00 16/01/2014 10:23


  Tesoro da riscoprire le parole di Giovanni Paolo II
   

1. Durante il recente viaggio in Polonia, mi sono così rivolto alla Madonna: «Madre santissima, (…) ottieni anche a me le forze del corpo e dello spirito, affinché possa compiere fino alla fine la missione affidatami dal Risorto. A te rimetto tutti i frutti della mia vita e del mio ministero; a te affido le sorti della Chiesa; (…) in te confido e a te ancora una volta dichiaro: Totus tuus, Maria! Totus tuus!Amen!» (19.8.2002).

Queste parole ripeto oggi, rendendo grazie a Dio per i ventiquattro anni del mio servizio alla Chiesa nella sede di Pietro.

In questo particolare giorno, affido nuovamente alle mani della Madre di Dio la vita della Chiesa e quella tanto travagliata dell’umanità. A lei affido anche il mio futuro. Depongo tutto nelle sue mani, affinché con amore di madre lo presenti al suo Figlio, «a lode della sua gloria» (Ef 1,12).

2. Il centro della nostra fede è Cristo, redentore dell’uomo. Maria non l’offusca, né offusca la sua opera salvifica. Assunta in cielo in corpo e anima, la Vergine, la prima a gustare i frutti della passione e della risurrezione del proprio Figlio, è colei che nel modo più sicuro ci conduce a Cristo, il fine ultimo del nostro agire e di tutta la nostra esistenza.

Per questo, rivolgendo alla Chiesa intera, nella lettera apostolica Novo millennio ineunte, l’esortazione di Cristo a «prendere il largo», ho aggiunto che «ci accompagna in questo cammino la Vergine santissima, alla quale (…), insieme a tanti vescovi (…), ho affidato il terzo millennio». E invitando i credenti a contemplare incessantemente il volto di Cristo, ho desiderato tanto che di tale contemplazione fosse per tutti maestra Maria, sua madre.

3. Oggi intendo esprimere questo desiderio con maggiore chiarezza mediante due gesti simbolici.

Firmerò tra poco la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae. Inoltre, insieme a questo documento, dedicato alla preghiera del rosario, proclamo l’anno che va dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003 Anno del rosario. Lo faccio non soltanto perché quest’anno è il venticinquesimo del mio pontificato, ma anche perché ricorre il centoventesimo anniversario dell’enciclica Supremi apostolatus officio, con la quale, il 1° settembre 1883, il mio venerato predecessore, Leone XIII, dette inizio alla pubblicazione di una serie di documenti dedicati proprio al rosario.

C’è poi un’altra ragione: nella storia dei grandi Giubilei vigeva la buona usanza che, dopo l’Anno giubilare dedicato a Cristo e all’opera della redenzione, ne venisse indetto uno in onore di Maria, quasi implorando da lei l’aiuto per far fruttificare le grazie ricevute.

4. Per l’esigente, ma straordinariamente ricco compito di contemplare il volto di Cristo insieme con Maria, vi è forse strumento migliore della preghiera del rosario?

Dobbiamo però riscoprire la profondità mistica racchiusa nella semplicità di questa preghiera, cara alla tradizione popolare.

Questa preghiera mariana nella sua struttura è in effetti soprattutto meditazione dei misteri della vita e dell’opera di Cristo. Ripetendo l’invocazione dell’Ave Maria, possiamo approfondire gli eventi essenziali della missione del Figlio di Dio sulla terra, che ci sono stati trasmessi dal Vangelo e dalla Tradizione. Perché tale sintesi del Vangelo sia più completa e offra una maggiore ispirazione, nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae ho proposto di aggiungere altri cinque misteri a quelli attualmente contemplati nel rosario, e li ho chiamati Misteri della luce.

Essi comprendono la vita pubblica del Salvatore, dal Battesimo nel Giordano fino all’inizio della passione. Questo suggerimento ha lo scopo di ampliare l’orizzonte del rosario, affinché sia possibile a chi lo recita con devozione e non meccanicamente penetrare ancor più a fondo nel contenuto dellaBuona Novella e conformare sempre più la propria esistenza a quella di Cristo (Giovanni Paolo II, udienza generale del 16.10.2002).

Un'immagine di Giovanni Paolo II in preghiera.
Un’immagine di Giovanni Paolo II in preghiera (foto Mari).

Dalla lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae.
1. 
Il rosario della Vergine Maria, sviluppatosi gradualmente nel secondo millennio al soffio dello Spirito di Dio, è preghiera amata da numerosi santi e incoraggiata dal Magistero.

Il rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza della profondità del suo amore.

3. Recitare il rosario, infatti, non è altro che contemplare con Maria il volto di Cristo.

6. A dare maggiore attualità al rilancio del rosario si aggiungono alcune circostanze storiche.

Prima fra esse, l’urgenza di invocare da Dio il dono della pace. Analoga urgenza di impegno e di preghiera emerge su un altro versante critico del nostro tempo, quello della famiglia, cellula della società, sempre più insidiata da forze disgregatrici a livello ideologico e pratico, che fanno temere per il futuro di questa fondamentale e irrinunciabile istituzione e, con essa, per le sorti dell’intera società.

