DIFENDERE LA VERA FEDE

Avvento-Natale 2013 e Gennaio 2014 con la Santa Madre Chiesa

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    Caterina63
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    00 30/11/2013 22:06


      Amici, inizia l'Avvento ed inizia un nuovo Anno Lutirgico...... cercheremo di seguire  gli eventi insieme alla Santa Chiesa.... per i collegamenti alle meditazioni degli anni passati, cliccate qui...

    CELEBRAZIONE DEI VESPRI
    CON LA PARTECIPAZIONE DEGLI UNIVERSITARI DEGLI ATENEI ROMANI

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica Vaticana
    I Domenica di Avvento - Sabato, 30 novembre 2013




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    Si rinnova oggi il tradizionale appuntamento d’Avvento con gli studenti delle Università di questa diocesi, ai quali si uniscono i Rettori e i Professori degli Atenei romani e italiani. Saluto tutti cordialmente: il Cardinale Vicario, i Vescovi, il Sindaco, le varie Autorità accademiche e istituzionali, gli Assistenti delle Cappellanie e dei Gruppi universitari. Saluto specialmente voi, cari universitari e universitarie.

    L’auspicio che san Paolo rivolge ai cristiani di Tessalonica, affinché Dio li santifichi fino alla perfezione, dimostra da una parte la sua preoccupazione per la loro santità di vita messa in pericolo, e dall’altra una grande fiducia nell’intervento del Signore. Questa preoccupazione dell’Apostolo è valida anche per noi, cristiani di oggi. La pienezza della vita cristiana che Dio compie negli uomini, infatti, è sempre insidiata dalla tentazione di cedere allo spirito mondano. Per questo Dio ci dona il suo aiuto mediante il quale possiamo perseverare e preservare i doni che lo Spirito Santo ci ha dato, la vita nuova nello Spirito che Egli ci dà. Custodendo questa “linfa” salutare della nostra vita, tutto il nostro essere, spirito, anima e corpo, si conserva irreprensibile e integerrimo. Ma perché Dio, dopo che ci ha elargito i suoi tesori spirituali, deve intervenire ancora per mantenerli integri? Questa è una domanda che dobbiamo farci. Perché noi siamo deboli, - noi tutti lo sappiamo - la nostra natura umana è fragile e i doni di Dio sono conservati in noi come in “vasi di creta” (cfr 2 Cor 4,7).

    L’intervento di Dio in favore della nostra perseveranza fino alla fine, fino all’incontro definitivo con Gesù, è espressione della sua fedeltà. E’ come un dialogo fra la nostra debolezza e la sua fedeltà. Lui è forte nella sua fedeltà. E Paolo dirà, in un’altra parte, che lui – lui, lo stesso Paolo - è forte nella sua debolezza. Perché? Perché è in dialogo con quella fedeltà di Dio. E questa fedeltà di Dio mai delude. Egli è fedele anzitutto a se stesso. Pertanto, l’opera che ha iniziato in ciascuno di noi, con la sua chiamata, la condurrà a compimento. Questo ci dà sicurezza e grande fiducia: una fiducia che poggia su Dio e richiede la nostra collaborazione attiva e coraggiosa, davanti alle sfide del momento presente. Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno.

    Sono diverse le sfide che voi giovani universitari siete chiamati ad affrontare con fortezza interiore e audacia evangelica. Fortezza e audacia. Il contesto socio-culturale nel quale siete inseriti a volte è appesantito dalla mediocrità e dalla noia. Non bisogna rassegnarsi alla monotonia del vivere quotidiano, ma coltivare progetti di ampio respiro, andare oltre l’ordinario: non lasciatevi rubare l’entusiasmo giovanile! Sarebbe uno sbaglio anche lasciarsi imprigionare dal pensiero debole e dal pensiero uniforme, quello che omologa, come pure da una globalizzazione intesa come omologazione. Per superare questi rischi, il modello da seguire non è la sfera. Il modello da seguire nella vera globalizzazione - che è buona – non è la sfera, in cui è livellata ogni sporgenza e scompare ogni differenza; il modello è invece il poliedro, che include una molteplicità di elementi e rispetta l’unità nella varietà. Nel difendere l’unità, difendiamo anche la diversità. Al contrario quella unità non sarebbe umana.

    Il pensiero, infatti, è fecondo quando è espressione di una mente aperta, che discerne, sempre illuminata dalla verità, dal bene e dalla bellezza. Se non vi lascerete condizionare dall’opinione dominante, ma rimarrete fedeli ai principi etici e religiosi cristiani, troverete il coraggio di andare anche contro-corrente. Nel mondo globalizzato, potrete contribuire a salvare peculiarità e caratteristiche proprie, cercando però di non abbassare il livello etico. Infatti, la pluralità di pensiero e di individualità riflette la multiforme sapienza di Dio quando si accosta alla verità con onestà e rigore intellettuale, quando si accosta alla bontà, quando si accosta alla bellezza, così che ognuno può essere un dono a beneficio di tutti.

    L’impegno di camminare nella fede e di comportarvi in maniera coerente col Vangelo vi accompagni in questo tempo di Avvento, per vivere in modo autentico la commemorazione del Natale del Signore. Vi può essere di aiuto la bella testimonianza del beato Pier Giorgio Frassati, il quale diceva – universitario come voi - diceva:  «Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere» (Lettera a I. Bonini, 27.II.1925).

    Grazie, e buon cammino verso Betlemme!



    Come abbiamo appena letto sopra, Papa Francesco  ha detto:

    "Se non vi lascerete condizionare dall’opinione dominante, ma rimarrete fedeli ai principi etici e religiosi cristiani, troverete il coraggio di andare anche contro-corrente. Nel mondo globalizzato, potrete contribuire a salvare peculiarità e caratteristiche proprie, cercando però di non abbassare il livello etico. Infatti, la pluralità di pensiero e di individualità riflette la multiforme sapienza di Dio quando si accosta alla verità con onestà e rigore intellettuale, quando si accosta alla bontà, quando si accosta alla bellezza, così che ognuno può essere un dono a beneficio di tutti...."

      ebbene.... oltre 100 anni fa, nel 1890, così diceva - profeticamente - Papa Leone XIII nell'Enciclica la Sapienza Cristiana 

    "Richiamarsi ai precetti della sapienza cristiana e conformare profondamente ad essi la vita, i costumi e le istituzioni dei popoli è cosa che ogni giorno appare sempre più necessaria. Avendoli messi da parte, ne sono derivati mali così grandi che nessun uomo saggio può sopportare la presente situazione senza una grave preoccupazione, né guardare al futuro senza timore...."

    Buona meditazione 




    [Modificato da Caterina63 01/12/2013 22:41]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 01/12/2013 00:57
    avvento1



    A Natale la Chiesa celebra una autentica trasformazione della nostra vita perché, il vero Figlio di Dio - Gesù Cristo - non è solamente divenuto "uno di noi", ma ci ha concesso di poter diventare noi stessi veri figli di Dio; un popolo nuovo, una stirpe santa che Egli anima e nutre della sua vita divina, guidandoci verso il vero Regno che "non è di questo mondo".

    Così tutta la Liturgia dell'Avvento è una immensa invocazione alla venuta del Salvatore. La Chiesa riprende le ardenti invocazioni al Messia che erano risuonate attraverso l'Antico Testamento, e ce le fa ripetere in modo sempre insistente, man mano che ci si avvicina al Natale.

    Il Salvatore è già venuto, ma noi lo aspettiamo ancora. Aspettiamo per noi stessi e il nostro tempo presente, le Sue grazie di redenzione e di santificazione che devono ancora una volta trasformare la nostra vita, rendendola simile alla Sua.

    "Andiamo con gioia incontro al Signore"

    e con queste parole simili inizia l'Esortazione di Papa Francesco: "Evangelii gaudium", il Vangelo della gioia, attraverso la quale ci terremo compagnia per questo Avvento 2013.

     

    Così ci invita il Santo Padre:

    "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. (..) Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta ".

     

     Movimento Domenicano del Rosario
    www.sulrosario.org
    i
    nfo@sulrosario.org




     

    ANGELUS 

     

    Piazza San Pietro
    I Domenica di Avvento, 1° dicembre 2013

     

     

     

     

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

     

    Iniziamo oggi, Prima Domenica di Avvento, un nuovo anno liturgico, cioè un nuovo cammino del Popolo di Dio con Gesù Cristo, il nostro Pastore, che ci guida nella storia verso il compimento del Regno di Dio. Perciò questo giorno ha un fascino speciale, ci fa provare un sentimento profondo del senso della storia. Riscopriamo la bellezza di essere tutti in cammino: la Chiesa, con la sua vocazione e missione, e l’umanità intera, i popoli, le civiltà, le culture, tutti in cammino attraverso i sentieri del tempo.

     

    Ma in cammino verso dove? C’è una mèta comune? E qual è questa mèta? Il Signore ci risponde attraverso il profeta Isaia, e dice così: «Alla fine dei giorni, / il monte del tempio del Signore / sarà saldo sulla cima dei monti / e s’innalzerà sopra i colli, / e ad esso affluiranno tutte le genti. / Verranno molti popoli e diranno: / “Venite, saliamo al monte del Signore, / al tempio del Dio di Giacobbe, / perché ci insegni le sue vie / e possiamo camminare per i suoi sentieri”» (2,2-3). Questo è quello che dice Isaia sulla meta dove andiamo. E’ un pellegrinaggio universale verso una meta comune, che nell’Antico Testamento è Gerusalemme, dove sorge il tempio del Signore, perché da lì, da Gerusalemme, è venuta la rivelazione del volto di Dio e della sua legge. La rivelazione ha trovato in Gesù Cristo il suo compimento, e il “tempio del Signore” è diventato Lui stesso, il Verbo fatto carne: è Lui la guida ed insieme la meta del nostro pellegrinaggio, del pellegrinaggio di tutto il Popolo di Dio; e alla sua luce anche gli altri popoli possono camminare verso il Regno della giustizia, verso il Regno della pace. Dice ancora il profeta: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (2,4). Mi permetto di ripetere questo che dice il Profeta, ascoltate bene: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra». Ma quando accadrà questo? Che bel giorno sarà, nel quale le armi saranno smontate, per essere trasformate in strumenti di lavoro! Che bel giorno sarà quello! E questo è possibile! Scommettiamo sulla speranza, sulla speranza della pace, e sarà possibile!

     

    Questo cammino non è mai concluso. Come nella vita di ognuno di noi c’è sempre bisogno di ripartire, di rialzarsi, di ritrovare il senso della mèta della propria esistenza, così per la grande famiglia umana è necessario rinnovare sempre l’orizzonte comune verso cui siamo incamminati. L’orizzonte della speranza! Questo è l’orizzonte per fare un buon cammino. Il tempo di Avvento, che oggi di nuovo incominciamo, ci restituisce l’orizzonte della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla Parola di Dio. Una speranza che non delude, semplicemente perché il Signore non delude mai! Lui è fedele! Lui non delude! Pensiamo e sentiamo questa bellezza.

     

    Il modello di questo atteggiamento spirituale, di questo modo di essere e di camminare nella vita, è la Vergine Maria. Una semplice ragazza di paese, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio! Nel suo grembo, la speranza di Dio ha preso carne, si è fatta uomo, si è fatta storia: Gesù Cristo. Il suo Magnificat è il cantico del Popolo di Dio in cammino, e di tutti gli uomini e le donne che sperano in Dio, nella potenza della sua misericordia. Lasciamoci guidare da lei, che è madre, è mamma e sa come guidarci. Lasciamoci guidare da Lei in questo tempo di attesa e di vigilanza operosa.


     

     

    [Modificato da Caterina63 01/12/2013 13:51]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 01/12/2013 11:17
      RICORDA QUESTO:
    da i Racconti di un pellegrino russo..... 

    "Se tu non capisci la parola di Dio i diavoli però capiscono quel che tu leggi e tremano".... Buon Avvento a tutti!!    







    I DOMENICA D'AVVENTO (Anno A) - "Presero il figlio amato, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna"


     





    Dal Vangelo secondo Matteo (24,37-44) 

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

    Il Magistero di Benedetto XVI
    Angelus, 28 novembre 2010
    La Chiesa inizia un nuovo Anno liturgico, un nuovo cammino di fede che, da una parte, fa memoria dell’evento di Gesù Cristo e, dall’altra, si apre al suo compimento finale. E proprio di questa duplice prospettiva vive il Tempo di Avvento, guardando sia alla prima venuta del Figlio di Dio, quando nacque dalla Vergine Maria, sia al suo ritorno glorioso, quando verrà “a giudicare i vivi e i morti”, come diciamo nel Credo...L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo.

     








      Papa Francesco: Natale è lasciarsi incontrare da Gesù col cuore aperto perché ci rinnovi la vita



    Prepararsi al Natale con la preghiera, la carità e la lode: con un cuore aperto a lasciarsi incontrare dal Signore che tutto rinnova: è l'invito lanciato da Papa Francesco nella Messa presieduta a Santa Marta in questo primo lunedì, 2 dicembre, del Tempo di Avvento. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

    Commentando il passo del Vangelo del giorno in cui il centurione romano chiede con grande fede a Gesù la guarigione del servo, il Papa ha ricordato che in questi giorni “cominciamo un nuovo cammino”, un “cammino di Chiesa … verso il Natale”. Andiamo incontro al Signore, “perché il Natale – ha precisato - non è soltanto una ricorrenza temporale oppure un ricordo di una cosa bella”:

    “Il Natale è di più: noi andiamo per questa strada per incontrare il Signore. Il Natale è un incontro! E camminiamo per incontrarlo: incontrarlo col cuore, con la vita; incontrarlo vivente, come Lui è; incontrarlo con fede. E non è facile vivere con la fede. Il Signore, nella parola che abbiamo ascoltato, si meravigliò di questo centurione: si meravigliò della fede che lui aveva. Lui aveva fatto un cammino per incontrare il Signore, ma lo aveva fatto con fede. Per questo non solo lui ha incontrato il Signore, ma ha sentito la gioia di essere incontrato dal Signore. E questo è proprio l’incontro che noi vogliamo: l’incontro della fede!”.

    E più che essere noi ad incontrare il Signore – sottolinea il Papa – è importante “lasciarci incontrare da Lui”:

    “Quando noi soltanto incontriamo il Signore, siamo noi - fra virgolette, diciamolo - i padroni di questo incontro; ma quando noi ci lasciamo incontrare da Lui, è Lui che entra dentro di noi, è Lui che ci rifà tutto di nuovo, perché questa è la venuta, quello che significa quando viene il Cristo: rifare tutto di nuovo, rifare il cuore, l’anima, la vita, la speranza, il cammino. Noi siamo in cammino con fede, con la fede di questo centurione, per incontrare il Signore e principalmente per lasciarci incontrare da Lui!”.

    Ma occorre il cuore aperto:

    “Cuore aperto, perché Lui incontri me! E mi dica quello che Lui vuol dirmi, che non sempre è quello che io voglio che mi dica! Lui è il Signore e Lui mi dirà quello ha per me, perché il Signore non ci guarda tutti insieme, come una massa. No, no! Ci guarda ognuno in faccia, negli occhi, perché l’amore non è un amore così, astratto: è amore concreto! Da persona a persona: il Signore, persona, guarda me, persona. Lasciarci incontrare dal Signore è proprio questo: lasciarci amare dal Signore!”. 

    In questo cammino verso il Natale – ha concluso il Papa – ci aiutano alcuni atteggiamenti: “la perseveranza nella preghiera, pregare di più; l’operosità nella carità fraterna, avvicinarci un po’ di più a quelli che hanno bisogno; e la gioia nella lode del Signore”. Dunque: “la preghiera, la carità e la lode”, con il cuore aperto “perché il Signore ci incontri”.



     



     
    [Modificato da Caterina63 02/12/2013 14:39]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 06/12/2013 12:56



    seconda



    La Liturgia di questo tempo ci invita a riflettere su 4 grandi Figure: Isaia, San Giovanni Battista, San Giuseppe e la Vergine Maria. Attraverso il compito provvidenziale che fu loro affidato, si ha la meravigliosa manifestazione dei piani divini, passati, presenti e futuri, che preparano la salvezza promessa della Redenzione, dopo la colpa del Peccato Originale.

    Giovanni Battista, l'ultimo dei profeti e il primo dei testimoni della venuta del Messia, ci mostra Cristo e ci esorta ad andare verso di Lui: "Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco".

    Non c'è altro da fare che lasciarci conquistare da Gesù facendo penitenza e convertendoci al Suo amore.

    Così dice il Papa nell'Esortazione Evangelii gaudium:

    "Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «â€…nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore ». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo:

    «â€…Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici ». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «â€…settanta volte sette » (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!"


    Vi ricordiamo che questa Domenica seconda di Avvento, coincide con la Solennità dell'Immacolata in questo link troverete meditazioni e che domani, 7 dicembre, è anche il primo sabato del Mese dedicato a Maria santissima.....




    Nel presepe manca il bue. È made in China

    di Elisabetta Broli06-12-2013

     

    Certo, nessun Vangelo ne parla – al massimo ne allude lontanamente citando la mangiatoia - ma da un millennio nel presepe il bue fa coppia fissa con l’asinello, a scaldare Gesù Bambino nella grotta. Ed allora perché eliminarlo?

    Un paio di settimane fa ho comprato nel centro di Roma un presepe completo, incartato e riposto con cura in una scatola. Quando l’ho aperta mancava il bue. Il giorno dopo sono tornata al negozio e il commesso mi ha dato un nuovo presepe. Ho aperto la seconda confezione: anche in quella il bue non c’era. Come mai? Entrambi i presepi erano made in China, e cosa ne sanno, in un paese dove è stato bandito il cristianesimo, del bue e dell’asinello, ma anche di Gesù Bambino, della Madonna e di Giuseppe?

    La Repubblica Popolare della Cina ufficialmente è atea e cristianesimo, sciamanesimo, taoismo, islamismo o buddhismo sono più o meno la stessa cosa. Su una popolazione di un miliardo e trecentomila persone, i cristiani sarebbero solo sessanta milioni; e secondo la “China Aid”, un’organizzazione per la difesa dei diritti umani, il Partito Comunista cinese ha redatto un documento contro il crescente diffondersi del cristianesimo nei campus universitari.

    Nei presepi che arrivano dalla Cina potremmo trovare di tutto, dalle giraffe al posto delle pecore, ad una bambina nella mangiatoia. Invece della grotta un bel minareto con la mezza luna e la stella. A Mosca ho visto un presepe realizzato con le matrioske, pecore incluse, però in regola.

    Il bue e l’asinello sono il presepe, anche se i Vangeli non ne parlano. Il primo testo a inserire i due animali nella natività, non proprio alla nascita ma al terzo giorno, sembra sia stato un apocrifo, il Vangelo dello Pseudo-Matteo: quando la Sacra Famiglia si sposta dalla grotta ad una stalla. Ma la loro funzione non era tanto quella di scaldare con il fiato nella notte di Betlemme il Figlio di Dio, bensì di adorarlo, rafforzando il riconoscimento della sua divinità, sull’esempio di angeli, pastori e re magi. Ma c’è dell’altro: i due animali danno compimento alle profezie di Isaia – ll bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone – e di Abacuc – In mezzo a due animali ti farai conoscere. Insomma, il bue e l’asinello, ma questo i nostri cinesi non possono neppure immaginarlo, sono diciamo due “strumenti teologici”, per confermare appunto le promesse dell’Antico Testamento e ammonire chi non riconosceva il Salvatore in quel bambino.

    Una volta entrati nella grotta, sui due animali si pronunciarono in tanti all’interno della Chiesa. Per san Gerolamo rappresentavano l’Antico e il Nuovo Testamento; per san Riccardo l’asinello l’umiltà evangelica e per san Girolamo la pazienza virtuosa. In ogni caso il bue e l’asinello sono entrati definitivamente nel presepe fin dal IV Secolo, ed è un anonimo francescano del Trecento a trasformarli in un calorifero e investendoli di una devozione romantica. San Francesco non sminuì la tradizione, imponendo nella sua sacra rappresentazione la coppia di animali, non solo per verismo ma per una questione di umiltà, un messaggio implicito di pace e povertà; il contrario della presunzione e dell’altero cavallo che, a quei tempi e ancora a lungo, rappresentava il mezzo di trasporto dei nobili ricchi e dei cavalieri.

    Una leggenda vuole che, nella notte di Natale coperta dalla neve, nelle stalle al bue e all’asinello – proprio per il ruolo che rappresentano nella Natività – è concesso di parlare e di dialogare con l’uomo. Naturalmente se la Cina permette la loro presenza.







     
     

    [Modificato da Caterina63 06/12/2013 16:04]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 07/12/2013 22:21
    Il Signore sia con te
    il signore sia con te



      per chi preferisce il testo scritto:

    Il Signore sia con te

    Oggi parliamo di un breve DIALOGO, ma intenso, che avviene durante la Santa Messa, si ripete per quattro volte, e non sono parole messe lì a caso.....

    Il Signore è con te

    Chi frequenta la chiesa e partecipa a qualche liturgia, come la Santa Messa, si sente dire per diverse volte, come saluto, come augurio, come inizio di un dialogo:

    «Il Signore sia con voi», e noi ripetiamo "e con il tuo spirito".

    Dominus vobiscum . Et cum spiritu Tuo.

    Prima di dire una preghiera, prima di dare una benedizione, prima di congedare, prima di fare un gesto solenne, il prete dice : «Il Signore sia con voi».

    Come sempre, quando ci si abitua a delle espressioni, queste perdono il loro significato e diventano modi di dire.

    Ma da dove viene questo saluto?

    Quando l’Angelo "mandato da Dio" lo disse alla Vergine Maria, non stava facendo liturgie particolari, non ha detto «il Signore è con te» per cominciare una preghiera, ma definiva un fatto nuovo, un evento nella storia dell’umanità.

    Ma Dio non è Colui che abita solo nei cieli, l’inaccessibile, Colui che non può essere circoscritto in nessuna realtà creata? Non il nostro ed unico vero Dio!

    È sempre stato un grande desiderio di ogni uomo dal sentimento religioso poter stare con Dio, vivere con Lui, avere un contatto con la divinità. Gli ebrei andavano al tempio e con sacrifici propiziatori chiedevano di poter parlare con Dio, dialogare con Lui. Il pontefice-sacerdote faceva da "ponte" appunto per creare il contatto, per dare all’uomo una vaga speranza di poter invadere lo spazio di Dio in cerca di aiuto.

    L'Arcangelo Gabriele invece salta tutti i sacrifici propiziatori, realizza il grande desiderio dell’uomo di voler incontrare Dio nella decisione definitiva di Dio di abitare con l’uomo, di stare con lui.

    Così "discende dal Cielo" e garantisce a Maria che il contatto, la Presenza impossibile, la vicinanza di Dio stava diventando per lei un dato di fatto, un’esperienza assolutamente unica e nuova che cambiava il corso della storia.

    Con Maria cambia radicalmente la storia: il Signore viene ad abitare nella vita dell’uomo. Si fa Uomo, pur rimanendo Dio.

    La Madonna non risponde con un fare  abitudinario: «E con il tuo Spirito», non stava a Messa distratta, ma viene colpita dall’intensità del significato.

    "Come avverrà questo?" chiederà Maria che era attenta all'Annuncio. E l'Arcangelo le spiega come avverrà (leggere il Vangelo secondo Luca 1, 29-38).

    "A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».  Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio».  Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei..."

     

    E l'Onnipotente, l'Eccelso Signore, grazie al "Sì" di Maria, per la prima volta sta con la creatura in maniera definitiva, nuova, unica.

    Da allora tutto è talmente vero e bello che Dio non ha più abbandonato l’uomo e il saluto nella Santa Messa: «Il Signore sia con voi» è un saluto che ci garantisce che Dio non ci abbandona più, è sempre con noi, ci abita, ci possiede, ci fortifica dall’interno.

    Per ogni cristiano si può dire: il Signore è con te. Dio sta qui, come ha promesso quando ascese al cielo, è in te con lo Spirito, è dentro di te con la Sua forza, è con noi in virtù della Sua Parola che è via, verità e vita.

    Non sei solo, non sei abbandonato a te stesso, non sei di nessuno, ma c’è con te il Signore, il Kyrios, l’Onnipotente. Dio non abita nei miti, non si fa raccontare, non si fa annunciare da sacrifici di animali, ma interviene direttamente, il Sacrificio è Lui stesso, abita in ogni persona che liberamente gli apre la porta: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Apocalisse 3,20).

     

    Nel vangelo tante altre volte Gesù si sentirà chiedere dalla gente: «Maestro dove stai? dove abiti? ....». La sua risposta è coinvolgente: «Venite e vedrete....».

    Andare dove? 
    Noi stiamo cuore a cuore con Dio; da quando Maria ha concepito Gesù, non c’è più nessun vuoto, nessuna solitudine, nessun abbandono. «Io sono con te».

    Il Signore è con te come lo è per Maria, ti può riempire tutto, se vuoi.

    Perché tante persone che abitano nelle clausure più isolate sono felici? Perché sperimentano che Dio è con loro, si fa incontrare lì nella vita contemplativa. Ma non solo: chi frequenta spesso la Santa Messa come si deve, l'Adorazione Eucaristica, la Confessione, l'Eucaristia, se lo fa perché vuole aprire la porta a Dio, sperimenta questo incontro e non lo lascia più.

    La solitudine è sconfitta, Dio è presente nella nostra vita in Cristo Gesù. Quando l'Apostolo Andrea dice a Gesù che "vuole vedere Dio, il Padre": Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? » (Giovanni 14,9).

