00 10/01/2014 11:16

  La parola del Vescovo 

 di mons. ALBERTO MARIA CAREGGIO, vescovo di Ventimiglia-San Remo

  
"Madre del buon consiglio..." 
   

Una mariologia di infinita bellezza e ricchezza nelle mani di una devozione popolare: così sono le Litanie lauretane che non finiscono di meravigliare chiunque le assapori nella contemplazione della preghiera. La "Madre del buon consiglio" è Maria, esaltata da Dante nella cantica del Paradiso come «termine fisso d’eterno consiglio». Immutabile nel decreto divino lo è tanto in Dio, che la volle vergine e madre da tutta l’eternità, quanto in se stessa, per aver accolto l’atto definitivo della potenza creatrice e, in tal modo, essere «nobile e alta più che creatura».

Maria nasce dal pensiero infinito ed inaccessibile del "consiglio" di Dio. Così si può dire, usando un’espressione umana e singolare per manifestare la forza misteriosa e intima alla vita trinitaria. I teologi la chiamano pericoresi, parola greca che esprime il modello ed il fondamento della comunità divina strettamente "una", tanto nell’essere quanto nel volere. Di questo dinamismo intra-trinitario Maria non è soltanto un «termine», ma, nel piano della salvezza, è lo «strumento più perfetto e puro» di cui Dio si serve per entrare nel cuore dell’uomo e permettergli di fare l’esperienza del recta sàpere, ossia di poter gustare tutto il bello, il buono e il vero che esiste in Dio e nel mondo.

Raggiunti dall’amore tenero di una madre, non possiamo rimanere insensibili alle sue ispirazioni divine e non fare quanto lo Spirito Santo, di cui Maria è sposa, tramite lei suggerisce o chiede a ciascuno di noi. Gesù stesso è il primo che, nella sua umanità, si è lasciato raggiungere dalle sollecitudini della Madre durante il banchetto delle nozze di Cana e lei stessa consigliò ai servi di fare secondo le indicazioni di Gesù. Questo episodio evangelico giustifica la devozione del popolo di Dio che la invoca Madre del buon consiglio.

Giovanni Paolo II benedice il quadro della Madonna del buon consiglio nel Santuario di Genazzano (22.4.1993).
Giovanni Paolo II benedice il quadro della Madonna del buon consiglio
nel Santuario di Genazzano (22.4.1993 – foto Giuliani).

Sotto questo titolo è venerata in tutto il mondo, ma in modo particolare nel Santuario di Genazzano, cittadina del Lazio, dove il suo culto ha una storia plurisecolare. Secondo la leggenda, l’antica icona proveniva da una chiesa di Scutari, in Albania, da dove fu sottratta per l’intervento di Angeli prima che fosse distrutta dall’invasione dei turchi. Leone XIII, grande papa mariano e nativo di Carpineto, nelle sue frequenti encicliche sul rosario ricorda come fosse solito recarsi a visitare questo non lontano Santuario. Diventato papa, lo arricchì con particolari privilegi e, con decreto del 22 aprile 1903, volle che l’invocazione Madre del buon consiglio fosse inserita nelle Litanie lauretane.

Tenera e comprensiva, come ogni vera madre, la Madonna non cessa di aiutare chiunque si rivolga a lei con cuore di figlio.

Per divina ed eterna disposizione è da considerarsi la prima consigliera, la sicura guida spirituale, tutta sollecita per la salvezza dei propri figli.

Nelle tormentate vicende della vita, quando ogni barlume di speranza si spegne; quando, nella molteplicità dei problemi, non sappiamo più a chi ricorrere e tutto sembra perduto, la "Madre del buon consiglio" è lì e ci aspetta. Forse, ancor prima del nostro ricorso, si è già prodigata per aprirci la mente e il cuore alla luce dello Spirito Santo il quale, col dono del consiglio, illumina ogni capacità di giudizio e di scelta per poter agire secondo il suo santo volere.

