00 20/12/2013 09:58

  Esiste l'amore perfetto?

«Il vincolo matrimoniale senza la carità è non-senso e la carità si ottiene con la preghiera».

«Ti amo». È una delle espressioni più usate ogni giorno da milioni di persone. Pronunciata con intensità e trasporto. Coscienza e passione. Ponderatezza e affetto. Una frase che anche i coniugi legati da molto tempo non farebbero male a ripetersi. È una dichiarazione, un'invocazione, un mostrarsi nella semplicità di ciò che si è, disarmati ma forti della propria donazione. Anche se oggi sono parole svuotate spesso dal loro profondo contenuto fatto di sacrificio, donazione di sè, private dalla donazione alla vita concepita, frutto di questo "ti amo".

Parole che temono solo di non reggere ai rovesci della vita e che invocano un fondamento perenne e assoluto che fondi il loro stesso esistere. Parole che anelano all'eterno e che bramano l'immortalità. Nell'istante in cui sono pronunciate, l'Universo sembra vibrare di gioia.

La ferialità dell'inesorabile temprerà l'incandescenza vitale dell'entusiasmo contenuto nella semplicità di questa espressione.Ma ogniqualvolta essa verrà utilizzata, s'imporrà con l'autorità del suo abbandono, poiché ricorda agli umani le possibilità dischiuse dall'amore e indica loro la via verso l'amore perfetto, suscitando nel cuore, nella mente, nei sensi una domanda: ma esiste l'amore perfetto? Esiste un amore di cui non se ne può pensare uno maggiore? Oppure la perfezione nell'amore è come un orizzonte verso cui si cammina, ma mai si raggiunge?

Ignoto, Ultima Cena, miniatura francese del sec. XVI, Biblioteca nazionale, Madrid (foto LORES RIVA).

Ignoto, Ultima Cena, miniatura francese del sec. XVI, Biblioteca nazionale, Madrid (foto LORES RIVA).

La sera del Giovedì santo nelle chiese si proclama il testo del capitolo 13 del Vangelo di Giovanni in cui si dice: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».

Il testo greco «sino alla fine» non significa solo sino al termine della propria vita; indica la consumazione totale del proprio essere, l'offerta esaustiva di sé. Poiché Gesù è l'uomo perfetto, anche l'amore che ha dimostrato è un amore perfetto.

Quando un uomo e una donna accolgono nella loro vita questo amore? Semplicemente quando accolgono la definitività dell'amore. Questa radicale e conclusiva donazione viene sancita nel sacramento del matrimonio. In ogni sacramento è Cristo che agisce mediante il ministro. Ora, nel sacramento del matrimonio, per la Chiesa d'Occidente, i ministri sono gli sposi stessi: attraverso il loro reciproco donarsi, Cristo porta a compimento in loro il suo «amare sino alla fine». In loro, Cristo realizza il suo donarsi all'umanità per sempre. Così Cristo rende gli sposi partecipi del suo stesso amore che è amore infinito ed eterno.

Quando Cristo celebra il matrimonio, rende partecipi i due sposi della definitività insita nel suo amore. Istituisce fra essi un vincolo che li lega in un'appartenenza indistruttibile. Il dovere della fedeltà, la forma giuridica dell'indissolubilità sono conseguenze, non l'essenza di questo vincolo. Gli sposi infatti possono essere infedeli; possono divorziare: ma il vincolo che li unisce l'uno all'altro permane più forte di ogni divisione, poiché, in questo senso, il sacramento è stato istituito da Cristo stesso.

Quando gli sposi accolgono la perennità dell'amore di Cristo, Gesù stesso rende partecipi i due sposi della sua capacità di amare. E poiché ogni sacramento è frutto della Pasqua del Signore e del dono che lui fa ai suoi discepoli nella storia, cioè il dono dello Spirito, allora gli sposi sono mossi dall'azione dello Spirito Santo.

È lo Spirito Santo che ha spinto Cristo a donarsi sulla croce e gli sposi sono resi partecipi di questa stessa forza amorosa: questa partecipazione effusa nel cuore degli sposi è la carità coniugale. È questa l'operazione più preziosa compiuta da Cristo quando celebra il sacramento del matrimonio.

Il vincolo coniugale esige la carità e nello stesso tempo è il vincolo coniugale che abilita gli sposi a ottenere il Vivificante, cioè lo Spirito Santo che porta a compimento e perfeziona il loro amore umano. Il vincolo senza la carità è un non-senso e la carità si ottiene mediante la preghiera. «Io voglio amare te, ma senza l'amore di Dio in me so che il mio amore è fragile e fugace; per questo chiedo a Dio di amare attraverso di me la persona che ho scelto come segno della sua amorosa fedeltà».

