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  Ho peccato in pensieri parole opere ed omissioni
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Gesù ha detto: “ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt. 5,28).

Come vediamo, per compiere il peccato non basta il pensiero. È necessario anche il desiderio. Ma una volta adulterato il pensiero, ossia pianificato il desiderio perverso, non basta il non compierlo per trovarsi in regola, bisogna emendare il desiderio e il cattivo pensiero maturato perchè, insegna sempre Gesù  che dal cuore si emanano gli adultèri e le azioni disoneste che macchiano l'uomo (Mt. 15,19). L'apostolo Paolo bolla di frequente, con parole roventi tutti i vizi e altrove ribadisce: "Fuggite l'impudicizia!" (1Cor. 6,18) che è la madre dei cattivi desideri. "Non immischiatevi con gli impudichi" (1Cor. 5,9); "In mezzo a voi, non siano neppur nominate l'incontinenza, l'impurità di ogni genere e l'avarizia" (Ef. 5,3); "Disonesti, adulteri, effeminati e sodomiti, non possederanno il regno di Dio...." (1Cor. 6,9-10)

In sostanza, poi, i famosi peccati contro lo Spirito Santo sono imperdonabili non perché Dio non voglia perdonarli, ma perché chi li compie si chiude del tutto all’azione della grazia di Dio e al pentimento, non si pente, ossia non elimina quel desiderio malvagio e perverso, giustificandolo e dunque ha un cuore chiuso alla conversione.

Ho peccato in pensieri parole opere ed omissioni è un "pacchetto" unico perchè i cattivi pensieri partono da desideri disordinati e si trasformano in parole, dalle parole agli atti, dagli atti alle omissioni, ossia, l'omissione al riconoscere ciò che è peccato. Molti pensano che il peccatore sia semplicemente un eretico, sia un semplice apostata, un immorale. ma non è solo questo: si può essere malvagiamente persino ortodossi nella dottrina e tuttavia vivere da peccatori. Che cosa sono dunque queste omissioni?

Stiamo attenti a non agire come il fariseo nella sua preghiera e agiamo piuttosto come il pubblicano, nella parabola che troviamo nel Vangelo di Luca 18,9-14.

C'è una bellissima risposta del cardinale Muller, Prefetto della CdF al quale in una lunga intervista, apparsa il 30 dicembre scorso sul settimanale tedesco Die Zeit, alla domanda:

che cosa pensi di quei cattolici che attaccano il Papa definendolo “eretico”, egli risponde: «Non solo per il mio ufficio, ma per convinzione personale devo dissentire. Eretico nella definizione teologica è un cattolico che nega ostinatamente una verità rivelata e proposta come tale dalla Chiesa da credere. Tutt’altro è quando coloro che sono ufficialmente incaricati di insegnare la fede si esprimono in modo forse infelice, fuorviante o vago. Il magistero del Papa e dei vescovi non è superiore alla Parola di Dio, ma la serve. (…) Pronunciamenti papali hanno inoltre un diverso carattere vincolante – a partire da una decisione definitiva pronunciata ex cathedra fino ad un’omelia che serve piuttosto all’approfondimento spirituale».

La risposta del cardinale la prendiamo per fare nostro questo esame della coscienza e non già per giudicare le coscienze degli altri... i nostri pronunciamenti dottrinali, per esempio, come sono? Quale testimonianza diamo alla Verità? Quale testimonianza diamo alla sana Dottrina? Quale testimonianza diamo nella vita quotidiana in famiglia, con gli amici, sul posto di lavoro, ai figli, e così via? Quale testimonianza diamo a chi è nel dubbio, nell'errore, nel peccato? Quanti peccati omettiamo di dire nel confessionale perchè ci riteniamo giusti, approvati dalle false dottrine perchè ci fanno comodo?

 

Lo diciamo all'inizio della Messa e si chiama Atto penitenziale, il Confiteor: Confesso a Dio onnipotente, e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni: (battendosi il petto) per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro.

Vale la pena, allora, fare uno sforzo per evitare che l'abitudine a ripetere certe formule non diventino però ostacolo al riconoscere davvero questo peccare, e fare ogni autentico proposito per debellare in noi quel desiderio malvagio che ci porta costantemente lontani da Dio. Infatti non è mai Dio ad allontanarsi da noi, ma noi da Lui, e quanto maggiormente chiudiamo il cuore a questo percorso di purificazione, maggiormente ci illudiamo di stare nel giusto.

