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DIFENDERE LA VERA FEDE

ATTENZIONE IL PAPA RIBADISCE "NO" COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI

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    Caterina63
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    00 22/10/2013 21:43



    Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i sacramenti

    La forza della grazia

    Dopo l'annuncio di un sinodo straordinario che si terrà nell'ottobre del 2014 sulla pastorale della famiglia, si sono succeduti interventi diversi, in particolare circa la questione dei fedeli divorziati risposati. Per approfondire con serenità il tema, che è sempre più urgente, dell'accompagnamento pastorale di questi fedeli in coerenza con la dottrina cattolica, pubblichiamo un ampio contributo dell'arcivescovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

    di Gerhard Ludwig, cardinale, Müller

    Lo studio della problematica dei fedeli che hanno contratto un nuovo legame civile dopo un divorzio non è nuovo ed è sempre stato condotto con grande serietà dalla Chiesa con l'intento di aiutare le persone coinvolte, dal momento che il matrimonio è un sacramento che raggiunge in maniera particolarmente profonda la realtà personale, sociale e storica dell'uomo. Dato il crescente numero di persone coinvolte nei Paesi di antica tradizione cristiana si tratta di un problema pastorale di vasta portata. Oggi i credenti si chiedono molto seriamente: non può la Chiesa consentire, a determinate condizioni, l'accesso ai sacramenti per i fedeli divorziati risposati? Rispetto a tale questione la Chiesa ha le mani legate per sempre? I teologi hanno davvero considerato tutte le implicazioni e le conseguenze in merito a questa materia?
        Tali questioni devono essere trattate in conformità con la dottrina cattolica sul matrimonio. Una pastorale pienamente responsabile presuppone una teologia che si abbandoni a Dio che si rivela "prestandogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa" (concilio Vaticano II, costituzione dogmatica Dei verbum, n. 5). Per rendere comprensibile l'autentico insegnamento della Chiesa dobbiamo procedere a partire dalla Parola di Dio che è contenuta nella Sacra Scrittura, illustrata nella Tradizione della Chiesa e interpretata in maniera vincolante dal Magistero.

    La testimonianza della Scrittura

    Non è scevro di problematicità il fatto di porre immediatamente la nostra questione nell'ambito dell'Antico Testamento, in quanto il matrimonio non era ancora considerato allora come un sacramento. La Parola di Dio nell'Antico Testamento è tuttavia significativa rispetto a ciò anche per noi, dal momento che Gesù si colloca in questa tradizione e argomenta a partire da essa. Nel Decalogo si trova il comandamento "Non commettere adulterio" (Esodo, 20, 14), ma altrove il divorzio è considerato possibile. Secondo Deuteronomio, 24, 1-4, Mosè stabilisce che un uomo può rilasciare alla moglie un libello di ripudio e la può mandar via dalla sua casa se questa non trova più grazia ai suoi occhi. In conseguenza di ciò, l'uomo e la donna possono risposarsi. Accanto alla concessione del divorzio, tuttavia, nell'Antico Testamento si trova anche un certo disagio verso questa prassi. Come l'ideale della monogamia, così anche l'ideale della indissolubilità viene compreso nel confronto che i profeti istituiscono tra l'alleanza di Jahwè con Israele e il legame matrimoniale.
    Il profeta Malachia esprime con chiarezza tutto ciò: "Nessuno tradisca la donna della sua giovinezza (...) la donna legata a te da un patto" (Malachia, 2, 14-15).

        Furono soprattutto le controversie con i farisei a dare a Gesù l'occasione di occuparsi del tema. Egli prese espressamente le distanze dalla prassi veterotestamentaria del divorzio, che Mosè aveva permesso a causa della "durezza del cuore" degli uomini, e rinviò invece alla volontà originaria di Dio: "Ma all'inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola (...) Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto" (Marco, 10, 5-9; cfr. Matteo, 19, 4-9; Luca, 16, 18).
        La Chiesa cattolica, nel suo insegnamento e nella sua prassi, si è costantemente riferita alle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. Il patto che unisce intimamente e reciprocamente i due coniugi è istituito da Dio stesso. Si tratta quindi di una realtà che viene da Dio e non è più nella disponibilità degli uomini.
    Oggi, alcuni esegeti affermano che questi detti del Signore avrebbero riscontrato già nei tempi apostolici una certa flessibilità nell'applicazione: e precisamente, nel caso della pornèia (fornicazione, cfr. Matteo, 5, 32; 19, 9) e nel caso della separazione tra un partner cristiano e uno non cristiano (cfr. 1 Corinzi, 7, 12-15). Le clausole sulla fornicazione sono state oggetto di controversa discussione fin da subito in campo esegetico. Molti sono convinti che non si tratti di eccezioni rispetto all'indissolubilità del matrimonio, ma piuttosto di legami matrimoniali invalidi. In ogni caso, la Chiesa non può basare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche controverse. Essa si deve attenere al chiaro insegnamento di Cristo.
       
    Paolo stabilisce che il divieto di divorzio è un'espressa volontà di Cristo: "Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - e qualora si separi rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito - e il marito non ripudi la moglie" (1 Corinzi, 7, 10-11). Allo stesso tempo, basandosi sulla propria autorità, Paolo concede che un non cristiano possa separarsi dal suo partner diventato cristiano. In questo caso il cristiano non è più "soggetto a schiavitù", non è più costretto cioè a rimanere non-sposato (1 Corinzi, 7, 12-16).

        A partire da questa posizione, la Chiesa ha riconosciuto che solo il matrimonio tra un uomo e una donna battezzati è sacramento in senso proprio e solo per questi vale l'indissolubilità incondizionata. Il matrimonio dei non battezzati è infatti ordinato all'indissolubilità, ma può comunque essere sciolto in determinate circostanze - a causa di un maggior bene (privilegium Paulinum). Non si tratta dunque di una eccezione al detto del Signore: l'indissolubilità del matrimonio sacramentale, del matrimonio nell'ambito del mistero di Cristo, rimane.
        Di grande significato per il fondamento biblico della comprensione sacramentale del matrimonio è la Lettera agli Efesini, in cui si afferma: "Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (5, 25). E un po' oltre l'Apostolo scrive: "Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola. Questo è un grande mistero; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (5, 31-32). Il matrimonio cristiano è un segno efficace dell'alleanza di Cristo e della Chiesa. Il matrimonio tra battezzati è un sacramento perché contrassegna e media la grazia di questo patto.