    E noi Lo contempliamo estasiati in Maria e con Maria, ma per esserne pienamente coinvolti dobbiamo, come Lei, dire il nostro personale "Sì"; Sì Gesù, vieni a nascere nel mio cuore.

     

           

     





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 10/12/2013 21:29
    UN CANTO DELLA DEVOZIONE POPOLARE.... IN LUI VIVRO'
    con la voce di Al Bano, per il Natale 2009 feci questo video...
    ve lo ripropongo per la dolcezza, per il titolo stesso.... e perchè Benedetto XVI è - grazie a Dio - ancora tra noi e nella Preghiera abbiamo promesso una unità ed un amore in Cristo dal quale, come dice San Paolo "nessuno potrà separarci - nessuno potrà toglierci".
    Buon Natale anche a Te, amato Benedetto!!


    it.gloria.tv/?media=42290
    Il testo della canzone popolare

    Vivrò per Te, sarai il mio Re,
    e quando Tu nascerai
    suoneranno le campane con le antiche cantilene,
    dagli ulivi del mio sud aspetterò.

    Ai piedi Tuoi io pregherò,
    Natale poi dentro noi ci sarà.
    Sui Tuoi passi tornerò, sotto il cielo canterò,
    tra i vigneti addormentati pregherò.
    (musica)
    Sei la voce nella valle, sei il silenzio tra le onde,
    Sei il sorriso tra i bambini e lo sarai!
    Le ferite di ogni cuore col Tuo sguardo guarirai,
    l'acqua e il sole per i campi ci darai!

    it.gloria.tv/?media=42290


    [SM=g27998]



    Dante Alighieri... il "suo Paradiso", al di là dei riferimenti letterari e scolastici è davvero meraviglioso assaporare la Dottrina della Divina Incarnazione e del prodigioso concepimento e parto, attraverso delle parole formate in poesia....
    E' tutto una poesia, è tutta una meraviglia! Fermiamoci a contemplare, sostiamo a meditare, e nello stupore degli eventi Divini, innamoriamoci anche noi di questa Madre come se ne innamorò Dio, come se ne innamorò Gesù, il frutto benedetto del Suo seno!

    qui per voi in video karaoke:
    www.gloria.tv/?media=231633


    Dante Alighieri Paradiso Canto XXXIII
    Musica di L. Vassallo voci e chitarra: G.Bottino - L. Vassallo

    «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
    umile e alta più che creatura,
    termine fisso d'etterno consiglio, 3

    tu se' colei che l'umana natura
    nobilitasti sì, che 'l suo fattore
    non disdegnò di farsi sua fattura. 6

    Nel ventre tuo si raccese l'amore,
    per lo cui caldo ne l'etterna pace
    così è germinato questo fiore. 9

    Qui se' a noi meridiana face
    di caritate, e giuso, intra ' mortali,
    se' di speranza fontana vivace. 12

    Donna, se' tanto grande e tanto vali,
    che qual vuol grazia e a te non ricorre
    sua disianza vuol volar sanz'ali. 15

    La tua benignità non pur soccorre
    a chi domanda, ma molte fiate
    liberamente al dimandar precorre. 18

    In te misericordia, in te pietate,
    in te magnificenza, in te s'aduna
    quantunque in creatura è di bontate.



    [SM=g1740717]


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    [Modificato da Caterina63 11/12/2013 09:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 11/12/2013 10:57



    Gesù si manifesta come Messia, riferendosi ad Isaia 61,1-3 "ai poveri è annunziato il Vangelo", la lieta novella; e subito dichiara: " E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!". Il Signore ci invita a non farci un "messia" di comodo, ideologizzato, partitico, una fede a seconda delle nostre opinioni, soggettivista. Seguire la Santa Chiesa significa proprio educare la nostra coscienza in modo retto, ordinata alla visione di Cristo, al Suo progetto su ognuno di noi.

     

    Così dice il Papa nell'Esortazione Evangelii gaudium:

    "Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia. Bastano alcuni esempi: «â€…Rallegrati » è il saluto dell’angelo a Maria (Lc 1,28). La visita di Maria a Elisabetta fa sì che Giovanni salti di gioia nel grembo di sua madre (cfr Lc 1,41). Nel suo canto Maria proclama: «â€…Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore » (Lc 1,47). Quando Gesù inizia il suo ministero, Giovanni esclama: «â€…Ora questa mia gioia è piena » (Gv 3,29).
    Gesù stesso «â€…esultò di gioia nello Spirito Santo » (Lc 10,21). Il suo messaggio è fonte di gioia: «â€…Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena » (Gv 15,11). La nostra gioia cristiana scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. Egli promette ai discepoli: «â€…Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia » (Gv 16,20).
    E insiste: «â€…Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia » (Gv 16,22). In seguito essi, vedendolo risorto, «â€…gioirono » (Gv 20,20). Il libro degli Atti degli Apostoli narra che nella prima comunità «â€…prendevano cibo con letizia » (2,46). Dove i discepoli passavano «â€…vi fu grande gioia » (8,8), ed essi, in mezzo alla persecuzione, «â€…erano pieni di gioia » (13,52). Un eunuco, appena battezzato, «â€…pieno di gioia seguiva la sua strada » (8,39), e il carceriere «â€…fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio » (16,34). Perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia?"

     

       











    [Modificato da Caterina63 12/12/2013 16:20]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 12/12/2013 13:48
    [SM=g1740717] Karaoke Natalizio Auguri Movimento Domenicano del Rosario

    Con questo video karaoke desideriamo formulare a quanti ci seguono e a tutti, i più fraterni Auguri del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, auspicando per ognuno la Sua Pace anche per affrontare con serenità e speranza l'Anno Nuovo.
    Che la Beata Vergine Maria con San Giuseppe il suo castissimo Sposo, ci benedica tutti.
    it.gloria.tv/?media=540393


    Movimento Domenicano del Rosario
    www.sulrosario.org
    info@sulrosario.org



    [SM=g1740738]


    [SM=g1740750] [SM=g1740752]

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 12/12/2013 15:08




    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

    Città del Vaticano, 12 dicembre 2013 (VIS). "Fraternità, fondamento e via per la pace" è il titolo scelto da Papa Francesco per il suo primo Messaggio per la 47a Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio 2014.
    Il documento, datato 8 dicembre, Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, è costituito di dieci sezioni, che includono un breve prologo e una conclusione, con due citazioni bibliche: "Dov'è tuo fratello?" (Gen 4,9) e "E voi siete tutti fratelli" (Mt 23,8) e sei frasi sulla fraternità: "Fraternità, fondamento e via per la pace"; "Fraternità, premessa per sconfiggere la povertà"; "La riscoperta della fraternità nell'economia"; "La fraternità spegne la guerra; "La corruzione e il crimine organizzato avversano la fraternità"; "La fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura".

    Di seguito riportiamo il testo integrale del Messaggio:

    "Fraternità, fondamento e via per la pace

    1. In questo mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, desidero rivolgere a tutti, singoli e popoli, l’augurio di un’esistenza colma di gioia e di speranza. Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna alberga, infatti, il desiderio di una vita piena, alla quale appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare.

    Infatti, la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura. E occorre subito ricordare che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore.

    Il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri. Tale vocazione è però ancor oggi spesso contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella 'globalizzazione dell’indifferenza' che ci fa lentamente 'abituare' alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi.

    In tante parti del mondo, sembra non conoscere sosta la grave lesione dei diritti umani fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e di quello alla libertà di religione. Il tragico fenomeno del traffico degli esseri umani, sulla cui vita e disperazione speculano persone senza scrupoli, ne rappresenta un inquietante esempio. Alle guerre fatte di scontri armati si aggiungono guerre meno visibili, ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finanziario con mezzi altrettanto distruttivi di vite, di famiglie, di imprese.

    La globalizzazione, come ha affermato Benedetto XVI, ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. Inoltre, le molte situazioni di sperequazione, di povertà e di ingiustizia, segnalano non solo una profonda carenza di fraternità, ma anche l’assenza di una cultura della solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello 'scarto', che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati 'inutili'. Così la convivenza umana diventa sempre più simile a un mero 'do ut des' pragmatico ed egoista.

    In pari tempo appare chiaro che anche le etiche contemporanee risultano incapaci di produrre vincoli autentici di fraternità, poiché una fraternità priva del riferimento ad un Padre comune, quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere. Una vera fraternità tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente. A partire dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini, ovvero quel farsi 'prossimo' che si prende cura dell’altro.

    'Dov’è tuo fratello?' (Gen 4,9)

    2. Per comprendere meglio questa vocazione dell’uomo alla fraternità, per riconoscere più adeguatamente gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione e individuare le vie per il loro superamento, è fondamentale farsi guidare dalla conoscenza del disegno di Dio, quale è presentato in maniera eminente nella Sacra Scrittura.

    Secondo il racconto delle origini, tutti gli uomini derivano da genitori comuni, da Adamo ed Eva, coppia creata da Dio a sua immagine e somiglianza, (cfr Gen 1,26) da cui nascono Caino e Abele. Nella vicenda della famiglia primigenia leggiamo la genesi della società, l’evoluzione delle relazioni tra le persone e i popoli.

    Abele è pastore, Caino è contadino. La loro identità profonda e, insieme, la loro vocazione, è quella di essere fratelli, pur nella diversità della loro attività e cultura, del loro modo di rapportarsi con Dio e con il creato. Ma l’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro. Caino, non accettando la predilezione di Dio per Abele, che gli offriva il meglio del suo gregge – 'il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta' (Gen 4,4-5) – uccide per invidia Abele. In questo modo rifiuta di riconoscersi fratello, di relazionarsi positivamente con lui, di vivere davanti a Dio, assumendo le proprie responsabilità di cura e di protezione dell’altro. Alla domanda 'Dov’è tuo fratello?', con la quale Dio interpella Caino, chiedendogli conto del suo operato, egli risponde: 'Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?'. (Gen 4,9) Poi, ci dice la Genesi, 'Caino si allontanò dal Signore' (4,16).

    Occorre interrogarsi sui motivi profondi che hanno indotto Caino a misconoscere il vincolo di fraternità e, assieme, il vincolo di reciprocità e di comunione che lo legava a suo fratello Abele. Dio stesso denuncia e rimprovera a Caino una contiguità con il male: 'il peccato è accovacciato alla tua porta' (Gen 4,7). Caino, tuttavia, si rifiuta di opporsi al male e decide di alzare ugualmente la sua 'mano contro il fratello Abele' (Gen 4,8), disprezzando il progetto di Dio. Egli frustra così la sua originaria vocazione ad essere figlio di Dio e a vivere la fraternità.

    Il racconto di Caino e Abele insegna che l’umanità porta inscritta in sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità drammatica del suo tradimento. Lo testimonia l’egoismo quotidiano, che è alla base di tante guerre e tante ingiustizie: molti uomini e donne muoiono infatti per mano di fratelli e di sorelle che non sanno riconoscersi tali, cioè come esseri fatti per la reciprocità, per la comunione e per il dono.

    'E voi siete tutti fratelli' (Mt 23,8)

    3. Sorge spontanea la domanda: gli uomini e le donne di questo mondo potranno mai corrispondere pienamente all’anelito di fraternità, impresso in loro da Dio Padre? Riusciranno con le loro sole forze a vincere l’indifferenza, l’egoismo e l’odio, ad accettare le legittime differenze che caratterizzano i fratelli e le sorelle?

    Parafrasando le sue parole, potremmo così sintetizzare la risposta che ci dà il Signore Gesù: poiché vi è un solo Padre, che è Dio, voi siete tutti fratelli (cfr Mt 23,8-9). La radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio. Non si tratta di una paternità generica, indistinta e storicamente inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascun uomo (cfr Mt 6,25-30). Una paternità, dunque, efficacemente generatrice di fraternità, perché l’amore di Dio, quando è accolto, diventa il più formidabile agente di trasformazione dell’esistenza e dei rapporti con l’altro, aprendo gli uomini alla solidarietà e alla condivisione operosa.

    In particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione. La croce è il 'luogo' definitivo di fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da soli. Gesù Cristo, che ha assunto la natura umana per redimerla, amando il Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8), mediante la sua risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla fraternità.

    Gesù riprende dal principio il progetto del Padre, riconoscendogli il primato su ogni cosa. Ma il Cristo, con il suo abbandono alla morte per amore del Padre, diventa principio nuovo e definitivo di tutti noi, chiamati a riconoscerci in Lui come fratelli perché figli dello stesso Padre. Egli è l’Alleanza stessa, lo spazio personale della riconciliazione dell’uomo con Dio e dei fratelli tra loro. Nella morte in croce di Gesù c’è anche il superamento della separazione tra popoli, tra il popolo dell’Alleanza e il popolo dei Gentili, privo di speranza perché fino a quel momento rimasto estraneo ai patti della Promessa. Come si legge nella Lettera agli Efesini, Gesù Cristo è colui che in sé riconcilia tutti gli uomini. Egli è la pace, poiché dei due popoli ne ha fatto uno solo, abbattendo il muro di separazione che li divideva, ovvero l’inimicizia. Egli ha creato in se stesso un solo popolo, un solo uomo nuovo, una sola nuova umanità (cfr 2,14-16).

    Chi accetta la vita di Cristo e vive in Lui, riconosce Dio come Padre e a Lui dona totalmente se stesso, amandolo sopra ogni cosa. L’uomo riconciliato vede in Dio il Padre di tutti e, per conseguenza, è sollecitato a vivere una fraternità aperta a tutti. In Cristo, l’altro è accolto e amato come figlio o figlia di Dio, come fratello o sorella, non come un estraneo, tanto meno come un antagonista o addirittura un nemico. Nella famiglia di Dio, dove tutti sono figli di uno stesso Padre, e perché innestati in Cristo, figli nel Figlio, non vi sono 'vite di scarto'. Tutti godono di un’eguale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. È questa la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli.

    La fraternità, fondamento e via per la pace

    4. Ciò premesso, è facile comprendere che la fraternità è fondamento e via per la pace. Le Encicliche sociali dei miei Predecessori offrono un valido aiuto in tal senso. Sarebbe sufficiente rifarsi alle definizioni di pace della 'Populorum progressio' di Paolo VI o della 'Sollicitudo rei socialis' di Giovanni Paolo II. Dalla prima ricaviamo che lo sviluppo integrale dei popoli è il nuovo nome della pace. Dalla seconda, che la pace è 'opus solidaritatis'. Paolo VI afferma che non soltanto le persone, ma anche le Nazioni debbono incontrarsi in uno spirito di fraternità. E spiega: 'In questa comprensione e amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra noi dobbiamo […] lavorare assieme per edificare l’avvenire comune dell’umanità. Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presentano sotto un triplice aspetto: il dovere di solidarietà, che esige che le Nazioni ricche aiutino quelle meno progredite; il dovere di giustizia sociale, che richiede il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni difettose tra popoli forti e popoli deboli; il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri.

    Così, se si considera la pace come 'opus solidaritatis', allo stesso modo, non si può pensare che la fraternità non ne sia il fondamento precipuo. La pace, afferma Giovanni Paolo II, è un bene indivisibile. O è bene di tutti o non lo è di nessuno. Essa può essere realmente conquistata e fruita, come miglior qualità della vita e come sviluppo più umano e sostenibile, solo se si attiva, da parte di tutti, 'una determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune'. Ciò implica di non farsi guidare dalla 'brama del profitto' e dalla 'sete del potere'. Occorre avere la disponibilità a 'perdersi' a favore dell’altro invece di sfruttarlo, e a 'servirlo' invece di opprimerlo per il proprio tornaconto. […] L’'altro' – persona, popolo o Nazione – [non va visto] come uno strumento qualsiasi, per sfruttare a basso costo la sua capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più, ma come un nostro 'simile', un 'aiuto'.

    La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come 'un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma [come] viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo', come un altro fratello. 'Allora la coscienza della paternità comune di Dio, della fraternità di tutti gli uomini in Cristo, 'figli nel Figlio', della presenza e dell’azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà – rammenta Giovanni Paolo II – al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo', per trasformarlo.

    Fraternità, premessa per sconfiggere la povertà

    5. Nella 'Caritas in veritate' il mio Predecessore ricordava al mondo come la mancanza di fraternità tra i popoli e gli uomini sia una causa importante della povertà. In molte società sperimentiamo una profonda povertà relazionale dovuta alla carenza di solide relazioni familiari e comunitarie. Assistiamo con preoccupazione alla crescita di diversi tipi di disagio, di emarginazione, di solitudine e di varie forme di dipendenza patologica. Una simile povertà può essere superata solo attraverso la riscoperta e la valorizzazione di rapporti fraterni in seno alle famiglie e alle comunità, attraverso la condivisione delle gioie e dei dolori, delle difficoltà e dei successi che accompagnano la vita delle persone.

    Inoltre, se da un lato si riscontra una riduzione della povertà assoluta, dall’altro lato non possiamo non riconoscere una grave crescita della povertà relativa, cioè di diseguaglianze tra persone e gruppi che convivono in una determinata regione o in un determinato contesto storico-culturale. In tal senso, servono anche politiche efficaci che promuovano il principio della fraternità, assicurando alle persone - eguali nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali - di accedere ai 'capitali', ai servizi, alle risorse educative, sanitarie, tecnologiche affinché ciascuno abbia l’opportunità di esprimere e di realizzare il suo progetto di vita, e possa svilupparsi in pienezza come persona.

    Si ravvisa anche la necessità di politiche che servano ad attenuare una eccessiva sperequazione del reddito. Non dobbiamo dimenticare l’insegnamento della Chiesa sulla cosiddetta ipoteca sociale, in base alla quale se è lecito, come dice san Tommaso d’Aquino, anzi necessario 'che l’uomo abbia la proprietà dei beni', quanto all’uso, li 'possiede non solo come propri, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri'.

    Infine, vi è un ulteriore modo di promuovere la fraternità - e così sconfiggere la povertà - che dev’essere alla base di tutti gli altri. È il distacco di chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali, di chi, condividendo le proprie ricchezze, riesce così a sperimentare la comunione fraterna con gli altri. Ciò è fondamentale per seguire Gesù Cristo ed essere veramente cristiani. È il caso non solo delle persone consacrate che professano voto di povertà, ma anche di tante famiglie e tanti cittadini responsabili, che credono fermamente che sia la relazione fraterna con il prossimo a costituire il bene più prezioso.

    La riscoperta della fraternità nell’economia

    6. Le gravi crisi finanziarie ed economiche contemporanee - che trovano la loro origine nel progressivo allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo, nella ricerca avida di beni materiali, da un lato, e nel depauperamento delle relazioni interpersonali e comunitarie dall’altro - hanno spinto molti a ricercare la soddisfazione, la felicità e la sicurezza nel consumo e nel guadagno oltre ogni logica di una sana economia. Già nel 1979 Giovanni Paolo II avvertiva l’esistenza di 'un reale e percettibile pericolo che, mentre progredisce enormemente il dominio da parte dell’uomo sul mondo delle cose, di questo suo dominio egli perda i fili essenziali, e in vari modi la sua umanità sia sottomessa a quel mondo, ed egli stesso divenga oggetto di multiforme, anche se spesso non direttamente percettibile, manipolazione, mediante tutta l’organizzazione della vita comunitaria, mediante il sistema di produzione, mediante la pressione dei mezzi di comunicazione sociale'.

    Il succedersi delle crisi economiche deve portare agli opportuni ripensamenti dei modelli di sviluppo economico e a un cambiamento negli stili di vita. La crisi odierna, pur con il suo grave retaggio per la vita delle persone, può essere anche un’occasione propizia per recuperare le virtù della prudenza, della temperanza, della giustizia e della fortezza. Esse ci possono aiutare a superare i momenti difficili e a riscoprire i vincoli fraterni che ci legano gli uni agli altri, nella fiducia profonda che l’uomo ha bisogno ed è capace di qualcosa in più rispetto alla massimizzazione del proprio interesse individuale. Soprattutto tali virtù sono necessarie per costruire e mantenere una società a misura della dignità umana.

    La fraternità spegne la guerra

    7. Nell’anno trascorso, molti nostri fratelli e sorelle hanno continuato a vivere l’esperienza dilaniante della guerra, che costituisce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità.

    Molti sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale. A tutti coloro che vivono in terre in cui le armi impongono terrore e distruzioni, assicuro la mia personale vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Quest’ultima ha per missione di portare la carità di Cristo anche alle vittime inermi delle guerre dimenticate, attraverso la preghiera per la pace, il servizio ai feriti, agli affamati, ai rifugiati, agli sfollati e a quanti vivono nella paura. La Chiesa alza altresì la sua voce per far giungere ai responsabili il grido di dolore di quest’umanità sofferente e per far cessare, insieme alle ostilità, ogni sopruso e violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.

    Per questo motivo desidero rivolgere un forte appello a quanti con le armi seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la vostra mano! Rinunciate alla via delle armi e andate incontro all’altro con il dialogo, il perdono e la riconciliazione per ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi! 'In quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data'.

    Tuttavia, finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità. Per questo faccio mio l’appello dei miei Predecessori in favore della non proliferazione delle armi e del disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico.

    Non possiamo però non constatare che gli accordi internazionali e le leggi nazionali, pur essendo necessari ed altamente auspicabili, non sono sufficienti da soli a porre l’umanità al riparo dal rischio dei conflitti armati. È necessaria una conversione dei cuori che permetta a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello di cui prendersi cura, con il quale lavorare insieme per costruire una vita in pienezza per tutti. È questo lo spirito che anima molte delle iniziative della società civile, incluse le organizzazioni religiose, in favore della pace. Mi auguro che l’impegno quotidiano di tutti continui a portare frutto e che si possa anche giungere all’effettiva applicazione nel diritto internazionale del diritto alla pace, quale diritto umano fondamentale, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti.

    La corruzione e il crimine organizzato avversano la fraternità

    8. L’orizzonte della fraternità rimanda alla crescita in pienezza di ogni uomo e donna. Le giuste ambizioni di una persona, soprattutto se giovane, non vanno frustrate e offese, non va rubata la speranza di poterle realizzare. Tuttavia, l’ambizione non va confusa con la prevaricazione. Al contrario, occorre gareggiare nello stimarsi a vicenda (cfr Rm 12,10). Anche nelle dispute, che costituiscono un aspetto ineliminabile della vita, bisogna sempre ricordarsi di essere fratelli e perciò educare ed educarsi a non considerare il prossimo come un nemico o come un avversario da eliminare.

    La fraternità genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune. Una comunità politica deve, allora, agire in modo trasparente e responsabile per favorire tutto ciò. I cittadini devono sentirsi rappresentati dai poteri pubblici nel rispetto della loro libertà. Invece, spesso, tra cittadino e istituzioni, si incuneano interessi di parte che deformano una tale relazione, propiziando la creazione di un clima perenne di conflitto.

    Un autentico spirito di fraternità vince l’egoismo individuale che contrasta la possibilità delle persone di vivere in libertà e in armonia tra di loro. Tale egoismo si sviluppa socialmente sia nelle molte forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse, sia nella formazione delle organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a quelli organizzati su scala globale, che, logorando in profondità la legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della persona. Queste organizzazioni offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno connotazioni religiose.

    Penso al dramma lacerante della droga, sulla quale si lucra in spregio a leggi morali e civili; alla devastazione delle risorse naturali e all’inquinamento in atto; alla tragedia dello sfruttamento del lavoro; penso ai traffici illeciti di denaro come alla speculazione finanziaria, che spesso assume caratteri predatori e nocivi per interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà milioni di uomini e donne; penso alla prostituzione che ogni giorno miete vittime innocenti, soprattutto tra i più giovani rubando loro il futuro; penso all’abominio del traffico di esseri umani, ai reati e agli abusi contro i minori, alla schiavitù che ancora diffonde il suo orrore in tante parti del mondo, alla tragedia spesso inascoltata dei migranti sui quali si specula indegnamente nell’illegalità.

    Scrisse al riguardo Giovanni XXIII: 'Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse'. L’uomo, però, si può convertire e non bisogna mai disperare della possibilità di cambiare vita. Desidererei che questo fosse un messaggio di fiducia per tutti, anche per coloro che hanno commesso crimini efferati, poiché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr Ez 18,23).

    Nel contesto ampio della socialità umana, guardando al delitto e alla pena, viene anche da pensare alle condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto. La Chiesa fa molto in tutti questi ambiti, il più delle volte nel silenzio. Esorto ed incoraggio a fare sempre di più, nella speranza che tali azioni messe in campo da tanti uomini e donne coraggiosi possano essere sempre più sostenute lealmente e onestamente anche dai poteri civili.

    La fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura

    9. La famiglia umana ha ricevuto dal Creatore un dono in comune: la natura. La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi sulla natura per trarne beneficio, a patto di agire responsabilmente, cioè riconoscendone quella 'grammatica' che è in essa inscritta ed usando saggiamente le risorse a vantaggio di tutti, rispettando la bellezza, la finalità e l’utilità dei singoli esseri viventi e la loro funzione nell’ecosistema. Insomma, la natura è a nostra disposizione, e noi siamo chiamati ad amministrarla responsabilmente. Invece, siamo spesso guidati dall’avidità, dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non custodiamo la natura, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future.