 

mons. Alberto Maria Careggio








Vita dello spirito nel Nuovo Testamento
   

Riconoscimento della funzione esemplare di Maria nella storia della salvezza, atteggiamento di lode verso di lei, accoglienza nella fede del suo ruolo materno.
 

Il cristianesimo non si lascia catalogare in formule o concetti, perché è innanzitutto dono, presenza, esperienza, vita. Ciò spiega le molteplici interpretazioni della vita cristiana date dagli autori del Nuovo Testamento secondo l’impatto con le diverse aree culturali e la crescita nella comprensione del mistero di Cristo.

Il bilancio dei testi mariani del Nuovo Testamento è alquanto sobrio: un solo passo nelle 21 lettere apostoliche (Gal 4,4), una menzione negli Atti (At 1,14), due accenni in Marco e paralleli (Mc 3,21.31-35; cf Mt 12,46-50; Lc 8,19-21; 11,27-28; Mc 6,3), due episodi in Giovanni (Gv 2,1-12; 19,26-27), una presenza più accentuata nei Vangeli dell’infanzia (Mt 1-2; Lc 1-2).

Maria non ha dunque un grande rilievo quantitativo nel Nuovo Testamento; tuttavia nonostante questa discrezione, essa vi appare con «un compito unico nella storia della salvezza». Ponendoci dal punto di vista vitale, ossia della risposta dell’uomo al piano salvifico, notiamo nel messaggio neotestamentario un riconoscimento della funzione materna ed esemplare di Maria nella storia della salvezza, un atteggiamento di lode verso di lei e un’accoglienza nella fede del suo ruolo materno: elementi questi che costituiscono il fondamento biblico della presenza di Maria nella vita cristiana.

N. Roselli, L'Annunciazione (sec. XVI), complesso monumentale di san Cristoforo alla Certosa, Ferrara.
N. Roselli, L’Annunciazione (sec. XVI), complesso monumentale di san Cristoforo alla Certosa, 
Ferrara (foto Paolo Ferrari).

Paolo accenna una sola volta alla Madre del Messia, ma in forma anonima, incurante della personalità spirituale della «donna» che inserì Cristo nella stirpe umana (Gal 4,4) in una condizione di kenosi, debolezza e impotenza (cf Gb 14,16).

A. La catechesi evangelica di Marco è dominata dalla polemica antigiudaica, nella quale occorreva sottolineare 1’insufficienza dei legami carnali per ereditare il regno di Dio e l’esclusione di ogni privilegio dei parenti del Signore nella comunità di Gerusalemme: nella famiglia spirituale di Gesù si entra solo facendo la volontà di Dio (Mc 3,35).

In tale contesto un’esaltazione della Madre di Gesù sarebbe stata controproducente: ella perciò rimane confusa nell’ambito del clan familiare ostile a Gesù (cf Mc 6,4), ma chiamato come tutti gli altri gruppi a far parte dei discepoli.

B. Matteo inserisce Maria nel piano della salvezza, presentando la sua maternità verginale per opera dello Spirito Santo (Mt 1,18-25). Ma, ponendosi dalla prospettiva di Giuseppe che percepisce il mistero e non vuole intromettersi arbitrariamente in un’opera divina, menziona la condivisione della sorte del Figlio da parte di Maria (cinque volte usa l’espressione «il bambino e sua madre»), senza però rilevare la partecipazione personale di lei.

C. La valorizzazione piena di Maria è dovuta a Luca e a Giovanni, che la fanno entrare direttamente in scena nei misteri dell’infanzia e della vita pubblica di Cristo, rivelandone la missione e la spiritualità.

A questa visione positiva contribuiscono vari fattori: a) il declino dell’attesa escatologica concentra l’attenzione sui valori messianici e quindi su Maria piena di grazia e adombrata dallo Spirito; b)l’approfondimento cristologico porta a ricercare, oltre all’avvenimento centrale della morte e risurrezione e alla vita pubblica, le origini del Cristo naturalmente legate a sua madre; c) la mentalità ellenistica più aperta alla donna e l’attutimento della polemica antigiudaica rendono più disponibili alla percezione del ruolo di Maria.