     



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 22/10/2013 21:45

    La testimonianza della Tradizione della Chiesa

    I Padri della Chiesa e i concili costituiscono successivamente una importante testimonianza per lo sviluppo della posizione ecclesiastica. Secondo i Padri le istruzioni bibliche sono vincolanti. Essi ricusano le leggi civili sul divorzio ritenendole incompatibili con la richiesta di Gesù. La Chiesa dei Padri, in obbedienza al Vangelo, ha respinto il divorzio e il secondo matrimonio; rispetto a tale questione la testimonianza dei Padri è inequivocabile.
        Nell'epoca patristica i credenti separati che si erano risposati civilmente non venivano riammessi ai sacramenti nemmeno dopo un periodo di penitenza. Alcuni testi patristici lasciano intendere che gli abusi non venivano sempre rigorosamente respinti e che a volte sono state cercate soluzioni pastorali per rarissimi casi limite.

        Più tardi e in alcune zone, soprattutto a causa della crescente interdipendenza tra Chiesa e Stato, si pervenne a più grandi compromessi. In oriente questo sviluppo ha proseguito il suo corso e ha portato, soprattutto dopo la separazione dalla cattedra di Pietro, a una prassi sempre più liberale. Oggi nelle Chiese ortodosse esiste una varietà di cause per il divorzio, che sono solitamente giustificate con riferimento alla oikonomìa, la clemenza pastorale per i singoli casi difficili, e aprono la strada a un secondo o terzo matrimonio con carattere penitenziale. Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio, e ciò rappresenta certamente una questione ecumenica da non sottovalutare.

        In occidente, la riforma gregoriana ha contrastato le tendenze di liberalizzazione e ha riproposto l'originaria concezione delle Scritture e dei Padri. La Chiesa cattolica ha difeso l'assoluta indissolubilità del matrimonio anche a costo di grandi sacrifici e sofferenze. Lo scisma della "Chiesa di Inghilterra", separatasi dal successore di Pietro, è avvenuto non a causa di differenze dottrinali, ma perché il Papa, in obbedienza alla parola di Gesù, non poteva assecondare la richiesta del re Enrico VIII circa lo scioglimento del suo matrimonio.

        Il concilio di Trento ha confermato la dottrina dell'indissolubilità del matrimonio sacramentale e ha chiarito che essa corrisponde all'insegnamento del Vangelo (cfr. Denzinger-Hünermann, 1807). Talvolta si sostiene che la Chiesa abbia di fatto tollerato la pratica orientale, ma ciò non corrisponde al vero. I canonisti hanno sempre parlato di una prassi abusiva, e vi sono testimonianze circa alcuni gruppi di cristiani ortodossi che, divenuti cattolici, dovettero firmare una confessione di fede in cui si faceva esplicito riferimento alla impossibilità della celebrazione di seconde o terze nozze.
        Il concilio Vaticano II ha riproposto una dottrina teologicamente e spiritualmente profonda del matrimonio nella costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, esponendo con chiarezza anche il principio della sua indissolubilità. Il matrimonio è inteso come una completa comunione corporale e spirituale di vita e di amore tra uomo e donna, che si donano e si accolgono l'un l'altro in quanto persone. Attraverso l'atto personale e libero del reciproco consenso viene fondata per diritto divino un'istituzione stabile, ordinata al bene dei coniugi e della prole, e non dipendente dall'arbitrio dell'uomo: "Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità" (n. 48).

        Per mezzo del sacramento Dio concede ai coniugi una grazia speciale: "Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo così ora il salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione" (ibidem).

        Mediante il sacramento l'indissolubilità del matrimonio racchiude un nuovo, più profondo significato: essa diventa l'immagine dell'amore di Dio per il suo popolo e della fedeltà irrevocabile di Cristo alla sua Chiesa.     È possibile comprendere e vivere il matrimonio come sacramento solo nell'ambito del mistero di Cristo. Se si secolarizza il matrimonio o se lo si considera come realtà puramente naturale rimane come impedito l'accesso alla sua sacramentalità. Il matrimonio sacramentale appartiene all'ordine della grazia e viene inserito nella definitiva comunione di amore di Cristo con la sua Chiesa. I cristiani sono chiamati a vivere il loro matrimonio nell'orizzonte escatologico della venuta del regno di Dio in Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato.



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 22/10/2013 21:51

    La testimonianza del Magistero in epoca recente

    Con il testo tutt'oggi fondamentale dell'esortazione apostolica Familiaris consortio, pubblicata da Giovanni Paolo II il 22 novembre 1981 dopo il Sinodo dei vescovi sulla famiglia cristiana nel mondo contemporaneo, è stato espressamente confermato l'insegnamento dogmatico della Chiesa sul matrimonio.
    Dal punto di vista pastorale l'esortazione post-sinodale si è occupata anche della cura dei fedeli risposati con rito civile, ma che sono ancora vincolati da un matrimonio valido per la Chiesa. Il Papa ha dimostrato un'alta misura di premura e di attenzione.

        Al n. 84 ("I divorziati risposati") vengono esposti i seguenti principi:

        1. I pastori in cura d'anime sono obbligati per amore della verità "a ben discernere le diverse situazioni". Non è possibile valutare tutto e tutti allo stesso modo.
        2. I pastori e le comunità sono tenuti ad aiutare "con sollecita carità" i fedeli interessati; anch'essi infatti appartengono alla Chiesa, hanno il diritto alla cura pastorale e devono poter partecipare alla vita della Chiesa.
        3. L'ammissione all'eucaristia non può tuttavia essere loro concessa. In relazione a questo viene addotto un duplice motivo:
    a) "il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'eucaristia";
    b) "se si ammettessero queste persone all'eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio".
    Una riconciliazione mediante il sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo sulla base del pentimento rispetto a quanto accaduto, e sulla disponibilità "a una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio". Ciò comporta, in concreto, che quando la nuova unione non può essere sciolta per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - entrambi i partner "assumono l'impegno di vivere in piena continenza".

       
    4. Per motivi teologico-sacramentali, e non per una costrizione legalistica, al clero è espressamente fatto divieto, fintanto che sussiste la validità del primo matrimonio, di porre in atto "cerimonie di qualsiasi genere" a favore dei divorziati che si risposano civilmente.  

        La Lettera della Congregazione per la dottrina della fede circa la recezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994 ha confermato che la prassi della Chiesa su questo tema "non può essere modificata in base alle differenti situazioni" (n. 5).
    Si chiarisce, inoltre, che i credenti interessati non devono accostarsi alla santa Comunione sulla base del loro giudizio di coscienza: "Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori (...) hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa" (n. 6).
    In caso di dubbi circa la validità di un matrimonio fallito, questi devono essere verificati dagli organi giudiziari competenti in materia matrimoniale (cfr. n. 9).

        Rimane di fondamentale importanza fare "con sollecita carità tutto quanto può fortificare nell'amore di Cristo e della Chiesa i fedeli che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Solo così sarà possibile per loro accogliere pienamente il messaggio del matrimonio cristiano e sopportare nella fede la sofferenza della loro situazione. Nell'azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l'indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore" (n. 10).

