00 20/05/2016 19:54

Nell'Omelia a santa Marta del 20 maggio 2016, il santo Padre Francesco ha espresso parole forti ma che riteniamo doverose riportare e meditare, dal momento che si sono sollevati alcuni scudi, come una sorta di difesa a ciò che si pensa di questo pontefice, mentre invece ciò che ha espresso, è pienamente corretto e silenziato dai Media.

La scena che domina spesso molte pagine dei Vangeli è quella in cui, farisei e dottori della legge, cercano di far cadere Gesù per prenderlo in contropiede, minarne l’autorità e il credito di cui gode fra la gente. Una delle tante, riportata dal Vangelo del giorno, è quella che i farisei gli tendono domandandogli se sia lecito ripudiare la propria moglie.

Non ci soffermiamo sul concetto della "trappola casistica" fin troppo abusata, e neppure sulla questione del "popolo" che intende il Papa anche perché, a riguardo di una più oscura "teologia del popolo", preferiamo quella immagine del Vangelo in cui Gesù esprime la Sua "compassione": “vide una grande folla, ebbe compassione di loro... e si mise ad insegnare loro molte cose” (Mc 6,34). Spesso il Papa tende a far pensare che sia la Chiesa a dover "imparare" dal popolo, ma il Vangelo dice esattamente l'opposto.

Discendendo dal seno del Padre, e incarnatosi nel grembo della Vergine Maria, Gesù non si fa semplicemente Uomo, ma incontra l’umanità, un’umanità fortemente sofferente a causa del Peccato Originale, e la vede: come pecore che non hanno pastore, gregge non più gregge, sbandato, destinato a passanti affamati e a lupi rapaci. “Ebbe compassione di loro”, scrive Marco. Il Verbo Divino tocca il luogo caratteristico della compassione: le viscere materne dell'umanità, un sentimento incomprensibile ai maschi, e se nel gruppo dei "maschi" ci mettiamo pure la casta sacerdotale che governava comunità e coscienze, il quadro diventa più completo! Da qui possiamo anche comprendere quando il santo Padre denuncia certo clericalismo di oggi.

In questo scenario Gesù non è spettatore, ma incarnato nella storia degli uomini, prova compassione che nasce da un sentimento (andare incontro all'uomo) ma non si riduce ad esso, bensì a qualcosa di molto più diretto: “Si mise ad insegnare”.

Sì, noi rimaniamo stupiti: insegnare? Non sarebbe stato meglio, o più semplice accontentare tutti... e via a dare buoni consigli o a rimboccarsi le maniche nell'attivismo sociale?

La com-passione non significa sentimentalismo, è un termine composto che significa com-patire che a sua volta significa "partecipare dell'altrui patimento". Gesù è Colui che, vero uomo e vero Dio, entra nel tempo per portare fuori gli uomini da questo patimento, viene a portarci fuori dalle logiche del mondo e dal mondo stesso. Ricordiamo: «Il mio regno non è di questo mondo... il mio regno non è di quaggiù» (Gv.18,36).

Infine va compreso che all'epoca dei fatti l'insegnamento non era certo come quello che intendeva il Cristo, ossia arrivare a toccare il cuore dell'uomo, entrare dentro i nostri cuori per commuoverli e dunque istruirli e dimorarvi dentro. L'insegnamento era imposizione della Legge e non c'era contraddittorio tra il popolo e i "maestri", le discussioni le facevano i maestri fra di loro, mentre il popolo subiva in silenzio. Il rapporto con Dio era distante e sbarrato dai sacerdoti che erano i tramiti. Con l'avvento del Messia Gesù lo scenario cambia. La rivoluzione che Gesù porta non è a livello terreno, ma nelle anime, nelle coscienze, in questo rapporto con Dio che diventa un "Tu per tu".