Si giunge così ad un recupero dei racconti dell’infanzia fondati probabilmente sui ricordi di Maria stessa ed elaborati in circoli particolari in base alla teologia allusiva e alla meditazione midrashica. Ilmidrash adottato da Luca non ha lo scopo di riportare materialmente gli eventi, ma piuttosto di approfondire la loro portata teologica mediante il ricorso ai testi dell’AT in un gioco di riferimenti, allusioni, procedimenti letterari e alla luce dei fatti accaduti successivamente, soprattutto del mistero pasquale.

Gesù fra i dottori nel Tempio, miniatura francese del sec. XV, British Museum, Londra.
Gesù fra i dottori nel Tempio, miniatura francese del sec. XV, British Museum, Londra (foto Lotres Riva).

Luca supera la concezione biologico-naturale della maternità di Maria, insufficiente a far entrare nel regno di Dio, proponendola come vocazione e funzione salvifica accolta nella fede. L’annuncio dell’Angelo (Lc 1,26-38) è il racconto di una vocazione, di un’elezione da parte di Dio per una missione di salvezza a favore del popolo.

L’inserimento di Maria nella storia della salvezza è ribadito da due espressioni: «Serva del Signore» (Lc 1,38), che pone Maria tra i personaggi prescelti da Dio come strumenti eletti per il compimento dei suoi disegni e che furono fedeli al loro compito (cf Gn 26,24; Nm 12,7; 2Sam 7,5); «Benedetta tu fra le donne» (Lc 1,42), che designa non solo la preferenza data a Maria tra tutte le sue contemporanee come madre del Messia, ma anche la funzione salvifica del suo ruolo materno. Mentre la maledizione sradica dal tronco vivo delle promesse, la benedizione indica la partecipazione ai beni messianici e un apporto alla salvezza.

L’intima partecipazione di Maria all’opera del Figlio viene delineata da Simeone quando annuncia la morte violenta del Messia con una formulazione mariana: la spada che trafigge 1’anima di Maria (Lc 2,35) indica il contraccolpo dell’uccisione del Figlio, punto culminante dell’ostilità contro il Messia. La Madre è associata alla passione e all’esecuzione del giudizio messianico che svela i disegni dei cuori.

L’episodio del ritrovamento di Gesù nel Tempio proietta una luce sul futuro del Messia aggiungendo un elemento nuovo: è un segno profetico della missione di Gesù culminante nel mistero pasquale.

«È ritrovato dopo tre giorni nel Tempio – afferma sant’Ambrogio – perché ci fosse un indizio che dopo il triduo della sua trionfale passione sarebbe risorto». Maria, nei tre giorni di separazione dal Figlio, trascorsi in un dolore vivissimo (Lc 2,48; cf 16,24-25; At 20,38), ha avuto l’esperienza anticipata della morte e risurrezione, anche se la comprensione di questo mistero dovrà essere differita nel futuro (Lc 2,49).

Durante la vita pubblica il ruolo materno di Maria si esprime nella ricerca del Figlio e nell’ascolto della sua parola, che invita a dare il primato ai rapporti di fede e di adesione alla volontà di Dio: la Madre diviene discepola (cf Lc 8,19-20; 11,28).

E. Le Sueur, Maria presenta Gesù al vecchio Simeone (sec. XVII), Notre Dame, Parigi.
E. Le Sueur, Maria presenta Gesù al vecchio Simeone (sec. XVII), Notre Dame, Parigi (foto Giuseppe Soro).

D. Questa prospettiva è accentuata da Giovanni, che situa Maria nei due momenti decisivi della prima manifestazione messianica di Cristo (Gv 2,1-12) e del culmine della sua missione salvifica (Gv 19,26-27): «Nel pensiero dell’evangelista Maria è dunque strettamente associata all’"ora" e alla glorificazione di suo Figlio».