C'è un'importante precisazione da fare riguardo ai peccati di omissione. Omettere vuol dire tralasciare. Il giudizio finale, invece, avverrà tutto proprio sui peccati di omissione:

«Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli... e saranno riunite davanti a Lui tutte le genti, Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra... Poi dirà a quelli alla sua sinistra: "via lontano da me, maledetti nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché...(..) In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli (cioè gli emarginati) non l'avete fatte a me". E se ne andranno questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna» (Mt 25, 31, 32, 41-43, 45, 46).

Non diamo ascolto a quelli che dicono che l'Inferno non esiste, o che si svuoterà, o che è lo spauracchio che la Chiesa usa per tenere il popolo oppresso, no! Ricordiamo piuttosto il monito dei Santi che dell'Inferno ce ne hanno parlato, ricordiamo le parole di Santa Suor Faustina Kowalska, colei che ha ricevuto da Gesù di parlare della Sua Divina Misericordia, ma dove anche le fece vedere l'Inferno che ella descrisse nel suo Diario:

"Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. È un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. (...) Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità. Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c'è mai stato e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. (..) Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno..."

Quindi il non fare il bene è cosa di cui bisognerà rendere conto al punto che le omissioni indicate da Gesù significheranno semplicemente la dannazione!

Dicono che il Dio dell'Antico Testamento sgomenta per la sua intransigenza, ma qui è Gesù che parla: e non è Gesù "il nostro Signore e nostro Dio" una sola cosa col Padre che chiama Padre e una cosa sola con lo Spirito Paraclito?

Dio è amore e come qui si vede, Egli non tollera che dei suoi figli lascino morire di fame o di ignoranza altri suoi figli, per questo il Catechismo insegna le "7 opera di misericordia corporali e le 7 opere di misericordia spirituali".

 

Anzi Gesù, paradossalmente e apparentemente, mostra maggiore severità del Padre nel pretendere la perfezione dell'uomo, perchè Lui è venuto ad insegnarci come si fa, pagandone il prezzo.
Infatti alcuni comandamenti vennero "amplificati" da Gesù nel senso che Egli volle far comprendere il loro più profondo significato e che il peccato è non tanto nell'azione, quanto nel sentimento che lo produce, nell'intenzione, nella perversione, nella giustificazione nel commetterlo. E' dal pensiero malvagio che si produce poi l'effetto.
Egli solo e proprio perché Figlio di Dio e quindi Dio, poteva parlare con autorità divina e dichiarare:
«Avete inteso che fu detto agli antichi... ma Io vi dico...

Ed ecco che al comandamento: "non commettere adulterio"; Gesù aggiunge: "chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" ( Mt 5,28), e questo vale anche per le donne come insegnerà Paolo.

Al 5° comandamento: "non uccidere", Gesù aggiunge: "chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio (...) sarà sottoposto al fuoco della geenna" (Mt 5, 22).
Tanto grande è la dignità dell'uomo, che insultare un essere umano con disprezzo e con odio, è come insultare il Signore, perché l'uomo è creato a immagine di Dio! Ma soprattutto qui è chiamato in causa il perdonare. Lo diciamo nel Padre Nostro: "rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori..." chi non perdona il prossimo che gli ha fatto qualcosa che è male, ed agisce con odio e vendetta, sarà ripagato da Dio con la stessa moneta. L'odio e la vendetta, infatti, alimentano nel cuore dell'uomo pensieri malvagi, per questo il nostro modello è Gesù, un Dio fatto uomo e non il contrario. Perchè Gesù è perfetto, è senza peccato, è Dio, e i suoi insegnamenti sono divini, sono perfetti.

Possiamo fare un'altra precisazione a proposito del 6° comandamento. Esso è stato tradotto dall'ebraico anche con le parole: non fornicare. La fornicària, in lingua latina, è la prostituta: chi andava con una prostituta, tradiva la moglie e quindi commetteva adulterio. Però, con significato più esteso, fornicare vuol dire darsi a piaceri illeciti.