E per portarci fuori da questo mondo e dalla sua logica, Gesù si espone in prima Persona, offre se stesso fino allo scandalo della morte di Croce, ma non solo, nel vedere queste folle, non si limita a consolarle, ma comprende bene, sa bene, che non conoscendo ancora il Messia, non sanno la Verità, non conoscono la Via da prendere, non sanno nulla della Vita vera, non lo hanno ancora incontrato. Ecco perché Gesù "si mise ad insegnare molte cose". Prima ancora di compiere i miracoli, Gesù insegna.

 

Ma perchè questa insistenza? Ecco che ritorniamo alle parole del Papa nell'omelia.

La Legge di Mosè, a causa della "durezza dei cuori", aveva modificato la Legge originale di Dio e Dio lo aveva permesso perchè eravamo ancora immaturi di comprendere, e perchè nessuno avrebbe potuto insegnare con l'autorità di Dio come dimostrò Gesù quando scandalizzò perché arrivò a rimettere i peccati: «Ti sono rimessi i tuoi peccati!» (Mc 2,5).

Combattere la fame, la miseria, le malattie è molto importante, è bello ed è cristiano, anche i non cristiani possono riuscirci con la buona ed onestà volontà, ma significa combattere soltanto le conseguenze e non ancora la causa del male. Lottare contro le conseguenze del peccato, che è il male, è come amministrare un anestetico che toglie un poco il dolore, ma non cancella la malattia, la quale, presto o tardi, riapparirà più devastante, come sta accadendo in questo nostro tempo. Il cancro di tutte le società, l'origine di ogni male è il peccato. Gesù viene a sradicarlo e, nel farlo offrendo Se stesso, non vuole che rimaniamo nell'ignoranza la quale è anche una delle cause delle bruttezze che avvengono nelle società.

La Legge di Mosè, dunque, prevedeva la pena di morte a coloro che non osservavano i Comandamenti divini e il ripudio alla donna (non al marito) che commetteva adulterio, spesso anche con la lapidazione. La Vergine Santissima, Maria, rischiò anch'Essa di essere ripudiata: Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.  Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.  Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt.1,18-21)

Giuseppe, uomo giusto, corretto nella coscienza, sapeva che Maria le era stata fedele, ma il dubbio lo mosse non verso la Sposa, ma a cosa avrebbe detto la gente, come avrebbero reagito i dottori della Legge di Mosè. Ripudiarla "in segreto" significava appunto di non farlo sapere a nessuno proprio per evitare che Maria potesse correre il rischio di venire ripudiata e  pure lapidata. Questo è lo scenario in cui si muovono i farisei, anzi, la tensione e la paura che essi avevano seminato usando, a torto o a ragione, la Legge. In questo scenario e sull'insegnamento di Gesù, Papa Francesco non sta ribaltando la priorità fra conversione, peccato e misericordia, ma sta sottolineando le mosse di Gesù.

Alla base del suo discorso c'è, appunto, la Legge di Mosè che puniva con la morte chi non osservava i Comandamenti. I Farisei volevano mantenere la Legge di Mosè perchè gli faceva comodo e potevano spadroneggiare, e l'uso di questa legge così interpretata alla lettera dai dottori della legge, penalizzava soprattutto le donne e i più poveri; non puniva, quasi mai, gli uomini, ossia non li puniva per questione di sesso o tradimenti, gli uomini venivano lapidati se bestemmiavano Dio, le donne solitamente per questioni di adulterio.

Gesù non s'immischia nelle diatribe umane, e quando cercano di incastrarlo, ha sempre una risposta che urta certi ascoltatori. Lo accusano di voler cambiare la Legge di Mosè, ma Egli risponde: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.."(Mt.7,17-20). E il compimento era Lui, l'avvento del Messia.

Cercano di incastrarlo sulla questione del matrimonio, la Legge prevedeva il ripudio, ma Gesù dà loro una risposta che non si aspettavano, non pone la questione "uomo sì, e donna no" ma davanti a Dio li mette sulla stessa dignità, la donna ha lo stesso diritto del marito non per ripudiare, ma per amare e conservare l'indissolubilità del matrimonio (Mt.19,1-30), la sua carne è una carne sola con il marito legittimo e perciò, il marito non ha più alcun diritto di ripudiare la moglie, subentra la logica del perdono e del perdonare. Il Matrimonio esce così  fuori da ogni discussione arbitraria, da quel contesto della "legge" del ripudio, per ritornare a quella unione indissolubile  creata da Dio all'origine, ecc.. ecc...

