00 06/10/2014 14:14

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  Nessun papa può dare la Comunione ai divorziati risposati

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di Antonio Socci

C’è molta confusione nella Chiesa per il Sinodo che si apre oggi e discuterà sulla Comunione ai divorziati risposati. Molti credenti sono smarriti di fronte alla via «rivoluzionaria» indicata dal cardinale Kasper, che fu incaricato da papa Francesco di lanciare la novità al Concistoro di febbraio e che dice sempre di parlare a nome di papa Francesco («Io ho parlato con il Santo Padre. Ho concordato tutto con lui»).

La schiacciante maggioranza dei cardinali è in totale dissenso da lui. Dunque ora cosa accadrà? Davvero il Papa può intraprendere una via che capovolge quanto la Chiesa, in base alle stesse parole di Gesù e ai testi paolini, ha costantemente insegnato per duemila anni? È possibile mettere in discussione i comandamenti, il Vangelo e i sacramenti? Qualcuno crede che i Papi possano farlo e i media alimentano questa aspettativa. In realtà non è affatto così, perché – come ha sempre ripetuto Benedetto XVI – la Chiesa è di Cristo e non dei papi, i quali sono temporanei amministratori e non padroni. Essi sono sottoposti alla legge di Dio e alla Parola di Dio e devono servire il Signore e custodire il depositum fidei loro affidato. Non possono impadronirsene o mutarlo secondo proprie idee personali.

Quello che tanti – anche fra i credenti – ignorano sono i limiti strettissimi che la Chiesa da sempre ha posto ai papi, mentre riconosceva l’«infallibilità» petrina nei pronunciamenti «ex cathedra» sui temi di fede e di morale. Proprio nella Costituzione dogmatica Pastor Aeternuscon cui al Concilio Vaticano I si definiva l’infallibilità papale, si legge: «Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede».

Il grande Joseph Ratzinger così spiegava questo principio ignorato dalla gran parte dei credenti: «Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio” – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’ubbidienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua. Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito. Il papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio».

Dopo queste chiare spiegazioni Ratzinger aggiungeva:

«Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il Papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa (Giovanni Paolo II) ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».

Anche il cardinale Caffarra, un’autorità sui temi morali già dal pontificato di Giovanni Paolo II, opponendosi alla proposta di Kasper, ha sottolineato che nemmeno i pontefici possono sciogliere il vincolo del primo matrimonio, quindi la Chiesa non può riconoscere un secondo matrimonio, né di diritto, né di fatto, come prospetta Kasper con l’ammissione all’Eucarestia dei divorziati risposati. Caffarra ha anche voluto ricordare la parole di Giovanni Paolo II in un’allocuzione alla Sacra Rota: «Emerge con chiarezza che la non estensione della potestà del romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è insegnata dal magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante atto definitorio». Il cardinale di Bologna ha spiegato il peso di queste parole di papa Wojtyla: «La formula è tecnica, “dottrina da tenersi definitivamente” vuol dire che su questo non è più ammessa la discussione fra i teologi e il dubbio tra i fedeli». In pratica questa verità non può nemmeno essere messa in discussione fra i credenti. Conseguentemente non è possibile nemmeno mutare la disciplina relativa all’accesso all’Eucaristia.

Il card. Kasper durante il concistoro straordinario dello scorso febbraio.

Il card. Kasper durante il concistoro straordinario dello scorso febbraio.

C’è un libro significativo dello stesso cardinale Kasper, un volume oggi introvabile e dimenticato da tutti che fu pubblicato appena dieci anni fa da Herder e Queriniana e s’intitolavaSacramento dell’unità. Eucaristia e Chiesa. Fu scritto e pubblicato in occasione dell’anno eucaristico indetto da Giovanni Paolo II fra 2004 e 2005. Quel libro di Kasper che tocca vari punti spinosi e contestati e sembra davvero in linea col magistero di sempre della Chiesa e di papa Wojtyla. Per quanto riguarda l’accesso alla comunione sacramentale, Kasper sottolinea che non può essere per tutti: «non possiamo invitare tutti a riceverla». Non vi si può accedere in stato di peccato grave, ma solo quando – tramite la confessione – si è in grazia di Dio per «non mangiare e bere indegnamente il corpo e il sangue del Signore».