    In particolare, il settore agricolo è il settore produttivo primario con la vitale vocazione di coltivare e custodire le risorse naturali per nutrire l’umanità. A tale riguardo, la persistente vergogna della fame nel mondo mi incita a condividere con voi la domanda: in che modo usiamo le risorse della terra? Le società odierne devono riflettere sulla gerarchia delle priorità a cui si destina la produzione. Difatti, è un dovere cogente che si utilizzino le risorse della terra in modo che tutti siano liberi dalla fame. Le iniziative e le soluzioni possibili sono tante e non si limitano all’aumento della produzione. È risaputo che quella attuale è sufficiente, eppure ci sono milioni di persone che soffrono e muoiono di fame e ciò costituisce un vero scandalo. È necessario allora trovare i modi affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra, non soltanto per evitare che si allarghi il divario tra chi più ha e chi deve accontentarsi delle briciole, ma anche e soprattutto per un’esigenza di giustizia e di equità e di rispetto verso ogni essere umano. In tal senso, vorrei richiamare a tutti quella necessaria destinazione universale dei beni che è uno dei principi-cardine della dottrina sociale della Chiesa. Rispettare tale principio è la condizione essenziale per consentire un fattivo ed equo accesso a quei beni essenziali e primari di cui ogni uomo ha bisogno e diritto.

    Conclusione

    10. La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità.

    Il necessario realismo della politica e dell’economia non può ridursi ad un tecnicismo privo di idealità, che ignora la dimensione trascendente dell’uomo. Quando manca questa apertura a Dio, ogni attività umana diventa più povera e le persone vengono ridotte a oggetti da sfruttare. Solo se accettano di muoversi nell’ampio spazio assicurato da questa apertura a Colui che ama ogni uomo e ogni donna, la politica e l’economia riusciranno a strutturarsi sulla base di un autentico spirito di carità fraterna e potranno essere strumento efficace di sviluppo umano integrale e di pace.

    Noi cristiani crediamo che nella Chiesa siamo membra gli uni degli altri, tutti reciprocamente necessari, perché ad ognuno di noi è stata data una grazia secondo la misura del dono di Cristo, per l’utilità comune (cfr Ef 4,7.25; 1 Cor 12,7). Cristo è venuto nel mondo per portarci la grazia divina, cioè la possibilità di partecipare alla sua vita. Ciò comporta tessere una relazionalità fraterna, improntata alla reciprocità, al perdono, al dono totale di sé, secondo l’ampiezza e la profondità dell’amore di Dio, offerto all’umanità da Colui che, crocifisso e risorto, attira tutti a sé: 'Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri' (Gv 13,34-35). È questa la buona novella che richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne di empatia, di ascolto della sofferenza e della speranza dell’altro, anche del più lontano da me, incamminandosi sulla strada esigente di quell’amore che sa donarsi e spendersi con gratuità per il bene di ogni fratello e sorella.

    Cristo abbraccia tutto l’uomo e vuole che nessuno si perda. 'Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui' (Gv 3,17). Lo fa senza opprimere, senza costringere nessuno ad aprirgli le porte del suo cuore e della sua mente. 'Chi fra voi è il più grande diventi come il più piccolo e chi governa diventi come quello che serve' – dice Gesù Cristo – 'io sono in mezzo a voi come uno che serve' (Lc 22,26-27). Ogni attività deve essere, allora, contrassegnata da un atteggiamento di servizio alle persone, specialmente quelle più lontane e sconosciute. Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace.

    Maria, la Madre di Gesù, ci aiuti a comprendere e a vivere tutti i giorni la fraternità che sgorga dal cuore del suo Figlio, per portare pace ad ogni uomo su questa nostra amata terra.





     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 13/12/2013 09:32



      L'ALBERO DI NATALE NON E' UN SIMBOLO PAGANO

    L’albero di Natale, con le sue luci e i suoi addobbi colorati, riesce ad immergere la gente nell’atmosfera magica del Natale, mentre il presepe viene sempre più snobbato per il suo essere “troppo cristiano”.
    E se invece si scoprisse che l’“inventore” dell’albero di Natale fu proprio un cattolico? E che proprio l’albero di Natale, l’Abete, è parte importante della simbologia cristiana, contrariamente alla comune credenza che vuole l’albero di Natale "simbolo pagano"? 

    Il primo albero di Natale fu allestito presso le popolazioni germaniche nel 724 da San Bonifacio, che addobbò un abete appoggiando delle candele accese sui rami. San Bonifacio, vescovo e martire, inglese di nascita, fu l’iniziatore dell’evangelizzazione delle popolazioni pagane in Germania. 
    Nel 722 il Papa consacrò S. Bonifacio vescovo di tutta la Germania. Egli sapeva che l' impresa più grande era sradicare le superstizioni pagane che impedivano l'accettazione del Vangelo e la conversione dei popoli. Conosciuto come "L'apostolo della Germania", avrebbe continuato a predicare il Vangelo fino al martirio avvenuto nel 754.

    Tra le molte disavventure del Santo, si narra che proprio nel periodo dell’Avvento ebbe modo di fermare un sacrificio umano, consuetudine adottata dalle popolazioni pagane dell’epoca per propiziarsi gli dei.Si narra che Bonifacio affrontò i pagani riuniti presso la "Sacra Quercia del Tuono di Geismar".
    Tradizione voleva che i sacrifici avvenissero sotto una gigantesca quercia, che la popolazione venerava in quanto credeva possedesse lo spirito della loro divinità,il dio Thor. Mentre si stava per compiere un rito sacrificale umano, San Bonifacio gridò: «questa è la vostra Quercia del Tuono e questa è la croce di Cristo che spezzerà il martello del falso dio Thor». Presa una scure cominciò a colpire la quercia. Un forte vento si levò all'improvviso, l'albero cadde e si spezzò in quattro parti.
    Dietro l'imponente quercia stava un giovane abete verde. 

    San Bonifacio si rivolse nuovamente ai pagani: «Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il vostro sacro albero questa notte. È il legno della pace, poiché le vostre case sono costruite di abete. È il segno di una vita senza fine, poiché le sue foglie sono sempre verdi. Osservate come punta diritto verso il cielo. Che questo sia chiamato l'albero di Cristo bambino; riunitevi intorno ad esso, non nella selva, ma nelle vostre case; là non si compiranno riti di sangue, ma doni d'amore e riti di bontà».
    Dopodiché catechizzò la popolazione riassumendo la vita e le opere di Gesù di Nazareth, dalla nascita alla resurrezione, e annunciando la venuta di Cristo. Dietro la grande quercia abbattuta c'era un Abete e San Bonifacio, finita la sua catechesi, fece disporre sui rami dello stesso, durante tutto il periodo di Natale, delle candele accese a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo sulla terra con la venuta del “Bambin Gesù”. 

    Da quel giorno in poi, molto lentamente, la tradizione dell’albero di Natale cominciò a varcare i confini della Germania fino a diventare una consuetudine natalizia globale; con il tempo però è andato perdendosi il vero significato di tale “gesto”. Non è un caso, infatti, che l’albero sia proprio un abete. L’abete, infatti, è un albero sempreverde. Quando le altre piante nel periodo invernale muoiono, perdono le foglie, si seccano i rami, l’abete rimane vivo, forte e bello. Il sempreverde nella simbologia cristiana rappresenta l’albero della vita, l’albero della salvezza. L’albero che dà riparo, protezione e speranza, ovvero, Cristo.
    Con il tempo, poi, ai piedi dell’albero cominciò ad instaurarsi la tradizione di posare alcuni doni, che inizialmente erano dolci fatti con latte e miele (un richiamo alla terra promessa?).

    Le prime testimonianze storiche sull’albero di Natale risalgono al XVI secolo e che, d’altro canto, non vi è prova storica della derivazione di quest’usanza natalizia dagli antichi culti germanici. La testimonianza più antica è costituita da una targa scritta in otto lingue, presente nella piazza della città di Riga, capitale della Lettonia, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510. Inoltre, l’etnologo Ingeborg Weber-Keller, ha identificato una cronaca di Brema del 1570, che racconta di un albero decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. L’usanza di avere un albero decorato durante il periodo natalizio si diffuse poi nel corso del XVII-XVIII secolo in tutte le principali città della Renania.

    In mancanza della prova di una diretta derivazione della tradizione dell’albero di Natale da antichi culti pagani, non rimane che cogliere il significato di questa usanza nell’ambito della stessa religione cristiana e della tradizione biblica sottostante, in cui si trova sviluppata una ricchissima simbologia dell’albero. Già nel secondo capitolo della Genesi troviamo, infatti, il riferimento a due alberi: l’albero della conoscenza del bene e del male (simbolo della tentazione dell’uomo di tutti i tempi di sostituirsi a Dio, ricercando in sé stesso, invece che nella legge di Dio, il fondamento di ciò che è bene e di ciò che è male) e l’albero della vita (simbolo della possibilità di vita immortale che Dio offre all’uomo disposto a compiere la Sua volontà), cui l’albero di Natale più verosimilmente si richiama. In numerosi passi dell’Antico Testamento, inoltre, l’albero è il simbolo del giusto, più volte identificato con il robusto cedro del Libano (per Prov 11, 30: “Il frutto del giusto è un albero di vita”), o della sapienza di Dio che sorregge il giusto (v. ad es. Prov 3,18: “E’ un albero di vita per chi ad essa [cioè alla sapienza] si attiene”). Nelle visioni degli antichi profeti biblici, l’albero indica, a seconda dei casi, il Messia nascente, che verrà a liberare il popolo di Israele (cfr. Isaia 11,1): “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” – passo che la tradizione cristiana e la stessa liturgia della Chiesa applicano a Gesù Cristo-, o lo stesso Israele riscattato da Dio (cfr. Os 14,6: “Israele fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano”). In Osea 14, 9 l’albero è addirittura indicato come l’emblema di Dio: “… io [il soggetto sottinteso è Dio] sono come un cipresso sempre verde; grazie a me tu porti frutto”.

    La simbologia dell’albero è altresì presente nel Nuovo Testamento con riferimento innanzitutto a Cristo e alla sua Croce. San Giovanni, nel libro dell’Apocalisse, con sottile allusione al costato trafitto di Cristo, da cui sgorgò “sangue e acqua” (Gv 19, 34), riporta in visione: “In mezzo alla piazza della città [santa] e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni” (Ap 22, 2). L’albero della vita qui è allegoria della Croce e le sue foglie simbolo della universalità della salvezza, recata da Cristo a tutti i popoli. Infine, nei Vangeli, l’albero è spesso presentato come il simbolo del regno dei cieli (così nella parabola del granello di senapa in Mt 13, 31-32: “Il regno dei cieli si può paragonare ad un granellino di senape, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo si annidano tra i suoi rami”) nonché della stessa Chiesa, popolo eletto della nuova alleanza (cfr., ad es., la parabola dei vignaiuoli omicidi in Mt 33, 45 ss.).

    A fronte di una simbologia biblica così ricca, può seriamente sostenersi che l’albero è un simbolo pagano? A buon diritto l’albero può considerarsi un simbolo cristiano e la sua forza evocativa vale a spiegare la genesi della tradizione dell’albero di Natale, senza necessità di ricorrere a spiegazioni “paganeggianti” (peraltro mai suffragate storicamente). Un cristiano può dunque festeggiare il Natale anche facendo l’albero, senza timore alcuno di ripetere riti o di riprendere tradizioni pagane. 

    Non a caso Beato Giovanni Paolo II a partire dal 1982 volle che in occasione delle festività natalizie in piazza San Pietro, accanto al presepe, fosse collocato un alto e robusto abete, finemente decorato con palline color oro e argento e con luci bianche e gialle. “L’abete sempre verde – ricordava Giovanni Paolo II – esalta il valore della vita, perché nella stagione invernale diviene segno della vita che non muore”. Facilmente l’albero natalizio si presta ad essere associato a Gesù Cristo, fonte, per noi cristiani, della vita che non muore. Le luci e le palline colorate, a loro volta, richiamano Cristo, luce del mondo, venuto a diradare le tenebre del peccato e della morte in cui è avvinta l’umanità. L’albero ben si presta allora ad una lettura “cristiana” e così viene da sempre inteso nei Paesi in cui questa tradizione è nata. Consapevole di questo, l’attuale Papa, Benedetto XVI, ha inteso dare continuità all’iniziativa del suo predecessore, spiegando che “l’abete posto accanto al presepe mostra a suo modo la presenza del grande mistero nel luogo semplice e povero di Betlemme”.

    Perché allora da parte di qualcuno si sostiene che l’albero di Natale sia una tradizione pagana, assimilata nei secoli dal Cristianesimo, o che l’albero sia in sé un simbolo pagano la cui presenza nel Vaticano, cuore del cattolicesimo mondiale, è a dir poco inopportuna?

    In realtà, quanti pervengono a sì frettolose e categoriche conclusioni sembrano cadere in un equivoco di fondo, confondendo la tradizione, tipicamente cristiana, dell’Albero di Natale con il simbolo dell’albero, che in sé e per sé considerato è presente in tutte le culture, anche precristiane, pur con significati profondamente differenti; e per di più ignorano che l’albero, come simbolo, non è appannaggio esclusivo delle culture “pagane”, trovando molteplicità di riscontri anche all’interno della Bibbia, tanto nel Nuovo quanto nell’Antico Testamento.

    ****

    Solo per fare un pò la pignola  e senza nulla togliere a san Bonifacio..... molte tribù barbare, soprattutto i Goti, prima di penetrare da conquistatori nel cuore dell’impero, in oriente avevano avuto contatti con il cristianesimo.... ma lo avevano accolto nella versione ariana allora in auge, anche per l’opera svolta presso di loro dal vescovo Ulfila (311-383), traduttore della Bibbia in gotico.
    Una volta insediatisi nei territori occidentali, avevano portato con sé questa versione eretica del cristianesimo..... possiamo dire che san Bonifacio fu il ri-evangelizzatore dei popoli germanici 
     tanto è vero che si sospetta la facilità della Germania a vantaggio di Lutero e del suo protestantesimo, a causa di questa radice ariana che essendo penetrata fin dalla prima ora, di fatto rimase un pò alla sorgente di questi popoli 
     





    Il Papa Benedetto XVI - Natale 2011 - accende l'albero di Natale di Gubbio: Ciascuno sia una luce per chi gli sta accanto; esca dall’egoismo che spesso chiude il cuore e spinge a pensare solo a se stessi; doni un po’ di attenzione all’altro, un po’ di amore. Ogni piccolo gesto di bontà è come una luce di questo grande Albero: insieme alle altre luci è capace di illuminare l’oscurità della notte, anche quella più buia




    DISCORSO DEL SANTO PADRE

    Cari abitanti di Gubbio!
    Cari amici!

    Ben volentieri ho accolto l’invito di accendere il grande Albero di Natale che ogni anno sovrasta la città di Gubbio.
    Ringrazio il Comitato organizzatore e, in particolare, il Vescovo Monsignor Ceccobelli per le parole che mi ha rivolto a nome della città e della diocesi eugubina.
    Un saluto a voi tutti, che siete nella Piazza di Gubbio o collegati attraverso la televisione!

    Prima di accendere le luci dell’Albero, vorrei fare un triplice, semplice augurio.

    Questo grande Albero di Natale è collocato sulle pendici del Monte Ingino sulla cui sommità, come ricordava il Vescovo, è situata anche la Basilica del Patrono di Gubbio, sant’Ubaldo. Guardandolo, il nostro sguardo è spinto in modo naturale verso l’alto, verso il Cielo, verso il mondo di Dio.

    Il primo augurio, allora, è che il nostro sguardo, quello della mente e del cuore, non si fermi solamente all’orizzonte di questo nostro mondo, alle cose materiali, ma sia un po’ come questo albero, sappia tendere verso l’alto, sappia rivolgersi a Dio. Lui mai ci dimentica, ma chiede che anche noi non ci dimentichiamo di Lui!
    Il Vangelo ci dice che nella notte del santo Natale una luce avvolse i pastori (cfr Lc 2,9-11) annunciando loro una grande gioia: la nascita di Gesù, di Colui che viene a portare luce, anzi di Colui che è la luce vera che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9).
    Il grande albero che tra poco accenderò domina la città di Gubbio e illuminerà con la sua luce il buio della notte.

    Il secondo augurio è che esso ricordi come anche noi abbiamo bisogno di una luce che illumini il cammino della nostra vita e ci dia speranza, specialmente in questo nostro tempo in cui sentiamo in modo particolare il peso delle difficoltà, dei problemi, delle sofferenze, e un velo di tenebra sembra avvolgerci.
    Ma quale luce è capace di illuminare veramente il nostro cuore e donarci una speranza ferma, sicura? E’ proprio il Bambino che contempliamo nel santo Natale, in una semplice e povera grotta, perché è il Signore che si fa vicino a ciascuno di noi e chiede che lo accogliamo nuovamente nella nostra vita, chiede di volergli bene, di avere fiducia in Lui, di sentire che è presente, ci accompagna, ci sostiene, ci aiuta.
    Ma questo grande Albero è formato da tante luci.

    L’ultimo augurio che vorrei rivolgere è che ciascuno di noi sappia portare un po’ di luce negli ambienti in cui vive: in famiglia, al lavoro, nel quartiere, nei Paesi, nelle Città.
    Ciascuno sia una luce per chi gli sta accanto; esca dall’egoismo che spesso chiude il cuore e spinge a pensare solo a se stessi; doni un po’ di attenzione all’altro, un po’ di amore. Ogni piccolo gesto di bontà è come una luce di questo grande Albero: insieme alle altre luci è capace di illuminare l’oscurità della notte, anche quella più buia.

    Grazie allora, e scenda su tutti la luce e la benedizione del Signore.








    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 13/12/2013 10:31

     Sono due le riflessioni che vi riportiamo sulla Stella di Natale: stella1
    la prima parla della pianta quale  simbolo di rinascita attraverso la leggenda messicana; la seconda parliamo proprio della Stella Cometa........ quella che guidò i Magi a Betlemme per adorare il Bambino.....




    Il dono di Lola

    Era la vigilia di Natale ed in fondo alla cappella una bambina messicana di nome Lola pregava piangendo perché non aveva niente da offrire a Gesù, nemmeno un semplice fiore da mettere ai piedi del Presepe.
    All'improvviso la bambina vide un forte bagliore, era la luce che emanava il suo angelo custode che, intenerito dalle lacrime e dal dolore della bambina si palesò a lei per rassicurarla e le disse che Gesù conosceva l'amore che era racchiuso nel suo piccolo cuoricino e che sarebbe stato sufficiente portare in Chiesa solo qualche fiore raccolto sul bordo della strada.

    Lola rispose che sulla strada c'erano solo erbe cattive e l'angelo le rispose che non si trattava di erbe cattive ma di piante e che l'uomo ancora non conosceva le intenzioni del Signore.
    Lola uscì dalla cappella e qualche minuto più tardi vi rientrò con un mazzo di erbe che depositò con rispetto davanti al presepe in mezzo ai fiori che gli altri abitanti del villaggio avevano portato. Poco dopo avvenne il miracolo che aveva preannunciato l'angelo: le erbacce portate da Lola si trasformarono in bellissimi fiori rossi.
    Da quel giorno le stelle di Natale in Messico sono chiamate " Flores de la Noche Buena" cioè 'Fiori della Santa Notte' ed ancora oggi questa pianta viene utilizzata come simbolo del Natale, come buon auspicio per i mesi a venire grazie ai colori accesi e gioiosi che richiamano la primavera, periodo di semine e raccolti.

    Oltre a questo, la Stella di Natale ci deve ricordare che non sono necessari doni costosi per dimostrare affetto e amore e che anche un fiore può essere un regalo piacevole per colui che ne ha il pensiero ed un dono gradito per chi lo riceve.

      La stella di Natale simbolo del Sangue Divino

    Quando Dio creò la natura nel mondo invitò le piante a dar forma ai loro fiori più belli e chiese loro di scegliere la stagione dell'anno in cui fiorire.
    Un giorno Dio si accorse che una pianta, pur sforzandosi di compiere la missione che lui gli aveva affidato, non veniva apprezzata e scelta da nessuno perché il suo fiore era troppo piccolo e le sue foglie troppo grandi.
    Dio si avvicinò quindi alla pianta lodandola per la sua bellezza interiore che nessuno riusciva ad apprezzare e decise di donarle il suo sangue e di depositarlo sulle sue foglie, colorandole del rosso più intenso e trasformandola nel fiore più bello che, simboleggiando l'amore e l'essenza divina dell'Universo sulla terra, sarebbe fiorita e sbocciata in tutto il suo splendore e la sua bellezza nel momento più importante dell'anno: a Natale.
    Da quel momento, la pianta dai fiori piccoli e le grandi foglie diventò la Stella di Natale.


    *********************






    stella1




    La Stella di Betlemme, popolarmente detta stella cometa, è quel fenomeno astronomico che, secondo il racconto del Vangelo secondo Matteo (2,1-12.16), guidò i Magi a fare visita a Gesù appena nato:
    "Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo".
    Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella (o astér), che avevano visto nel suo sorgere (en têi anatolêi), li precedeva (proêghen autoús), finché (eôs) giunse e si fermò sopra (estáthe epáno) il luogo dove si trovava il bambino.
    Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra..."

    L'astro viene citato solo da Matteo (2,1-12.16)
    Il testo afferma che la stella non condusse gli astrologi direttamente da Gesù, ma da Erode. E proprio grazie a tale circostanza Erode fu informato della nascita di Gesù. Le parole en têi anatolêi sono state spesso tradotte "in Oriente", quasi come un rafforzamento della provenienza dei Magi (a Oriente di Gerusalemme c'era Babilonia e più in là la Persia).

    Il termine greco usato nel vangelo è aster, astro, che può indicare un generico corpo o fenomeno celeste.
    Mentre la nostra sensibilità moderna tende a sportarsi sull'aspetto astronomico del fenomeno, da parte dell'evangelista l'intenzione è cristologica: il sorgere della Stella è il sorgere del Messia d'Israele, adempimento dell'oracolo di Balaam (Nm 24,17), riconosciuto dai misteriosi personaggi venuti da oriente.
    La presenza di una stella alla nascita di Gesù è un simbolo messianico.
    Il riferimento biblico è la profezia di Balaam su una stella, che sarebbe spuntata da Giacobbe Nm 24,17. Benché la stella sia stata spesso identificata col Re Davide, già prima della nascita di Cristo alcuni ebrei l'avevano identificata col Messia.
    Nel secondo secolo Origene ed Ireneo di Lione richiamarono questa profezia proprio in relazione alla Stella di Betlemme.
    L'identificazione messianica è ancora più chiara nella versione dei LXX (quella normalmente utilizzata dagli evangelisti), in cui lo "scettro", che sorge in Israele, è tradotto in greco con "uomo".
    In accordo con la profezia di Balaam, il tema della "luce" compare in molte altre profezie tradizionalmente applicate al Messia, fra cui quella a cui questo passo è maggiormente collegata Is 60,1-6
    Il carattere "nazionalistico" della profezia di Baalam potrebbe essere il motivo per cui la stella non compare nel vangelo di Luca, diretto ai "gentili" e agli ebrei ellenizzati. L'ipotesi più comune la identifica con una triplice congiunzione di Giove e Saturno verificatasi nel 7 a.C., data compatibile con l'accenno al censimento universale accennato da Luca e comunemente identificato con quello indetto da Augusto nell' 8 a.C. (vedi Censimento di Quirinio).

    Nell'iconografia antica della nascita di Gesù la stella non è rappresentata con la coda. Fu Giotto, che probabilmente aveva visto la cometa di Halley nel 1301, a dipingere nella cappella degli Scrovegni a Padova un affresco con una cometa dalla lunga coda sopra il luogo del presepe.
    Dal XIV secolo in poi si moltiplicano i quadri ispirati a questo affresco. La coda risponde al desiderio di avere un oggetto celeste che indichi una direzione.

      RIEPILOGANDO

    I Vangeli sono una fonte privilegiata per inquadrare con una certa precisione la "stella" che videro i Magi. Dal Vangelo di Matteo ci proviene un'utile informazione: il fenomeno astronomico osservato dai Magi, fu importante tanto da essere usata come guida, e questo è l'aspetto della Tradizione che più ci interessa..
    Anche Erode ne era stato a conoscenza, ma il suo interesse verso quel Bambino è ben diverso da quello dei Magi.
    E c'è anche l'aspetto meramente umano: perfetti conoscitori della volta celeste quali erano, i Magi sicuramente si resero conto che ciò che videro, nel loro lungo viaggio da Babilonia a Betlemme, era qualcosa di importante per la propria esperienza di studiosi del cielo, anche se poi, a livello popolare, poteva passare del tutto inosservato. Ecco dunque perché furono i Magi a vedere "la stella" e non altri: solo loro erano in grado, come esperti osservatori delle stelle, di apprezzarne la particolarità.

    Di grande interesse sono anche i Vangeli apocrifi, che la Chiesa esclude dal novero di quelli canonici per motivi dottrinali. Già dai primi Sinodi e Concili, i Vangeli detti "apocrifi" persero credito nei confronti dei secondi, riconosciuti come canonici, ma continuarono ad essere usati nella cultura popolare, influenzando fortemente l'iconografia cristiana.
    Gli stessi Vangeli apocrifi, nella loro forma orale, sembrano avere un'origine molto remota, perlomeno come i Vangeli canonici, e contengono elementi dogmatici che la Chiesa ritiene validi. Nel Protovangelo di Giacomo (databile tra il 130 e il 140 d.c.) viene più volte ribadito un concetto: la stella è un simbolo di regalità, rappresenta l'annuncio della nascita di un re. Un altro Vangelo apocrifo, quello definito dello Pseudo-Matteo, delinea molti particolari sulla grotta di Gesù e sulla brillante stella che vi splendeva dal tramonto all'alba. Nei Vangeli apocrifi redatti in Siria intorno al VI secolo si leggono molti altri dettagli: i Magi, avvertiti da un angelo, intrapresero un viaggio durato nove mesi guidati da una stella e giunsero a destinazione nel momento in cui la Vergine dava alla luce Gesù. Sono questi stessi scritti che identificano i Magi con i loro nomi, i quali infatti non sono riportati in quelli canonici.