Ecco l'indissolubilità, non più oggetto di ricatto o discussioni, o lapidazioni, ma un fatto concreto che insito nelle coscienze rette degli uomini è portato a compimento da Gesù e lo fa lui stesso "sposando la Chiesa", l'unione indissolubile è portata allo scoperto ma non come un peso, bensì come sviluppo naturale coniugale dell'uomo e della donna: la vera felicità è la stabilità dell'unica unione originale  benedetta da Dio. Per questo Gesù la insegna e invia la Chiesa, Sua Sposa, ad istruire sul compimento della Legge.

 

Infine, nelle parole del Papa, sulla questione dell'adultera, si sottolinea che Gesù non ha mai condannato nessuno, e Lui stesso dice che non è venuto a condannare, ma per salvare.... «Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno.....» (Gv.12,47-48), la strategia di Gesù è semplice: la compassione, l'accogliere i peccatori, il perdonare, il coinvolgere - dopo - il perdonato alla comprensione della grazia ricevuta.

In questo senso e non altro il Papa sta sottolineando come, invece, i farisei tentavano di patteggiare la verità con Cristo: comprensione per i peccatori sì, Gesù conosce le nostre debolezze, per questo è venuto nel mondo, ma non per negoziare la verità o per giustificare il peccato. La stessa conclusione di quella parte del discorso riporta integrale la scena dell'adultera con le parole: va e non peccare più...

Ora, se io peccatore, comprendo la misericordia Dio, quanto maggiormente comprenderò che non devo peccare più? Questa è la lezione dell'adultera convertita.... ciò che la muove è quella compassione e misericordia che Gesù le dimostra, quella parola che invece di condannarla come diceva la Legge di Mosè, la fa sentire perdonata. Questi sono i soggetti degni della compassione di Gesù, coloro che come l'adultera che ha compreso il suo stato di peccatrice, attende la sua fine, non ha più speranza perché sa di aver sbagliato. Ed ecco allora l'incontro con la Speranza incarnata che perdona, risana.

Gesù non solo non la giudica, ma vedendola e sapendola pentita e pure umiliata e mortificata, la tira fuori da quella situazione senza farle alcun processo, una novità unica per quel tempo, ma il discorso si chiude con un quel monito chiaro ed incisivo: "va e non peccare più" (Gv.8,11), e sappiamo poi dalla Tradizione che quella Donna entrò nel gruppo delle Donne alla sequela di Gesù, con Maria, la Madre. Il vero pentito che sa e sente di essere stato perdonato, si incammina nel discepolato del suo Salvatore Gesù Cristo.

Così come accade lo stesso per un paralitico guarito, un episodio un poco trascurato, al quale Gesù dice: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv.5,14)

E' questa la barriera più grande che Gesù è venuto ad abbattere, il muro dell'omertà verso il peccato, dal quale dipende tutto il resto, dipendono i nostri rapporti sia familiari quanto sociali e culturali.

“Ma Gesù è tanto misericordioso, è tanto grande, che mai, mai, mai chiude la porta ai peccatori”. Dunque, sottolinea il santo Padre Francesco, queste sono le “due cose che Gesù ci insegna: la verità e la comprensione”, ciò che i “teologi illuminati” non riescono a fare, perché chiusi nella trappola “dell’equazione matematica” del “Si può? Non si può?” e quindi “incapaci sia di orizzonti grandi sia di amore” per la debolezza umana. Basti guardare, conclude il Papa, la “delicatezza” con cui Gesù tratta l’adultera sul punto di essere lapidata:“Neanch'io ti condanno; va e d'ora in poi non peccare più”.

Perché... se pecchi ancora e non ti penti, o arrivi a giustificare il tuo peccare, non sarò io a condannarti, ci ricorda Gesù nelle parole che abbiamo riportato nelle nostre riflessioni, ma sarai tu stesso ad escluderti dalla salvezza. Anche per questo ha istituito il Sacramento della Riconciliazione, o Penitenza: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv.20,23).