Kasper aggiunge: «L’affermazione che l’unità e la comunione sono possibili soltanto nel segno della croce ne include un’altra, e cioè che l’eucaristia non è possibile senza il sacramento del perdono. La Chiesa antica era pienamente cosciente di questo nesso. Nella Chiesa antica la struttura visibile del sacramento della penitenza consisteva nella riammissione del peccatore alla comunione eucaristica. Communio, excommunicatio e reconciliatio costituivano tutt’uno. Dietrich Bonhoeffer, il teologo luterano giustiziato dai nazisti nel 1945, ha messo giustamente in guardia dalla grazia a buon mercato. “Grazia a buon mercato è sacramento in svendita, è la cena del Signore senza la remissione dei peccati, è l’assoluzione senza confessione personale”. La grazia a buon mercato è per Bonhoeffer la causa della decadenza della Chiesa».

La «concezione superficiale» dell’eucaristia, spiegava Kasper, «disgiunta dalla croce e dal sacramento della penitenza conduce alla banalizzazione di tali aspetti e alla crisi dell’eucaristia quale quella a cui oggi assistiamo nella vita della Chiesa». Il cardinale tedesco arrivava a scrivere giustamente: «La crisi della concezione dell’eucaristia è il nucleo stesso della crisi della Chiesa odierna».

Ognuno può facilmente valutare la contraddizione fra questo Kasper dell’altroieri e il Kasper di oggi. Gli «innovatori» del Sinodo, di cui egli è uno dei capifila, ovviamente non hanno il coraggio di mettere in discussione apertamente la dottrina, perché questo significherebbe mettere in soffitta il Vangelo stesso. Essi sostengono che non si tratta di cambiare la dottrina, ma solo la pastorale sull’accesso all’eucaristia.

Ma nella Chiesa dogma e pastorale non possono assolutamente essere separate. La ragione teologica della loro unione indissolubile l’ha spiegata ancora una volta Joseph Ratzinger: «pastorale e dogma s’intrecciano in modo indissolubile: è la verità di Colui che è a un tempo “Logos” e “pastore”, come ha profondamente compreso la primitiva arte cristiana che raffigurava il Logos come pastore e nel pastore scorgeva il Verbo eterno, che è per l’uomo la vera indicazione della via».

In sostanza Gesù Buon Pastore è anche il Logos, il Verbo eterno di Dio. Non è possibile separare la misericordia dalla verità.

Ciò significa che non si può mutare l’accesso all’eucaristia per una categoria particolare di persone come i divorziati risposati (per i quali vale la legge che vale per tutti), ma vuol dire pure che verso di loro la Chiesa – come hanno ripetuto papa Wojtyla e Benedetto XVI – intende manifestare in mille altri modi la sua amorosa accoglienza di madre.

© LIBERO (6 ottobre 2014)



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I due sinodi, dentro le mura e fuori

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latinitas

Aprendo il sinodo sulla famiglia, Francesco ha chiesto ai padri sinodali di esprimersi con “parresìa”, con franchezza e in libertà, senza il timore che “il papa pensi qualcosa di diverso”.

Ma questo era proprio ciò che era accaduto nei mesi precedenti, pro e contro le proposte del cardinale Walter Kasper, che si sapevano concordate col papa. Solo che, curiosamente, proprio Kasper e i suoi sostenitori si erano mostrati intolleranti alle critiche, tanto più se da parte di cardinali di primo piano.

Questa è una delle tante contraddizioni comunicative di questo sinodo. Un’altra è data dal filtro informativo frapposto alla discussione in aula.

Mentre nei sinodi precedenti due bollettini giornalieri in più lingue riportavano tutti gli interventi in aula, riassunti dai loro stessi autori, questa volta – a dispetto della conclamata trasparenza – sono forniti alla stampa solo i nomi degli intervenuti, mentre delle cose dette c’è solo il giornaliero resoconto orale di padre Federico Lombardi, accuratamente purgato da indicazioni su chi abbia detto che cosa. Anche “L’Osservatore Romano”, che nel riferire i primissimi interventi aveva scritto di ciascuno l’autore e il contenuto, è rientrato precipitosamente all’ordine, ripiegando su generici “pastoni”.