        Nell'esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis del 22 febbraio 2007 Benedetto XVI riprende e rilancia il lavoro del precedente sinodo dei vescovi sull'eucaristia. Egli giunge a parlare della situazione dei fedeli divorziati risposati al n. 29, ove non esita a definirla "un problema pastorale spinoso e complesso". Benedetto XVI ribadisce "la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Marco, 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati", ma scongiura addirittura i pastori a dedicare "speciale attenzione" nei confronti delle persone interessate "nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa messa, pur senza ricevere la comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli". Viene ribadito che, in caso di dubbi circa la validità della comunione di vita matrimoniale che si è interrotta, questi devono essere esaminati attentamente dai tribunali competenti in materia matrimoniale.

        La mentalità contemporanea si pone piuttosto in contrasto con la comprensione cristiana del matrimonio, specialmente rispetto alla sua indissolubilità e all'apertura alla vita. Poiché molti cristiani sono influenzati da tale contesto culturale, i matrimoni sono probabilmente più spesso invalidi ai nostri giorni di quanto non lo fossero in passato, perché è mancante la volontà di sposarsi secondo il senso della dottrina matrimoniale cattolica e anche l'appartenenza a un contesto vitale di fede è molto ridotta. Pertanto, una verifica della validità del matrimonio è importante e può portare a una soluzione dei problemi.
        Laddove non è possibile riscontrare una nullità del matrimonio, è possibile l'assoluzione e la comunione eucaristica se si segue l'approvata prassi ecclesiale che stabilisce di vivere insieme "come amici, come fratello e sorella".

    Le benedizioni di legami irregolari sono "da evitare in ogni caso (...) perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio". La benedizione (bene-dictio: approvazione da parte di Dio) di un rapporto che si contrappone alla volontà divina è da ritenersi una contraddizione in sé.     Nell'omelia pronunciata a Milano il 3 giugno 2012, in occasione del settimo Incontro mondiale delle famiglie, Benedetto XVI è tornato a parlare di questo doloroso problema: "Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza".

        L'ultimo sinodo dei vescovi sul tema "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana" (7-28 ottobre 2012) si è nuovamente occupato della situazione dei fedeli che, in seguito al fallimento della comunione di vita matrimoniale - non il fallimento del matrimonio, che sussiste in quanto sacramento - hanno iniziato una nuova unione e convivono senza il vincolo sacramentale del matrimonio. Nel messaggio finale i Padri sinodali si sono rivolti con queste parole ai fedeli coinvolti: "A tutti costoro vogliamo dire che l'amore del Signore non abbandona nessuno, che anche la Chiesa li ama ed è casa accogliente per tutti, che essi rimangono membra della Chiesa anche se non possono ricevere l'assoluzione sacramentale e l'eucaristia. Le comunità cattoliche siano accoglienti verso quanti vivono in tali situazioni e sostengano cammini di conversione e di riconciliazione".




    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    00 22/10/2013 21:53

    Considerazioni antropologiche e teologico-sacramentali

    La dottrina sulla indissolubilità del matrimonio incontra spesso incomprensione in un ambiente secolarizzato. Laddove si sono smarrite le ragioni fondamentali della fede cristiana, una mera appartenenza convenzionale alla Chiesa non è più in grado di guidare a scelte di vita importanti e di offrire alcun supporto nelle crisi dello stato matrimoniale - come anche del sacerdozio e della vita consacrata. Molti si chiedono: come posso io legarmi per tutta la vita a una sola donna / a un solo uomo? Chi può dirmi come sarà tra dieci, venti, trenta, quaranta anni di matrimonio? È poi effettivamente possibile un legame definitivo con una sola persona?

    Le molte esperienze di comunione matrimoniale che oggi si spezzano rafforzano lo scetticismo dei giovani nei confronti delle decisioni definitive della vita.

        D'altra parte, l'ideale della fedeltà tra un uomo e una donna, fondato sull'ordine della creazione, non ha perso alcunché del suo fascino, come evidenziano le recenti inchieste tra i giovani. La maggior parte di loro aspira a una relazione stabile e duratura, in quanto ciò corrisponderebbe anche alla natura spirituale e morale dell'uomo. Inoltre va ricordato il valore antropologico del matrimonio indissolubile: esso sottrae i coniugi dall'arbitrio e dalla tirannia dei sentimenti e degli stati d'animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà personali e a superare le esperienze dolorose; protegge soprattutto i figli, che patiscono la maggior sofferenza dalla rottura dei matrimoni.


        L'amore è qualcosa più del sentimento e dell'istinto; nella sua essenza è dedizione. Nell'amore coniugale due persone si dicono l'un l'altro consapevolmente e volontariamente: solo te - e te per sempre. La parola del Signore: "Quello che Dio ha congiunto..." corrisponde alla promessa della coppia: "Io accolgo te come mio sposo (...) ti accolgo come mia sposa (...) Voglio amarti e onorarti finché vivo, fino a quando la morte non ci separi". Il sacerdote benedice il patto che i coniugi hanno stipulato tra loro davanti a Dio. Chiunque avesse dei dubbi sul fatto che il vincolo matrimoniale abbia qualità ontologica, può lasciarsi istruire dalla Parola di Dio: "In principio Dio creò l'uomo e la donna. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne" (Matteo, 19, 4-6).

        Per i cristiani vale il fatto che il matrimonio dei battezzati, incorporati nel Corpo di Cristo, ha un carattere sacramentale e rappresenta, quindi, una realtà soprannaturale. Uno dei più gravi problemi pastorali consiste nel fatto che molti, oggi, giudicano il matrimonio esclusivamente secondo criteri mondani e pragmatici. Chi pensa secondo lo "spirito del mondo" (1 Corinzi, 2, 12) non può comprendere la sacramentalità del matrimonio. Alla crescente mancanza di comprensione circa la santità del matrimonio, la Chiesa non può rispondere con un adeguamento pragmatico a ciò che appare inevitabile, ma solo con la fiducia nello "Spirito di Dio, perché possiamo conoscere ciò che Dio ci ha donato" (1 Corinzi, 2, 12). Il matrimonio sacramentale è una testimonianza della potenza della grazia che trasforma l'uomo e prepara tutta la Chiesa per la città santa, la nuova Gerusalemme, la Chiesa stessa, pronta "come una sposa adorna per il suo sposo" (Apocalisse, 21, 2).