L’episodio delle nozze di Cana ha un signifìcato messianico: è un preludio della nuova alleanza che mette in crisi le istituzioni giudaiche simboleggiate dall’acqua, indicando il banchetto nuziale che riunirà i dispersi fìgli di Dio. Maria concorre certamente a preparare il primo segno suscitatore della fede degli apostoli, anche se la risposta di Gesù esprime un certo distanziarsi di lui da sua Madre. Egli rivendica la sua trascendenza messianica abolendo la dipendenza dalla Madre, chiamata ad esercitare il suo influsso non su Gesù, ma al suo servizio: la Madre diventa la donna, discepola e collaboratrice in ordine alla costituzione del primo nucleo del nuovo popolo di Dio che accetta nella fede l’alleanza con il Signore.

Sul Calvario la relazione della Madre e del Figlio riceve una nuova trasformazione, di cui Gesù prende 1’iniziativa: la maternità fisica di Maria è come abolita dalla morte di Cristo ed è sostituita con una maternità d’altro genere, quella nei riguardi dei discepoli di Cristo, inclusi nel discepolo amato. Lo schema di rivelazione di Gv 19,25-27 proclama questa nuova maternità di Maria: è la Figlia di Sion che genera nel dolore in un sol giorno il nuovo popolo (cf Is 66,7-8; Gv 16,21), è la Gerusalemme-Madre dei dispersi figli di Dio unificati nel tempio della persona di Cristo.

Giuseppe Daminelli








Un segno di speranza
   

Venezuela: sorprendenti scoperte nell’immagine della Madonna di Coromoto. Nota della Conferenza episcopale.
 

Nel corso di una recente conferenza stampa svoltasi nella sede della Conferenza episcopale venezuelana (Cev) in occasione del restauro dell’immagine di Nostra Signora di Coromoto, patrona del Paese, sono state presentate nuove scoperte relative all’icona, collegata alla prima evangelizzazione della Nazione.

Il ruolo della tradizione

Tra la fine del 1651 e l’inizio del 1652 una bella signora appare al capo della tribù Coromoto e a sua moglie dicendo loro: «Andate dai bianchi, perché vi mettano dell’acqua in testa per poter andare in cielo».

Dopo aver fatto quello che la Signora chiedeva, gli indios uscirono dalla foresta e ricevettero gli insegnamenti del Vangelo. Molti vennero battezzati.

Giovanni Paolo II in preghiera dinanzi alla statua della Madonna di Coromoto (viaggio apostolico in Guatemala, Nicaragua, El Salvador e Venezuela, 5-12.2.1996).
Giovanni Paolo II in preghiera dinanzi alla statua della Madonna di Coromoto
(viaggio apostolico in Guatemala, Nicaragua, El Salvador e Venezuela, 5-12.2.1996).

Il capo, tuttavia, sentendo di aver perso la libertà, decise di fuggire nuovamente nella foresta. All’alba dell’8 settembre 1652, la Signora apparve di nuovo a lui, alla moglie, alla cognata e al figlio di questa. Vedendola, il capo le chiese di lasciarlo in pace, dicendo che non avrebbe più obbedito. Si alzò per prendere l’arco e uccidere la Signora, ma lei gli si avvicinò per abbracciarlo, e l’arco gli cadde di mano. L’uomo decise di prendere la Signora per un braccio per farla uscire dalla sua capanna, ma in quel momento avvenne il miracolo: la Signora scomparve, lasciando in mano al capo una sua piccola immagine (cm 2 per cm 2,5) che, nei 357 anni trascorsi dall’apparizione, è stata esposta a vari fattori che ne hanno provocato il deterioramento. Per questo, la fondazione María camino a Jesús, sin dal 2002, ha avviato una campagna di sensibilizzazione al fine di riparare i danni della reliquia.

In laboratorio

Dal 9 al 15 marzo 2009, in un laboratorio appositamente allestito, l’équipe di lavoro ha registrato scoperte inattese.