L’effetto che si è immediatamente prodotto è uno sdoppiamento tra sinodo reale e sinodo virtuale, quest’ultimo costruito dai media con la sistematica enfatizzazione delle cose care allo spirito del tempo. Uno sdoppiamento che era già stato sperimentato con il Concilio Vaticano II, come messo a fuoco magistralmente da Benedetto XVI nell’ultimissimo suo incontro col clero di Roma, a dimissioni già annunciate:

> La guerra dei due Concili: il vero e il falso

Un’altra censura imposta quest’anno ai padri sinodali è il divieto di rendere pubblici i testi dei loro interventi, consegnati per iscritto, come richiesto, prima dello scorso 8 settembre. Il divieto è stato comunicato a voce, in apertura del sinodo, dal segretario generale dello stesso, il cardinale Lorenzo Baldisseri. Il motivo addotto è che, una volta consegnati, questi testi diventano di proprietà esclusiva del sinodo. Nei sinodi precedenti non era così. Non solo venivano regolarmente diramate le sintesi di ogni intervento, ma ciascun padre poteva renderne pubblico, se voleva, il testo integrale.

Ciò non impedisce che ciascun padre sinodale, al di fuori dell’aula, possa dire ciò che vuole a chi crede, come già sta accadendo. La sala stampa della Santa Sede ha addirittura varato un suo blog a questo scopo. Ma, di nuovo, l’effetto è di sdoppiare il sinodo, quello tenuto in aula e quell’altro messo in opera fuori le mura.

Infine, una novità di questo sinodo è che le relazioni prima e dopo la discussione, come pure il documento finale, non si tengono più in latino, come sempre in passato, ma in italiano, promosso da papa Francesco a lingua ufficiale.

Dalla gran parte dei padri sinodali, poco ferrati nella lingua di Cicerone, questa novità è stata accolta con sollievo.

Ma per il destino della lingua latina negli atti ufficiali della Chiesa, come pure nella liturgia, il futuro si fa ancor più cupo.

I volenterosi che vogliono reagire a questa malasorte si sono dati un appuntamento a Roma il 7 e 8 novembre presso il “Pontificium Institutum Altioris Latinitatis” della Pontificia Università Salesiana.

Lì converranno da tutto il mondo latinisti di chiarissima fama come Wilfried Stroh, Kurt Smolak, Andrea Sollena, Dirk Sacré, Luigi Miraglia, Antonio Bologna, Özseb Áron Tóth, Gerardo F. Guzmán Ramírez, Mauro Pisini, Miran Sajovic, Daniel Gallagher, Roberto Spataro. Tutti per dissertare, naturalmente in latino, sul rilancio degli studi della latinità.

Il convegno è promosso nel cinquantesimo anniversario della fondazione del “Pontificium Institutum Altioris Latinitatis” da parte di papa Paolo VI, prossimo beato, grande cultore della latinità e della “humanitas”.

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:

4.10.2014
> Seconde nozze a Venezia per “La Civiltà Cattolica”
A sostegno delle tesi del cardinale Kasper, la rivista con l’imprimatur papale rispolvera una concessione fatta dal Concilio di Trento ai cattolici delle isole greche sotto dominio veneziano, alcuni dei quali si risposavano con rito ortodosso

2.10.2014
> Il vescovo destituito in Paraguay. La parola alla difesa
È stato rimosso senza poter leggere i capi d’accusa. Ha bussato alla porta del papa senza essere da lui ricevuto. Ecco la sua ricostruzione dei fatti, sullo sfondo drammatico della Chiesa del suo paese

30.9.2014
> Diario Vaticano / I retroscena della nomina di Chicago
Come successore del cardinale George, grande ispiratore dell’attuale linea della conferenza episcopale degli Stati Uniti, papa Francesco ha nominato un vescovo di orientamento opposto. Ecco come e perché

 


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“La Civiltà Cattolica” va a nozze col Concilio di Trento. Ma tra gli storici volano schiaffi

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venezia

Luca Pignataro, 41 anni, dottore di ricerca in storia moderna e contemporanea e autore di saggi su “Nuova Storia Contemporanea”, “Nuova Rivista Storica”, “Rivista di Studi bizantini e neoellenici”, “Nova Historica” e altre riviste qualificate, le isole greche le conosce bene.

La sua tesi di dottorato, poi diventata un doppio volume edito da Solfanelli e premiato dalla Fondazione Giovanni Spadolini-Nuova Antologia, è dedicata proprio al Dodecaneso, le isole dell’Egeo sotto dominio italiano dal 1912 al 1947. E nel luglio scorso ha partecipato a un convegno internazionale per l’anniversario della deportazione degli ebrei di Rodi e Kos, su invito della locale comunità israelitica.