Ma in quel rimettere non c'è, appunto, la gestione arbitraria del Sacramento, la rimessione non è lasciata al libero arbitrio del sacerdote, ma tutto rientra in quella scala di valori portata dal Cristo di cui parla il Papa: Gesù distingue sempre tra la verità e la “debolezza umana”, “senza giri di parole”... qualcosa si può fare: il perdono, la comprensione (della debolezza del peccatore, non del peccato), l’accompagnamento, l’integrazione, il discernimento di questi casi… (chi è recidivo nel peccare e vuole giustificare il proprio peccato, da chi non comprende e non sa di vivere in peccato) sempre… ma la verità non si vende mai!

Sia lodato Gesù Cristo




Un sacerdote risponde

Due domande sul peccato e una su come si possa togliere una maledizione o maleficio

Quesito

Caro Padre Angelo,
Sono ammirato dalla sua profonda conoscenza! Le scrivo per porle alcuni quesiti un po' diversi tra loro ma entrambi importanti per me. Il primo riguarda la definizione di peccato grave contenuta nella Reconciliatio et Paenitentia, dove si dice che per alcuni peccati, data la gravità della materia, si richiede solo sufficiente consapevolezza e libertà (e non piena): come interpretare questa posizione? 
La seconda domanda: esiste una tripartizione di peccati, cioè veniali, gravi, e "gravissimi"? E se sì, qual è la materia di questi peccati "gravissimi", dato che la definizione che si trova nel documento (atti gravemente illeciti a prescindere dalle circostanze) sembra applicabile a molti di quei peccati per cui si parla di sufficiente consapevolezza e consenso?
La seconda domanda è la seguente: se una persona maledice un oggetto o una persona (nel senso tecnico di invocare il diavolo perché ne prenda possesso), c'è modo di sapere se tale atto ha avuto reale effetto o no? In che modo si può concretamente riparare ("s-maledire")? Nel caso di un oggetto di uso comune (ad esempio, una televisione o un computer o un file del computer), è moralmente lecito usarlo/condividerlo/regalarlo? 
La ringrazio per la sua attenzione e aiuto.
Francesco


Risposta del sacerdote

Caro Francesco,
1. le due espressioni “piena avvertenza della mente” e “sufficiente consapevolezza e libertà” sembrano non equivalersi al punto che tu domandi: è richiesta sufficiente avvertenza oppure piena avvertenza?
A dire il vero Giovanni Paolo II non usa la parola avvertenza, ma consapevolezza.
È vero che questi due termini nel nostro vocabolario sono abbastanza simili.
Tuttavia qui hanno ognuno un significato proprio.

2. Quando in teologia morale si dice che il peccato per essere imputabile ad una persona deve procedere da pienaavvertenza si vuole dire che questa avvertenza deve essere psicologica e morale.
È psicologica quando uno sa quello che fa ed è padrone del proprio atto così da poterlo sospendere come vuole.
È morale quando si è consapevoli della bontà o della malizia di quell’azione. 
Piena dunque si riferisce all’integrità dell’avvertenza.
È sufficiente che manchi uno dei due elementi perché l’avvertenza non sia piena.

3. “Sufficiente consapevolezza” si riferisce invece all’intensità o alla larghezza dell’avvertenza.
Ad esempio: uno ha piena avvertenza dell’omicidio che sta per compiere perché è padrone del proprio atto e perché sa che è un’azione malvagia. E tuttavia lo compie ugualmente perché vuole vendicarsi o dare una lezione.
Ma pur avendo questa duplice avvertenza, potrebbe non avere la consapevolezza piena del male che fa perché non pensa alle conseguenze dell’omicidio, alla condizione in cui lascia i figli, i famigliari, i dipendenti della vittima.
In riferimento a questo Giovanni Paolo II parla di sufficiente consapevolezza.
Perché gli sia pienamente imputabile non si richiede che ne soppesi tutte le conseguenze. Queste sono implicite nell’atto che compie.
Tornando all’esempio portato: è sufficiente che sappia che è un omicidio. 
Il resto è implicito.