    La Stella, dunque, si muoveva precedendoli, fin quando si fermò sopra la grotta. Allora la sua forma cambiò e divenne simile ad una colonna di luce che si levava dalla terra al cielo. L'angelo che aveva assunto la forma di una stella ritornò per far loro da guida [...].
    Un fatto importante va sottolineato quando prendiamo spunto dalle letture evangeliche riguardanti la "stella" dei Magi: quest'ultima è una prova molto evidente di quanto nella cristianità degli albori fosse penetrata la cultura laica, ed astrologica in particolare.
    I racconti di Matteo e dei Vangeli Apocrifi dovettero fare i conti per molto tempo con la scarsa considerazione per l'astrologia, frequente nei primi secoli del cristianesimo. Molti la ritenevano addirittura una pratica demoniaca, che avesse avuto comunque una sua liceità fino alla nascita di Cristo. L'adorazione dei Magi attestava proprio la superiorità dei Vangeli sulle convinzioni dei pagani, rappresentava l'inchinarsi della cultura orientale alla dottrina cristiana e la fine della validità dell'astrologia.
    I Padri della Chiesa del IV secolo attribuirono alla "Stella" dei Magi caratteristiche prodigiose, ma furono anche coloro che seppero dialogare con l'astronomia, portando così una netta distinzione con l'astrologia: insomma, incontro con l'astronomia sì, nulla a che vedere con l'astrologia, nel primo caso la cristologia viene confermata dall'astonomia, nel secondo caso, per i Padri, si accedeva alle superstizioni pagane o delle false divinità.
    S.Basilio faceva osservare che la stella in se non era né un pianeta, né una cometa o altro: era qualcosa di straordinario, per esempio nel suo movimento diverso da quello degli astri allora conosciuti, e non poteva certo essere identificata con una stella da cui trarre un oroscopo. Essa poteva anche essere un angelo, o un qualsiasi diretto segno del cielo.

    Tracciamo allora un identikit della "stella" dei Magi. Innanzi tutto essa non apparì eccezionale alla gente comune, mentre la sua osservazione fu particolarmente significativa durante l'opposizione al Sole. Inoltre la stella si mostrò una prima volta, scomparve, poi ricomparve.
    Quale fenomeno astronomico, dunque, può aver attirato l'attenzione dei Magi tra il 7 e il 4 a.C.?
                                                   


      Per concludere due leggende

    La leggenda della Stella cometa

    Tanto tempo fa, la notte prima della vigilia di Natale, nel cielo tutte le stelle erano felici, tranne una.
    Dopo un’ora Dio le chiese perché non fosse felice e la stella rispose singhiozzando che tutte le sue amiche erano dorate e lucenti, invece lei non faceva granché di luce.
    Dio esclamò: “Visto che tu sei molto leale e cortese, ecco una luce splendente!”, e la stella: “Oh, buon Dio, cosa posso fare per te?”. Dio disse: “Ecco cosa devi fare: indossa questa coda e segna la strada per arrivare alla Mangiatoia, laggiù agli abitanti del villaggio e a tutti coloro che vogliono adorare il divino mio Figlio nato dalla Vergine Maria”.
    E così fece, tant’ è che Gesù Bambino ebbe molte visite. Per ricordare questo evento, da allora orniamo il presepe con la stella cometa.


    ***
                                        


    Giuseppe e Maria cercavano una stanza per la notte. Era buio : nè torce , nè lampioni illuminavano le strade. Nel cielo, però, brillavano una moltitudine di stelle . Una di loro vide quell'uomo e quella donna in cerca di un riparo e si avvicinò un pò di più alla terra. La radura prese forma, si illuminò il sentiero e, grazie alla sua luce , Giuseppe e Maria videro una capanna abbandonata e lì si fermarono. La stella non li abbandonò mai : si fermò anch'essa quand'Essi si furono sistemati e la sua luce riscaldava i loro cuori. Quando nacque Gesù Bambino diventò ancora più luminosa . Ella stessa si stupì e pensò:"Che mi succede?!"

    Poi si guardò intorno e vide... una lunga scia luminos .
    Gesù Bambino aveva voluto premiarla così, donandole "la coda" per aver illuminato il cammino alla sua Mamma e al suo Papà.
    La Stella per ringraziare si offrì così di continuare la sua scia luminosa per guidare i Magi dal lontano Oriente che i erano messi in cammino, per andare ad adorare il Divino Bambino, e riconoscere in Lui il Messia che tutti attendevano. Da allora e nella tradizione popolare iniziata poi da San Francesco d'Assisi col suo Presepio, mai mancò la Stella sullo sfondo del cielo stellato.






     

    [Modificato da Caterina63 13/12/2013 11:00]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 15/12/2013 12:35
      Babbo Natale si chiamava San Nicola

    di Guido Villa15-12-2013 
    da la bussola quotidiana


    Mese di dicembre, gli spot pubblicitari ci propongono fino alla noia uno strano personaggio vestito di rosso, con barba e baffi bianchi chiaramente posticci, che distribuisce regali. È il cosiddetto “Babbo Natale”, una fra le tante americanate che hanno invaso la nostra vita, certo più innocua di Halloween, ma sempre frutto di una mentalità mondano-protestante che cerca di svuotare e sbiadire i contenuti della nostra fede e che nulla ha a che fare con la nostra cultura cattolica.

    Forse pochi lo sanno, ma Babbo Natale, che gli americani chiamano Santa Claus, o più semplicemente Santa, rappresenta l’impoverimento di un personaggio della cultura cristiana dell’Europa centrale germanica e slava. Se esaminiamo con più attenzione questo nome americano, comprendiamo subito che esso deriva da Sankt Nikolaus, San Nicola di Mira, che noi italiani chiamiamo anche San Nicola di Bari, dalla città dove riposano e vengono venerati i suoi resti mortali, e che festeggiamo ogni anno il 6 dicembre.

    Cosa c’entra San Nicola con i doni? La tradizione racconta che quando era vescovo di Mira in Licia (nell’odierna Turchia) tra la fine del Terzo e l’inizio del Quarto secolo dopo Cristo, egli era solito aiutare i poveri, e dopo avere saputo di un uomo povero che aveva tre figlie da maritare, di nascosto gettò nella casa per tre notti consecutive un sacchetto pieno di denaro, ciascuno dei quali destinato ad acquistare la dote per una delle figlie di quell’uomo.

    Ricordando questo e altri episodi di bontà verso i poveri, la moderna tradizione mitteleuropea fa di San Nicola un distributore di doni, che nella notte tra il 5 e il 6 dicembre entra nelle case, e negli stivaletti lasciati sotto una finestra, lascia ai bambini buoni un regalo, mentre ai bambini cattivi lascia, a titolo di avvertimento, una frusta.

    Nelle rappresentazioni di San Nicola, prima del suo arrivo giungono sulla scena i cosiddetti Krampus, diavoletti che cercano di disturbare i bambini buoni e li tentano a diventare discoli. Subito tuttavia giunge il nostro santo, e la sua presenza è sufficiente per spingere i diavoli a una fuga disperata. Il contenuto edificante è piuttosto chiaro: solamente i bambini buoni ricevono da San Nicola un premio, mentre quelli cattivi sono ammoniti a cambiare strada per non subire una punizione. La sola presenza di San Nicola allontana i diavoli, poiché l’inferno non può resistere a Dio e ai Suoi eletti, a chi vive nella santità.

    Il Sankt Nikolaus che porta i doni ai bambini è sempre rappresentato come vescovo (cattolico, naturalmente) in vesti liturgiche. Toglietegli l’anello vescovile, la mitria, il pastorale, la stola e la casula e avrete… Babbo Natale, il quale quindi è San Nicola cui è stata tolta la dimensione spirituale. Il messaggero del Signore che allontana il male e premia la bontà si è trasformato in apostolo del consumismo e dello sfrenato acquisto di beni, spesso non necessari alla nostra vita.

    Purtroppo neppure la figura del vero San Nicola ha resistito all’ondata di buonismo che ha preso il posto della fede, divenuta sempre più fredda e come sale senza sapore. Egli è quindi diventato un portatore di buoni sentimenti, che si presenta dinanzi ai bambini raccomandando loro di essere buoni, di amare la mamma e il papà, di fare i compiti, di non dire parolacce … tutte cose senz’altro positive, tuttavia insufficienti quando si trascura di insegnare ai bambini di curare la dimensione spirituale della vita: amare Gesù e la Madonna, dire le preghiere la mattina e la sera, andare a Messa la domenica e seguirla con attenzione senza chiacchierare … tutte che cose che, se fatte, porteranno di per sé i bambini a essere buoni.

    La figura di Babbo Natale ha ormai quasi soppiantato anche Gesù Bambino quale datore dei doni della Notte Santa. Anche in moltissime parrocchie, quando svolgono opere di carità nel tempo di Natale, si utilizza questa gelida figura senza comprendere che in questo modo si contribuisce allo svuotamento dei contenuti spirituali presso i fedeli.

    A questo proposito bisogna quindi essere chiari e netti, anche con i bambini: Gesù Bambino porta i regali (dopo tutto, è il Suo Natale) e non Babbo Natale, poiché semplicemente questo buffo personaggio non esiste. È inoltre necessario essere coerenti e testimoniare anche nelle piccole cose la nostra fede cristiana: ad esempio, non augurando Buone Feste, bensì Buon Natale e Felice Anno Nuovo; inviando cartoline o e-mail di auguri raffiguranti temi religiosi, preferibilmente la Sacra Famiglia con Gesù appena nato, anziché pini, paesaggi innevati, palline colorate e animaletti di vario genere che non hanno nulla a che fare con la nascita del Signore Gesù.

    Dopo tutto, è proprio quello di Gesù il Natale che noi cristiani festeggiamo.









    ANGELUS 

    Piazza San Pietro
    III Domenica di Avvento "Gaudete", 15 dicembre 2013

    Video

     

    Grazie!

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi è la terza domenica di Avvento, detta anche domenica Gaudete,  cioè domenica della gioia. Nella liturgia risuona più volte l’invito a gioire, a rallegrarsi, perché? Perché il Signore è vicino. Il Natale è vicino. Il messaggio cristiano si chiama “evangelo”, cioè “buona notizia”, un annuncio di gioia per tutto il popolo; la Chiesa non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia! E coloro che sono tristi trovano in essa la gioia, trovano in essa la vera gioia!

    Ma quella del Vangelo non è una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio. Come ci ricorda oggi il profeta Isaia (cfr 35,1-6a.8a.10), Dio è colui che viene a salvarci, e presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore. La sua venuta in mezzo a noi irrobustisce, rende saldi, dona coraggio, fa esultare e fiorire il deserto e la steppa, cioè la nostra vita quando diventa arida. E quando diventa arida la nostra vita? Quando è senza l’acqua della Parola di Dio e del suo Spirito d’amore. Per quanto siano grandi i nostri limiti e i nostri smarrimenti, non ci è consentito essere fiacchi e vacillanti di fronte alle difficoltà e alle nostre stesse debolezze. Al contrario, siamo invitati ad irrobustire le mani, a rendere salde le ginocchia, ad avere coraggio e non temere, perché il nostro Dio ci mostra sempre la grandezza della sua misericordia. Lui ci dà la forza per andare avanti. Lui è sempre con noi per aiutarci ad andare avanti. E’ un Dio che ci vuole tanto bene, ci ama e per questo è con noi, per aiutarci, per irrobustirci e andare avanti. Coraggio! Sempre avanti! Grazie al suo aiuto noi possiamo sempre ricominciare da capo. Come? Ricominciare da capo? Qualcuno può dirmi: “No, Padre, io ne ho fatte tante… Sono un gran peccatore, una grande peccatrice… Io non posso rincominciare da capo!”. Sbagli! Tu puoi ricominciare da capo! Perché? Perché Lui ti aspetta, Lui è vicino a te, Lui ti ama, Lui è misericordioso, Lui ti perdona, Lui ti dà la forza di ricominciare da capo! A tutti! Allora siamo capaci di riaprire gli occhi, di superare tristezza e pianto e intonare un canto nuovo. E questa gioia vera rimane anche nella prova, anche nella sofferenza, perché non è una gioia superficiale, ma scende nel profondo della persona che si affida a Dio e confida in Lui.

    La gioia cristiana, come la speranza, ha il suo fondamento nella fedeltà di Dio, nella certezza che Lui mantiene sempre le sue promesse. Il profeta Isaia esorta coloro che hanno smarrito la strada e sono nello sconforto a fare affidamento sulla fedeltà del Signore, perché la sua salvezza non tarderà ad irrompere nella loro vita. Quanti hanno incontrato Gesù lungo il cammino, sperimentano nel cuore una serenità e una gioia di cui niente e nessuno potrà privarli. La nostra gioia è Gesù Cristo, il suo amore fedele inesauribile! Perciò, quando un cristiano diventa triste, vuol dire che si è allontanato da Gesù. Ma allora non bisogna lasciarlo solo! Dobbiamo pregare per lui, e fargli sentire il calore della comunità.

    La Vergine Maria ci aiuti ad affrettare il passo verso Betlemme, per incontrare il Bambino che è nato per noi, per la salvezza e la gioia di tutti gli uomini. A lei l’Angelo disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Lei ci ottenga di vivere la gioia del Vangelo in famiglia, al lavoro, in parrocchia e in ogni ambiente. Una gioia intima, fatta di meraviglia e di tenerezza. Quella che prova una mamma quando guarda il suo bambino appena nato, e sente che è un dono di Dio, un miracolo di cui solo ringraziare!

     









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    Dopo Angelus

     

     

     


    Cari fratelli e sorelle, mi spiace che voi siate sotto la pioggia! Ma io sono con voi, di qua… Siete coraggiosi! Grazie!

    Oggi il primo saluto è riservato ai bambini di Roma, venuti per la tradizionale benedizione dei “Bambinelli”, organizzata dal Centro Oratori Romani. Cari bambini, quando pregherete davanti al vostro presepe, ricordatevi anche di me, come io mi ricordo di voi. Vi ringrazio, e buon Natale!

     

    A tutti voi auguro una buona domenica








    [Modificato da Caterina63 15/12/2013 19:27]
    Fraternamente CaterinaLD

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    00 16/12/2013 09:48



    OGGI INIZIA LA NOVENA A GESU' BAMBINO.... 
    è sufficiente, per chi lavora tutto il giorno, che lo ricordiate nelle vostre occupazioni quotidiane  
    per esempio, impariamo questa giaculatoria: 

    Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato.
    Gesù Bambino Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore: umiltà, carità ed obbedienza.
    Gesù Bambino, che in braccio a Maria spandi Amore, vieni a nascere nel mio cuore.








    La Messa mattutina con il personale di "Santa Marta", gli auguri al Papa di tre senza fissa dimora e dei suoi collaboratori



    Questa mattina, 17 dicembre, nel giorno del suo 77* compleanno  , il Santo Padre ha voluto che alla Messa mattutina nella Casa Santa Marta fosse presente il personale della stessa Casa, in modo da vivere la celebrazione in un clima particolarmente familiare. 

    Il Vangelo odierno della genealogia, ricco dei nomi degli antenati di Gesù, ha dato occasione al Papa per ricordare affettuosamente nel corso dell’omelia anche i nomi di alcuni dei dipendenti presenti. Ha concelebrato con il Papa il decano del Collegio cardinalizio, il cardinale Angelo Sodano, in rappresentanza del Collegio. 
    Dopo la Messa, come di abitudine, il Papa ha salutato tutti personalmente. Il segretario di Stato, mons. Pietro Parolin ha fatto gli auguri al Papa anche a nome dei suoi collaboratori nella Segreteria di Stato. Agli auguri si è unito l’elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, che ha presentato al Papa tre persone senza fissa dimora che soggiornano nel quartiere vicino al Vaticano. I presenti, con il direttore della Casa Santa Marta, hanno accompagnato gli auguri al Papa con un canto. Poi, tutti hanno partecipato alla colazione nel refettorio della Domus. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3 

    Dio mai ci lascia soli, ma sempre cammina con noi. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo odierno, incentrato sulla genealogia di Gesù, per soffermarsi sulla presenza del Signore nella nostra vita:

    “Qualcuno una volta ho sentito che diceva: ‘Ma questo brano del Vangelo sembra l’elenco telefonico!’ E no, è tutt’altra cosa: questo brano del Vangelo è pura storia e ha un argomento importante. E’ pura storia, perché Dio, come diceva San Leone Papa, Dio ha inviato il suo Figlio. E Gesù è consustanziale al Padre, Dio, ma anche consustanziale alla Madre, una donna. E questa è quella consustanzialità della Madre. Dio si è fatto storia. Dio ha voluto farsi storia. E’ con noi. Ha fatto il cammino con noi”. 

    Dopo il primo peccato nel Paradiso, ha sottolineato il Papa, “Lui ha avuto questa idea: fare il cammino con noi”. Ha chiamato Abramo, “il primo nominato in questa lista” e “lo ha invitato a camminare”. E Abramo “ha incominciato quel cammino”. E poi Isacco, Giacobbe, Giuda. “E così va questo cammino nella storia”. Dio, ha affermato il Papa, “cammina con il suo popolo. Dio non ha voluto venire a salvarci senza storia. Lui ha voluto fare storia con noi”. Una storia, ha rilevato, “che va dalla santità al peccato. In questo elenco ci sono santi”, “ma in questo elenco ci sono anche i peccatori”:

    “I peccatori di alto livello, che hanno fatto peccati grossi. E Dio ha fatto storia con loro. Peccatori, che non hanno risposto a tutto quello che Dio pensava per loro. Pensiamo a Salomone, tanto grande, tanto intelligente, e finì, poveraccio, lì, che non sapeva come si chiamava! Ma Dio era con lui. E questo è il bello, no? Dio è consustanziale a noi. Fa storia con noi. Di più: quando Dio vuol dire chi è, dice ‘Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe’. Ma qual è il cognome di Dio? Siamo noi, ognuno di noi. Lui prende da noi il nome per farlo il suo cognome. ‘Io sono il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Pedro, di Marietta, di Armony, di Marisa, di Simone, di tutti!’ Da noi prende il cognome. Il cognome di Dio è ognuno di noi”.

    “Lui, il nostro Dio – ha soggiunto – ha fatto storia con noi, ha preso il cognome dal nostro nome”, “si è lasciato scrivere la storia da noi”. “Noi – è stata la sua riflessione – scriviamo questa storia di grazia e peccato e Lui va dietro a noi”. Questa, ha ribadito, “è l’umiltà di Dio, la pazienza di Dio, l’amore di Dio. E’ nostro!” E questo, ha confidato, fa commuovere. “Tanto amore, tanta tenerezza, di avere un Dio così”: 

    “La sua gioia è stata condividere la sua vita con noi. Il Libro della Sapienza dice che la gioia del Signore è fra i figli dell’uomo, con noi. Avvicinandosi il Natale, viene da pensare: se Lui ha fatto la sua storia con noi, se Lui ha preso il suo cognome da noi, se Lui ha lasciato che noi scrivessimo la sua storia, almeno lasciamo, noi, che Lui ci scriva la nostra storia. E quella è la santità: ‘Lasciare che il Signore ci scriva la nostra storia’. E questo è un augurio di Natale per tutti noi. Che il Signore ti scriva la storia e che tu lasci che Lui te la scriva. Così sia!”



          




    [Modificato da Caterina63 17/12/2013 15:22]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 18/12/2013 15:54



      L’UDIENZA GENERALE, 18.12.2013

    L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
    Quella di oggi è l’ultima Udienza Generale dell’anno.
    A partire dal 27 marzo, Papa Francesco ha tenuto 30 Udienze Generali.
    Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la sua meditazione sul mistero del Natale ormai prossimo.
    Dopo la sintesi in diverse lingue Papa Francesco ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
    L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.



          



    Cari fratelli e sorelle, buongiorno,

    questo nostro incontro si svolge nel clima spirituale dell’Avvento, reso ancor più intenso dalla Novena del Santo Natale, che stiamo vivendo in questi giorni e che ci conduce alle feste natalizie. Perciò oggi vorrei riflettere con voi sul Natale di Gesù, festa della fiducia e della speranza, che supera l’incertezza e il pessimismo. E la ragione della nostra speranza è questa: Dio è con noi e Dio si fida ancora di noi! Ma pensate bene a questo: Dio è con noi e Dio si fida ancora di noi. E' generoso questo Dio Padre! Egli viene ad abitare con gli uomini, sceglie la terra come sua dimora per stare insieme all’uomo e farsi trovare là dove l’uomo trascorre i suoi giorni nella gioia o nel dolore. Pertanto, la terra non è più soltanto una "valle di lacrime", ma è il luogo dove Dio stesso ha posto la sua tenda, è il luogo dell’incontro di Dio con l’uomo, della solidarietà di Dio con gli uomini.

    Dio ha voluto condividere la nostra condizione umana al punto da farsi una cosa sola con noi nella persona di Gesù, che è vero uomo e vero Dio. Ma c’è qualcosa di ancora più sorprendente. La presenza di Dio in mezzo all’umanità non si è attuata in un mondo ideale, idilliaco, ma in questo mondo reale, segnato da tante cose buone e cattive, segnato da divisioni, malvagità, povertà, prepotenze e guerre. Egli ha scelto di abitare la nostra storia così com’è, con tutto il peso dei suoi limiti e dei suoi drammi. Così facendo ha dimostrato in modo insuperabile la sua inclinazione misericordiosa e ricolma di amore verso le creature umane. Egli è il Dio-con-noi; Gesù è Dio-con-noi. Credete questo voi? Facciamo insieme questa professione: Gesù è Dio-con-noi! Gesù è Dio-con noi da sempre e per sempre con noi nelle sofferenze e nei dolori della storia. Il Natale di Gesù è la manifestazione che Dio si è "schierato" una volta per tutte dalla parte dell’uomo, per salvarci, per risollevarci dalla polvere delle nostre miserie, delle nostre difficoltà, dei nostri peccati.

    Da qui viene il grande "regalo" del Bambino di Betlemme: Lui ci porta un’energia spirituale, un'energia che ci aiuta a non sprofondare nelle nostre fatiche, nelle nostre disperazioni, nelle nostre tristezze, perché è un’energia che riscalda e trasforma il cuore. La nascita di Gesù, infatti, ci porta la bella notizia che siamo amati immensamente e singolarmente da Dio, e questo amore non solo ce lo fa conoscere, ma ce lo dona, ce lo comunica!

    Dalla contemplazione gioiosa del mistero del Figlio di Dio nato per noi, possiamo ricavare due considerazioni.

    La prima è che se nel Natale Dio si rivela non come uno che sta in alto e che domina l’universo, ma come Colui che si abbassa, discende sulla terra piccolo e povero, significa che per essere simili a Lui noi non dobbiamo metterci al di sopra degli altri, ma anzi abbassarci, metterci al servizio, farci piccoli con i piccoli e poveri con i poveri. Ma è una cosa brutta quando si vede un cristiano che non vuole abbassarsi, che non vuole servire. Un cristiano che si pavoneggia dappertutto, è brutto: quello non è cristiano, quello è pagano. Il cristiano serve, si abbassa. Facciamo in modo che questi nostri fratelli e sorelle non si sentano mai soli!

    La seconda conseguenza: se Dio, per mezzo di Gesù, si è coinvolto con l’uomo al punto da diventare come uno di noi, vuol dire che qualunque cosa avremo fatto a un fratello o a una sorella l’avremo fatta a Lui. Ce lo ha ricordato lo stesso Gesù: chi avrà nutrito, accolto, visitato, amato uno dei più piccoli e dei più poveri tra gli uomini, avrà fatto ciò al Figlio di Dio.

    Affidiamoci alla materna intercessione di Maria, Madre di Gesù e nostra, perché ci aiuti in questo Santo Natale, ormai vicino, a riconoscere nel volto del nostro prossimo, specialmente delle persone più deboli ed emarginate, l’immagine del Figlio di Dio fatto uomo.






    [Modificato da Caterina63 18/12/2013 15:55]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 20/12/2013 08:52



      Un episodio di grande importanza

    «Nei genitori di Cristo sono stati realizzati tutti i beni propri del matrimonio: prole, fedeltà e sacramento» (sant'Agostino).

    Mentre il sacerdote Abiathar nel tempio recitava la preghiera, gli apparve un angelo che gli disse: C'è qui una piccola verga, molto corta, a cui tu non hai fatto caso e che hai posto insieme con le altre: se tu la porterai fuori e la consegnerai, proprio in essa apparirà il segno di cui ti ho parlato. Quella era appunto la verga di Giuseppe, ma egli era stato trascurato ed egli stesso, per non essere costretto a prendere la fanciulla, non aveva voluto reclamare la sua verga. Mentre se ne stava umile, per ultimo, ad alta voce il pontefice Abiathar gridò: Vieni a prendere la tua verga, perché sei tu che si aspetta! Giuseppe si accostò, spaventato che il Sommo Pontefice lo chiamasse con tanta veemenza. Ma, mentre stendeva la mano per prendere la sua verga, all'improvviso dalla sommità di essa uscì fuori una colomba, più bianca della neve, oltremodo bella, e dopo aver volato a lungo per la sommità del Tempio, si slanciò verso i cieli. Allora tutto il popolo si congratulava con Giuseppe, dicendo: Beato sei tu che Dio indica idoneo a ricevere Maria!.