        Il Vangelo della santità del matrimonio va annunciato con audacia profetica. Un profeta tiepido cerca nell'adeguamento allo spirito dei tempi la sua propria salvezza, ma non la salvezza del mondo in Gesù Cristo. La fedeltà alle promesse del matrimonio è un segno profetico della salvezza che Dio dona al mondo: "chi può capire, capisca" (Matteo, 19, 12). L'amore coniugale viene purificato, rafforzato e accresciuto dalla grazia sacramentale: "Questo amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio" (Gaudium et spes, n. 49). Gli sposi dunque, partecipando in forza del sacramento del matrimonio all'amore definitivo e irrevocabile di Dio, possono in ragione di ciò essere testimoni dell'amore fedele di Dio, nutrendo costantemente il loro amore attraverso una vita di fede e di carità.

        Certo, ci sono situazioni - ogni pastore lo sa - in cui la convivenza matrimoniale diventa praticamente impossibile a causa di gravi motivi, come ad esempio in caso di violenza fisica o psichica. In queste dolorose situazioni la Chiesa ha sempre permesso che i coniugi si potessero separare e non vivessero più insieme. Va precisato, tuttavia, che il vincolo coniugale di un matrimonio validamente celebrato rimane stabile davanti a Dio e le singole parti non sono libere di contrarre un nuovo matrimonio finché l'altro coniuge è in vita. I pastori e le comunità cristiane si devono perciò adoperare nel promuovere in ogni modo la riconciliazione anche in questi casi oppure, quando ciò non è possibile, nell'aiutare le persone coinvolte ad affrontare nella fede la propria difficile situazione.



    Fraternamente CaterinaLD

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    Caterina63
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    00 22/10/2013 21:58

    Annotazioni teologico-morali

    Sempre più spesso viene suggerito che la decisione di accostarsi o meno alla comunione eucaristica dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale dei divorziati risposati. Questo argomento, che si basa su un concetto problematico di "coscienza", è già stato respinto nella lettera della Congregazione del 1994. Certo, in ogni celebrazione della messa i fedeli sono tenuti a verificare nella loro coscienza se è possibile ricevere la comunione, possibilità a cui l'esistenza di un peccato grave non confessato sempre si oppone. Essi hanno pertanto l'obbligo di formare la propria coscienza e di tendere alla verità; a tal fine possono ascoltare nell'obbedienza il magistero della Chiesa, che li aiuta "a non sviarsi dalla verità circa il bene dell'uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa" (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, n. 64).

        Se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale. Il matrimonio non riguarda solo il rapporto tra due persone e Dio, ma è anche una realtà della Chiesa, un sacramento, sulla cui validità non solamente il singolo per se stesso, ma la Chiesa, in cui egli mediante la fede e il Battesimo è incorporato, è tenuta a decidere. "Se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione non può essere considerata lecita in alcun caso, per il fatto che la recezione dei Sacramenti non si può basare su ragioni interiori. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma" (cardinale Joseph Ratzinger, La pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità, "L'Osservatore Romano", 30 novembre 2011, pagine 4-5).

        Anche la dottrina dell'epichèia, secondo la quale una legge vale sì in termini generali, ma non sempre l'azione umana vi può corrispondere totalmente, non può essere applicata in questo caso, perché l'indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino, che non è dunque nella disponibilità autoritativa della Chiesa. Questa ha, tuttavia, il pieno potere - sulla linea del privilegio paolino - di chiarire quali condizioni devono essere soddisfatte prima che un matrimonio possa definirsi indissolubile secondo il senso attribuitogli da Gesù. Su questa base, la Chiesa ha stabilito gli impedimenti al matrimonio che sono motivo di nullità matrimoniale e ha messo a punto una dettagliata procedura processuale.

        Un'ulteriore tendenza a favore dell'ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti è quella che invoca l'argomento della misericordia. Poiché Gesù stesso ha solidarizzato con i sofferenti donando loro il suo amore misericordioso, la misericordia sarebbe quindi un segno speciale dell'autentica sequela. Questo è vero, ma è un argomento debole in materia teologico-sacramentaria, anche perché tutto l'ordine sacramentale è esattamente opera della misericordia divina e non può essere revocato richiamandosi allo stesso principio che lo sostiene.   

      Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell'immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia.

    Gesù ha incontrato la donna adultera con grande compassione, ma le ha anche detto: "Va', e non peccare più" (Giovanni, 8, 11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa; anzi, essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per il rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste.

    La cura pastorale

    Anche se, per l'intima natura dei sacramenti, l'ammissione a essi dei divorziati risposati non è possibile, a favore di questi fedeli si devono rivolgere ancora di più gli sforzi pastorali, per quanto questi debbano rimanere in dipendenza dalle norme derivanti dalla Rivelazione e dalla dottrina della Chiesa. Il percorso indicato dalla Chiesa per le persone direttamente interessate non è semplice, ma queste devono sapere e sentire che la Chiesa accompagna il loro cammino come una comunità di guarigione e di salvezza. Con il loro impegno a comprendere la prassi ecclesiale e a non accostarsi alla comunione, i partner si pongono a loro modo quali testimoni della indissolubilità del matrimonio.
        La cura per i divorziati risposati non dovrebbe certamente ridursi alla questione della recezione dell'eucaristia. Si tratta di una pastorale globale che cerca di soddisfare il più possibile le esigenze delle diverse situazioni. È importante ricordare, in proposito, che oltre alla comunione sacramentale ci sono altri modi di entrare in comunione con Dio.

        L'unione con Dio si raggiunge quando ci si rivolge a lui nella fede, nella speranza e nella carità, nel pentimento e nella preghiera. Dio può donare la sua vicinanza e la sua salvezza alle persone attraverso diverse strade, anche se esse si trovano a vivere in situazioni contraddittorie. Come rimarcano costantemente i recenti documenti del Magistero, i pastori e le comunità cristiane sono chiamate ad accogliere con apertura e cordialità le persone che vivono in situazioni irregolari, per essere loro accanto con empatia, con l'aiuto fattivo e per far loro sentire l'amore del Buon Pastore. Una cura pastorale fondata sulla verità e sull'amore troverà sempre e nuovamente in questo campo le strade da percorrere e le forme più giuste.



    (©L'Osservatore Romano 23 ottobre 2013)

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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 02/11/2013 14:21

    La pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità


     


     

    A proposito di alcune obiezioni contro la dottrina della Chiesa circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati.

     



    Nel 1998 il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, introdusse il volume intitolato Sulla pastorale dei divorziati risposati, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in una collana del dicastero («Documenti e Studi», 17). Per l’attualità e l’ampiezza di prospettive di questo scritto poco conosciuto, ne riproponiamo la terza parte, con l’aggiunta di tre note. Il testo è disponibile sul sito del nostro giornale (www.osservatoreromano.va), oltre che in italiano, anche in francese, inglese, portoghese, spagnolo e tedesco.
     
    La Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994 ha avuto una vivace eco in diverse parti della Chiesa. Accanto a molte reazioni positive si sono udite anche non poche voci critiche. Le obiezioni essenziali contro la dottrina e la prassi della Chiesa sono presentate qui di seguito in forma per altro semplificata.