4. Vengo ora all’altra domanda e cioè se esista una tripartizione del peccato: veniale, grave e gravissimo.
Qui bisogna intendersi bene perché la tripartizione proposta in passato da alcuni non era tra peccato veniale, grave e gravissimo, ma tra peccato veniale, grave e mortale.
Ecco che cosa scrive Giovanni Paolo II in Reconciliatio et Poenitentia: “Durante l’assemblea sinodale è stata proposta da alcuni padri una distinzione tripartita fra i peccati, che sarebbero da classificare come venialigravi, e mortali. La tripartizione potrebbe mettere in luce il fatto che fra i peccati gravi esiste una gradazione. Ma resta sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è fra peccato che distrugge la carità e peccato che non uccide la vita soprannaturale: fra la vita e la morte non si dà via di mezzo...
Perciò, il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale” (RP 17).
Il peccato mortale dunque s’identifica col peccato grave.
Ma è sottinteso che tra i peccati gravi non tutti sono della medesima gravità: un furto, ad esempio, non è equiparabile ad un omicidio, né una fornicazione ad una violenza carnale.
I peccati cosidetti gravissimi sono una sottospecie dei peccati mortali.
Pertanto non esiste una tripartizione del peccato, ma una sua duplice distinzioneveniale e mortale.
All’interno dei veniali e dei mortali non tutti sono della medesima intensità.

5. Per il terzo quesito è necessario distinguere tra maledizione fatta come imprecazione e la maledizione intesa come maleficio.
Nel primo caso, quello dell’imprecazione, non si produce nulla.
Le nostre parole sono solo parole e, nel caso dell’esempio fatto, manifestano il disappunto che si prova nei confronti delle cose che non funzionano.
Nel secondo caso invece si parla di maleficio e cioè di una richiesta diretta o indiretta fatta al mondo infernale perché nuoccia a cose o a persone.
Il maleficio si toglie con un’azione che gli è contraria e che lo allontana.
Questa azione è la benedizione.

6. Va detto ancora che il maleficio non colpisce inequivocabilmente.
Può colpire solo chi non è protetto dalla grazia, che è uno scudo, una corazza, come dice la Sacra Scrittura. 
Se una persona vive in grazia può osservare quanto siano vere le parole del Salmo 91: “Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma nulla ti potrà colpire.
Basterà che tu apra gli occhi e vedrai la ricompensa dei malvagi!” (Sal 91,7-8).
Come vedi, il maleficio fatto alle persone che vivono in grazia di Dio non solo non può fare loro alcun male, ma ricade su chi lo compie nel medesimo modo in cui una freccia che picchia contro uno scudo rimbalza indietro e può nuocere a chi l’ha lanciata.

Ti ringrazio dei quesiti che interesseranno a più d’una persona, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Come uno stupido mi metto su chat erotiche e poi dico al confessore che ho compiuti atti impuri da solo cercandomi le occasioni; le chiedo se vada bene confessarsi così

Quesito

Carissimo padre Angelo.
Oggi le occasioni prossime di peccato, con internet, si sono centuplicate. Talvolta, quando cedo intimamente alla sensualità, come uno stupido mi metto su chat erotiche e immagini lei le conversazioni peccaminose e l'istigazione ad atti disdicevoli che ne vengono fuori! A ciò fa seguito l'atto solitario gravemente peccaminoso.
Quando vado a confessarmi mi accuso in questi termini: "Ho peccato gravemente da solo contro la purezza; invece di fuggire le occasioni sono invece andato a cercarmele".
Mi viene lo scrupolo però di non aver confessato in modo completo i miei peccati: debbo essere più esplicito, o va bene così?
Grazie