Il primo aspetto che ha richiamato l’attenzione è stato il fatto che, una volta analizzate le acque impiegate nel trattamento, il pH è risultato inspiegabilmente neutro. È stata poi individuata la presenza di vari simboli di origine indigena. Con l’osservazione al microscopio si è riusciti ad identificare negli occhi della Madonna, di meno di un millimetro, la presenza dell’iride, fatto particolarmente sconcertante se si pensa che gli occhi dell’immagine erano semplicemente dei punti. L’occhio sinistro evidenzia caratteristiche prettamente umane e nell’iride si è notato un piccolo punto di luce. Ingrandendolo, si è potuto osservare che questo sembra formare l’immagine di una figura umana dalle specifiche caratteristiche.

Messa di Papa Wojtyla a Coromoto (10.2.1996).
Messa di Papa Wojtyla a Coromoto (10.2.1996 – foto Giuliani).

Una tappa importante

«Il restauro dell’immagine rappresenta una vera pietra miliare, perché è la prima volta che la venerata icona viene sottoposta a un processo come questo», afferma la Cev in una nota. «Al di là dell’essere l’espressione del risultato dello sforzo di un’équipe multidisciplinare, è un appello a volgere la nostra vita a Dio e a vivere l’invito che la Madonna ha fatto ai nostri antenati quando li ha esortati a riconciliarsi e a unirsi come veri fratelli in Dio, nonostante la cultura spagnola e quella indigena avessero visioni e interessi diametralmente opposti. È un appello alla fraternità e all’accettazione dell’altro; è un segno di speranza, di gioia e di fede» (Zenit, 4.9.2009).

Nieves San Martín

Invito all’approfondimento: 
B. Simonetto, Venezuela. I più importanti santuari della Nazione, in Madre di Dio, giugno 2009, pp. I-IV.









Un nuovo linguaggio sulla mediazione
   

Non è, evidentemente, solo una questione di termini a spingere la mariologia nella ricerca di parole diverse per esprimere lo stesso concetto dell’espressione.
  

Di fronte alla difficoltà di ricorrere al linguaggio di mediazione per esprimere la funzione di Maria nell’opera della salvezza, senza peraltro collocarla nello stesso livello di quella di Cristo, alcuni autori avvertono la necessità di proporre un linguaggio alternativo, più accettabile e consono all’ecumenismo e alla cultura corrente.

La scelta della categoria della "presenza" da sostituire a quella della mediazione è proposta già nel 1978 da R. Laurentin, che ne fa risaltare il vantaggio di esprimere «la relazione della Vergine con gli uomini in modo semplice, limpido. La esprime in modo vitale: si desidera la presenza di quelli che si amano. Tale presenza si vive». Inoltre la mediazione è in voga nella nostra cultura, perché pregna di «attrattiva simbolica» e di «potenza evocatrice», ed è fedele alla Scrittura secondo cui «Maria è presente al Cristo dall’Annunciazione alla vita pubblica, a Cana e al Calvario; è presente nella Chiesa nascente, al Cenacolo (cf At 1,14). Ella è sempre presente con Cristo dopo l’Assunzione: presente in corpo e anima». Infine la mediazione «è fondata nella tradizione».

R. Laurentin aggiunge nel 1996 che la parola «mediatrice» applicata a Maria ha una sua verità testimoniata da vari episodi evangelici, ma l’uso che si fa «materializza l’opera spirituale della nostra divinizzazione, così profondamente percepita come tale dai Padri greci»; è comunque necessario l’impegno dei teologi «a fondare meglio, esprimere più giustamente e penetrare più profondamente il mistero di questa cooperazione di Maria all’opera salvifica di Cristo».

P. Veronese (1528-1588), La lavanda dei piedi, chiesa di san Polo, Venezia.
P. Veronese (1528-1588), La lavanda dei piedi, chiesa di san Polo, Venezia.

Possiamo aggiungere che la presenza diviene «un tema centrale dell’enciclica Redemptoris Mater» che vi ritorna espressamente 35 volte.