12. Il rosario, proprio a partire dall’esperienza di Maria, è una preghiera spiccatamente contemplativa. Per sua natura la recita del rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso.

19. Affinché il rosario possa dirsi in modo più pieno "Compendio del Vangelo", è perciò conveniente che, dopo aver ricordato l’incarnazione e la vita nascosta di Cristo (Misteri della gioia), e prima di soffermarsi sulle sofferenze della passione (Misteri del dolore), e sul trionfo della risurrezione (Misteri della gloria), la meditazione si porti anche su alcuni momenti particolarmente significativi della vita pubblica (Misteri della luce). Questa integrazione di nuovi misteri, senza pregiudicare nessun aspetto essenziale dell’assetto tradizionale di questa preghiera, è destinata a farla vivere con rinnovato interesse nella spiritualità cristiana.

21. Volendo indicare alla comunità cristiana cinque momenti significativi – Misteri luminosi – di questa fase della vita di Cristo, ritengo che essi possano essere opportunamente individuati: nel suo Battesimo al Giordano, nella sua auto-rivelazione alle nozze di Cana, nell’annuncio del Regno di Dio con l’invito alla conversione, nella sua Trasfigurazione e, infine, nell’istituzione dell’Eucaristia.

Ognuno di questi misteri è rivelazione del Regno ormai giunto nella persona stessa di Gesù.

30. Per dare fondamento biblico e maggiore profondità alla meditazione, è utile che l’enunciazione del mistero sia seguita dalla proclamazione di un passo biblico corrispondente.

33. Le dieci Ave Maria. È questo l’elemento più corposo del rosario e insieme quello che ne fa una preghiera mariana per eccellenza.

Ma proprio alla luce dell’Ave Maria ben compresa, si avverte con chiarezza che il carattere mariano non solo non si oppone a quello cristologico, ma lo sottolinea e lo esalta.
   

«Potrei convertire il mondo, se avessi un esercito che recitasse il rosario».

Pio XI










«Non erano esagerazioni di devoti» 
   

«Sono stolti gli eretici: essi ignorano l’economia di Dio; ignorano la sua opera nei confronti dell’uomo»
(Ireneo di Lione).

Essere mariani per essere cristiani. Ne fu oltremodo convinto Giovanni Paolo II: «Ci fu un momento – scrive in Dono e mistero (Lev 1996, pp. 120, € 7,00) – in cui misi in qualche modo in discussione il mio culto per Maria ritenendo che esso, dilatandosi eccessivamente, finisse di compromettere la supremazia del culto dovuto a Cristo. Mi venne in aiuto il libro di san Luigi Maria Grignion de Montfort che porta il titolo Trattato della vera devozione alla santa Vergine. In esso trovai la risposta alle mie perplessità. Sì, Maria ci avvicina a Cristo, ci conduce a lui, a condizione che si viva il suo mistero in Cristo».

E nel libro del Montfort Giovanni Paolo II trovò le due parole che furono il motto vissuto di tutta la sua vita: Totus tuus.

E ricordiamo ancora quanto confidava l’allora card. Joseph Ratzinger a Vittorio Messori: «Quando ero un giovane teologo, prima del Concilio, avevo qualche riserva su certe antiche formule, come ad esempio quella famosa: De Maria numquam satis (Su Maria non si dirà mai abbastanza). Mi sembrava esagerata. Mi riusciva difficile capire il senso vero di un’altra espressione (ripetuta nella Chiesa fin dai primi secoli quando, dopo una disputa memorabile, il Concilio di Efeso del 431 aveva proclamato Maria theotókosmadre di Dio), l’espressione, cioè, che vuole la Vergine "nemica di tutte le eresie".

Bagnoregio (Viterbo): monumento (1897) a san Bonaventura.
Bagnoregio (Viterbo): monumento (1897) a san Bonaventura (foto Del Canale).

Ora, in questo confuso periodo dove davvero ogni tipo di deviazione ereticale sembra premere alle porte della fede autentica, ora comprendo che non si trattava di esagerazioni di devoti, ma di verità oggi più che mai valide» (Benedetto XVI [J. Ratzinger]-V. Messori, Rapporto sulla fede, San Paolo 2005, pp. 224, € 17,00).

Alla luce del Concilio vaticano II. Essere mariani in ascolto del capitolo VIII della Lumen gentium, capitolo che riguarda la Madonna: La beata Vergine Maria, madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa.

Un grande capitolo mariano. Anzi, un capitolo che «costituisce la più ampia e autorevole sintesi della dottrina cattolica sulla Madre del Signore che sia mai stata compiuta da un concilio ecumenico» (Congregazione per l’educazione cattolica, La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale,25.3.1988). Infatti il capitolo VIII parla anzitutto di Maria (nn. 53-65) allo scopo di darcene una giusta conoscenza. In secondo luogo, il Vaticano II parla (nn. 66-67) dell’atteggiamento degli uomini verso Maria, colei che tanta parte ebbe nell’opera dell’umana salvezza. Atteggiamento che si esprime in venerazione, amore, preghiera, imitazione: ossia nelle quattro espressioni di una vera devozione alla Madonna.