     
    Alcune obiezioni più significative — soprattutto il riferimento alla prassi ritenuta più flessibile dei Padri della Chiesa, che ispirerebbe la prassi delle Chiese orientali separate da Roma, così come il richiamo ai principi tradizionali dell’epikèia e della aequitas canonica — sono state studiate in modo approfondito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Gli articoli dei professori Pelland, Marcuzzi e Rodriguez Luño (1) sono stati elaborati nel corso di questo studio. I risultati principali della ricerca, che indicano la direzione di una risposta alle obiezioni avanzate, saranno ugualmente qui brevemente riassunti. 
     
    1. Molti ritengono, adducendo alcuni passi del Nuovo Testamento, che la parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio permetta un’applicazione flessibile e non possa essere classificata in una categoria rigidamente giuridica. 
    Alcuni esegeti rilevano criticamente che il Magistero in relazione all’indissolubilità del matrimonio citerebbe quasi esclusivamente una sola pericope — e cioè Marco, 10, 11-12 — e non considererebbe in modo sufficiente altri passi del Vangelo di Matteo e della prima Lettera ai Corinzi. Questi passi biblici menzionerebbero una qualche “eccezione” alla parola del Signore sull’indissolubilità del matrimonio, e cioè nel caso di pornèia (Matteo, 5, 32; 19, 9) e nel caso di separazione a motivo della fede (1 Corinzi, 7, 12-16). Tali testi sarebbero indicazioni che i cristiani in situazioni difficili avrebbero conosciuto già nel tempo apostolico un’applicazione flessibile della parola di Gesù.
     
    A questa obiezione si deve rispondere che i documenti magisteriali non intendono presentare in modo completo ed esaustivo i fondamenti biblici della dottrina sul matrimonio. Essi lasciano questo importante compito agli esperti competenti. Il Magistero sottolinea però che la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio deriva dalla fedeltà nei confronti della parola di Gesù. Gesù definisce chiaramente la prassi veterotestamentaria del divorzio come una conseguenza della durezza di cuore dell’uomo. Egli rinvia — al di là della legge — all’inizio della creazione, alla volontà del Creatore, e riassume il suo insegnamento con le parole: «L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 9). Con la venuta del Redentore il matrimonio viene quindi riportato alla sua forma originaria a partire dalla creazione e sottratto all’arbitrio umano — soprattutto all’arbitrio del marito, per la moglie infatti non vi era in realtà la possibilità del divorzio. La parola di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio è il superamento dell’antico ordine della legge nel nuovo ordine della fede e della grazia. Solo così il matrimonio può rendere pienamente giustizia alla vocazione di Dio all’amore ed alla dignità umana e divenire segno dell’alleanza di amore incondizionato di Dio, cioè «Sacramento» (cfr. Efesini, 5, 32).
     
    La possibilità di separazione, che Paolo prospetta in 1 Corinzi, 7, riguarda matrimoni fra un coniuge cristiano e uno non battezzato. La riflessione teologica successiva ha chiarito che solo i matrimoni tra battezzati sono «sacramento» nel senso stretto della parola e che l’indissolubilità assoluta vale solo per questi matrimoni che si collocano nell’ambito della fede in Cristo. Il cosiddetto «matrimonio naturale» ha la sua dignità a partire dall’ordine della creazione ed è pertanto orientato all’indissolubilità, ma può essere sciolto in determinate circostanze a motivo di un bene più alto — nel caso la fede. Così la sistematizzazione teologica ha classificato giuridicamente l’indicazione di san Paolo come privilegium paulinum, cioè come possibilità di sciogliere per il bene della fede un matrimonio non sacramentale. L’indissolubilità del matrimonio veramente sacramentale rimane salvaguardata; non si tratta quindi di una eccezione alla parola del Signore. Su questo ritorneremo più avanti.
     
    A riguardo della retta comprensione delle clausole sulla pornèia esiste una vasta letteratura con molte ipotesi diverse, anche contrastanti. Fra gli esegeti non vi è affatto unanimità su questa questione. Molti ritengono che si tratti qui di unioni matrimoniali invalide e non di eccezioni all’indissolubilità del matrimonio. In ogni caso la Chiesa non può edificare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche incerte. Essa deve attenersi all’insegnamento chiaro di Cristo. 
     
     
    2. Altri obiettano che la tradizione patristica lascerebbe spazio per una prassi più differenziata, che renderebbe meglio giustizia alle situazioni difficili; la Chiesa cattolica in proposito potrebbe imparare dal principio di «economia» delle Chiese orientali separate da Roma.
     
    Si afferma che il Magistero attuale si appoggerebbe solo su di un filone della tradizione patristica, ma non su tutta l’eredità della Chiesa antica. Sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in riferimento a singole situazioni difficili. Su questo fondamento le Chiese orientali separate da Roma avrebbero sviluppato più tardi accanto al principio della akribìa, della fedeltà alla verità rivelata, quello della oikonomìa, della condiscendenza benevola in singole situazioni difficili. Senza rinunciare alla dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, essi permetterebbero in determinati casi un secondo e anche un terzo matrimonio, che d’altra parte è differente dal primo matrimonio sacramentale ed è segnato dal carattere della penitenza. Questa prassi non sarebbe mai stata condannata esplicitamente dalla Chiesa cattolica. Il Sinodo dei Vescovi del 1980 avrebbe suggerito di studiare a fondo questa tradizione, per far meglio risplendere la misericordia di Dio.
     
    Lo studio di padre Pelland mostra la direzione, in cui si deve cercare la risposta a queste questioni. Per l’interpretazione dei singoli testi patristici resta naturalmente competente lo storico. A motivo della difficile situazione testuale le controversie anche in futuro non si placheranno. Dal punto di vista teologico si deve affermare:
     
    a. Esiste un chiaro consenso dei Padri a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio. Poiché questa deriva dalla volontà del Signore, la Chiesa non ha nessun potere in proposito. Proprio per questo il matrimonio cristiano fu fin dall’inizio diverso dal matrimonio della civiltà romana, anche se nei primi secoli non esisteva ancora nessun ordinamento canonico proprio. La Chiesa del tempo dei Padri esclude chiaramente divorzio e nuove nozze, e ciò per fedele obbedienza al Nuovo Testamento.
     
    b. Nella Chiesa del tempo dei Padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione dopo un tempo di penitenza. È vero invece che la Chiesa non ha sempre rigorosamente revocato in singoli Paesi concessioni in materia, anche se esse erano qualificate come non compatibili con la dottrina e la disciplina. Sembra anche vero che singoli Padri, ad esempio Leone Magno, cercarono soluzioni “pastorali” per rari casi limite.
     
    c. In seguito si giunse a due sviluppi contrapposti:
    — Nella Chiesa imperiale dopo Costantino si cercò, a seguito dell’intreccio sempre più forte di Stato e Chiesa, una maggiore flessibilità e disponibilità al compromesso in situazioni matrimoniali difficili. Fino alla riforma gregoriana una simile tendenza si manifestò anche nell’ambito gallico e germanico. Nelle Chiese orientali separate da Roma questo sviluppo continuò ulteriormente nel secondo millennio e condusse a una prassi sempre più liberale. Oggi in molte Chiese orientali esiste una serie di motivazioni di divorzio, anzi già una «teologia del divorzio», che non è in nessun modo conciliabile con le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio. Nel dialogo ecumenico questo problema deve essere assolutamente affrontato.
     