    Questa singolare narrazione, raccolta dai vangeli apocrifi, costituisce l'antecedente che offre i vari elementi necessari perché l'artista Giovannino de' Grassi potesse realizzare la sua altrettanto singolare composizione sullo sposalizio della Vergine. Il Sommo Sacerdote, tutore di Maria durante la sua permanenza nel Tempio, unisce le mani destre dei due sposi; Giuseppe tiene nella sinistra il bastone da viaggio che, insieme con tanti altri pretendenti per ottenere la Vergine in sposa, aveva consegnato al sacerdote. Proprio il suo bastone, più piccolo degli altri ed anche trascurato, fiorisce come era stato previsto dalla profezia e vi si posa una bianca colomba, segno dello Spirito Santo, testimonianza del volere divino. La raffigurazione presenta due scene contrastanti, come commento eloquente di quanto appena accaduto: sulla destra, vicini a Giuseppe, alcuni dei pretendenti respinti, fortemente delusi, spezzano le loro verghe; mentre, sulla sinistra, attorno a Maria si raccolgono le sette fanciulle, per accompagnarla in questo atto dello sposalizio: sono forse le vergini che erano cresciute insieme con lei nel Tempio.
    Dal punto di vista iconografico il quadro si arricchisce di alcuni elementi particolari, con sfondo architettonico, quasi a sottolineare la significatività dell'avvenimento dello sposalizio. «Questo testimonia – si legge in un commento – il grande interesse dell'artista per l'architettura e gli fornisce lo spunto per dipingere tre chiese, ciascuna delle quali è sormontata da un tiburio e che forse alludono alle basiliche venerate nella Terra Santa; alcuni particolari dell'architettura possono richiamare all'esperienza del Duomo di Milano, mentre la sommità degli edifici esce dagli angusti limiti imposti dalla cornice della miniatura e invade il campo della decorazione marginale». Un quadro ricco ed intenso, persino schiacciato nella molteplicità degli elementi compositivi, dove emerge tuttavia in primo piano il gesto "liturgico" degli sposi per annunciare alcuni atteggiamenti che devono diventare modello ed esempio: la delicatezza del gesto, l'espressione della semplicità, l'evidenza della fedeltà consegnata nelle mani del sacerdote.

    Giovannino de' Grassi (1350 ca.-1398), Lo sposalizio della Vergine, Biblioteca nazionale, Firenze.

    Giovannino de' Grassi (1350 ca.-1398), Lo sposalizio della Vergine, Biblioteca nazionale, Firenze.

    Nel luglio scorso è stata inaugurata nei giardini vaticani la Fontana di San Giuseppe, una composizione di sei pannelli di bronzo: di fronte al primo che rappresenta lo sposalizio di Maria e Giuseppe, Benedetto XVI ha così commentato: «È un episodio che riveste grande importanza. Giuseppe era della stirpe reale di Davide e, in virtù del matrimonio con Maria, conferirà al Figlio della Vergine – al Figlio di Dio – il titolo legale di figlio di Davide, adempiendo così le profezie. Lo sposalizio di Giuseppe e Maria è, perciò, un evento umano, ma determinante nella storia di salvezza dell'umanità». Tornano qui a proposito le parole rivolte da Giovanni Paolo II ad un gruppo di sposi novelli presenti in un'udienza generale: «Cari sposi, la Vergine Madre fu anche la sposa affettuosa, mite e fedele di Giuseppe. E con lui condivise il tenue ricordo dell'antica grandezza di discendente di David, ma anche e soprattutto l'umiltà del presente, il peso della sorte e la dura realtà di ogni giorno. La Vergine condivise con Giuseppe il viaggio a Betlemme, la fuga in Egitto, la povertà. La moglie, che con il marito divide le prove della vita, sarà il più valido sostegno e il più alto coefficiente della sua felicità. E così il marito».

    Giovanni Ciravegna

    (dal mensile Madre di Dio aprile 2011)





     




    Facendosi uomo, Dio si è messo con noi; nell’Eucaristia ha piantato le sue tende in mezzo a noi; in Paradiso sarà in noi. Nelle giornate frenetiche delle corse ai regali, siamo chiamati a riconoscere, a invocare il dono supremo di Dio all’umanità: il Figlio, il Dio-con-noi. Siamo sollecitati ad andare a conoscere "questo Bambino".
    Il Battesimo ricevuto ci rammenta che siamo invitati e mandati a testimoniare Gesù a chi ancora per vari motivi non ha avuto modo di conoscerLo veramente, che allenarsi e giocare nella Sua squadra, che è la Chiesa, è fonte di vera gioia. Il Presepe, la grotta, quella luce, quella mangiatoia, quel Bambino ci danno la possibilità di pregare, di parlare con Lui, di chiedere che ci dia una mano, la forza per essere testimoni.

     

    Così dice il Papa nell'Esortazione Evangelii gaudium:

    "Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene. Non dovrebbero meravigliarci allora alcune espressioni di san Paolo: «â€…L’amore del Cristo ci possiede » (2 Cor 5,14); «â€…Guai a me se non annuncio il Vangelo! » (1 Cor 9,16).

    La proposta è vivere ad un livello superiore, però non con minore intensità:  La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri . Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale: Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo. Di conseguenza, un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale. Recuperiamo e accresciamo il fervore,  la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime […] Possa il mondo del nostro tempo –che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo.." 


     

     

    Il solstizio d'inverno e i marinai sulla Basilica di San Giovanni

    di Federico Pace — 20 dicembre 2013

     
      

    Il 21 dicembre, il solstizio d'inverno, il giorno più breve dell'anno. A vedere per primi la macchia luminosa sbucare da est, devono essere stati i corpi marmorei di Cristo e dei vescovi, issati sulla vetta della Basilica di San Giovanni. Anche ieri stavano tutti quanti in quella posa da marinai. Intenti a scrutare, con disperata immobilità, l'orizzonte elusivo. A dire dei bollettini, il primo raggio deve essere comparso dopo le sette e trenta minuti. I loro occhi di marmo devono averlo visto sbucare tra le mura aureliane e i lunghissimi colli delle gru che, come giraffe addormentate, stavano immobili su via Appia. Là, in quello spiazzo dove al passaggio monotono delle vetture si sono arenati, come navi alla deriva, i lavori per la costruzione della Metropolitana.

    Poi il cielo poi si è tinto di azzurro. Per strada un uomo portava un cane al guinzaglio senza pensare a nulla. Nell'unico bar aperto, le tazzine si urtavano l'una con l'altra nell'affannoso tentativo di trovare spazio sul ripiano di marmo. C'erano i cucchiaini, le mani vorticose e una certa macchinosa euforia da giorno feriale. Fuori, c'era chi fumava, standosene proprio sul ciglio del gradino, con lo stesso sollievo di chi non ha più nulla da perdere. Poco più in là, una donna, ancorata al gomito del marito, parlava con burocratica precisione di quello che avrebbero fatto da lì fino alla sera. Un uomo, fermo ad un incrocio, guardava verso l'alto. Poi, come il vento ha cominciato a spingere, tutti sono corsi a chiudersi dietro le porte dalla propria solitudine.

    Il Cristo immobile, da quella vertiginosa posizione, ha lasciato che il vento proseguisse a scolpirgli il volto e il corpo. Poi, come una nuova manciata di minuti è stata gettata via, deve avere sentito sotto di sé la Terra ruotare ancora un poco. La luce, che gli ha girato intorno più che passargli sopra il capo, ha cominciato ad arrivargli dalle spalle. Ancora qualche raggio, non molto. Il pianeta luminoso sembrava poggiarsi laggiù, verso via Amba Aradam, sulle terrazze dell'ospedale di San Giovanni. Poi, ancora più giù, verso la Colombo, le Terme di Caracalla e il mare. Qualcuno da là sotto rimaneva ancora a guardare interrogativamente verso l'alto. Non dovevano essere neppure le cinque, quando tutte le schiene di quei marinai sono diventate del nero della notte.

    Allora all'insaputa di molti, la Terra, ha cominciato a piegarsi un po' di più, quasi in un inizio di inchino, per esporre una maggiore porzione di sé nel viaggio lunghissimo che compirà intorno al pianeta luminosissimo. Il Sole, d'ora in poi, rimarrà sempre meno celato dietro le schiene dei palazzi. E seppure, nei giorni che verranno ci raggeleremo a sentire il freddo crescerci dentro come una paura, avremo più tempo, e più spazio, per guardare verso il limite del mondo, là dove la luce si piega.

    Federico Pace è autore del libro Senza volo (Einaudi) e di racconti di viaggio sul libro Giro in Italia (Touring Club Italia), Twitter: @FedericoPace_



     

    ANGELUS 

    Piazza San Pietro
    IV Domenica di Avvento, 22 dicembre 2013

    Video

     

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In questa quarta domenica di Avvento, il Vangelo ci racconta i fatti che precedettero la nascita di Gesù, e l’evangelista Matteo li presenta dal punto di vista di san Giuseppe, il promesso sposo della Vergine Maria.

    Giuseppe e Maria vivevano a Nazareth; non abitavano ancora insieme, perché il matrimonio non era ancora compiuto. In quel frattempo, Maria, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo, divenne incinta per opera dello Spirito Santo. Quando Giuseppe si accorge di questo fatto, ne rimane sconcertato. Il Vangelo non spiega quali fossero i suoi pensieri, ma ci dice l’essenziale: egli cerca di fare la volontà di Dio ed è pronto alla rinuncia più radicale. Invece di difendersi e di far valere i propri diritti, Giuseppe sceglie una soluzione che per lui rappresenta un enorme sacrificio. E il Vangelo dice: «Poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto» (1,19).

    Questa breve frase riassume un vero e proprio dramma interiore, se pensiamo all’amore che Giuseppe aveva per Maria! Ma anche in una tale circostanza, Giuseppe intende fare la volontà di Dio e decide, sicuramente con gran dolore, di congedare Maria in segreto. Bisogna meditare su queste parole, per capire quale sia stata la prova che Giuseppe ha dovuto sostenere nei giorni che hanno preceduto la nascita di Gesù. Una prova simile a quella del sacrificio di Abramo, quando Dio gli chiese il figlio Isacco (cfr  Gen 22): rinunciare alla cosa più preziosa, alla persona più amata.

    Ma, come nel caso di Abramo, il Signore interviene: ha trovato la fede che cercava e apre una via diversa, una via di amore e di felicità: «Giuseppe – gli dice – non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20).

    Questo Vangelo ci mostra tutta la grandezza d’animo di san Giuseppe. Egli stava seguendo un buon progetto di vita, ma Dio riservava per lui un altro disegno, una missione più grande. Giuseppe era un uomo che dava sempre ascolto alla voce di Dio, profondamente sensibile al suo segreto volere, un uomo attento ai messaggi che gli giungevano dal profondo del cuore e dall’alto. Non si è ostinato a perseguire quel suo progetto di vita, non ha permesso che il rancore gli avvelenasse l’animo, ma è stato pronto a mettersi a disposizione della novità che, in modo sconcertante, gli veniva presentata. E’ così, era un uomo buono. Non odiava, e non ha permesso che il rancore gli avvelenasse l’animo. Ma quante volte a noi l’odio, l’antipatia pure, il rancore ci avvelenano l’anima! E questo fa male. Non permetterlo mai: lui è un esempio di questo. E così, Giuseppe è diventato ancora più libero e grande. Accettandosi secondo il disegno del Signore, Giuseppe trova pienamente se stesso, al di là di sé. Questa sua libertà di rinunciare a ciò che è suo, al possesso sulla propria esistenza, e questa sua piena disponibilità interiore alla volontà di Dio, ci interpellano e ci mostrano la via.

    Ci disponiamo allora a celebrare il Natale contemplando Maria e Giuseppe: Maria, la donna piena di grazia che ha avuto il coraggio di affidarsi totalmente alla Parola di Dio; Giuseppe, l’uomo fedele e giusto che ha preferito credere al Signore invece di ascoltare le voci del dubbio e dell’orgoglio umano. Con loro, camminiamo insieme verso Betlemme.







    [Modificato da Caterina63 24/12/2013 01:16]
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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 23/12/2013 09:17



    Durante questo Tempo di Avvento, la Madre Chiesa ci ha guidati e accompagnati ad invocare ardentemente la venuta del Salvatore. Canti, Novene, addobbi, presepi - e si spera di aver preparato anche gli animi - ci hanno aiutati. Ecco che oggi la Chiesa celebra l'evento con gioia indicibile. Ancora una volta il tema della gioia risuona, accompagnata dalle campane, dagli Inni: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

     

    Così dice il Papa nell'Esortazione Evangelii gaudium:

     

    "La fede significa anche credere in Lui, credere che veramente ci ama, che è vivo, che è capace di intervenire misteriosamente, che non ci abbandona, che trae il bene dal male con la sua potenza e con la sua infinita creatività. Significa credere che Egli avanza vittorioso nella storia insieme con «â€…quelli che stanno con lui … i chiamati, gli eletti, i fedeli » (Ap 17,14). Crediamo al Vangelo che dice che il Regno di Dio è già presente nel mondo, e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: come il piccolo seme che può arrivare a trasformarsi in una grande pianta (cfr Mt 13,31-32), come una manciata di lievito, che fermenta una grande massa (cfr Mt 13,33) e come il buon seme che cresce in mezzo alla zizzania (cfr Mt 13,24-30), e ci può sempre sorprendere in modo gradito. (..)

    Alla Madre del Vangelo vivente chiediamo che interceda affinché questo invito a una nuova tappa dell’evangelizzazione venga accolta da tutta la comunità ecclesiale. Ella è la donna di fede, che cammina nella fede, e  la sua eccezionale peregrinazione della fede rappresenta un costante punto di riferimento per la Chiesa. Ella si è lasciata condurre dallo Spirito, attraverso un itinerario di fede, verso un destino di servizio e fecondità. Noi oggi fissiamo lo sguardo su di lei, perché ci aiuti ad annunciare a tutti il messaggio di salvezza, e perché i nuovi discepoli diventino operosi evangelizzatori. (..) Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti.
    Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché «â€…ha rovesciato i potenti dai troni » e «â€…ha rimandato i ricchi a mani vuote » (Lc 1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia. È anche colei che conserva premurosamente «â€…tutte queste cose, meditandole nel suo cuore » (Lc 2,19). Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili. È contemplativa del mistero di Dio nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana di ciascuno e di tutti. È la donna orante e lavoratrice a Nazaret, ed è anche nostra Signora della premura, colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri «â€…senza indugio » (Lc 1,39). Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera materna ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo".

     

    Tu scendi dalle stelle (testo di sant'Alfonso Maria de Liguori)

     

    Tu scendi dalle stelle o Re del cielo,

    e vieni in una grotta al freddo e al gelo,

    e vieni in una grotta al freddo e al gelo.

    O Bambino mio divino, io ti vedo qui a tremar.

    O Dio beato!

    Ah! Quanto ti costò l'avermi amato.

    Ah! Quanto ti costò l'avermi amato.

     

    A te che sei del mondo il Creatore,

    mancano i panni e il fuoco, o mio Signore.

    Mancano i panni e il fuoco, o mio Signore.

    Caro eletto pargoletto, quanta questa povertà

    più mi innamora, giacchè ti fece amor povero ancora.

    Giacchè ti fece amor povero ancora.

     

    Tu lasci del tuo Padre il divin seno,

    per venire a tremar su questo fieno;

    per venire a tremar su questo fieno.

    Caro eletto del mio petto, dove amor ti trasportò!

    O Gesù mio, perchè tanto patir, per amor mio...

     

      «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra?»
     

    Come se Cristo dicesse: "Non pensate che io sia venuto a dare agli uomini la pace secondo la carne, la pace secondo questo mondo, la pace cioè senza nessuna regola, che li avrebbe fatti vivere
     in accordo col male e avrebbe assicurato loro la prosperità su questa terra. No, vi dico, non sono venuto a portare una pace di questo genere ma la divisione, una buona e salutare separazione degli spiriti e anche dei corpi. 
    Quindi, perché amano Dio e cercano la pace interiore, coloro che credono in me si troveranno naturalmente in disaccordo con i malvagi; si separeranno da coloro che provano a distoglierli dal progresso spirituale a dalla purezza dell'amore divino, o che si sforzano di crear loro difficoltà". 

    Dunque la pace spirituale, la pace interiore, la buona pace è la tranquillità dell'anima in Dio, e la concordia secondo l'ordine giusto. Cristo è venuto a portare questa pace prima di ogni altra cosa... 
    (Dionigi il Certosino, monaco. Commento sul vangelo di Luca, Op. omnia 12,72 )
     
     
     











      Ricordiamo anche a TUTTI gli Amici di Benedetto XVI, che IN QUESTO LINK troverete il Calendario 2014 da scaricare con le immagini e le frasi dal suo Magistero.....









      Riconosci, cristiano, la tua dignità

    Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
    Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l’impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l’assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14).
    Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell’amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l’umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.

    Deponiamo dunque «l’uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.
    Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa

       

     

    [Modificato da Caterina63 23/12/2013 09:32]
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    00 24/12/2013 19:42

      Il Natale del 1914

    La notte di Natale del 1914, nelle trincee del fronte occidentale (Francia e Belgio) ci fu una tregua. Non la ordinarono i comandi supremi; la dichiararono i soldati, che sui due fronti uscirono allo scoperto, si abbracciarono, fumarono e cantarono insieme. L’episodio preoccupò enormemente gli Stati Maggiori, che si preoccuparono anche di cancellarne la memoria.

    Qui di seguito, la lettera di un soldato inglese che ne scrisse alla sorella.

    «Giorno di Natale 1914.

    Janet, sorella cara,

    sono le due del mattino e la maggior parte degli uomini dormono nelle loro buche, ma io non posso addormentarmi se prima non ti scrivo dei meravigliosi avvenimenti della vigilia di Natale. In verità, ciò che è avvenuto è quasi una fiaba, e se non l’avessi visto coi miei occhi non ci crederei. Prova a immaginare: mentre tu e la famiglia cantavate gli inni davanti al focolare a Londra, io ho fatto lo stesso con i soldati nemici qui nei campi di battaglia di Francia! Come ti ho già scritto, negli ultimi giorni ci sono stati pochi combattimenti gravi. Le prime battaglie hanno fatto tanti morti, che entrambe le parti si sono trincerate, in attesa dei rincalzi. Sicché per lo più siamo rimasti nelle trincee ad aspettare. Ma che attesa tremenda! Ci aspettiamo ogni momento che un obice d’artiglieria ci cada addosso, ammazzando e mutilando uomini.
    E di giorno non osiamo alzare la testa fuori dalla terra, per paura del cecchino. E poi la pioggia: cade quasi ogni giorno. Naturalmente si raccoglie proprio nelle trincee, da cui dobbiamo aggottarla con pentole e padelle. E con la pioggia è venuto il fango, profondo un piede e più. S’appiccica e sporca tutto, e ci risucchia gli scarponi. Una recluta ha avuto i piedi bloccati nel fango, e poi anche le mani quando ha cercato di liberarsi… Con tutto questo, non potevamo fare a meno di provare curiosità per i soldati tedeschi di fronte noi. Dopo tutto affrontano gli stessi nostri pericoli, e anche loro sciaguattano nello stesso fango.
    E la loro trincea è solo cinquanta metri davanti a noi. Tra noi c’è la terra di nessuno, orlata da entrambe le parti di filo spinato, ma sono così vicini che ne sentiamo le voci. Ovviamente li odiamo quando uccidono i nostri compagni. Ma altre volte scherziamo su di loro e sentiamo di avere qualcosa in comune. E ora risulta che loro hanno gli stessi sentimenti. Ieri mattina, la vigilia, abbiamo avuto la nostra prima gelata. Benché infreddoliti l’abbiamo salutata con gioia, perché almeno ha indurito il fango.

    Tutto era imbiancato dal gelo, mentre c’era un bel sole: clima perfetto per Natale. Durante la giornata ci sono stati scambi di fucileria. Ma quando la sera è scesa sulla vigilia, la sparatoria ha smesso interamente. Il nostro primo silenzio totale da mesi! Speravamo che promettesse una festa tranquilla, ma non ci contavamo. Ci avevano detto che i tedeschi potevano attaccarci e coglierci di sorpresa. Io sono andato al mio buco per riposare, e avvolto nel cappotto mi devo essere addormentato. Di colpo un camerata mi scuote e mi grida: “Vieni a vedere! Vieni a vedere cosa fanno i tedeschi!”. Ho preso il fucile, sono andato alla trincea e, con cautela, ho alzato la testa sopra i sacchetti di sabbia. Non ho mai creduto di poter vedere una cosa più strana e più commovente. Grappoli di piccole luci brillavano lungo tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d’occhio. “Che cos’è?”, ho chiesto al compagno, e John ha risposto: alberi di Natale! Era vero.
    I tedeschi avevano disposto degli alberi di Natale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele e lumini. E poi abbiamo sentito le loro voci che si levavano in una canzone: “stille nacht, heilige nacht…”. Il canto in Inghilterra non lo conosciamo, ma John lo conosce e l’ha tradotto: notte silente, notte santa. Non ho mai sentito un canto più bello e più significativo in quella notte chiara e silenziosa. Quando il canto è finito, gli uomini nella nostra trincea hanno applaudito.

    Sì, soldati inglesi che applaudivano i tedeschi! Poi uno di noi ha cominciato a cantare, e ci siamo tutti uniti a lui: “the first nowell the angel did say…”. Per la verità non eravamo bravi a cantare come i tedeschi, con le loro belle armonie. Ma hanno risposto con applausi entusiasti, e poi ne hanno attaccato un’altra: “o tannenbaum, o tannenbaum…”. A cui noi abbiamo risposto: “o come all ye faithful…”. E questa volta si sono uniti al nostro coro, cantando la stessa canzone, ma in latino: “adeste fideles…”. Inglesi e tedeschi che s’intonano in coro attraverso la terra di nessuno! Non potevo pensare niente di più stupefacente, ma quello che è avvenuto dopo lo è stato di più. “Inglesi, uscite fuori!”, li abbiamo sentiti gridare, “voi non spara, noi non spara!”. Nelle trincea ci siamo guardati non sapendo che fare. Poi uno ha gridato per scherzo: “Venite fuori voi!”.

    Con nostro stupore, abbiamo visto due figure levarsi dalla trincea di fronte, scavalcare il filo spinato e avanzare allo scoperto. Uno di loro ha detto: “Manda ufficiale per parlamentare”. Ho visto uno dei nostri con il fucile puntato, e senza dubbio anche altri l’hanno fatto – ma il capitano ha gridato: “non sparate!”. Poi s’è arrampicato fuori dalla trincea ed è andato incontro ai tedeschi a mezza strada. Li abbiamo sentiti parlare e pochi minuti dopo il capitano è tornato, con un sigaro tedesco in bocca! Ci siamo accordati: “niente fuoco fino a mezzanotte di domani”, ha annunciato. “Ma tutte le sentinelle restino ai loro posti, e tutti gli altri stiano sul chi vive”.

    Nel frattempo gruppi di due o tre uomini uscivano dalle trincee e venivano verso di noi. Alcuni di noi sono usciti anch’essi e in pochi minuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini che avevamo cercato di ammazzate poche ore prima. Abbiamo acceso un gran falò, e noi tutti attorno, inglesi in kaki e tedeschi in grigio. Devo dire che i tedeschi erano vestiti meglio, con le divise pulite per la festa. Solo un paio di noi parlano il tedesco, ma molti tedeschi sapevano l’inglese. Ad uno di loro ho chiesto come mai. “Molti di noi hanno lavorato in Inghilterra”, ha risposto. “Prima di questo sono stato cameriere all’Hotel Cecil. Forse ho servito alla tua tavola!”. “Forse!”, ho risposto ridendo. Mi ha raccontato che aveva la ragazza a Londra e che la guerra ha interrotto il loro progetto di matrimonio. E io gli ho detto: “non ti preoccupare, prima di Pasqua vi avremo battuti e tu puoi tornare a sposarla”. Si è messo a ridere, poi mi ha chiesto se potevo mandare una cartolina alla ragazza, ed io ho promesso. Un altro tedesco è stato portabagagli alla Victoria Station.

    Mi ha fatto vedere le foto della sua famiglia che sta a Monaco. Sua sorella maggiore non è niente male, io gli ho detto che mi piacerebbe conoscerla. Lui raggiante mi ha detto che gli piacerebbe molto, e mi ha dato l’indirizzo. Anche quelli che non riuscivano a parlare si scambiavano doni, i loro sigari con le nostre sigarette, noi il tè e loro il caffè, noi la carne in scatola e loro le salsicce. Ci siamo scambiati mostrine e bottoni, e uno dei nostri se n’è uscito con il tremendo elmetto col chiodo! Anch’io ho cambiato un coltello pieghevole con un cinturame di cuoio, un bel ricordo che ti mostrerò quando torno a casa. Ci siamo scambiati anche dei giornali, e i tedeschi se la ridevano leggendo i nostri. Ci hanno dato per certo che la Francia è alle corde e la Russia quasi disfatta. Noi gli abbiamo ribattuto che non era vero, e loro. “Va bene, voi credete ai vostri giornali e noi ai nostri”».