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. è troppo poco quello che dici in confessione.
L’espressione “invece di fuggire le occasioni sono invece andato a cercarmele" è troppo generica.
Il sacerdote non sa di che cosa si tratta.
Dal momento che il sacramento della Confessione ha anche un carattere terapeutico o medicinale, quali risorse adatte ai singoli casi può proporre il sacerdote se non conosce le malattie spirituali da cui è colpita una persona?
Se tu andassi dal medico e gli dicessi: ho preso una bronchite ma sono andato a cercarmela, potrebbe pensare che sei andato in un posto dove c’era un gran freddo. È stato un incidente che certamente non vuoi che si ripeta. Ti darà allora il farmaco che in breve ti riporta alla normalità.
Ma se tu dicendo “sono andato a cercarmela” sottintendi  che anche d’inverno vuoi stare con la finestra aperta, allora ti dirà: guarda che se continui così finisci male e le medicine non servono a niente.
Così è per la correttezza delle confessioni.

2. Tanto più che l’occasione alla quale ti riferisci è già di suo un peccato grave.
Spesso succede invece che le occasioni siano in se stesse eventi buoni, ma noi, a motivo delle nostre cattive inclinazioni, le trasformiamo in occasioni prossime di peccato.
Ad esempio: mettere del vino a tavola non è di per sé un’azione cattiva. Anzi, un pò di vino aiuta la digestione.
Ma per qualcuno questo fatto in se stesso buono può diventare un’occasione prossima di peccato.
Questo discorso non vale invece per le “chat erotiche, le conversazioni peccaminose e l'istigazione ad atti disdicevoli” perché si tratta di atti intrinsecamente peccaminosi, che depauperano e depravano una persona e che sono gravemente offensivi del disegno santificante di Dio sulla sessualità umana.
Come vedi, quelle che tu chiami “occasioni cercate” sono in realtà una serie di peccati gravi.

3. Mi parli di “chat erotiche”. E gia questo è un peccato grave, dal momento che Nostro Signore ha detto: “Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore” (Mt 5,28). 
Anche “le conversazioni peccaminose” sono un peccato grave. San Paolo è molto chiaro: “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi - come deve essere tra santi - né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - cioè nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l'ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono” (Ef 5,3-6).
Vi è infine “l'istigazione ad atti disdicevoli” e cioè a peccati gravi. E questo è scandalo. Gesù ha detto: “Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all'uomo a causa del quale viene lo scandalo!”  (Mt 18,7). 
Come vedi, tutti questi peccati nelle tue confessioni li taci. E il sacerdote passa oltre perché non è minimamente a conoscenza dello stato grave in cui volontariamente ti metti.
Diversamente ti ripeterebbe le parole che Nostro Signore ha detto per chi pecca anche solo col guardare: “Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna” (Mt 5,29) oppure quelle per chi istiga altri al peccato.

4. Dalla tua confessione sembra che tu abbia compiuto un solo peccato grave: gli atti impuri su te stesso.
E questo non è vero.
Allora capisci bene che non si è trattato di una vera e sincera confessione.
Sarebbe stato più semplice che tu, senza giri di parole, avessi detto al sacerdote le scarne parole che hai scritto a me: “mi sono messo su chat erotiche, ho fatto conversazioni peccaminose e ho istigato altri a compiere peccati gravi”. Ci avresti messo 7- 8 secondi.
E avresti poi aggiunto: di conseguenza ho anche compiuto atti impuri su me stesso.

5. Il mio consiglio allora è questo: la prossima volta che ti confesserai, e mi auguro  presto, dirai che nelle precedenti confessioni per vergogna non hai detto che hai fatto “chat erotiche, conversazioni peccaminose e hai istigato altri a compiere atti impuri”. E che questo si è ripetuto più volte e che l’hai velato con giri di parole.

6. Ti ringrazio per avermi dato l’occasione di precisare tutte queste cose perché la tua confessione e quella di tanti altri visitatori sia vera, sincera, porti frutto e serenità.
Diversamente ci si illude di essersi confessati e non si rimane sereni, come non lo sei rimasto tu.

Ti auguro una proficua conclusione della Quaresima, ti ricordo volentieri al Signore  e ti benedico.
Padre Angelo







[Modificato da Caterina63 08/06/2016 20:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)