Giuseppe Maria Pellizza, sdb


 





Una presenza nascosta

Monache Serve dii Maria: «Un''esistenza ispirata costantemente alla Vergine, madre del Siignore»

Furono e sono sempre presenti le donne nelle esperienze ecclesiali. La tipologia della vita consacrata le incontra ora precedere (emblematica è la comunità pneumale delle quattro figlie del diacono ed evangelista di Cesarea Filippo, vergini e profetesse: Atti, 21,8-9), ora seguire le istituzioni maschili. La femminilità accomuna a Maria madre, vergine, serva, discepola.

Il monachesimo femminile ha scritto e sta scrivendo pagine memorabili nella storia della Chiesa. I monasteri femminili fruivano di propria autonomia, sebbene molto spesso aggregati ad un Ordine maschile.

Le monache Serve di Maria sono inserite nel movimento spirituale dell'Ordine dal quale prendono il nome. I monasteri in Italia sono accomunati nella Federazione guidata da un comune libro di Costituzioni e Statuti (edizione 1990).

La non del tutto implicita discepolanza mariana è sentita come patrimonio e nutrimento d'una vita «ispirata costantemente a Maria, madre e serva del Signore » (artt. 96 e 104: formule di professione), di una fraternità dedicata e di un luogo intitolato alla Madre di Dio (artt. 32-33). L'identità monastica, mediante i voti solenni di castità, povertà e obbedienza, che realizzano una più intima consacrazione a Dio, è un dono cristologico- mariano, perché in essa «abbracciamo – sono consapevoli le monache – lo stesso genere di vita scelto da Cristo e dalla Vergine Maria» (art. 3: completamento di Lumen gentium, 46).

Monache Serve di Maria in preghiera nel monastero di Arco (Trento, foto SCALCIONE).

Monache Serve di Maria in preghiera nel monastero di Arco (Trento, foto SCALCIONE).

La clausura, espressione d'una realistica e continua ricerca del deserto e del monte solitario come luoghi dove Dio rivela i segreti del suo amore (art. 52), è altresì spazio del nascondimento con Cristo in Dio, in cui viene continuata nel tempo l'attività silenziosa e orante della Vergine Madre (art. 2): siffatta impostazione riverbera una felice originalità mariana, pur nella certezza che non fu monastica l'esistenza della Madre di Gesù.

L'icona della Vergine di Nazaret silenziosa avvalora il silenzio monastico, dentro il quale è possibile «accogliere pienamente la Parola e viverla nell'incessante colloquio con il Padre » (art. 20).

Nell'ascolto della Parola ad imitazione di Maria, altissimo esempio di creatura orante, la monaca impara a conoscere i richiami di Dio negli uomini, negli avvenimenti, in tutto il creato (art. 28).

Solo spostando all'interno del testo costituzionale il capitolo sulle "riverenze alla Vergine", che la tradizione peculiare dell'Ordine dei Servi di Maria poneva all'inizio di tutte le redazioni delle Costituzioni sino a quelle post-conciliari, le monache ne riprendono l'articolazione adeguandola alla propria tipologia (cap. IV): si tratta di memorie nella liturgia, di devozioni comuni e tipiche, di custodia delle tradizioni, di controllate creatività, di visibilità iconografiche.

In questo mosaico cultuale e devozionale, brilla la scansione di appuntamenti non solo devozionali. «Nelle riunioni per la preghiera, il Capitolo e la refezione, la fraternità è solita ricordare la Vergine Maria con il saluto angelico o altro analogo, memore del suo esempio di orazione, comunione e servizio. Questo saluto, abitualmente inaugurale, sollecita l'intervento misericordioso della Serva del Signore che, per disegno divino, sorregge e rende più perfetta la nostra attenzione» (art. 36).

L'esperienza della misericordia è evocata anche nell'evento della correzione fraterna, luogo di verifica sulla capacità di essere evangelicamente «misericordiosi come il Padre dei cieli»: «Riconosciamo nella misericordia una delle caratteristiche dei Servi, che continuano nella loro vita l'esempio della Madre di Dio» (art. 43).

Le relazioni delle monache con santa Maria sono, oltre che cultuali, anche culturali: «Dobbiamo approfondire particolarmente la dottrina sulla Madre di Dio nella storia della salvezza, per attuare la nostra specifica missione nella Chiesa» (art. 17). Di Maria, le monache sono, oltre che serve, anche discepole e in qualche modo testimoni.

*Le monache Serve di Maria sono 146 in 15 monasteri. Per informazioni: monastero Serve di Maria, via Monte della Giustizia, 61048 Sant'Angelo in Vado (Pesaro e Urbino). Tel. 0722-81.82.15.

Luigi M. De Candido








Per vivere, per non morire

Il volto dell'altro è essenziale, poiché è qui che occorre scorgere Dio.

L'assolata giornata di ferie sul litorale romagnolo sta per dare l'addio a quel "pallone d'oro", il sole, che ci ha piacevolmente obbligati a restare a lungo sotto l'ombrellone, accarezzati da quella brezza marina ristoratrice e benefica per il fisico, logorato da un anno di intenso e snervante impegno in città. Di ritorno con l'amico Piero verso l'ospitale Casa al mare dell'Opera di don Domenico Masi nel centro vivace di Miramare, ci imbattiamo, mentre discutiamo animatamente su quel nuovo mondo che ci circonda, in una elemosinante ai lati del grande viale Regina Margherita.