Certamente la categoria della presenza va valorizzata in mariologia, tenuto conto che essa è anche un effetto della condizione glorificata del corpo di Maria in analogia con il corpo di Cristo risorto. Nel significato scolastico la presenza è una semplice «occasione», quindi non in grado di esprimere la causalità efficiente insita nella mediazione. Ma anche nel significato moderno di «intercomunicazione personale» essa connota più la comunione intima e amante che non l’azione comunicativa della grazia, implicata nella mediazione.

H. Ott, discepolo e successore di K. Barth nella cattedra di teologia evangelica di Basilea, in un suo articolo sulla costituzione Lumen gentium aveva preso atto che il Concilio «spiega con molto vigore come l’unica mediazione e la singolare dignità del Redentore non sono intimamente compromesse dalla venerazione e invocazione dei santi e di Maria».

Nel Congresso mariologico di Loreto (1995), egli compie ulteriori passi, innanzitutto cercando di comporre «due fondamenti mariologici» posti in primo piano dal Concilio: l’assenso di Maria all’Annunciazione e l’intercessione materna della Madre di Dio: «Se invece di contrapporre queste due affermazioni ufficiali, sulla efficacia della grazia della Madre di Dio, cerchiamo di collegarle l’una all’altra, si ottiene il concetto di una mediazione completamente dipendente da ciò che media. La mediazione di Maria dipende dalla grazia di Cristo, di cui Maria stessa è mediatrice».

A questo punto H. Ott si chiede se non sia il caso di abbandonare il linguaggio di mediazione: «Ma perché, allora, parlare ancora di mediazione? Non si tratta di mediazione nel senso di un mezzo imprescindibile per il raggiungimento di uno scopo. Qui si va oltre le categorie della conditio sine qua non». Basandosi anche su Kant, da cui sappiamo che «non possiamo e non dobbiamo mai usare il prossimo come mezzo per raggiungere uno scopo», Ott tralascia il termine mediazione ritenendolo troppo giuridico e meccanico per esprimere l’ontologia interpersonale della storia della salvezza, e propone una «nuova categoria», un vocabolo sostitutivo come «essenziale accompagnamento»: «In questa sfera la mediazione appare piuttosto come un essenziale accompagnamento (Begleitung) lungo un cammino personale. Così il Creatore ha costituito e collocato, l’una accanto all’altra le persone, nel loro essere e nella loro comunità, in modo che ognuna compia il proprio personale cammino, ma anche in modo che lungo questo cammino possano accompagnarsi a vicenda. Un taleaccompagnamento è una sorta di donum superadditum, un’eccedenza o una sovrabbondanza, ma è proprio questa sovrabbondanza a caratterizzare l’essenza e la ricchezza della vita personale».

Don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas di Vicenza.
Don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas di Vicenza (foto Sambo).

L’applicazione a Maria non crea difficoltà non solo perché ella «come tutti i santi di Dio ci accompagna nel nostro cammino verso il Figlio, il Dio-uomo», ma anche perché in lei si realizza una «sovrabbondanza» che la definisce «mediatrice della grazia». Infatti «Dio ha comunque collegato la sua irrevocabile decisione di comunicarsi, rivelarsi e donarsi al genere umano, con l’umano consenso, il libero "Sì" pronunciato da Maria in vece dell’umanità. In egual modo, si lascia così intendere l’intercessione della Madre di Dio, il suo pregare con noi che, secondo la Lumen gentium, è efficace solo attraverso Cristo. Anche il libero "Sì" di Maria e il suo pregare con noi sono un accompagnamento e appartengono perciò all’essenziale sovrabbondanza e ricchezza di tutto l’essere personale».

