei suoi discorsi: ci si attenga ai suoi insegnamenti ufficiali, e certamente si vedrà che – al di là di iniziative di “dialogo” che possono essere imprudenti o accenni ad argomenti dottrinali che possono risultare ambigui – i capisaldi della dottrina cristiana non sono minacciati e ogni riforma pastorale della Chiesa sarà, come insegnato da Benedetto XVI, una «riforma nella continuità». E per i fedeli comuni, giustamente non interessati a nomine, sostituzioni e deposizioni in campo ecclesiastico, è quanto basta.

    PAPA E GESUITI, INTROVIGNE PRECISA





     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 06/04/2014 23:22





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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