Sentiamo che cosa dice l'Apostolo a questo proposito:
«Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità... Perché sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro o avaro... avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio su coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore» (Ef 5, 3-8).

I «vani ragionamenti» che possono ingannare le coscienze sono proprio quelli che si fanno oggi e cioè che tutto è lecito, che bisogna liberarsi dai tabù del passato, ecc.
Chi dice così o non sa che la parola di Dio, vale per tutti i tempi perché Dio non è come gli uomini che oggi possono dire una cosa e domani la riconoscono errata ed hanno quindi bisogno di correggerla! Non abbiamo un Dio giocarellone e ciò che era peccato ieri è peccato anche oggi, i Comandamenti non mutano con i tempi....
Oppure chi dice così: che bisogna liberarsi dai tabù del passato... omette di ben ragionare perchè definisce maliziosamente i Comandamenti e la legge di Dio come un tabù del passato e così dimostra solo di non aver mai creduto davvero nella legge divina.
Le parole dell'Apostolo Paolo sono state dichiarate Parola di Dio perché ispirate dallo Spirito Santo e sono in perfetta armonia con quelle di Gesù che dichiara, e che pochi sacerdoti e catechisti citano:
«Quel che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo» (Mc 7, 20-23).

Contaminare vuol dire infettare, corrompere, deturpare, macchiare, omettere.
E questo è il peccato: macchia, corruzione, abbruttimento dell'anima, omissione della verità e quindi la menzogna. In questo stato l'anima non può avere comunione con Dio che è purezza assoluta e santità.

Vogliamo proprio attirarci addosso il castigo di Dio? Dice ancora S. Paolo:
«Non illudetevi, né immorali, né idolatri, né effemínati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci, erediteranno il regno di Dio» (1 Cor 6, 9-10).
E ancora: «Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra. fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono» (Col 3, 5, 6).
E scrivendo agli ebrei dichiara: «Il matrimonio sia rispettato da tutti e sia il talamo incontaminato. I fornicatori e gli adulteri saranno giudicati da Dio» (Eb 13, 4).

Non siamo chiamati ad emettere giudizi sulle persone che peccano, ma come abbiamo dimostrato siamo chiamati a dare testimonianza alla Verità, chiamati a chiamare il peccato con i tanti nomi che lo distinguono, chiamati a non omettere nulla di ciò che la legge Dio, fatta per noi peccatori, insegna affinchè ce ne liberiamo al più presto possibile, senza farci degli sconti, senza corruzione, senza alcun compromesso.

Severi dunque prima con se stessi, e poi predicatori contro i peccati e non contro i peccatori, ma non con le proprie opinioni, le proprie misericordie, il proprio buonismo, piuttosto con la Scrittura alla mano, con le parole e l'insegnamento di Gesù Cristo, con le raccomandazioni della Sua Santissima Madre a Fatima e a Lourdes, per esempio, con l'insegnamento della Chiesa che è Madre e Maestra del nostro viver quotidiano e per il nostro vero bene, per la nostra vera felicità.

Sia lodato Gesù Cristo +

 Le 7 opere di misericordia corporali e le 7 spirituali

 Mio Dio che non si bestemmi il Nome Tuo per causa mia

 





Misericordia e amore: così la Chiesa accoglie gli omosessuali, per aiutarli a scoprire il valore delle virtù e della castità

 
04/03/2016 

Oggi si è svolta a Roma la giornata di formazione pastorale, per l'accoglienza delle persone omosessuali. - ANSA


“Vivere la verità nell’amore” è il tema della giornata di formazione pastorale per accogliere le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, svoltasi questa mattina a Roma alla Pontificia Università Lateranense. L’iniziativa, è stata promossa dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e da "Courage Italia", una associazione cattolica americana che offre sostegno spirituale e psicologico agli omosessuali in difficoltà. Il servizio di Marina Tomarro:



Misericordia, amore e attenzione queste le tre parole chiave che vanno a riassumere la Giornata di formazione pastorale per l’accoglienza verso le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso. Ascoltiamo Robert Gahl, docente presso la Pontificia Università della Santa Croce:

R. – La Chiesa può accogliere queste persone come accoglie tutti: cioè, non devono esserci categorie a parte, anche se possono esserci attività specifiche per le persone che sperimentano attrazione verso persone dello stesso sesso. E queste altre attività possono aiutarle anche a trovare senso di vita vocazionale. Quindi la Chiesa offre loro soprattutto i sacramenti, e quindi la Confessione – il Sacramento della Penitenza – e l’Eucaristia – la Santa Comunione – sono un grandissimo aiuto, come lo sperimentiamo tutti, per lottare, per cercare la santità.