    È chiaro che gli raccontano delle balle, ma dopo averli incontrati anch’io mi chiedo fino a che punto i nostri giornali dicano la verità. Questi non sono i “barbari selvaggi” di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, sì, amor di patria. Insomma sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti? Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò, e abbiamo finito per intonare insieme – non ti dico una bugia – Auld Lang Syne. Poi ci siamo separati con la promessa di rincontraci l’indomani, e magari organizzare una partita di calcio. Stavo tornando alla trincea quando un tedesco più anziano m’ha preso il braccio e ha detto: Dio mio, perché non possiamo fare la pace e tornare a casa? Gli ho detto senza cattiveria: “Chiedilo al tuo imperatore”. Lui mi ha guardato come scrutandomi: “Forse, amico. Ma dobbiamo chiederlo anche al nostro cuore”.

    E insomma, sorella mia, c’è mai stata una vigilia di Natale come questa nella storia? Per i combattimenti qui, naturalmente, significa poco purtroppo. Questi soldati sono simpatici, ma eseguono gli ordini e noi facciamo lo stesso. A parte che siamo qui per fermare il loro esercito e rimandarlo a casa, e non verremo meno a questo compito. Eppure non si può fare a meno di immaginare cosa accadrebbe se lo spirito che si è rivelato qui fosse colto dalle nazioni del mondo. Ovviamente, conflitti devono sempre sorgere. Ma che succederebbe se i nostri governanti si scambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti? Doni al posto di rappresaglie? Non finirebbero tutte le guerre?

    Il tuo caro fratello Tom».

    Ogni giorno può essere Natale, perché Gesù vuol nascere prima di tutto nel cuore dell’uomo.






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    SANTA MESSA DELLA NOTTE

    SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica Vaticana
    Martedì, 24 dicembre 2013

    Video

      

    1. «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1).

    Questa profezia di Isaia non finisce mai di commuoverci, specialmente quando la ascoltiamo nella Liturgia della Notte di Natale. E non è solo un fatto emotivo, sentimentale; ci commuove perché dice la realtà profonda di ciò che siamo: siamo popolo in cammino, e intorno a noi – e anche dentro di noi – ci sono tenebre e luce. E in questa notte, mentre lo spirito delle tenebre avvolge il mondo, si rinnova l’avvenimento che sempre ci stupisce e ci sorprende: il popolo in cammino vede una grande luce. Una luce che ci fa riflettere su questo mistero: mistero del camminare e del vedere.

    Camminare. Questo verbo ci fa pensare al corso della storia, a quel lungo cammino che è la storia della salvezza, a cominciare da Abramo, nostro padre nella fede, che il Signore chiamò un giorno a partire, ad uscire dal suo paese per andare verso la terra che Lui gli avrebbe indicato. Da allora, la nostra identità di credenti è quella di gente pellegrina verso la terra promessa. Questa storia è sempre accompagnata dal Signore! Egli è sempre fedele al suo patto e alle sue promesse. Perché fedele, «Dio è luce, e in lui non c’è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5). Da parte del popolo, invece, si alternano momenti di luce e di tenebra, fedeltà e infedeltà, obbedienza e ribellione; momenti di popolo pellegrino e momenti di popolo errante.

    Anche nella nostra storia personale si alternano momenti luminosi e oscuri, luci e ombre. Se amiamo Dio e i fratelli, camminiamo nella luce, ma se il nostro cuore si chiude, se prevalgono in noi l’orgoglio, la menzogna, la ricerca del proprio interesse, allora scendono le tenebre dentro di noi e intorno a noi. «Chi odia suo fratello – scrive l’apostolo Giovanni – è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi» (1 Gv 2,11). Popolo in cammino, ma popolo pellegrino che non vuole essere popolo errante.

    2. In questa notte, come un fascio di luce chiarissima, risuona l’annuncio dell’Apostolo: «È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).

    La grazia che è apparsa nel mondo è Gesù, nato dalla Vergine Maria, vero uomo e vero Dio. Egli è venuto nella nostra storia, ha condiviso il nostro cammino. È venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l’Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi.

    3. I pastori sono stati i primi a vedere questa “tenda”, a ricevere l’annuncio della nascita di Gesù. Sono stati i primi perché erano tra gli ultimi, gli emarginati. E sono stati i primi perché vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge. E’ legge del pellegrino vegliare, e loro vegliavano. Con loro ci fermiamo davanti al Bambino, ci fermiamo in silenzio. Con loro ringraziamo il Signore di averci donato Gesù, e con loro lasciamo salire dal profondo del cuore la lode della sua fedeltà: Ti benediciamo, Signore Dio Altissimo, che ti sei abbassato per noi. Tu sei immenso, e ti sei fatto piccolo; sei ricco, e ti sei fatto povero; sei l’onnipotente, e ti sei fatto debole.

    In questa Notte condividiamo la gioia del Vangelo: Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come luce nelle nostre tenebre. Il Signore ci ripete: «Non temete» (Lc 2,10). Come hanno detto gli angeli ai pastori: «Non temete». E anch’io ripeto a tutti voi: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la misericordia: il nostro Padre ci perdona sempre. Egli è la nostra pace. Amen.






    [Modificato da Caterina63 25/12/2013 11:04]
    Fraternamente CaterinaLD

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    MESSAGGIO URBI ET ORBI
    DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    NATALE 2013

    Mercoledì, 25 dicembre 2013

     Video

     

    «Gloria a Dio nel più alto dei cieli
    e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» 
    (Lc 2,14).

    Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, buongiorno e buon Natale!

    Faccio mio il canto degli angeli, che apparvero ai pastori di Betlemme nella notte in cui nacque Gesù. Un canto che unisce cielo e terra, rivolgendo al cielo la lode e la gloria, e alla terra degli uomini l’augurio di pace.

    Invito tutti ad unirsi a questo canto: questo canto è per ogni uomo e donna che veglia nella notte, che spera in un mondo migliore, che si prende cura degli altri cercando di fare umilmente il proprio dovere.

    Gloria a Dio!

    A questo prima di tutto ci chiama il Natale: a dare gloria a Dio, perché è buono, è fedele, è misericordioso. In questo giorno auguro a tutti di riconoscere il vero volto di Dio, il Padre che ci ha donato Gesù. Auguro a tutti di sentire che Dio è vicino, di stare alla sua presenza, di amarlo, di adorarlo.

    E ognuno di noi possa dare gloria a Dio soprattutto con la vita, con una vita spesa per amore suo e dei fratelli.

    Pace agli uomini.

    La vera pace – noi lo sappiamo – non è un equilibrio tra forze contrarie. Non è una bella “facciata”, dietro alla quale ci sono contrasti e divisioni. La pace è un impegno di tutti i giorni, ma, la pace è artigianale, che si porta avanti a partire dal dono di Dio, dalla sua grazia che ci ha dato in Gesù Cristo.

    Guardando il Bambino nel presepe, bambino di pace, pensiamo ai bambini che sono le vittime più fragili delle guerre, ma pensiamo anche agli anziani, alle donne maltrattate, ai malati… Le guerre spezzano e feriscono tante vite!

    Troppe ne ha spezzate negli ultimi tempi il conflitto in Siria, fomentando odio e vendetta. Continuiamo a pregare il Signore perché risparmi all’amato popolo siriano nuove sofferenze e le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garantiscano l’accesso agli aiuti umanitari. Abbiamo visto quanto è potente la preghiera! E sono contento che oggi si uniscano a questa nostra implorazione per la pace in Siria anche credenti di diverse confessioni religiose. Non perdiamo mai il coraggio della preghiera! Il coraggio di dire: Signore, dona la tua pace alla Siria e al mondo intero. E invito anche i non credenti a desiderare la pace, con il loro desiderio, quel desiderio che allarga il cuore: tutti uniti, o con la preghiera o con il desiderio. Ma tutti, per la pace.

    Dona pace, bambino, alla Repubblica Centroafricana, spesso dimenticata dagli uomini. Ma tu, Signore, non dimentichi nessuno! E vuoi portare pace anche in quella terra, dilaniata da una spirale di violenza e di miseria, dove tante persone sono senza casa, acqua e cibo, senza il minimo per vivere. Favorisci la concordia nel Sud-Sudan, dove le tensioni attuali hanno già provocato troppe vittime e minacciano la pacifica convivenza di quel giovane Stato.

    Tu, Principe della pace, converti ovunque il cuore dei violenti perché depongano le armi e si intraprenda la via del dialogo. Guarda alla Nigeria, lacerata da continui attacchi che non risparmiano gli innocenti e gli indifesi. Benedici la Terra che hai scelto per venire nel mondo e fa’ giungere a felice esito i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi. Sana le piaghe dell’amato Iraq, colpito ancora da frequenti attentati.

    Tu, Signore della vita, proteggi quanti sono perseguitati a causa del tuo nome. Dona speranza e conforto ai profughi e ai rifugiati, specialmente nel Corno d’Africa e nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Fa’ che i migranti in cerca di una vita dignitosa trovino accoglienza e aiuto. Tragedie come quelle a cui abbiamo assistito quest’anno, con i numerosi morti a Lampedusa, non accadano mai più!

    O Bambino di Betlemme, tocca il cuore di quanti sono coinvolti nella tratta di esseri umani, affinché si rendano conto della gravità di tale delitto contro l’umanità. Volgi il tuo sguardo ai tanti bambini che vengono rapiti, feriti e uccisi nei conflitti armati, e a quanti vengono trasformati in soldati, derubati della loro infanzia.

    Signore del cielo e della terra, guarda a questo nostro pianeta, che spesso la cupidigia e l’avidità degli uomini sfrutta in modo indiscriminato. Assisti e proteggi quanti sono vittime di calamità naturali, soprattutto il caro popolo filippino, gravemente colpito dal recente tifone.

    Cari fratelli e sorelle, in questo mondo, in questa umanità oggi è nato il Salvatore, che è Cristo Signore. Fermiamoci davanti al Bambino di Betlemme. Lasciamo che il nostro cuore si commuova: non abbiamo paura di questo. Non abbiamo paura che il nostro cuore si commuova! Abbiamo bisogno che il nostro cuore si commuova. Lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio; abbiamo bisogno delle sue carezze. Le carezze di Dio non fanno ferite: le carezze di Dio ci danno pace e forza. Abbiamo bisogno delle sue carezze. Dio è grande nell’amore, a Lui la lode e la gloria nei secoli! Dio è pace: chiediamogli che ci aiuti a costruirla ogni giorno, nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nelle nostre città e nazioni, nel mondo intero. Lasciamoci commuovere dalla bontà di Dio.


    Augurio Natalizio dopo il Messaggio Urbi et Orbi

    A voi, cari fratelli e sorelle, giunti da ogni parte del mondo in questa Piazza, e a quanti da diversi Paesi siete collegati attraverso i mezzi di comunicazione, rivolgo il mio augurio: buon Natale!

    In questo giorno illuminato dalla speranza evangelica che proviene dall’umile grotta di Betlemme, invoco il dono natalizio della gioia e della pace per tutti: per i bambini e gli anziani, per i giovani e le famiglie, per i poveri e gli emarginati. Gesù, nato per noi, conforti quanti sono provati dalla malattia e dalla sofferenza; sostenga coloro che si dedicano al servizio dei fratelli più bisognosi. Buon Natale a tutti!





    Fraternamente CaterinaLD

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    00 25/12/2013 21:49

     DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
    IN OCCASIONE DEL PRIMO INCONTRO 
    CON IL COLLEGIO CARDINALIZIO
    SVOLTOSI ALLA VIGILIA DELLA SOLENNITÀ DEL NATALE

    24 dicembre 1914


     

     

    Di accogliere per la prima volta il sacro Collegio, Ci offre oggi grata occasione la solennità Natalizia del Signor nostro Gesù Cristo, consacrata dalle consuetudini alla scambievole offerta di auguri e voti. Ed è con particolare soddisfazione che dalla autorevole parola fattasi eco fedele di quella dell’Eminentissimo Decano abbiamo ora appreso quali sentimenti accolga e quali voti formi per Noi il sacro Collegio: anzi tanto più ne godiamo, quanto più in alto tendono quei sentimenti e quei voti, che, sebbene rivolti alla Nostra Persona, sono novello omaggio all’invisibile Capo della Chiesa, da Noi immeritevolmente rappresentato, e mirano, sopra l’umile Nostra Persona, al bene della Chiesa universale, di cui nulla al mondo, neppure il sangue Nostro, potrebbe esserci più caro.

    L’anno che or volge a così trepido tramonto è stato di grave lutto alla Chiesa. Il Pontefice Pio X, nel quale Noi, e da vicino e da lontano, scorgemmo l’aureola di elettissimi pregi e che, strappato in tragica ora alla cristiana famiglia, rimpiangemmo con sincero cordoglio, Ci si svela ora, per i rilievi che di giorno in giorno Ce ne presenta più dappresso la continuazione dell’Apostolico officio, tanto più grande quanto più assidua è stata in Lui la cura di celare le insigni virtù che ne adornavano l’anima eletta. L’ immagine pertanto e la memoria di così santo Pontefice rendono in Noi più profondo il sentimento della Nostra immeritata successione. Ma Ci confortano le preghiere del mondo cattolico, cui Iddio, per il vantaggio della Chiesa, suole porgere benigno ascolto: e non poco altresì Ci confortano i filiali voti ed auguri che il sacro Collegio, quasi a sollievo del Padre comune, Ci ha ora espressi.

    Tra questi voti, nessuno sembra né più proprio del peculiare carattere insito alla festività Natalizia, né più rispondente al bisogno che oggi stringe ogni cuore, quanto quello della pace. Questo augurio e questo voto Noi perciò accogliamo con particolare sollecitudine, spintivi dai luttuosi avvenimenti che da ben cinque mesi vanno vestendo gramaglie a tutto l’universo.

    Purtroppo non piacque alla Divina Provvidenza che il nostro Pontificato sortisse auspici giocondi: ché anzi, mentre si sarebbe voluto salutarlo con voci di letizia, l’avvento del nuovo Padre della cristiana famiglia in molte regioni fu salutato invece con strepito di armi e con fragori di battaglie.

    Ma a Noi, fin dagli inizi del Nostro Pontificato, non poteva sfuggire l’altezza della missione propria del Vicario di Colui che, nascendo, è stato foriero di pace alle umane genti; non potevamo dimenticare di essere venuti a continuare l’opera di Gesù Cristo, Principe della pace, descritto nei vaticinii come quegli ai cui giorni doveva finalmente spuntare il sole della giustizia e l’abbondanza della pace. Memori perciò della Nostra più che umana missione, Noi, sia in pubblico che in privato, nessuna via lasciammo intentata affinché il consiglio, il volere, il bisogno della pace fossero bene accolti.

    Fu anche a questo scopo che Ci balenò alla mente il proposito di schiudere, in mezzo a queste tenebre di bellica morte, almeno un raggio, un solo raggio del divin sole della pace, ed alle nazioni contendenti pensammo di proporre, breve e determinata, una tregua natalizia, accarezzando la fiducia che, ove non potessimo dissipare il nero fantasma della guerra, Ci fosse dato almeno di apportare un balsamo alle ferite che essa infligge. Oh! la cara speranza che avevamo concepito di consolare tante madri e tante spose con la certezza che, nelle poche ore consacrate alla memoria del Divino Natale, non sarebbero i loro cari caduti sotto il piombo nemico: oh! la dolce illusione che Ci eravamo fatta di ridare al mondo almeno un assaggio di quella pacifica quiete che ignora ormai da tanti mesi! Purtroppo la Nostra cristiana iniziativa non fu coronata di felice successo. Ma non per questo scoraggiati, Noi intendiamo di proseguire ogni sforzo per affrettare il termine della incomparabile sciagura, o per alleviarne almeno le tristi conseguenze.

    Ci sembra che il Divino Spirito dica a Noi come già al Profeta: Clama ne cesses. Clama ne cesses, epperò Noi abbiamo perorato, non senza speranze di buon esito, per lo scambio dei prigionieri divenuti inabili ad ulteriore servizio militare. Clama ne cesses, epperò Noi abbiamo voluto che ai poveri prigionieri di guerra si accostino sacerdoti non ignari della loro lingua, i quali prestino ad essi quei conforti dei quali possano abbisognare, e insieme si offrano intermediari benevoli fra essi e le loro famiglie, forse angustiate ed afflitte per mancanza di notizie. Clama ne cesses, epperò diamo plauso ai sacri pastori e ai singoli individui che hanno determinato il promuovere o moltiplicare pubbliche e private preghiere per far dolce violenza al Cuore santissimo di Gesù onde ottenere che abbia termine il terribile flagello che ora stringe ed affanna una sì gran parte del mondo.

    Deh! cadano al suolo le armi fratricide! cadano alfine queste armi, ormai troppo macchiate di sangue… e le mani di coloro che han dovuto impugnarle tornino ai lavori dell’industria e del commercio, tornino alle opere della civiltà e della pace. Deh! sentano, oggi almeno, i reggitori ed i popoli l’angelica voce che annunzia il sovrumano dono del Re nascente, « il dono della pace », e mostrino anch’essi con opere di giustizia, di fede e di mitezza quella « buona volontà » che è posta da Dio condizione al godimento della pace.

    Noi confidiamo fermamente, signori Cardinali, che questo voto col quale, più che con altro, godiamo corrispondere ai sentimenti a Noi espressi, troverà propizia la clemenza di Dio: non vogliamo però omettere di esortare quanti in quest’ora solenne Ci fanno cara corona ad insistere presso l’Altissimo con assidue preghiere per conseguire l’appagamento del Nostro voto.

    Aggiungiamo poi un altro desideratissimo voto, e questo è per Lei, Eminentissimo Decano, e per tutti i membri del sacro Collegio che con la loro amata presenza Ci porgono ora immagine della immensa famiglia cattolica, stretta nelle ore liete e nelle tristi, intorno al suo Capo.

    A Lei dunque ed ai signori Cardinali partecipi del Nostro governo, che tante ansie e tanto sollecito zelo domanda, auguriamo prospero il vivere e fecondo l’operare. Faccia il Signore che la solerzia, l’intelligenza ed il successo di quel provvido aiuto onde Ella ed i suoi Colleghi saranno per confortare il Nostro Pontificato rendano quanto prima l’umana famiglia, per affettuosa concordia e per beata tranquillità, somigliante a quel mistico gregge che Cristo contemplò, quando a Pietro ed a Noi ne affidò la custodia.

    Di tali grazie sia arra ed auspicio l’apostolica benedizione che a Lei ed ai Cardinali qui presenti, del pari che ai Vescovi, Prelati e a quanti — ecclesiastici o laici — Ci fanno ora corona, impartiamo con effusione di cuore.






    Fraternamente CaterinaLD

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    00 26/12/2013 14:58
    FESTA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS 

    Piazza San Pietro
    Giovedì, 26 dicembre 2013


     

     

    Cari fratelli e sorelle buongiorno.

    Voi non avete paura della pioggia, siete bravi!

    La liturgia prolunga la Solennità del Natale per otto giorni: un tempo di gioia per tutto il popolo di Dio! E in questo secondo giorno dell’ottava, nella gioia del Natale si inserisce la festa di santo Stefano, il primo martire della Chiesa. Il libro degli Atti degli Apostoli ce lo presenta come «uomo pieno di fede e di Spirito Santo» (6,5), scelto con altri sei per il servizio delle vedove e dei poveri nella prima comunità di Gerusalemme. E ci racconta il suo martirio: quando, dopo un discorso di fuoco che suscitò l’ira dei membri del Sinedrio, fu trascinato fuori dalle mura della città e lapidato. Stefano morì come Gesù, chiedendo il perdono per i suoi uccisori (7,55-60).

    Nel clima gioioso del Natale, questa commemorazione potrebbe sembrare fuori luogo. Il Natale infatti è la festa della vita e ci infonde sentimenti di serenità e di pace; perché turbarne l’incanto col ricordo di una violenza così atroce? In realtà, nell’ottica della fede, la festa di santo Stefano è in piena sintonia col significato profondo del Natale. Nel martirio, infatti, la violenza è vinta dall’amore, la morte dalla vita. La Chiesa vede nel sacrificio dei martiri la loro “nascita al cielo”. Celebriamo dunque oggi il “natale” di Stefano, che in profondità scaturisce dal Natale di Cristo. Gesù trasforma la morte di quanti lo amano in aurora di vita nuova!

    Nel martirio di Stefano si riproduce lo stesso confronto tra il bene e il male, tra l’odio e il perdono, tra la mitezza e la violenza, che ha avuto il suo culmine nella Croce di Cristo. La memoria del primo martire viene così, immediatamente, a dissolvere una falsa immagine del Natale: l’immagine fiabesca e sdolcinata, che nel Vangelo non esiste! La liturgia ci riporta al senso autentico dell’Incarnazione, collegando Betlemme al Calvario e ricordandoci che la salvezza divina implica la lotta al peccato, passa attraverso la porta stretta della Croce. Questa è la strada che Gesù ha indicato chiaramente ai suoi discepoli, come attesta il Vangelo di oggi: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22).

    Perciò oggi preghiamo in modo particolare per i cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo. Siamo vicini a questi fratelli e sorelle che, come santo Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario tipo. Sono sicuro che, purtroppo, sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa. Ce ne sono tanti!  Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che sulla carta tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Io vorrei chiedervi di pregare per questi fratelli e sorelle un attimo in silenzio […] E li affidiamo alla Madonna

    (Ave Maria …).

    Per il cristiano questo non fa meraviglia, perché Gesù lo ha preannunciato come occasione propizia per rendere testimonianza. Tuttavia, sul piano civile, l’ingiustizia va denunciata ed eliminata.

    Maria Regina dei Martiri ci aiuti a vivere il Natale con quell’ardore di fede e di amore che rifulge in santo Stefano e in tutti i martiri della Chiesa.

    Dopo l'Angelus:

    Saluto le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni e i singoli fedeli provenienti da Roma, dall’Italia e da ogni parte del mondo. La sosta di questi giorni presso il presepio per ammirare Maria e Giuseppe accanto al Bambino, possa suscitare in tutti un generoso impegno di amore vicendevole, affinché all’interno delle famiglie e delle varie comunità si viva quel clima di intesa e di fraternità che tanto giova al bene comune.  

    Buone feste natalizie




    Festa di Santo Stefano, primo martire - "Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro"

     
    Dal Vangelo secondo Matteo (10,17-22) 
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell'ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato». 

    Il Magistero di Benedetto XVI
    Angelus, 26 dicembre 2007
    Il legame profondo che unisce Cristo al suo primo martire Stefano è la Carità divina: lo stesso Amore che spinse il Figlio di Dio a spogliare se stesso e a farsi obbediente fino alla morte di croce (cfr Fil 2,6-8), ha poi spinto gli Apostoli e i martiri a dare la vita per il Vangelo.
    Bisogna sempre rimarcare questa caratteristica distintiva del martirio cristiano: esso è esclusivamente un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori. Perciò noi oggi, nella Santa Messa, preghiamo il Signore che ci insegni "ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di [Stefano] che morendo pregò per i suoi persecutori" (Orazione "colletta").
    Quanti figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli hanno seguito questo esempio!
    Dalla prima persecuzione a Gerusalemme a quelle degli imperatori romani, fino alle schiere dei martiri dei nostri tempi.
    Non di rado, infatti, anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa...
    Il martire cristiano, come Cristo e mediante l’unione con Lui, "accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un’azione d’amore.
    Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita" (Omelia a Marienfeld - Colonia, 21 agosto 2005).
    Il martire cristiano attualizza la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte. Preghiamo per quanti soffrono a motivo della fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Maria Santissima, Regina dei Martiri, ci aiuti ad essere testimoni credibili del Vangelo, rispondendo ai nemici con la forza disarmante della verità e della carità.
     
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      Il Natale dei due papi. Spiegato da Papa san Gregorio Magno

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    La visita prenatalizia di papa Francesco al suo predecessore Benedetto ha riproposto al mondo l’immagine dei due papi assieme.

    Come fatto storico è senza precedenti. Ma qual è il “mistero” che questo fatto nasconde e insieme rivela?

    “Factum audivimus, mysterium inquiramus”, diceva papa Gregorio Magno. E proprio in un passaggio delle sue Omelie su Ezechiele c’è forse il senso di questo evento assolutamente straordinario per la vita della Chiesa: la compresenza di due papi in comunione tra loro, sia l’uno che l’altro visibilmente consapevoli di questa misteriosa compresenza predisposta dalla mano di Dio.

    Il blog “Papa Gregorio Magno” – curato da un monaco dell’abbazia di Roma fondata nel VI secolo da quel grande padre della Chiesa – ha riproposto nell’imminenza del Natale il suo commento a Ezechiele 1, 8: “Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d’uomo”. E l’ha corredato con una glossa che applica proprio a Benedetto e Francesco i due paradigmi della vita contemplativa e della vita attiva.

    Dice Gregorio:

    “Che significa la mano se non la vita attiva? E che significano le ali se non la vita contemplativa? La mano dell’uomo è sotto le loro ali, come a dire che il valore dell’attività è legato al volo della contemplazione. Simboleggiano bene questo le due donne del Vangelo che sono Marta e Maria. Marta era tutta presa dai molti servizi; Maria invece, sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava le sue parole. Una attendeva all’azione, l’altra alla contemplazione. Una era impegnata nella vita attiva con un servizio esteriore, l’altra nella vita contemplativa con il cuore sospeso alla Parola. Ora, quantunque la vita attiva sia buona, tuttavia la vita contemplativa è migliore, perché la prima termina con questa vita mortale, la seconda, invece, raggiunge la sua pienezza nella vita immortale. Per cui è detto: Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta. Siccome la vita attiva è inferiore, per dignità, a quella contemplativa, giustamente qui si dice: Sotto le ali avevano mani d’uomo (Ez 1, 8). Infatti, quantunque per mezzo della vita attiva noi compiamo qualcosa di buono, tuttavia per mezzo della vita contemplativa voliamo con il desiderio verso il cielo”.