    — Nell’Occidente fu recuperata grazie alla riforma gregoriana la concezione originaria dei Padri. Questo sviluppo trovò in qualche modo una sanzione nel concilio di Trento e fu riproposto come dottrina della Chiesa nel concilio Vaticano II.
     
    La prassi delle Chiese orientali separate da Roma, che è conseguenza di un processo storico complesso, di una interpretazione sempre più liberale — e che si allontanava sempre più dalla parola del Signore — di alcuni oscuri passi patristici così come di un non trascurabile influsso della legislazione civile, non può per motivi dottrinali essere assunta dalla Chiesa cattolica. Al riguardo non è esatta l’affermazione che la Chiesa cattolica avrebbe semplicmente tollerato la prassi orientale. Certamente Trento non ha pronunciato nessuna condanna formale. I canonisti medievali nondimeno ne parlavano continuamente come di una prassi abusiva. Inoltre vi sono testimonianze secondo cui gruppi di fedeli ortodossi, che divenivano cattolici, dovevano firmare una confessione di fede con un’indicazione espressa dell’impossibilità di un secondo matrimonio. 
     
     
    3. Molti propongono di permettere eccezioni dalla norma ecclesiale, sulla base dei tradizionali principi dell’epikèia e della aequitas canonica.
     
    Alcuni casi matrimoniali, così si dice, non possono venire regolati in foro esterno. La Chiesa potrebbe non solo rinviare a norme giuridiche, ma dovrebbe anche rispettare e tollerare la coscienza dei singoli. Le dottrine tradizionali dell’epikèia e della aequitas canonica potrebbero giustificare dal punto di vista della teologia morale ovvero dal punto di vista giuridico una decisione della coscienza, che si allontani dalla norma generale. Soprattutto nella questione della recezione dei sacramenti la Chiesa dovrebbe qui fare dei passi avanti e non soltanto opporre ai fedeli dei divieti.
     
    I due contributi di don Marcuzzi e del professor Rodríguez Luño illustrano questa complessa problematica. In proposito si devono distinguere chiaramente tre ambiti di questioni:
     
    a. Epikèia ed aequitas canonica sono di grande importanza nell’ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate nell’ambito di norme, sulle quali la Chiesa non ha nessun potere discrezionale. L’indissolubilità del matrimonio è una di queste norme, che risalgono al Signore stesso e pertanto vengono designate come norme di «diritto divino». La Chiesa non può neppure approvare pratiche pastorali — ad esempio nella pastorale dei Sacramenti —, che contraddirebbero il chiaro comandamento del Signore. In altre parole: se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione in nessuna circostanza può essere considerata come conforme al diritto, e pertanto per motivi intrinseci non è possibile una recezione dei sacramenti. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma. (2)

     
    b. La Chiesa ha invece il potere di chiarire quali condizioni devono essere adempiute, perché un matrimonio possa essere considerato come indissolubile secondo l’insegnamento di Gesù. Nella linea delle affermazioni paoline in 1 Corinzi, 7 essa ha stabilito che solo due cristiani possano contrarre un matrimonio sacramentale. Essa ha sviluppato le figure giuridiche del privilegium paulinum e delprivilegium petrinum. Con riferimento alle clausole sulla pornèia in Matteo e in Atti, 15, 20 furono formulati impedimenti matrimoniali. Inoltre furono individuati sempre più chiaramente motivi di nullità matrimoniale e furono ampiamente sviluppate le procedure processuali. Tutto questo contribuì a delimitare e precisare il concetto di matrimonio indissolubile. Si potrebbe dire che in questo modo anche nella Chiesa occidentale fu dato spazio al principio della oikonomìa, senza toccare tuttavia l’indissolubilità del matrimonio come tale.
     
    In questa linea si colloca anche l’ulteriore sviluppo giuridico nel Codice di Diritto Canonico del 1983, secondo il quale anche le dichiarazioni delle parti hanno forza probante. Di per sé, secondo il giudizio di persone competenti, sembrano così praticamente esclusi i casi, in cui un matrimonio invalido non sia dimostrabile come tale per via processuale. Poiché il matrimonio ha essenzialmente un carattere pubblico-ecclesiale e vale il principio fondamentale nemo iudex in propria causa («Nessuno è giudice nella propria causa»), le questioni matrimoniali devono essere risolte in foro esterno. Qualora fedeli divorziati risposati ritengano che il loro precedente matrimonio non era mai stato valido, essi sono pertanto obbligati a rivolgersi al competente tribunale ecclesiastico, che dovrà esaminare il problema obiettivamente e con l’applicazione di tutte le possibilità giuridicamente disponibili.
     
    c. Certamente non è escluso che in processi matrimoniali intervengano errori. In alcune parti della Chiesa non esistono ancora tribunali ecclesiastici che funzionino bene. Talora i processi durano in modo eccessivamente lungo. In alcuni casi terminano con sentenze problematiche. Non sembra qui in linea di principio esclusa l’applicazione della epikèia in “foro interno”. Nella Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994 si fa cenno a questo, quando viene detto che con le nuove vie canoniche dovrebbe essere escluso «per quanto possibile» ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità oggettiva (cfr. Lettera, 9). Molti teologi sono dell’opinione che i fedeli debbano assolutamente attenersi anche in “foro interno” ai giudizi del tribunale a loro parere falsi. Altri ritengono che qui in “foro interno” sono pensabili delle eccezioni, perché nell’ordinamento processuale non si tratta di norme di diritto divino, ma di norme di diritto ecclesiale. Questa questione esige però ulteriori studi e chiarificazioni. Dovrebbero infatti essere chiarite in modo molto preciso le condizioni per il verificarsi di una “eccezione”, allo scopo di evitare arbitri e di proteggere il carattere pubblico — sottratto al giudizio soggettivo — del matrimonio. 


    4. Molti accusano l’attuale Magistero di involuzione rispetto al Magistero del Concilio e di proporre una visione preconciliare del matrimonio. 
     