D. – In che modo si può aiutarli a superare anche le loro paure, soprattutto quella della discriminazione?


R. – Alcuni hanno paura di essere guardati male quando svelassero questa loro tendenza. Però, la Chiesa – e penso che la Chiesa stia facendo grandi passi avanti in questo senso – deve far capire che tutti sono accolti, tutti sono benvenuti. C’è la questione delle coppie omosessuali, che hanno anche figli che sono stati affidati loro o che sono stati adottati, e così via. Alcuni di questi si avvicinano alla Chiesa e chiedono l’aiuto della Chiesa, per esempio, perché i loro figli vengano formati nella Chiesa, che vengano battezzati. Questo offre al tempo stesso una sfida, ma anche un’opportunità alla Chiesa per manifestare che è veramente Madre e che vuole offrire la santità anche ai figli di queste coppie.


E fondamentale diventa soprattutto l’ascolto dell’esperienza umana vissuta. Alberto Corteggiani, responsabile di "Courage Italia" l’associazione cattolica nata in America nel 1980, con l’obiettivo di far sentire la propria vicinanza alle persone omosessuali.

R. - L’ultimo Sinodo sulla famiglia ci chiede di approfondire la tematica della cura pastorale delle persone che provano un’attrazione per lo stesso sesso. In quanto rappresentante dell’Associazione “Courage” in Italia, ho sperimentato una diffusa inadeguatezza, riconosciuta da parte di molte delle diocesi, ad accogliere le persone che provano attrazione per lo stesso sesso e che chiedono di poter intraprendere un cammino che le aiuti a vivere le virtù, in particolar modo la virtù della castità.

D. – Quali sono gli aiuti maggiori che vi chiedono?

R. – Anzitutto, provano un forte senso di solitudine e sono alla ricerca di una comunità che si in grado di accoglierli senza giudicarli. Sicuramente, in molte persone che provano un’attrazione omosessuale c’è questa percezione di diversità rispetto al mondo che le circonda. Il percorso promosso dall’Apostolato “Courage” aiuta a restituire senso a questa forma di fragilità, a questa sofferenza, e in questo modo le persone vedono con occhi nuovi il loro percorso e gli attribuiscono un nuovo significato.

da Radio Vaticana





DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AI PARTECIPANTI AL
 CORSO PROMOSSO DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA

Sala Regia
Venerdì, 4 marzo 2016

[Multimedia]



 

Cari fratelli, buongiorno!

Sono lieto di incontrarvi, durante la Quaresima dell’Anno Giubilare della Misericordia, in occasione dell’annuale Corso sul foro interno. Saluto cordialmente il Cardinale Piacenza, Penitenziere Maggiore, e lo ringrazio per le sue cortesi espressioni. Saluto il Reggente - che ha una faccia tanto buona, deve essere un buon confessore! - , i Prelati, gli Officiali e il Personale della Penitenzieria, i Collegi dei penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali – le cui presenze sono state allargate proprio in occasione del Giubileo – e tutti voi partecipanti al Corso, che si propone di aiutare i novelli sacerdoti e i seminaristi prossimi all’ordinazione a formarsi per amministrare bene il Sacramento della Riconciliazione. La celebrazione di questo Sacramento richiede infatti un’adeguata e aggiornata preparazione, affinché quanti vi si accostano possano «toccare con mano la grandezza della misericordia, fonte di vera pace interiore» (cfr Bolla Misericordiae Vultus, 17).

«Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola – “misericordia” – la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth» (ibid.,1). In tal senso, la misericordia, prima di essere un atteggiamento o una virtù umana, è la scelta definitiva di Dio a favore di ogni essere umano per la sua eterna salvezza; scelta sigillata con il sangue del Figlio di Dio.