    E conclude:

    “La vita attiva, in ordine di tempo, è prima della vita contemplativa, perché operando bene, si tende alla contemplazione. La vita contemplativa è però maggiore, nel merito, alla vita attiva, perché gusta già, nel suo intimo sapore, il riposo futuro”.

    Ma poi riprende. E sorprende:

    “In Mosé la vita attiva viene chiamata servitù, mentre quella contemplativa libertà. E benché l’una e l’altra vita siano un dono della grazia, tuttavia, finché viviamo in mezzo al prossimo, una è necessaria e l’altra volontaria. Chi infatti conoscendo Dio può entrare nel suo regno se prima non ha operato il bene? Perciò, senza la vita contemplativa possono accedere alla patria celeste coloro che non trascurano le opere buone che possono compiere; i contemplativi invece non possono accedervi senza la vita attiva, cioè se trascurano le opere buone che possono compiere. La vita attiva, dunque, è necessaria, quella contemplativa è volontaria. Quella si vive in stato di servitù, questa in stato di libertà”.

    Commenta a questo punto il monaco di San Gregorio al Celio:

    “Dunque la vita contemplativa è ‘maior’, ma non dà accesso alla patria celeste se prima non viene preceduta dalla vita attiva che, pur essendo ‘minor’, ha le chiavi atte ad aprire il regno dei cieli. Per poter accedere alla ‘libertas’ bisogna passare dalla ’servitus’. Geniale papa Gregorio! Siamo negli anni dei due papi: uno attivo e l’altro contemplativo”.

    Quando la sera del 21 novembre papa Francesco si recò sull’Aventino nel monastero di Sant’Antonio delle camaldolesi, ramo femminile del monastero “gregoriano” del Celio, e visitò la cella dove aveva vissuto come reclusa una monaca proveniente dagli Stati Uniti, Nazarena, il monaco che cura il blog “Papa Gregorio Magno” ne ricavò questa ulteriore riflessione:

    “Sia papa Francesco sia la reclusa Nazarena vengono dalle Americhe: l’una dal Nord e l’altro dal Sud, ma con ruoli rovesciati. Infatti la statunitense sottolinea, con la reclusione, la contemplazione e l’argentino sottolinea, con le sue scelte pastorali, l’azione. Ma poi, al di sopra di loro due, veglia il grande Anziano della Chiesa Benedetto XVI, come segno posto sul monte dell’attesa del regno, che si costruisce, ma non si conclude, qui su questa terra. Che meraviglia di Dio!”.

    E pensando al passo compiuto da Benedetto XVI si può ancora far tesoro di queste parole di Gregorio Magno, nella stessa omelia su Ezechiele:

    “Ognuno di noi perseveri nella forma di vita intrapresa e vi permanga fino al compimento dell’opera… Ma passa correttamente alla vita contemplativa colui che, durante la vita attiva, non ha mutato in senso deteriore il suo proposito”.

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    [Modificato da Caterina63 26/12/2013 16:05]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 03/01/2014 15:34


    CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI
    DELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
    TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica Vaticana
    Martedì, 31 dicembre 2013




     

    L’apostolo Giovanni definisce il tempo presente in modo preciso: «È giunta l’ultima ora» (1 Gv 2,18). Questa affermazione – che ricorre nella Messa del 31 dicembre – sta a significare che con la venuta di Dio nella storia siamo già nei tempi “ultimi”, dopo i quali il passaggio finale sarà la seconda e definitiva venuta di Cristo. Naturalmente qui si parla della qualità del tempo, non della quantità. Con Gesù è venuta la “pienezza” del tempo, pienezza di significato e pienezza di salvezza. E non ci sarà più una nuova rivelazione, ma la manifestazione piena di ciò che Gesù ha già rivelato. In questo senso siamo nell’“ultima ora”; ogni momento della nostra vita non è provvisorio, è definitivo, e ogni nostra azione è carica di eternità; infatti, la risposta che diamo oggi a Dio che ci ama in Gesù Cristo, incide sul nostro futuro.

    La visione biblica e cristiana del tempo e della storia non è ciclica, ma lineare: è un cammino che va verso un compimento. Un anno che è passato, quindi, non ci porta ad una realtà che finisce ma ad una realtà che si compie, è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi: una meta di speranza una meta di felicità, perché incontreremo Dio, ragione della nostra speranza e fonte della nostra letizia.

    Mentre giunge al termine l’anno 2013, raccogliamo, come in una cesta, i giorni, le settimane, i mesi che abbiamo vissuto, per offrire tutto al Signore. E domandiamoci coraggiosamente: come abbiamo vissuto il tempo che Lui ci ha donato? Lo abbiamo usato soprattutto per noi stessi, per i nostri interessi, o abbiamo saputo spenderlo anche per gli altri? Quanto tempo abbiamo riservato per stare con Dio, nella preghiera, nel silenzio, nella adorazione?

    E poi pensiamo, noi cittadini romani, pensiamo a questa città di Roma. Che cosa è successo quest’anno? Che cosa sta succedendo, e che cosa succederà? Com’è la qualità della vita in questa Città? Dipende da tutti noi! Com’è la qualità della nostra “cittadinanza”? Quest’anno abbiamo contribuito, nel nostro “piccolo”, a renderla vivibile, ordinata, accogliente? In effetti, il volto di una città è come un mosaico le cui tessere sono tutti coloro che vi abitano. Certo, chi è investito di autorità ha maggiore responsabilità, ma ciascuno di noi è corresponsabile, nel bene e nel male.

    Roma è una città di una bellezza unica. Il suo patrimonio spirituale e culturale è straordinario. Eppure, anche a Roma ci sono tante persone segnate da miserie materiali e morali, persone povere, infelici, sofferenti, che interpellano la coscienza di ogni cittadino. A Roma forse sentiamo più forte questo contrasto tra l’ambiente maestoso e carico di bellezza artistica, e il disagio sociale di chi fa più fatica.

    Roma è una città piena di turisti, ma anche piena di rifugiati. Roma è piena di gente che lavora, ma anche di persone che non trovano lavoro o svolgono lavori sottopagati e a volte indegni; e tutti hanno il diritto ad essere trattati con lo stesso atteggiamento di accoglienza e di equità, perché ognuno è portatore di dignità umana.

    È l’ultimo giorno dell’anno. Che cosa faremo, come agiremo nel prossimo anno, per rendere un poco migliore la nostra Città? La Roma dell’anno nuovo avrà un volto ancora più bello se sarà ancora più ricca di umanità, ospitale, accogliente; se tutti noi saremo attenti e generosi verso chi è in difficoltà; se sapremo collaborare con spirito costruttivo e solidale, per il bene di tutti. La Roma dell’anno nuovo sarà migliore se non ci saranno persone che la guardano “da lontano”, in cartolina, che guardano la sua vita solo “dal balcone”, senza coinvolgersi in tanti problemi umani, problemi di uomini e donne che, alla fine… e dal principio, lo vogliamo o no, sono nostri fratelli. In questa prospettiva, la Chiesa di Roma si sente impegnata a dare il proprio contributo alla vita e al futuro della Città - è il suo dovere! -, si sente impegnata ad animarla con il lievito del Vangelo, ad essere segno e strumento della misericordia di Dio.

    Questa sera concludiamo l’Anno del Signore 2013 ringraziando e anche chiedendo perdono. Le due cose insieme: ringraziare e chiedere perdono. Ringraziamo per tutti i benefici che Dio ci ha elargito, e soprattutto per la sua pazienza e la sua fedeltà, che si manifestano nel succedersi dei tempi, ma in modo singolare nella pienezza del tempo, quando «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). La Madre di Dio, nel cui nome domani inizieremo un nuovo tratto del nostro pellegrinaggio terreno, ci insegni ad accogliere il Dio fatto uomo, perché ogni anno, ogni mese, ogni giorno sia colmo del suo eterno Amore. Così sia!




    SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
    XLVII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica Vaticana
    Mercoledì, 1° gennaio 2014



     

    La prima Lettura ci ha riproposto l’antica preghiera di benedizione che Dio aveva suggerito a Mosè perché la insegnasse ad Aronne e ai suoi figli: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). È quanto mai significativo riascoltare queste parole di benedizione all’inizio di un nuovo anno: accompagneranno il nostro cammino per il tempo che si apre davanti a noi. Sono parole di forza, di coraggio, di speranza. Non una speranza illusoria, basata su fragili promesse umane; neppure una speranza ingenua che immagina migliore il futuro semplicemente perché è futuro. Questa speranza ha la sua ragione proprio nella benedizione di Dio, una benedizione che contiene l’augurio più grande, l’augurio della Chiesa ad ognuno di noi, pieno di tutta la protezione amorevole del Signore, del suo provvidente aiuto.

    L’augurio contenuto in questa benedizione si è realizzato pienamente in una donna, Maria, in quanto destinata a diventare la Madre di Dio, e si è realizzato in lei prima che in ogni creatura.

    Madre di Dio. Questo è il titolo principale ed essenziale della Madonna. Si tratta di una qualità, di un ruolo che la fede del popolo cristiano, nella sua tenera e genuina devozione per la mamma celeste, ha percepito da sempre.

    Ricordiamo quel grande momento della storia della Chiesa antica che è stato il Concilio di Efeso, nel quale fu autorevolmente definita la divina maternità della Vergine. La verità sulla divina maternità di Maria trovò eco a Roma dove, poco dopo, fu costruita la Basilica di Santa Maria Maggiore, primo santuario mariano di Roma e dell’intero Occidente, nel quale si venera l’immagine della Madre di Dio - la Theotokos - con il titolo di Salus populi romani. Si racconta che gli abitanti di Efeso, durante il Concilio, si radunassero ai lati della porta della basilica dove si riunivano i Vescovi e gridassero: «Madre di Dio!». I fedeli, chiedendo di definire ufficialmente questo titolo della Madonna, dimostravano di riconoscerne la divina maternità. È l’atteggiamento spontaneo e sincero dei figli, che conoscono bene la loro Madre, perché la amano con immensa tenerezza. Ma è di più: è il sensus fidei del santo popolo fedele di Dio, che mai, nella sua unità, mai sbaglia.

    Maria è da sempre presente nel cuore, nella devozione e soprattutto nel cammino di fede del popolo cristiano. «La Chiesa cammina nel tempo … e in questo cammino procede ricalcando l’itinerario compiuto dalla Vergine Maria» (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris Mater, 2). Il nostro itinerario di fede è uguale a quello di Maria, per questo la sentiamo particolarmente vicina a noi! Per quanto riguarda la fede, che è il cardine della vita cristiana, la Madre di Dio ha condiviso la nostra condizione, ha dovuto camminare sulle stesse strade frequentate da noi, a volte difficili e oscure, ha dovuto avanzare nel «pellegrinaggio della fede» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 58).

    Il nostro cammino di fede è legato in modo indissolubile a Maria da quando Gesù, morente sulla croce, ce l’ha donata come Madre dicendo: «Ecco tua madre!» (Gv 19,27). Queste parole hanno il valore di un testamento e danno al mondo una Madre. Da quel momento la Madre di Dio è diventata anche Madre nostra! Nell’ora in cui la fede dei discepoli veniva incrinata da tante difficoltà e incertezze, Gesù li affidava a Colei che era stata la prima a credere, e la cui fede non sarebbe mai venuta meno. E la “donna” diventa Madre nostra nel momento in cui perde il Figlio divino. Il suo cuore ferito si dilata per fare posto a tutti gli uomini, buoni e cattivi, tutti, e li ama come li amava Gesù. La donna che alle nozze di Cana di Galilea aveva dato la sua cooperazione di fede per la manifestazione delle meraviglie di Dio nel mondo, al calvario tiene accesa la fiamma della fede nella risurrezione del Figlio, e la comunica con affetto materno agli altri. Maria diventa così sorgente di speranza e di gioia vera!

    La Madre del Redentore ci precede e continuamente ci conferma nella fede, nella vocazione e nella missione. Con il suo esempio di umiltà e di disponibilità alla volontà di Dio ci aiuta a tradurre la nostra fede in un annuncio del Vangelo gioioso e senza frontiere. Così la nostra missione sarà feconda, perché è modellata sulla maternità di Maria. A Lei affidiamo il nostro itinerario di fede, i desideri del nostro cuore, le nostre necessità, i bisogni del mondo intero, specialmente la fame e la sete di giustizia e di pace e di Dio; e la invochiamo tutti insieme, e vi invito ad invocarla per tre volte, imitando quei fratelli di Efeso, dicendole “Madre di Dio”: Madre di Dio! Madre di Dio! Madre di Dio! Amen.







     

     

    [Modificato da Caterina63 03/01/2014 16:04]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 04/01/2014 11:14

    FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA DI NAZARETH

    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS 

    Piazza San Pietro
    Domenica, 29 dicembre 2013

    Video

     

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In questa prima domenica dopo Natale, la Liturgia ci invita a celebrare la festa della Santa Famiglia di Nazareth. In effetti, ogni presepio ci mostra Gesù insieme con la Madonna e san Giuseppe, nella grotta di Betlemme. Dio ha voluto nascere in una famiglia umana, ha voluto avere una madre e un padre, come noi.

    E oggi il Vangelo ci presenta la santa Famiglia sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto. Giuseppe, Maria e Gesù sperimentano la condizione drammatica dei profughi, segnata da paura, incertezza, disagi (cfr Mt 2,13-15.19-23). Purtroppo, ai nostri giorni, milioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà. Quasi ogni giorno la televisione e i giornali danno notizie di profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie.

    In terre lontane, anche quando trovano lavoro, non sempre i profughi e gli immigrati incontrano accoglienza vera, rispetto, apprezzamento dei valori di cui sono portatori. Le loro legittime aspettative si scontrano con situazioni complesse e difficoltà che sembrano a volte insuperabili. Perciò, mentre fissiamo lo sguardo sulla santa Famiglia di Nazareth nel momento in cui è costretta a farsi profuga, pensiamo al dramma di quei migranti e rifugiati che sono vittime del rifiuto e dello sfruttamento, che sono vittime della tratta delle persone e del lavoro schiavo. Ma pensiamo anche agli altri “esiliati”: io li chiamerei “esiliati nascosti”, quegli esiliati che possono esserci all’interno delle famiglie stesse: gli anziani, per esempio, che a volte vengono trattati come presenze ingombranti. Molte volte penso che un segno per sapere come va una famiglia è vedere come si trattano in essa i bambini e gli anziani.

    Gesù ha voluto appartenere ad una famiglia che ha sperimentato queste difficoltà, perché nessuno si senta escluso dalla vicinanza amorosa di Dio. La fuga in Egitto a causa delle minacce di Erode ci mostra che Dio è là dove l’uomo è in pericolo, là dove l’uomo soffre, là dove scappa, dove sperimenta il rifiuto e l’abbandono; ma Dio è anche là dove l’uomo sogna, spera di tornare in patria nella libertà, progetta e sceglie per la vita e la dignità sua e dei suoi familiari.

    Quest’oggi il nostro sguardo sulla santa Famiglia si lascia attirare anche dalla semplicità della vita che essa conduce a Nazareth. E’ un esempio che fa tanto bene alle nostre famiglie, le aiuta a diventare sempre più comunità di amore e di riconciliazione, in cui si sperimenta la tenerezza, l’aiuto vicendevole, il perdono reciproco. Ricordiamo le tre parole-chiave per vivere in pace e gioia in famiglia: permesso, grazie, scusa. Quando in una famiglia non si è invadenti e si chiede “permesso”, quando in una famiglia non si è egoisti e si impara a dire “grazie”, e quando in una famiglia uno si accorge che ha fatto una cosa brutta e sa chiedere “scusa”, in quella famiglia c’è pace e c’è gioia. Ricordiamo queste tre parole. Ma possiamo ripeterle tutti insieme: permesso, grazie, scusa.

    (Tutti: permesso, grazie, scusa!

    Vorrei anche incoraggiare le famiglie a prendere coscienza dell’importanza che hanno nella Chiesa e nella società. L’annuncio del Vangelo, infatti, passa anzitutto attraverso le famiglie, per poi raggiungere i diversi ambiti della vita quotidiana.

    Invochiamo con fervore Maria Santissima, la Madre di Gesù e Madre nostra, e san Giuseppe, suo sposo. Chiediamo a loro di illuminare, di confortare, di guidare ogni famiglia del mondo, perché possa compiere con dignità e serenità la missione che Dio le ha affidato.


    Dopo l'Angelus:

    Cari fratelli e sorelle,

    il prossimo Concistoro e il prossimo Sinodo dei Vescovi affronteranno il tema della famiglia, e la fase preparatoria è già iniziata da tempo. Per questo oggi, festa della Santa Famiglia, desidero affidare a Gesù, Maria e Giuseppe questo lavoro sinodale, pregando per le famiglie di tutto il mondo. Vi invito ad unirvi spiritualmente a me nella preghiera che ora recito:

    Preghiera alla Santa Famiglia


    Gesù, Maria e Giuseppe,
    in voi contempliamo
    lo splendore dell’amore vero,
    a voi con fiducia ci rivolgiamo.

    Santa Famiglia di Nazareth,
    rendi anche le nostre famiglie
    luoghi di comunione e cenacoli di preghiera,
    autentiche scuole del Vangelo
    e piccole Chiese domestiche.

    Santa Famiglia di Nazareth,
    mai più nelle famiglie si faccia esperienza
    di violenza, chiusura e divisione:
    chiunque è stato ferito o scandalizzato
    conosca presto consolazione e guarigione.

    Santa Famiglia di Nazareth,
    il prossimo Sinodo dei Vescovi
    possa ridestare in tutti la consapevolezza
    del carattere sacro e inviolabile della famiglia,
    la sua bellezza nel progetto di Dio.

    Gesù, Maria e Giuseppe,
    ascoltate, esaudite la nostra supplica. Amen.


       




    SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
    XLVII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 1° gennaio 2014

    Video

     

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buon anno!

    All’inizio del nuovo anno rivolgo a tutti voi gli auguri di pace e di ogni bene. Il mio augurio è quello della Chiesa, è quello cristiano! Non è legato al senso un po’ magico e un po’ fatalistico di un nuovo ciclo che inizia. Noi sappiamo che la storia ha un centro: Gesù Cristo, incarnato, morto e risorto, che è vivo tra noi; ha un fine: il Regno di Dio, Regno di pace, di giustizia, di libertà nell’amore; e ha una forza che la muove verso quel fine: la forza è lo Spirito Santo. Tutti noi abbiamo lo Spirito Santo che abbiamo ricevuto nel Battesimo, e Lui ci spinge ad andare avanti nella strada della vita cristiana, nella strada della storia, verso il Regno di Dio.

    Questo Spirito è la potenza d’amore che ha fecondato il grembo della Vergine Maria; ed è lo stesso che anima i progetti e le opere di tutti i costruttori di pace. Dove è un uomo o una donna costruttore di pace, è proprio lo Spirito Santo che li aiuta, li spinge a fare la pace. Due strade si incrociano oggi: festa di Maria Santissima Madre di Dio e Giornata Mondiale della Pace. Otto giorni fa è risuonato l’annuncio angelico: “Gloria a Dio e pace agli uomini”; oggi lo accogliamo nuovamente dalla Madre di Gesù, che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc2,19), per farne il nostro impegno nel corso dell’anno che si apre.

    Il tema di questa Giornata Mondiale della Pace è «Fraternità, fondamento e via per la pace». Fraternità: sulla scia dei miei Predecessori, a partire da Paolo VI, ho sviluppato il tema in un Messaggio, già diffuso e che oggi idealmente consegno a tutti. Alla base c’è la convinzione che siamo tutti figli dell’unico Padre celeste, facciamo parte della stessa famiglia umana e condividiamo un comune destino. Da qui deriva per ciascuno la responsabilità di operare affinché il mondo diventi una comunità di fratelli che si rispettano, si accettano nelle loro diversità e si prendono cura gli uni degli altri. Siamo anche chiamati a renderci conto delle violenze e delle ingiustizie presenti in tante parti del mondo e che non possono lasciarci indifferenti e immobili: c’è bisogno dell’impegno di tutti per costruire una società veramente più giusta e solidale. Ieri ho ricevuto una lettera di un signore, forse uno di voi, che mettendomi a conoscenza di una tragedia familiare, successivamente elencava tante tragedie e guerre oggi, nel mondo, e mi domandava: cosa succede nel cuore dell’uomo, che è portato a fare tutto questo? E diceva, alla fine: “E’ ora di fermarsi”. Anche io credo che ci farà bene fermarci in questa strada di violenza, e cercare la pace. Fratelli e sorelle, faccio mie le parole di quest’uomo: cosa succede nel cuore dell’uomo? Cosa succede nel cuore dell’umanità? E’ ora di fermarsi!

    Da ogni angolo della terra, oggi i credenti elevano la preghiera per chiedere al Signore il dono della pace e la capacità di portarla in ogni ambiente. In questo primo giorno dell’anno, il Signore ci aiuti ad incamminarci tutti con più decisione sulle vie della giustizia e della pace. E incominciamo a casa! Giustizia e pace a casa, tra noi. Si incomincia a casa e poi si va avanti, a tutta l’umanità. Ma dobbiamo incominciare a casa. Lo Spirito Santo agisca nei cuori, sciolga le chiusure e le durezze e ci conceda di intenerirci davanti alla debolezza del Bambino Gesù. La pace, infatti, richiede la forza della mitezza, la forza nonviolenta della verità e dell’amore.

    Nelle mani di Maria, Madre del Redentore, poniamo con fiducia filiale le nostre speranze. A lei, che estende la sua maternità a tutti gli uomini, affidiamo il grido di pace delle popolazioni oppresse dalla guerra e dalla violenza, perché il coraggio del dialogo e della riconciliazione prevalga sulle tentazioni di vendetta, di prepotenza, di corruzione. A lei chiediamo che il Vangelo della fraternità, annunciato e testimoniato dalla Chiesa, possa parlare ad ogni coscienza e abbattere i muri che impediscono ai nemici di riconoscersi fratelli.













     









    Nel nome di Gesù, "Dio Salva"
    Il nome nella Bibbia e nel trigramma inventato da San Bernardino da Siena

    Roma, 04 Gennaio 2014 (Zenit.org) Laura Guadalupi

    Gesù significa in ebraico “Dio salva” e, come si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica, esprime al tempo stesso la sua identità e missione: “Poiché Dio solo può rimettere i peccati, è Lui che, in Gesù, il suo Figlio eterno fatto uomo, ‘salverà il suo popolo dai suoi peccati’ (Mt 1, 21). Così, in Gesù, Dio ricapitola tutta la sua storia di salvezza a vantaggio degli uomini” (art.2, I. 430). Inoltre, prosegue il Catechismo,questo nome è al centro della preghiera cristiana e anche la preghiera del cuore, tanto diffusa tra gli orientali, è detta “Preghiera di Gesù”.

    Scrive San Paolo, nella Lettera ai Filippesi (2, 8 – 11), che il Messia “si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla morte in croce. Per questo Dio lo ha sopraesaltato ed insignito di quel nome che è superiore a ogni nome, affinché, nel nome di Gesù, si pieghi ogni ginocchio, degli esseri celesti, dei terrestri e dei sotterranei e ogni lingua proclami, che Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre”. Ancora, nel Vangelo di Giovanni, Cristo dice agli apostoli: “Se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io lo farò” (Gv, 14, 14).

    Sono numerosi, insomma, i riferimenti biblici al Santissimo Nome di Gesù, che fu onorato nella Chiesa sin dai primi tempi, benché il culto liturgico sia iniziato solo nel XIV secolo per impulso del santo francescano Bernardino da Siena, che nei suoi “Discorsi” (Serm. 49 de nom. Iesu:; Opera omnia 4, 505-506) lo definisce “splendore degli evangelizzanti”, ossia dei predicatori. Il francescano tanto si prodigò che ne diffuse la devozione. Il 3 gennaio ricorre la memoria facoltativa del Santissimo Nome, ripristinata nel Calendario Romano dal Beato Giovanni Paolo II

    (dopo che fu addirittura rimosso con la recente Riforma liturgica del Concilio. In effetti, da quando Papa Innocenzo XIII estese la Festa del "Santissimo Nome di Gesù" a tutta la Chiesa nel 1721, tale è rimasta nel rito detto oggi Straordinario ripristinato da Benedetto XVI nel 2007 con il Summorum Pontificum, e si celebra fra il 2 e il 5 gennaio, oppure il 2 gennaio, quando non ricorre la domenica. Nota mia)



    Ma torniamo a San Bernardino e ai confratelli che ne continuarono la predicazione, animati dal medesimo zelo apostolico. A Bernardino è legato il trigramma del nome di Gesù. Fu lui a inventarlo e a disegnarlo, tanto che è considerato il patrono dei pubblicitari. Ben presto divenne un emblema esibito sulle facciate di edifici pubblici e privati, finanche sul Palazzo Pubblico di Siena e sugli stendardi che precedevano il suo arrivo in qualche nuova città. Il trigramma ebbe un gran successo anche nel resto d’Europa, tanto che S. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e, più tardi, venne adottato pure dai Gesuiti come emblema della Compagnia. Divennero sostenitori del culto e al Santissimo Nome dedicarono alcune delle chiese più belle in tutto il mondo come, ad esempio, la Chiesa del Gesù a Roma.