Per questo aveva frecce al suo arco per reagire all’articolo pubblicato sull’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica” dal gesuita Giancarlo Pani, professore di storia della Chiesa all’Università “La Sapienza” di Roma, di cui www.chiesa ha dato ampia notizia:

> Seconde nozze a Venezia per “La Civiltà Cattolica”

L’articolo fa leva su una concessione fatta dal Concilio di Trento ai sudditi delle isole greche sotto il dominio di Venezia, riguardo alle seconde nozze, per farne un esempio di “misericordia” e di “ecumenismo” che il corrente sinodo sulla famiglia dovrebbe replicare ed estendere all’intera Chiesa cattolica.

Ma quanto regge al vaglio storico un articolo così marcatamente “a tesi”, pubblicato alla vigilia del sinodo dalla rivista dei gesuiti di Roma stampata con il controllo e l’autorizzazione previa delle autorità vaticane?

Ecco che cosa ha scritto Luca Pignataro a padre Pani, l’autore dell’articolo de “La Civiltà Cattolica”:

*

STRUMENTALIZZAZIONE DELLA STORIA

Gli abitanti delle isole greche sotto dominio veneziano erano in parte cattolici di rito latino, in parte ortodossi. Questi ultimi si ritrovavano senza vescovi (o meglio “metropoliti”), perché Venezia non ne permetteva la nomina da parte del patriarca di Costantinopoli, insediando al loro posto vescovi latini.

Il clero e il popolo, però, rimanevano giocoforza greco-ortodossi. Il potere politico veneziano aveva la necessità di evitare che essi si ribellassero.

Da ciò la richiesta di cui si parla nell’articolo, richiesta che dunque non ha nulla a che vedere con l’attualità occidentale odierna (dovuta alla massiccia e tutt’altro che “naturale” o “inevitabile” scristianizzazione) e nemmeno con l’”ecumenismo”, bensì era dovuta puramente a motivi politici contingenti.

Altrimenti tanto varrebbe dire che i vescovi possono essere nominati dal potere politico, dato che nei Paesi ortodossi era ed è consuetudine la commistione fra potere politico ed ecclesiastico e in passato anche nei Paesi cattolici è stato fatto.

In generale, la strumentalizzazione della Storia a scopi contingenti del presente è una prassi che, benché largamente praticata da chi la Storia la conosce poco, cozza tremendamente sia con la metodologia storiografica sia con il rispetto dovuto all’individualità e alla singolarità dei casi umani e delle persone.

Non è la prima volta che “La Civiltà Cattolica” denigra coloro che guardano con occhio critico la realtà contemporanea e i suoi miti. Resta da dimostrare che siano gli altri nel torto.

I “segni dei tempi” erano, per Gesù Cristo, i segni della crisi che preludeva all’avvento del Cristo Salvatore (venuto a “fare nuove tutte le cose” e a liberare il cuore dell’uomo dalla durezza e dal peccato, non a consacrare l’esistente). Si tratta dunque di una espressione con connotazione negativa (i segni dei tempi indicano ciò che non va, non ciò che bisogna seguire), non certo positiva, come invece la si è voluta spacciare negli ultimi cinquant’anni, forse confondendola con le “magnifiche sorti e progressive” a cui troppi “intellettuali” ancora credono.

Grazie a Dio, dalla Storia si può anche evadere: se n’era accorto anche un non credente come Eugenio Montale. Ma evidentemente a “La Civiltà Cattolica” non l’hanno mai letto né hanno letto tutte le opere di Leopardi, altrimenti non cadrebbero in queste goffe forme di storicismo anacronistico intinto nell’acqua santa.

*

POST SCRIPTUM – Su “Il Foglio” del 7 ottobre anche il professor Roberto de Mattei ha reagito criticamente all’articolo de “La Civiltà Cattolica”:

> Una puntuta risposta al gesuita casuidico





   ATTENZIONE: PER SEGUIRE I TESTI E I VIDEO UFFICIALI, SOLO UFFICIALI, DEL SINODO, VI RIMANDIAMO A QUESTA PAGINA, CLICCARE QUI.... grazie






[Modificato da Caterina63 08/10/2014 23:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)