Questa divina misericordia può gratuitamente raggiungere tutti quelli che la invocano. Infatti la possibilità del perdono è davvero aperta a tutti, anzi è spalancata, come la più grande delle “porte sante”, perché coincide con il cuore stesso del Padre, che ama e attende tutti i suoi figli, in modo particolare quelli che hanno sbagliato di più e che sono lontani. La misericordia del Padre può raggiungere ogni persona in molti modi: attraverso l’apertura di una coscienza sincera; per mezzo della lettura della Parola di Dio che converte il cuore; mediante un incontro con una sorella o un fratello misericordiosi; nelle esperienze della vita che ci parlano di ferite, di peccato, di perdono e di misericordia.

C’è tuttavia la “via certa” della misericordia, percorrendo la quale si passa dalla possibilità alla realtà, dalla speranza alla certezza. Questa via è Gesù, il quale ha «il potere sulla terra di perdonare i peccati» (Lc 5,24) e ha trasmesso questa missione alla Chiesa (cfr Gv 20,21-23). Il Sacramento della Riconciliazione è dunque il luogo privilegiato per fare esperienza della misericordia di Dio e celebrare la festa dell’incontro con il Padre. Noi dimentichiamo quest’ultimo aspetto, con tanta facilità: io vado, chiedo perdono, sento l’abbraccio del perdono e mi dimentico di fare festa. Questa non è dottrina teologica, ma io direi, forzando un po’, che la festa è parte del Sacramento: è come se della penitenza fosse parte anche la festa che devo fare con il Padre che mi ha perdonato.

Quando, come confessori, ci rechiamo al confessionale per accogliere i fratelli e le sorelle, dobbiamo sempre ricordarci che siamo strumenti della misericordia di Dio per loro; dunque stiamo attenti a non porre ostacolo a questo dono di salvezza! Il confessore è, egli stesso, un peccatore, un uomo sempre bisognoso di perdono; egli per primo non può fare a meno della misericordia di Dio, che lo ha “scelto” e lo ha “costituito” (cfr Gv 15,16) per questo grande compito. Ad esso deve dunque disporsi sempre in atteggiamento di fede umile e generosa, avendo come unico desiderio che ogni fedele possa fare esperienza dell’amore del Padre. In questo non ci mancano confratelli santi ai quali guardare: pensiamo a Leopoldo Mandic e Pio da Pietrelcina, le cui spoglie abbiamo venerato un mese fa in Vaticano. E anche - mi permetto - uno della mia famiglia: il padre Cappello.

Ogni fedele pentito, dopo l’assoluzione del sacerdote, ha la certezza, per fede, che i suoi peccati non esistono più. Non esistono più! Dio è onnipotente. A me piace pensare che ha una debolezza: una cattiva memoria. Una volta che Lui ti perdona, si dimentica. E questo è grande! I peccati non esistono più, sono stati cancellati dalla divina misericordia. Ogni assoluzione è, in un certo modo, un giubileo del cuore, che rallegra non solo il fedele e la Chiesa, ma soprattutto Dio stesso. Gesù lo ha detto: «Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7). E’ importante, dunque, che il confessore sia anche un “canale di gioia” e che il fedele, dopo aver ricevuto il perdono, non si senta più oppresso dalle colpe, ma possa gustare l’opera di Dio che lo ha liberato, vivere in rendimento di grazie, pronto a riparare il male commesso e ad andare incontro ai fratelli con cuore buono e disponibile.

Cari fratelli, in questo nostro tempo, segnato dall’individualismo, da tante ferite e dalla tentazione di chiudersi, è un vero e proprio dono vedere e accompagnare persone che si accostano alla misericordia. Ciò comporta anche, per noi tutti, un obbligo ancora maggiore di coerenza evangelica e di benevolenza paterna; siamo custodi, e mai padroni, sia delle pecore, sia della grazia.