    Alcuni teologi affermano che alla base dei nuovi documenti magisteriali sulle questioni del matrimonio starebbe una concezione naturalistica, legalistica del matrimonio. L’accento sarebbe posto sul contratto fra gli sposi e sullo ius in corpus. Il Concilio avrebbe superato questa comprensione statica e descritto il matrimonio in un modo più personalistico come patto di amore e di vita. Così avrebbe aperto possibilità per risolvere in modo più umano situazioni difficili. Sviluppando questa linea di pensiero alcuni studiosi pongono la domanda se non si possa parlare di «morte del matrimonio», quando il legame personale dell’amore fra due sposi non esiste più. Altri sollevano l’antica questione se il Papa non abbia in tali casi la possibilità di sciogliere il matrimonio.
     
    Chi però legga attentamente i recenti pronunciamenti ecclesiastici riconoscerà che essi nelle affermazioni centrali si fondano su Gaudium et spes e con tratti totalmente personalistici sviluppano ulteriormente sulla traccia indicata dal Concilio la dottrina ivi contenuta. È tuttavia inadeguato introdurre una contrapposizione fra la visione personalistica e quella giuridica del matrimonio. Il Concilio non ha rotto con la concezione tradizionale del matrimonio, ma l’ha sviluppata ulteriormente. Quando ad esempio si ripete continuamente che il Concilio ha sostituito il concetto strettamente giuridico di “contratto” con il concetto più ampio e teologicamente più profondo di “patto”, non si può dimenticare in proposito che anche nel “patto” è contenuto l’elemento del “contratto” pur essendo collocato in una prospettiva più ampia. Che il matrimonio vada molto al di là dell’aspetto puramente giuridico affondando nella profondità dell’umano e nel mistero del divino, è già in realtà sempre stato affermato con la parola “sacramento”, ma certamente spesso non è stato messo in luce con la chiarezza che il Concilio ha dato a questi aspetti. Il diritto non è tutto, ma è una parte irrinunciabile, una dimensione del tutto. Non esiste un matrimonio senza normativa giuridica, che lo inserisce in un insieme globale di società e Chiesa. Se il riordinamento del diritto dopo il Concilio tocca anche l’ambito del matrimonio, allora questo non è tradimento del Concilio, ma esecuzione del suo compito.
     
    Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio è morto, quando i due coniugi non si amano più, allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l’indissolubilità del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non più in modo fattuale. L’opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea. Un tale matrimonio non può essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedeltà fino alla morte.
     
    Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti — battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio — veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati èipso facto un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale «valido» fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cfr. Codex iuris canonici, can. 1055, § 2). All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di «non fede» abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi. (3) 
     
    5. Molti affermano che l’atteggiamento della Chiesa nella questione dei fedeli divorziati risposati è unilateralmente normativo e non pastorale. 
     
    Una serie di obiezioni critiche contro la dottrina e la prassi della Chiesa concerne problemi di carattere pastorale. Si dice ad esempio che il linguaggio dei documenti ecclesiali sarebbe troppo legalistico, che la durezza della legge prevarrebbe sulla comprensione per situazioni umane drammatiche. L’uomo di oggi non potrebbe più comprendere tale linguaggio. Gesù avrebbe avuto un orecchio disponibile per le necessità di tutti gli uomini, soprattutto per quelli al margine della società. La Chiesa al contrario si mostrerebbe piuttosto come un giudice, che esclude dai sacramenti e da certi incarichi pubblici persone ferite.
     
    Si può senz’altro ammettere che le forme espressive del Magistero ecclesiale talvolta non appaiano proprio come facilmente comprensibili. Queste devono essere tradotte dai predicatori e dai catechisti in un linguaggio, che corrisponda alle diverse persone e al loro rispettivo ambiente culturale. Il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve però essere mantenuto. Non può essere annacquato per supposti motivi pastorali, perché esso trasmette la verità rivelata. Certamente è difficile rendere comprensibili all’uomo secolarizzato le esigenze del Vangelo. Ma questa difficoltà pastorale non può condurre a compromessi con la verità. Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Veritatis splendor ha chiaramente respinto le soluzioni cosiddette «pastorali», che si pongono in contrasto con le dichiarazioni del Magistero (cfr. ibidem, 56).
     
    Per quanto riguarda la posizione del Magistero sul problema dei fedeli divorziati risposati, si deve inoltre sottolineare che i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verità con quelle della carità. Se in passato nella presentazione della verità talvolta la carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verità in nome della carità. Certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. «Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Giovanni, 8,32). 
     
    Note:
    1 Cfr. Ángel Rodríguez Luño, L’epicheia nella cura pastorale dei fedeli divorziati risposati, in Sulla pastorale dei divorziati risposati, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1998, («Documenti e Studi», 17), pp. 75-87; Piero Giorgio Marcuzzi, s.d.b., Applicazione di «aequitas et epikeia» ai contenuti della Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 14 settembre 1994, ibidem, pp. 88-98; Gilles Pelland, s. j.,La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati, ibidem, pp. 99-131.
     
    2 A tale riguardo vale la norma ribadita da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica postsinodaleFamiliaris consortio, n. 84: «La riconciliazione nel sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi — quali, ad esempio, l’educazione dei figli — non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”». Cfr. anche Benedetto XVI, Lettera apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, n. 29.
     
    3 Durante un incontro con il clero della diocesi di Aosta, svoltosi il 25 luglio 2005, Papa Benedetto XVI ha affermato in merito a questa difficile questione: «Particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito.
    30 novembre 2011


    Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/2013/10/la-pastorale-del-matrimonio-deve.html#ixzz2jUgTKtW9



    [Modificato da Caterina63 02/11/2013 14:22]
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    00 12/11/2013 09:25

      Dopo la precisazione di padre Lombardi, la lettera del Prefetto dell'ex Sant'Uffizio che chiede di cambiare il testo delle «linee-guida»

    ANDREA TORNIELLI
    CITTÀ DEL VATICANO

     

    Quando, all'inizio di ottobre, il documento ottenne gli onori della cronaca internazionale per le sue aperture verso i divorziati risposati, intervenne padre Federico Lombardi per precisare: «Non cambia nulla, non c'è nessuna novità per i divorziati risposati: il documento proviene infatti da un ufficio pastorale locale e non investe la responsabilità del vescovo. Si tratta di una fuga in avanti che non è ufficialmente espressione dell'autorità diocesana». Da qualche giorno sulle «linee guida» aperturiste espresse da un ufficio diocesano di Friburgo è arrivata anche la presa di distanze ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede guidata dall'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller.