Un fugace sguardo e mi viene spontaneo mettere una moneta nel piccolo cesto e con sorpresa vedo che l'amico Piero allunga il passo diretto verso il vicino chiosco del fioraio, compra una rosa, veramente bella, e ritornato sfiora la mano della donna e con un sorriso gliela porge. Un brivido mi attraversa tutto, ma nel gesto geniale dell'amico vedo la "difesa" della sacralità ferita di quella sconosciuta, dignità e sacralità che il mio anonimo gesto, privo del sorriso negli occhi, non è riuscito ad abbracciare. L'amico Piero è un poeta e come i bambini ed i santi sono i custodi del mistero.

«Ora che nelle fosse / con fantasia ritorta / e mani spudorate dalle fattezze umane l'uomo lacera / l'immagine divina…». La mia mano ha strappato via dal volto umano ciò che lo rende umano: l'essere immagine di Dio, cioè una creatura "amata".

Badia fiesolana, Fiesole (Firenze): zingari chiedono l'elemosina. (Foto MAX ROSSI).

Badia fiesolana, Fiesole (Firenze): zingari chiedono l'elemosina. (Foto MAX ROSSI).

Ed è proprio su questo che invece dobbiamo parlare e riflettere, di fatti come il coma del tassista, della donna romena sfigurata dal gesto di un folle, dello scandalo pedofilo, della mafia, comunque si presenti, che ci coinvolge ferocemente in loschi affari e crimini, ecc., cioè arrivare al vero problema centrato dai poeti: la "persona" è calpestata nella sua dignità, se non sappiamo vedere la sacralità nel volto delle "persone".

R. Taurigny, La Carità (1558-1566), coro maggiore della Basilica di santa Giustina, Padova (Foto BONOTTO).

R. Taurigny, La Carità (1558-1566), coro maggiore della Basilica di santa Giustina, Padova (Foto BONOTTO).

Ma esiste un antidoto ai casi come quelli descritti? La vera buona notizia è la novità del cristianesimo, è che Dio ha un volto umano e che noi abbiamo tutti quello stesso volto. Non è questione di tolleranza, incapace di vedere nell'altro che è dotato della mia stessa dignità, ma è questione di "empatia": il prossimo uguale a me stesso.

Infatti, la storia di ogni uomo è sacra in quanto io, lui, tutti, siamo voluti dall'eternità da Dio. Nel prossimo vedere non nemici da eliminare, ma figli dello stesso Padre e fratelli da aiutare. Una cultura, priva del mistero cristiano, non perde Dio, ma perde l'uomo. E Benedetto XVI nel recentemotu proprio Ovunque e sempre sottolinea: «Si è verificata una preoccupante perdita del senso del sacro, giungendo a porre in questione quei fondamenti che apparivano indiscutibili… Se tutto ciò è stato salutato da alcuni come una liberazione, ben presto ci si è resi conto del deserto interiore che nasce là dove l'uomo, volendosi unico artefice della propria natura e del proprio destino, si trova privo di ciò che costituisce il fondamento di tutte le cose».

Il commento dei pagani rivolto ai primi cristiani era: «Guarda come si amano! ». Il compito di chi si professa cristiano è quello di riportare la pienezza del volto di Cristo e superare quella cultura secolarizzata che, come diceva il poeta, «per pensarti, Eterno, / non ha che la bestemmia». È Francesco che in uno slancio di vero amore bacia il lebbroso, quello più colpito nel fisico e senza più speranza e che non è altro che lui, il Cristo sulla croce che pronuncia la salvezza al più incallito peccatore, il ladrone! «Oggi sarai con me in paradiso », mentre poco prima aveva gridato: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!».

G. Gelfi, Il Catechismo e la Carità (1994), parrocchiale del Cristo Re, Saiano (Brescia, foto BBONOTTO).

G. Gelfi, Il Catechismo e la Carità (1994), parrocchiale del Cristo Re, Saiano (Brescia, foto BBONOTTO).

Alla sera, davanti alla grotta di Lourdes per la recita comunitaria del rosario, vediamo avvicinarsi e salire a fatica la scala una donna avvolta in uno scialle scuro, dal passo incerto, con tra le mani una rosa, veramente bella, e lasciarla con un sorriso a lei e rimanere a lungo prostrata sui gradini… e quando suor Pierina spegne le luci della grotta mi avvicino a questa "sorella" e con un largo sorriso le do un bacio in fronte, tra la meraviglia dei presenti, e mentre poi mi allontano, commosso, lentamente pronuncio a fior di labbra: «Abbiamo contemplato, o Dio, il volto del tuo amore!».

Gianni Moralli


 

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)