Rimettiamo al centro – e non solo in questo Anno giubilare! – il Sacramento della Riconciliazione, vero spazio dello Spirito nel quale tutti, confessori e penitenti, possiamo fare esperienza dell’unico amore definitivo e fedele, quello di Dio per ciascuno dei suoi figli, un amore che non delude mai. San Leopoldo Mandic ripeteva che «la misericordia di Dio è superiore ad ogni nostra aspettativa». Era anche solito dire a chi soffriva: «Abbiamo in Cielo il cuore di una madre. La Vergine, nostra Madre, che ai piedi della Croce ha provato tutta la sofferenza possibile per una creatura umana, comprende i nostri guai e ci consola». Sia sempre Maria, Rifugio dei peccatori e Madre di Misericordia, a guidare e sostenere il fondamentale ministero della Riconciliazione.

E cosa faccio se mi trovo in difficoltà e non posso dare l’assoluzione? Cosa si deve fare? Prima di tutto, cercare se c’è una strada, tante volte la si trova. Secondo: non legarsi soltanto al linguaggio parlato, ma anche al linguaggio dei gesti. C’è gente che non può parlare, e con il gesto dice il pentimento, il dolore. E terzo: se non si può dare l’assoluzione, parlare come un padre: “Senti, per questo io non posso [assolverti], ma posso assicurarti che Dio ti ama, che Dio ti aspetta! Preghiamo insieme la Madonna, perché ti custodisca; e vieni, torna, perché io ti aspetterò come ti aspetta Dio”; e dare la benedizione. Così questa persona esce dal confessionale e pensa: “Ho trovato un padre e non mi ha bastonato”. Quante volte avete sentito gente che dice: “Io non mi confesso mai, perché una volta sono andato e mi ha sgridato”. Anche nel caso limite in cui io non posso assolvere, che senta il calore di un padre! Che lo benedica, e gli dica di tornare. E anche che preghi un po’ con lui o con lei. Sempre questo è il punto: lì c’è un padre. E anche questa è festa, e Dio sa come perdonare le cose meglio di noi. Ma che almeno possiamo essere immagine del Padre.

Ringrazio la Penitenzieria Apostolica per il suo prezioso servizio, e benedico di cuore tutti voi e il ministero che svolgete come canali di misericordia, specialmente in questo tempo giubilare. Ricordatevi, per favore, di pregare anche per me.

E oggi anch’io andrò lì, con i vostri penitenzieri, a confessare a San Pietro.







CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA
RITO PER LA RICONCILIAZIONE DI PIÙ PENITENTI
CON LA CONFESSIONE E L'ASSOLUZIONE INDIVIDUALE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Venerdì, 4 marzo 2016

[Multimedia]



 

«Che io veda di nuovo» (Mc 10,51). È questa la richiesta che oggi vogliamo rivolgere al Signore. Vedere di nuovo, dopo che i nostri peccati ci hanno fatto perdere di vista il bene e ci hanno distolto dalla bellezza della nostra chiamata, facendoci invece errare lontano dalla meta.

Questo brano di Vangelo ha un grande valore simbolico, perché ognuno di noi si trova nella situazione di Bartimeo. La sua cecità lo aveva portato alla povertà e a vivere ai margini della città, dipendendo dagli altri in tutto. Anche il peccato ha questo effetto: ci impoverisce e ci isola. E’ una cecità dello spirito, che impedisce di vedere l’essenziale, di fissare lo sguardo sull’amore che dà la vita; e conduce poco alla volta a soffermarsi su ciò che è superficiale, fino a rendere insensibili agli altri e al bene. Quante tentazioni hanno la forza di annebbiare la vista del cuore e di renderlo miope! Quanto è facile e sbagliato credere che la vita dipenda da quello che si ha, dal successo o dall’ammirazione che si riceve; che l’economia sia fatta solo di profitto e di consumo; che le proprie voglie individuali debbano prevalere sulla responsabilità sociale! Guardando solo al nostro io, diventiamo ciechi, spenti e ripiegati su noi stessi, privi di gioia e privi di libertà. E’ così brutto!

Ma Gesù passa; passa e non va oltre: «si fermò», dice il Vangelo (v. 49). Allora un fremito attraversa il cuore, perché ci si accorge di essere guardati dalla Luce, da quella Luce gentile che ci invita a non rimanere rinchiusi nelle nostre scure cecità. La presenza vicina di Gesù fa sentire che lontani da Lui ci manca qualcosa di importante. Ci fa sentire bisognosi di salvezza, e questo è l’inizio della guarigione del cuore. Poi, quando il desiderio di essere guariti si fa audace, conduce alla preghiera, a gridare con forza e insistenza aiuto, come ha fatto Bartimeo: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47).