    Con una lettera datata 21 ottobre e apparsa ieri sulla «Tagespost» (lo stesso quotidiano che il 15 giugno aveva pubblicato un ampio articolo del Prefetto della dottrina negativo verso possibili aperture sull'argomento divorziati risposati, ripubblicato qualche settimana fa da «L'Osservatore Romano»), l'arcivescovo Müller ha bocciato alcune posizioni espresse nel documento della diocesi di Friburgo, ancora per qualche mese guidata dal presidente uscente della conferenza episcopale tedesca Robert Zollitsch. La lettera del Prefetto è stata inviata a Zollitsch e a tutti i vescovi della Germania.

    Müller riconosce che le linee-guida pubblicate all'inizio di ottobre a Friburgo presentano «indicazioni pastorali giusti e importanti», ma allo stesso tempo utilizzano una «terminologia non chiara» e in due punti si allontanano dall'insegnamento della Chiesa. Il primo riguarda la possibilità che una coppia di divorziati risposati arrivi «responsabilmente» a una «decisione di coscienza» di accostarsi alla comunione. In questo caso, secondo gli estensori del documento, il parroco e la comunità devono rispettare questa loro decisione. Müller ribadisce che i divorziati risposati devono essere invitati a partecipare alla vita della Chiesa, ma non possono essere ammessi all'eucaristia. Il farlo creerebbe uno «smarrimento dei fedeli relativamente al magistero della Chiesa sulla indissolubilità delle nozze».

    La seconda critica riguarda la preghiera e la benedizione delle coppie di divorziati risposati. «Cerimonie di questo tipo sono state espressamente vietate da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI». Pertanto, scrive Müller, «a causa delle citate divergenze il progetto di linee-guida deve essere ritirato e rielaborato in modo che non vengano avallate vie pastorali contrarie al magistero della Chiesa».

    Era del tutto evidente fin dall'inizio che le linee guida di Friburgo, invece di aiutare, avrebbero complicato il non facile cammino della fase preparatoria del Sinodo straordinario sulla pastorale familiare. Anche su questa discussione, che il Papa vuole sia ampia e partecipata, coinvolgendo le Chiese locali, è scesa la precisazione preventiva di Müller, il quale ha ripubblicato su «L'Osservatore Romano» l'articolo nel quale - ricordando l'insegnamento della Chiesa sull'argomento - chiudeva in modo drastico su possibili aperture. Come quelle riferibili alla prassi ortodossa (che ammette la benedizione di una seconda unione per il coniuge «incolpevole» che è stato abbandonato), citata da Papa Francesco nell'intervista sul volo di ritorno da Rio de Janeiro. La ripubblicazione di quell'articolo, secondo quanto scrive la «Tagespost», sarebbe avvenuta «dopo consultazione con il Santo Padre».






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    00 14/12/2013 10:19

      Müller si spiega in buon tedesco ai ribelli di Monaco e Colonia

    Su comunione ai divorziati ed elezione dei vescovi niente da fare, dice il custode della Fede in un’intervista. Kasper non ci sta

    Nessuna volontà di bloccare il dibattito, tutt’altro. Ma l’insegnamento di Cristo e della chiesa non può essere oggetto di discussione. E’ questa la risposta che il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, monsignor Gerhard Ludwig Müller, dà al cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, che lo aveva criticato per le affermazioni sulla pastorale matrimoniale. Qualche settimana fa, infatti, nel corso di un’assemblea dei vescovi bavaresi, Marx aveva dichiarato che nessuno, tantomeno Müller, poteva troncare il confronto su tutte quelle problematiche inedite che saranno al centro del Sinodo in programma il prossimo autunno a Roma.

    Prima fra tutte, la possibilità che i divorziati risposati siano ammessi ai sacramenti. “Il credo religioso non deve essere confuso con un programma di partito, che può essere sviluppato e interpretato a seconda dei desideri dei membri o degli elettori di quella stessa formazione politica”, ha detto il secondo successore di Joseph Ratzinger all’ex Sant’Uffizio in un colloquio con il quotidiano Passauer Neue Presse riportato anche dall’agenzia cattolica in lingua tedesca kath.net. “La responsabilità pastorale – ha aggiunto Müller – deve sempre fondarsi sulla sana dottrina”.

    L’insegnamento della chiesa non può essere messo da parte neppure quando si invoca la misericordia per cancellare peccati e giustificare prassi contrarie alla volontà di Dio (come Müller ha definito, in un articolo sull’Osservatore Romano dell’ottobre scorso, la possibilità che un divorziato risposato acceda alla comunione, secondo quanto concesso dalle chiese ortodosse). A dargli man forte è arrivato anche il prefetto della Segnatura apostolica, il cardinale americano Raymond Leo Burke: “Müller non ha reso nota la sua opinione personale, bensì ha ricordato l’insegnamento della chiesa, che non può essere cambiato. Diffondere l’idea che ci sarà un cambiamento radicale, e che la chiesa cesserà di rispettare l’indissolubilità del matrimonio, è sbagliato e assai dannoso”. Eppure, proprio ieri, in un’intervista apparsa sulla Zeit, il cardinale Walter Kasper si è detto sicuro che presto i divorziati risposati potranno accedere ai sacramenti: “Ciò che è possibile a Dio, vale a dire il perdono, deve valere anche per la chiesa”.

    Müller ha anche chiarito che la proposta dei trenta sacerdoti e diaconi di Colonia per aprire la procedura d’elezione del nuovo vescovo anche ai laici, non s’ha da fare. Se passasse quella iniziativa, ha detto, si andrebbe incontro al rischio più volte richiamato da Bergoglio di concepire la chiesa come “un’organizzazione fatta di uomini”. La nomina di un vescovo, ha invece, non ha nulla a che vedere con “lotte per il potere, distribuzione di poteri e conquista di potere da parte di fazioni ideologicamente ristrette che distruggono l’unità della chiesa. Il vescovo è eletto da Cristo e costituito tale dallo Spirito Santo”. No, dunque, a urne e schede elettorali per scegliersi il vescovo preferito. Si seguiranno le consuete procedure, che prevedono il voto del capitolo della cattedrale. E pazienza se tra chi vede nella rinuncia del cardinale conservatore Joachim Meisner la ghiotta occasione per dare una sterzata progressista alla guida della ricca Colonia, c’è anche Hans Küng.

    Il teologo svizzero che insorse contro la nomina di Müller alla congregazione per la Dottrina della fede, definendola una “Katastrophe!”, ha rivisto nelle ultime dichiarazioni del custode dell’ortodossia cattolica l’atteggiamento del prefetto Ratzinger, la sua vera ossessione. Al punto da avvertire Francesco sul rischio di avere “un Papa ombra”. Una teoria che diverte Müller: “Che godimento vedere ancora come Hans Küng, nella sua vecchiaia, sia pieno di entusiasmo per il successore di Cristo e capo visibile di tutta la chiesa, come dice il Vaticano II”.

    di Matteo Matzuzzi   –   @matteomatzuzzi





     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)