    Ma vediamo più nel dettaglio il simbolo. È un sole raggiante su sfondo azzurro, con sopra le lettere IHS, ovvero le prime tre lettere del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs). C’è da dire che sono state date anche altre spiegazioni alle lettere IHS, come l’abbreviazione del motto costantiniano “In Hoc Signo (vinces)”, oppure di “Iesus Hominum Salvator”. Gli altri elementi sono anch’essi significativi: con il sole centrale Bernardino volle alludere a Cristo, che al pari del sole, dà la vita, mentre suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.

    Il sole emana calore attraverso i raggi: dodici sono serpeggianti, otto diretti, chiaro riferimento ai dodici Apostoli e alle otto Beatitudini. Una fascia circonda il sole: è la felicità senza fine dei beati. Anche i colori sono portatori di una ricca simbologia. Il celeste dello sfondo rappresenta la fede, l’oro sta per l’amore. L’asta sinistra dell’H venne allungata e tagliata in alto, così da formare una croce, croce che a volte è poggiata sulla linea mediana dell’H. Vennero poi riprese le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi a cui prima abbiamo fatto cenno: tutto il simbolo è circondato dalla frase “nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.

      




    [Modificato da Caterina63 05/01/2014 08:29]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 06/01/2014 15:22

    PAPA FRANCESCO


    ANGELUS


    Piazza San Pietro
    Domenica, 5 gennaio 2014

    Video

     

    Cari fratelli e sorelle buongiorno!

    La liturgia di questa domenica ci ripropone, nel Prologo del Vangelo di san Giovanni, il significato più profondo del Natale di Gesù. Egli è la Parola di Dio che si è fatta uomo e ha posto la sua “tenda”, la sua dimora tra gli uomini. Scrive l’Evangelista: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). In queste parole, che non finiscono mai di meravigliarci, c’è tutto il Cristianesimo! Dio si è fatto mortale, fragile come noi, ha condiviso la nostra condizione umana, eccetto il peccato, ma ha preso su di sé i nostri, come se fossero propri. E’ entrato nella nostra storia, è diventato pienamente Dio-con-noi! La nascita di Gesù, allora, ci mostra che Dio ha voluto unirsi ad ogni uomo e ogni donna, ad ognuno di noi, per comunicarci la sua vita e la sua gioia.

    Così Dio è Dio con noi, Dio che ci ama, Dio che cammina con noi. Questo è il messaggio di Natale: il Verbo si è fatto carne. Così il Natale ci rivela l’amore immenso di Dio per l’umanità. Da qui deriva anche l’entusiasmo, la speranza di noi cristiani, che nella nostra povertà sappiamo di essere amati, di essere visitati, di essere accompagnati da Dio; e guardiamo al mondo e alla storia come il luogo in cui camminare insieme con Lui e tra di noi, verso i cieli nuovi e la terra nuova. Con la nascita di Gesù è nata una promessa nuova, è nato un mondo nuovo, ma anche un mondo che può essere sempre rinnovato. Dio è sempre presente a suscitare uomini nuovi, a purificare il mondo dal peccato che lo invecchia, dal peccato che lo corrompe. Per quanto la storia umana e quella personale di ciascuno di noi possa essere segnata dalle difficoltà e dalle debolezze, la fede nell’Incarnazione ci dice che Dio è solidale con l’uomo e con la sua storia. Questa prossimità di Dio all’uomo, ad ogni uomo, ad ognuno di noi, è un dono che non tramonta mai! Lui è con noi! Lui è Dio con noi! E questa prossimità non tramonta mai. Ecco il lieto annuncio del Natale: la luce divina, che inondò i cuori della Vergine Maria e di san Giuseppe, e guidò i passi dei pastori e dei magi, brilla anche oggi per noi.

    Nel mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio c’è anche un aspetto legato alla libertà umana, alla libertà di ciascuno di noi. Infatti, il Verbo di Dio pianta la sua tenda tra noi, peccatori e bisognosi di misericordia. E tutti noi dovremmo affrettarci a ricevere la grazia che Egli ci offre. Invece, continua il Vangelo di san Giovanni, «i suoi non lo hanno accolto» (v. 11). Anche noi tante volte lo rifiutiamo, preferiamo rimanere nella chiusura dei nostri errori e nell’angoscia dei nostri peccati. Ma Gesù non desiste e non smette di offrire se stesso e la sua grazia che ci salva! Gesù è paziente, Gesù sa aspettare, ci aspetta sempre. Questo è un messaggio di speranza, un messaggio di salvezza, antico e sempre nuovo. E noi siamo chiamati a testimoniare con gioia questo messaggio del Vangelo della vita, del Vangelo della luce, della speranza e dell’amore. Perché il messaggio di Gesù è questo: vita, luce, speranza, amore.

    Maria, Madre di Dio e nostra tenera Madre, ci sostenga sempre, perché rimaniamo fedeli alla vocazione cristiana e possiamo realizzare i desideri di giustizia e di pace che portiamo in noi all’inizio di questo nuovo anno.


    Dopo l'Angelus:

    Fratelli e sorelle,

    nel clima di gioia, tipico di questo tempo natalizio, desidero annunciare che dal 24 al 26 maggio prossimo, a Dio piacendo, compirò un pellegrinaggio in Terra Santa. Scopo principale è commemorare lo storico incontro tra il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, che avvenne esattamente il 5 gennaio, come oggi, di 50 anni fa.

    Le tappe saranno tre: Amman, Betlemme e Gerusalemme. Tre giorni. Presso il Santo Sepolcro celebreremo un Incontro Ecumenico con tutti i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme, insieme al Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli. Fin da ora vi domando di pregare per questo pellegrinaggio, che sarà un pellegrinaggio di preghiera.

    Nelle scorse settimane mi sono arrivati da ogni parte del mondo tanti messaggi di auguri per il Santo Natale e per l’Anno Nuovo. Mi piacerebbe, ma purtroppo è impossibile rispondere a tutti! Perciò desidero ringraziare di cuore i bambini, per i loro bei disegni. Sono belli davvero! I bambini fanno bei disegni! Belli, belli, belli! Ringrazio i bambini, per primi. Ringrazio i giovani, gli anziani, le famiglie, le comunità parrocchiali e religiose, le associazioni, i movimenti e i diversi gruppi che hanno voluto manifestarmi affetto e vicinanza. Chiedo a tutti di continuare a pregare per me, ne ho bisogno, e pregare per questo servizio alla Chiesa.

    E ora saluto con affetto voi, cari pellegrini presenti oggi, in particolare l’Associazione Italiana Maestri Cattolici: vi incoraggio nel vostro lavoro educativo, è molto importante! Saluto i fedeli di Arco di Trento e Bellona, i giovani di Induno Olona e i gruppi di Crema e di Mantova che operano con persone disabili. Saluto anche il folto gruppo di marinai brasiliani.

    A tutti voi auguro buona domenica 





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    Messa dell’Epifania. Il Papa: i Magi insegnano a custodire la fede dal male con “santa furbizia”



    “Cerchiamo la luce” di Dio con “le nostre piccole luci” e non accontentiamoci di una vita mediocre. È l’esortazione centrale dell’omelia della Messa con la quale Papa Francesco ha celebrato questa mattina, nella Basilica Vaticana, la solennità dell’Epifania. Il Papa ha invitato i credenti alla “furbizia” dello spirito, la stessa che permise ai Magi di trovare e adorare Gesù, evitando le insidie di Erode. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

    L’Epifania è una luce inseguita con perseveranza fino alla scoperta di una luce più grande e dirompente, che cambia per sempre la vita. Ma dietro l’Epifania può nascondersi il buio, quello più abietto, che magari “si traveste di luce”, ma che in realtà trama senza scrupoli pur di difendere i propri privilegi. L’Epifania è una stella ed è anche Erode, una strada e il suo ostacolo, come sempre accade nella ricerca della fede. Su questi simboli Papa Francesco impernia la sua prima omelia da Pontefice nella solennità del 6 gennaio. La prima attenzione è per i protagonisti, i Magi. La stella apparsa in cielo, afferma, “li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo”:

    “I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore. In questo percorso dei Magi d’Oriente è simboleggiato il destino di ogni uomo: la nostra vita è un camminare, illuminati dalle luci che rischiarano la strada, per trovare la pienezza della verità e dell’amore, che noi cristiani riconosciamo in Gesù, Luce del mondo”.

    Anche i cristiani di oggi, nota il Papa, hanno la loro stella. È il Vangelo, da leggere e meditare, per “fare esperienza” di Gesù e del suo amore. Ma su questa strada di ricerca può capitare di perdere “per un po’ la vista della stella”, come avvenne per i Magi quando incrociarono l’ombra di un Erode “sospettoso e preoccupato” per la nascita di un piccolo, fragile, e tuttavia per lui pericoloso “rivale”:

    “In realtà Gesù non è venuto ad abbattere lui, misero fantoccio, ma il Principe di questo mondo! Tuttavia il re e i suoi consiglieri sentono scricchiolare le impalcature del loro potere, temono che vengano capovolte le regole del gioco, smascherate le apparenze. Tutto un mondo edificato sul dominio, sul successo e sull’avere, sulla corruzione è messo in crisi da un Bambino! Ed Erode arriva fino a uccidere i bambini. Un Padre della Chiesa diceva: ‘Tu uccidi i bambini nella carne perché la paura ti uccide nel cuore’. E’ così: aveva paura e per questa paura è impazzito”.

    Se il “buio della mondanità” oscura per un po’ la vista della stella, lontano da quella negativa influenza i Magi ritrovano luce e via fino a Betlemme. Ma è su ciò che i saggi venuti da Oriente compiono al momento di tornare a casa che Papa Francesco attira l’attenzione. Sulla loro “santa furbizia” che li porta a non cadere nella trappola tesa da Erode:

    “Loro, con questa ‘santa furbizia’ hanno custodito la fede. E anche noi dobbiamo custodire la fede. Custodirla da quel buio. Ma, anche, tante volte, un buio travestito di luce, eh? Perché il demonio, dice San Paolo, si veste da angelo di luce, alcune volte. E qui è necessaria la ‘santa furbizia’, per custodire la fede, custodirla dai canti delle sirene, che ti dicono: ‘Ma, guarda, oggi dobbiamo fare questo, quello...’ Ma, la fede è una grazia, è un dono. A noi tocca custodirla con questa ‘santa furbizia’, con la preghiera, con l’amore, con la carità”.

    Non solo. Nel comportamento dei Magi, rileva Papa Francesco, si può cogliere un altro aspetto molto istruttivo:

    “Ci insegnano a non accontentarci di una vita mediocre, del ‘piccolo cabotaggio’, ma a lasciarci sempre affascinare da ciò che è buono, vero, bello… da Dio, che tutto questo lo è in modo sempre più grande! E ci insegnano a non lasciarci ingannare dalle apparenze, da ciò che per il mondo è grande, sapiente, potente. Non bisogna fermarsi lì. E’ necessario custodire la fede”. 

    Custodirla, ripete Papa Francesco, “oltre la mondanità” per “andare verso Betlemme, là dove, nella semplicità di una casa di periferia, tra una mamma e un papà pieni d’amore e di fede, risplende il Sole sorto dall’alto, il Re dell’universo”.




    Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/06/messa_dell%E2%80%99epifania._il_papa:_i_magi_insegnano_a_custodire_la_fede/it1-761528 
    del sito Radio Vaticana 




    SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica Vaticana
    Lunedì, 6 gennaio 2014

    Video

     

    «Lumen requirunt lumine». Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi ricercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore.

    In questo percorso dei Magi d’Oriente è simboleggiato il destino di ogni uomo: la nostra vita è un camminare, illuminati dalle luci che rischiarano la strada, per trovare la pienezza della verità e dell’amore, che noi cristiani riconosciamo in Gesù, Luce del mondo. E ogni uomo, come i Magi, ha a disposizione due grandi “libri” da cui trarre i segni per orientarsi nel pellegrinaggio: il libro della creazione e il libro delle Sacre Scritture. L’importante è essere attenti, vigilare, ascoltare Dio che ci parla, sempre ci parla. Come dice il Salmo, riferendosi alla Legge del Signore: «Lampada per i miei passi la tua parola, / luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Specialmente ascoltare il Vangelo, leggerlo, meditarlo e farlo nostro nutrimento spirituale ci consente di incontrare Gesù vivo, di fare esperienza di Lui e del suo amore.

    La prima Lettura fa risuonare, per bocca del profeta Isaia, l’appello di Dio a Gerusalemme: «Alzati, rivestiti di luce!» (60,1). Gerusalemme è chiamata ad essere la città della luce, che riflette sul mondo la luce di Dio e aiuta gli uomini a camminare nelle sue vie. Questa è la vocazione e la missione del Popolo di Dio nel mondo. Ma Gerusalemme può venire meno a questa chiamata del Signore. Ci dice il Vangelo che i Magi, quando giunsero a Gerusalemme, persero per un po’ la vista della stella. Non la vedevano più. In particolare, la sua luce è assente nel palazzo del re Erode: quella dimora è tenebrosa, vi regnano il buio, la diffidenza, la paura, l’invidia. Erode, infatti, si mostra sospettoso e preoccupato per la nascita di un fragile Bambino che egli sente come un rivale. In realtà Gesù non è venuto ad abbattere lui, misero fantoccio, ma il Principe di questo mondo! Tuttavia il re e i suoi consiglieri sentono scricchiolare le impalcature del loro potere, temono che vengano capovolte le regole del gioco, smascherate le apparenze. Tutto un mondo edificato sul dominio, sul successo sull’avere, sulla corruzione è messo in crisi da un Bambino! Ed Erode arriva fino a uccidere i bambini. «Tu uccidi i bambini nella carne perché la paura ti uccide nel cuore» - scrive san Quodvultdeus (Disc. 2 sul SimboloPL 40, 655). E’ così: aveva paura, e per questa paura è impazzito.

    I Magi seppero superare quel pericoloso momento di oscurità presso Erode, perché credettero alle Scritture, alla parola dei profeti che indicava in Betlemme il luogo della nascita del Messia. Così sfuggirono al torpore della notte del mondo, ripresero la strada verso Betlemme e là videro nuovamente la stella, e il Vangelo dice che provarono «una gioia grandissima» (Mt 2,10). Quella stella che non si vedeva nel buio della mondanità di quel palazzo.

    Un aspetto della luce che ci guida nel cammino della fede è anche la santa “furbizia”. E’ una anche virtù questa, la santa “furbizia”. Si tratta di quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli ed evitarli. I Magi seppero usare questa luce di “furbizia” quando, sulla via del ritorno, decisero di non passare dal palazzo tenebroso di Erode, ma di percorrere un’altra strada. Questi saggi venuti da Oriente ci insegnano come non cadere nelle insidie delle tenebre e come difenderci dall’oscurità che cerca di avvolgere la nostra vita. Loro, con questa santa “furbizia” hanno custodito la fede. E anche noi dobbiamo custodire la fede. Custodirla da quel buio. Ma, anche, tante volte, un buio travestito di luce! Perché il demonio, dice san Paolo, si veste da angelo di luce, alcune volte. E qui è necessaria la santa “furbizia”, per custodire la fede, custodirla dai canti delle Sirene, che ti dicono: “Guarda, oggi dobbiamo fare questo, quello...” Ma la fede è una grazia, è un dono. A noi tocca custodirla con questa santa “furbizia”, con la preghiera, con l’amore, con la carità. Occorre accogliere nel nostro cuore la luce di Dio e, nello stesso tempo, coltivare quella furbizia spirituale che sa coniugare semplicità ed astuzia, come chiede Gesù ai discepoli: «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16).

    Nella festa dell’Epifania, in cui ricordiamo la manifestazione di Gesù all’umanità nel volto di un Bambino, sentiamo accanto a noi i Magi, come saggi compagni di strada. Il loro esempio ci aiuta ad alzare lo sguardo verso la stella e a seguire i grandi desideri del nostro cuore. Ci insegnano a non accontentarci di una vita mediocre, del “piccolo cabotaggio”, ma a lasciarci sempre affascinare da ciò che è buono, vero, bello… da Dio, che tutto questo lo è in modo sempre più grande! E ci insegnano a non lasciarci ingannare dalle apparenze, da ciò che per il mondo è grande, sapiente, potente. Non bisogna fermarsi lì. E’ necessario custodire la fede. In questo tempo è tanto importante questo: custodire la fede. Bisogna andare oltre, oltre il buio, oltre il fascino delle Sirene, oltre la mondanità, oltre tante modernità che oggi ci sono, andare verso Betlemme, là dove, nella semplicità di una casa di periferia, tra una mamma e un papà pieni d’amore e di fede, risplende il Sole sorto dall’alto, il Re dell’universo. Sull’esempio dei Magi, con le nostre piccole luci, cerchiamo la Luce e custodiamo la fede. Così sia!




    Angelus. Il Papa: Dio chiama tutti, anche chi non lo cerca, a far parte del suo popolo



    All’Angelus in Piazza San Pietro, davanti a circa 70-80 mila persone, Papa Francesco è tornato sull’Epifania, definendola una solennità che mette in risalto l’apertura universale della salvezza, portata da Gesù e che mostra un duplice movimento di Dio verso il mondo e dell’umanità intera verso Dio. Al termine, i saluti ai fedeli delle Chiese Orientali, che domani celebreranno il Santo Natale, e il ricordo dell’odierna Giornata Missionaria dei Bambini. Il servizio di Cecilia Seppia:RealAudioMP3 

    Cristo che si manifesta alle genti e la salvezza da lui portata che si fa tangibile, prossima all’umanità intera. Questa è l’Epifania, insiste Papa Francesco, episodio del Vangelo - osserva - magnificamente descritto dal Papa emerito Benedetto XVI nel suo libro sull’Infanzia di Gesù e festa caratterizzata da un duplice movimento, sintesi della reciproca attrazione tra l’uomo e Dio:

    “In effetti, questa festa ci fa vedere un duplice movimento: da una parte il movimento di Dio verso il mondo, verso l’umanità - tutta la storia della salvezza, che culmina in Gesù -; e dall’altra parte il movimento degli uomini verso Dio - pensiamo alle religioni, alla ricerca della verità, al cammino dei popoli verso la pace, la pace interiore, la giustizia, la libertà -. E questo duplice movimento è mosso da una reciproca attrazione.

    L’attrazione del Padre verso di noi, spiega il Papa, è l’amore che lui ha per ciascuno dei suoi figli e attraverso il quale vuole liberarci dal male, dalle malattie, da ogni forma di morte. Anche da parte nostra, prosegue il Pontefice, c’è amore e desiderio per tutto ciò che è bene, verità, vita, bellezza. Un amore reciproco dunque, di cui Gesù è anello di congiunzione, ma – dice Francesco – è sempre Dio che ci invita, sempre lui che ci precede: 

    “Ma chi prende l’iniziativa? Sempre Dio, eh? L’amore di Dio viene sempre prima del nostro! Lui sempre prende l’iniziativa. Lui ci aspetta, Lui ci invita, ma l’iniziativa è sempre di Lui”.

    Da qui, l’invito – anche rivolto ai lontani – a mettersi in cammino seguendo la luce come hanno fatto i Magi:

    “La Chiesa sta tutta dentro questo movimento di Dio verso il mondo: la sua gioia è il Vangelo, è riflettere la luce di Cristo. La Chiesa è il popolo di coloro, che hanno sperimentato questa attrazione e la portano dentro, nel cuore nella vita. Mi piacerebbe – sinceramente, eh – mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa – dirlo rispettosamente – dire a quelli che sono timorosi e indifferenti: il Signore chiama anche te, chiama ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore! Il Signore ti chiama. Il Signore ti cerca. Il Signore ti aspetta. Il Signore non fa proselitismo, dà amore, e questo amore ti cerca, ti aspetta, a te, che in questo momento non credi o sei lontano. E questo è l’amore di Dio".

    La preghiera di Papa Francesco è quindi per la Chiesa tutta perché riscopra la gioia di evangelizzare e comunicare la carità di Dio a tutti i popoli. E l’invocazione a Maria perché ci aiuti ad essere tutti discepoli missionari, "piccole stelle che riflettono la sua luce". Al termine dell’Angelus i saluti e gli auguri a tutti i fedeli delle Chiese Orientali che domani celebreranno il Natale.

    “Rivolgo i miei cordiali auguri ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali che domani celebreranno il Santo Natale. La pace che Dio ha donato all’umanità con la nascita di Gesù, Verbo incarnato, rafforzi in tutti la fede, la speranza e la carità, e dia conforto alle comunità cristiane, alle Chiese che sono nella prova”.

    Infine il pensiero per l’odierna Giornata missionaria dei bambini proposta dalla Pontificia Opera della Santa Infanzia e il grazie a tutti quei ragazzi che collaborano alla missione della Chiesa e che si fanno protagonisti di gesti di solidarietà e fraternità verso i coetanei. 

    A tutti auguro una buona festa dell’Epifania




    Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/06/angelus._il_papa:_dio_chiama_tutti,_anche_chi_non_lo_cerca,_a_far/it1-761550 
    del sito Radio Vaticana 




    SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE

    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Lunedì, 6 gennaio 2014

    Video

     

    Cari fratelli e sorelle buongiorno!

    Oggi celebriamo l’Epifania, cioè la “manifestazione” del Signore. Questa solennità è legata al racconto biblico della venuta dei magi dall’Oriente a Betlemme per rendere omaggio al Re dei Giudei: un episodio che il Papa Benedetto ha commentato magnificamente nel suo libro sull’infanzia di Gesù. Quella fu appunto la prima “manifestazione” di Cristo alle genti. Perciò l’Epifania mette in risalto l’apertura universale della salvezza portata da Gesù. La Liturgia di questo giorno acclama: «Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra», perché Gesù è venuto per tutti noi, per tutti i popoli, per tutti!

    In effetti, questa festa ci fa vedere un duplice movimento: da una parte il movimento di Dio verso il mondo, verso l’umanità - tutta la storia della salvezza, che culmina in Gesù -; e dall’altra parte il movimento degli uomini verso Dio - pensiamo alle religioni, alla ricerca della verità, al cammino dei popoli verso la pace, la pace interiore, la giustizia, la libertà -. E questo duplice movimento è mosso da una reciproca attrazione.
    Da parte di Dio, che cosa lo attrae? E’ l’amore per noi: siamo suoi figli, ci ama, e vuole liberarci dal male, dalle malattie, dalla morte, e portarci nella sua casa, nel suo Regno. «Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 112). E anche da parte nostra c’è un amore, un desiderio: il bene sempre ci attrae, la verità ci attrae, la vita, la felicità, la bellezza ci attrae… Gesù è il punto d’incontro di questa attrazione reciproca, di questo duplice movimento. E’ Dio e uomo: Gesù. Dio e uomo. Ma chi prende l’iniziativa? Sempre Dio! L’amore di Dio viene sempre prima del nostro! Lui sempre prende l’iniziativa. Lui ci aspetta, Lui ci invita, l’iniziativa è sempre sua. Gesù è Dio che si è fatto uomo, si è incarnato, è nato per noi. La nuova stella che apparve ai magi era il segno della nascita di Cristo. Se non avessero visto la stella, quegli uomini non sarebbero partiti. La luce ci precede, la verità ci precede, la bellezza ci precede. Dio ci precede. Il profeta Isaia diceva che Dio è come il fiore del mandorlo. Perché? Perché in quella terra il mandorlo è il primo che fiorisce. E Dio sempre precede, sempre per primo ci cerca, Lui fa il primo passo. Dio ci precede sempre. La sua grazia ci precede e questa grazia è apparsa in Gesù. Lui è l’epifania. Lui, Gesù Cristo, è la manifestazione dell’amore di Dio. E’ con noi.

    La Chiesa sta tutta dentro questo movimento di Dio verso il mondo: la sua gioia è il Vangelo, è riflettere la luce di Cristo. La Chiesa è il popolo di coloro, che hanno sperimentato questa attrazione e la portano dentro, nel cuore nella vita. «Mi piacerebbe – sinceramente - mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa - dirlo rispettosamente - dire a quelli che sono timorosi e indifferenti: il Signore chiama anche te, ti chiama ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore!» (ibid., 113). Il Signore ti chiama. Il Signore ti cerca. Il Signore ti aspetta. Il Signore non fa proselitismo, dà amore, e questo amore ti cerca, ti aspetta, te che in questo momento non credi o sei lontano. E questo è l’amore di Dio.

    Chiediamo a Dio, per tutta la Chiesa, chiediamo la gioia di evangelizzare, perché «da Cristo è stata inviata a rivelare e a comunicare la carità di Dio a tutti i popoli» (Ad gentes, 10). La Vergine Maria ci aiuti ad essere tutti discepoli-missionari, piccole stelle che riflettono la sua luce. E preghiamo perché i cuori si aprano ad accogliere l’annuncio, e tutti gli uomini giungano «ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6).


    Dopo l'Angelus:

    Fratelli e sorelle,

    rivolgo i miei cordiali auguri ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali che domani celebreranno il Santo Natale. La pace che Dio ha donato all’umanità con la nascita di Gesù, Verbo incarnato, rafforzi in tutti la fede, la speranza e la carità, e dia conforto alle comunità cristiane, alle Chiese che sono nella prova.

    L’Epifania è la Giornata missionaria dei bambini, proposta dalla Pontificia Opera della Santa Infanzia. Tanti ragazzi, nelle parrocchie, sono protagonisti di gesti di solidarietà verso i loro coetanei, e così allargano gli orizzonti della loro fraternità. Cari bambini e ragazzi, con la vostra preghiera e il vostro impegno voi collaborate alla missione della Chiesa. Vi ringrazio per questo e vi benedico!

     A tutti auguro una buona festa dell’Epifania



     

    [Modificato da Caterina63 07/01/2014 18:25]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)