Purtroppo, come quei «molti» del Vangelo, c’è sempre qualcuno che non vuole fermarsi, che non vuole essere disturbato da chi grida il proprio dolore, preferendo far tacere e rimproverare il povero che dà fastidio (cfr v. 48). È la tentazione di andare avanti come se nulla fosse, ma in questo modo si rimane distanti dal Signore e si tengono lontani da Gesù anche gli altri. Riconosciamo di essere tutti mendicanti dell’amore di Dio, e non lasciamoci sfuggire il Signore che passa. «Ho paura del Signore che passa», diceva sant’Agostino. Paura che passi e io lo lasci passare. Diamo voce al nostro desiderio più vero: «[Gesù], che io veda di nuovo!» (v. 51). Questo Giubileo della Misericordia è tempo favorevole per accogliere la presenza di Dio, per sperimentare il suo amore e ritornare a Lui con tutto il cuore. Come Bartimeo, gettiamo via il mantello e alziamoci in piedi (cfr v. 50): buttiamo via, cioè, quello che impedisce di essere spediti nel cammino verso di Lui, senza paura di lasciare ciò che ci dà sicurezza e a cui siamo attaccati; non rimaniamo seduti, rialziamoci, ritroviamo la nostra statura spirituale - in piedi - la dignità di figli amati che stanno davanti al Signore per essere da Lui guardati negli occhi, perdonati e ricreati. E la parola forse che oggi arriva nel nostro cuore, è la stessa della creazione dell’uomo: “Alzati!”. Dio ci ha creati in piedi: “Alzati!”.

Oggi più che mai, soprattutto noi Pastori siamo anche chiamati ad ascoltare il grido, forse nascosto, di quanti desiderano incontrare il Signore. Siamo tenuti a rivedere quei comportamenti che a volte non aiutano gli altri ad avvicinarsi a Gesù; gli orari e i programmi che non incontrano i reali bisogni di quanti si potrebbero accostare al confessionale; le regole umane, se valgono più del desiderio di perdono; le nostre rigidità che potrebbero tenere lontano dalla tenerezza di Dio. Non dobbiamo certo sminuire le esigenze del Vangelo, ma non possiamo rischiare di rendere vano il desiderio del peccatore di riconciliarsi con il Padre, perché il ritorno a casa del figlio è ciò che il Padre attende prima di tutto (cfr Lc 15,20-32).

Le nostre parole siano quelle dei discepoli che, ripetendo le stesse espressioni di Gesù, dicono a Bartimeo: «Coraggio! Alzati, ti chiama» (v. 49). Siamo mandati ad infondere coraggio, a sostenere e condurre a Gesù. Il nostro è il ministero dell’accompagnamento, perché l’incontro con il Signore sia personale, intimo, e il cuore si possa aprire sinceramente e senza timore al Salvatore. Non dimentichiamo: è solo Dio che agisce in ogni persona. Nel Vangelo è Lui che si ferma e chiede del cieco; è Lui a ordinare che glielo portino; è Lui che lo ascolta e lo guarisce. Noi siamo stati scelti – noi pastori – per suscitare il desiderio della conversione, per essere strumenti che facilitano l’incontro, per tendere la mano e assolvere, rendendo visibile e operante la sua misericordia. Che ogni uomo e donna che si accosta al confessionale trovi un padre; trovi un padre che l’aspetta; trovi il Padre che perdona.

La conclusione del racconto evangelico è carica di significato: Bartimeo «subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (v. 52). Anche noi, quando ci accostiamo a Gesù, rivediamo la luce per guardare al futuro con fiducia, ritroviamo la forza e il coraggio per metterci in cammino. Infatti «chi crede, vede» (Lett. enc. Lumen fidei, 1) e va avanti con speranza, perché sa che il Signore è presente, sostiene e guida. Seguiamolo, come discepoli fedeli, per fare partecipi quanti incontriamo sul nostro cammino della gioia del suo amore. E dopo l’abbraccio del Padre, il perdono del Padre, facciamo festa nel nostro cuore! Perché Lui fa festa!

 



[Modificato da Caterina63 05/03/2016 14:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)