La proposta di H. Ott è apprezzabile sia per la composizione ecumenica dei contenuti della mediazione di Maria, intesi come consenso e intercessione, pur totalmente dipendenti dall’unica mediazione di Cristo, sia per il tentativo di sostituire il linguaggio di mediazione con quello di «accompagnamento essenziale» più accettabile dal punto di vista antropologico. Con sensibilità etica e spirituale Ott rifugge dal considerare l’uomo come mero strumento, poiché con Kant egli lo ritiene un fine. Ma il teologo elvetico sa bene che Kant non esclude la funzionalità della persona in ordine alla storia e al raggiungimento delle finalità universali della vita, in quanto afferma che non è soltanto un mezzo. In tal modo Ott è obbligato a spostare l’accento dal concetto di cooperazione mediativa a quello di compagnia e di comunione (principio di solidarietà): dimensione affine di estrema importanza per la Chiesa e per la società, ma che abbandona la prospettiva iconica, di segno e di efficienza non meno necessaria (principio di sussidiarietà).

Nella sua tesi di laurea in teologia «Ecce Ancilla Domini». La mediazione materna come diakoniadella Madre di Gesù, presentata nel 2004 alla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale (Napoli), G. Cumerlato interpreta la «mediazione materna» nella prospettiva biblico-spirituale del «servizio». Trovando nel «Sì» dell’Ancella del Signore una fondamentale «chiave ermeneutica», presenta la sua cooperazione come «servizio-diakonia materna».

Il ricorso alla diakonia è ispirato da C. Militello che colloca la missione della Madre di Dio in chiave didiakonia all’interno dell’unica ministerialità ecclesiale, di cui parla 1Cor 12,4-6. Tutto è proposto come un ministero-servizio comune dato per l’utilità della comunità, nel quale si coglie il ruolo salvifico di Maria. Anche la sua mediazione materna è riconosciuta diakonia, inserita in quell’unico ministero didiakonia dell’intera Chiesa. In questo servizio al bene della Chiesa, la Vergine Madre diviene, nella paradigmaticità e singolarità del suo accogliere la Parola, modello e tipo della Chiesa.

G. Gelfi, Il Catechismo e la Carità (1994), parrocchiale di Cristo Re, Saiano (Brescia).
G. Gelfi, Il Catechismo e la Carità (1994), parrocchiale di Cristo Re, Saiano (Brescia - foto Bonotto).

Cumerlato applica a Maria una duplice attività di servizio: A) diaconia discendente, come capacità di accogliere-custodire la Parola data dal Padre; come sulla terra Maria è stata la «donna della contemplazione e della memoria» del mistero, ora, glorificata in cielo, è messa in grado, nel mistero della comunione dei santi, di favorire l’accoglienza integrale della grazia e della rivelazione, la meditazione sulla verità rivelata, l’approfondimento della dottrina, ed a sostenere la fermezza della Chiesa nelle lotte della fede contro il dubbio e l’errore; B) diaconia ascendente intercessione materna presso la Trinità in virtù della sua peculiare, discreta ma intensa partecipazione al sacrificio del Figlio sulla croce. Come modello di ogni orante, Maria è figura della Chiesa che prega incessantemente per l’intero popolo di Dio.

Il vantaggio di questa proposta consiste nell’adozione di un linguaggio biblico, quindi potenzialmente ecumenico, fondato sull’autodesignazione di Maria come «serva del Signore», affine al termine diákonos. Ladiakonia infatti, prima di designare un preciso ministero in connessione con gli episcopi (Fil 1,1; 1Tm 3,8-13; cf At 6,1-6), indica l’atteggiamento fondamentale di Cristo e dei discepoli. Anzi, secondo Mc 10,45 e Mt 20,28, servire (diakonéin) «non soltanto designa ogni attività caritativa verso il prossimo, ma viene inteso come compimento di un sacrificio completo, come dono della vita, dono che dal suo canto è l’essenza stessa del servire, dell’esistere per gli altri in vita e in morte». E diakonia indica «ogni attività importante per l’edificazione della comunità». Nessuna difficoltà di applicare tale termine all’attività mediatrice di Maria, se non forse l’uso attuale di riservare in primo luogo la parola diacono al ministero ordinato.

Stefano De Fiores, smm




   

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)