Alla luce, quindi, del capitolo VIII vogliamo rivedere la nostra conoscenza di Maria e il nostro atteggiamento verso di lei. Allo scopo di essere mariani per essere cristiani.

Non ignorando la vecchierella di san Bonaventura… Si racconta che il grande maestro san Bonaventura, figlio del Poverello di Assisi, visitasse un giorno frate Egidio, ex contadino della vecchia guardia e quindi preoccupato del nuovo indirizzo culturale che stava prendendo l’Ordine.

E, a un certo punto, venisse fuori frate Egidio (il quale più che di cultura era al corrente di agricoltura), con questa domanda: «Maestro Bonaventura, può dunque un ignorante amare Dio come un dotto?». E Bonaventura: «Una vecchia può amarlo anche di più di un maestro di teologia».

E frate Egidio ne fu oltremodo lieto.

can. Fiorino Triverio









Il lavoro e la fede di un imprenditore
     

Nella quotidianità dell’esistenza familiare, con le sue gioie e i suoi dolori, Uberto Mori portava la sua fede salda come una roccia.
  

«Io posso vedere il sole anche quando sta piovendo». Non è la frase suggestiva di un pazzo, o di un visionario, ma la concreta convinzione di un laico, profondamente immerso nel suo tempo, da qualche anno avviato alla santità degli altari: Uberto Mori, nato a Modena il 28 gennaio 1926 e morto il 6 settembre 1989, dopo una grave operazione al cuore, all’ospedale di Pavia.

Sessantatré anni di vita, e di vita spesa bene fino all’ultimo spicciolo, interamente per il Vangelo.

Un imprenditore di successo, l’ingegner Mori, che aveva scommesso però tutta la sua esistenza su Dio. E Dio gli aveva restituito di ogni cosa il cento per uno, anche i dolori e le amarezze, da convertire – attraverso l’esercizio della fede – in certezze e speranze di vita futura.

Affettuosità: Uberto Mori con la figlia Maria Manuela.
Affettuosità: Uberto Mori con la figlia Maria Manuela.
Le foto sono state gentilmente concesse dalla famiglia Mori.

«Spiegare la croce: il sacrificio di un Dio, l’amore che egli porta agli uomini, a un uomo del 2000, non è cosa facile – diceva – ma se quello stesso uomo, in un atto di abbandono e di fede accetta le parole di Maria, la madre di Gesù Cristo, e comincia a viverle, ecco che allora assumeranno concretezza e significato parole come vita eterna, paradiso e salvezza».

Nella bufera della guerra. Uberto Mori, figlio di un ufficiale di artiglieria, compie i suoi studi elementari e ginnasiali nelle città di Firenze, Trieste, Gorizia e Casale Monferrato, in ragione dei numerosi spostamenti del padre. Nel 1940 la famiglia si trasferisce a Verona. Il padre, Mario, nominato generale, parte per il fronte e Uberto può proseguire con profitto i suoi studi classici.

Nel 1943 è sfollato con la madre e la sorella Paola a Monticello di Levizzano Rangone. Durante l’estate il padre viene ricoverato all’ospedale militare per un tumore. Il Comando della Repubblica sociale richiama ugualmente il generale Mori, nonostante le sue condizioni di salute, e Uberto si offre di sostituirlo, pur avendo appena 17 anni.

Lo scambio è accettato e il ragazzo è destinato a Nonantola e poi a Pavia. A Nonantola appunto, a soli 17 anni, dopo l’armistizio dell’8 settembre, con un intervento tempestivo e determinante, Uberto avverte 107 ragazzi ebrei, rifugiati a villa Emma, che possono così mettersi in salvo prima dell’arrivo dei tedeschi trovando riparo in seminario e in case private.

Uberto Mori a 23 anni (Modena, 1949).
Uberto Mori a 23 anni (Modena, 1949).

Mario Mori muore nell’agosto del ’44. Uberto pensa di essere ormai sciolto dal generoso e gravoso impegno assunto e di potersene restare a casa, non avendo ancora l’età per la leva. Ma i partigiani, che lo considerano un avversario, irrompono a casa sua insultandolo, finché con la rivoltella del padre tentano persino di ucciderlo, ma la pallottola non parte ed egli riesce miracolosamente a mettersi in salvo.

Nell’autunno di quello stesso anno Uberto si iscrive all’Università di Bologna, Facoltà di ingegneria meccanica, riuscendo a laurearsi a pieni voti solo nel 1959, perché nel frattempo deve mettersi a lavorare.

Diventa docente presso la cattedra di chimica e tecnologia dei prodotti ceramici all’Università di Bologna e nel 1952 si sposa con Gilda Cavedani, da cui nasceranno i figli Mario, nel 1953, e Maria Teresa, nel 1955. Un terzo figlio, che aspettano nel 1958, non vedrà la luce. Nascerà invece nel 1961 Maria Manuela, ma il morbo blu la porterà via a solo un anno di vita.

Attività e preghiera. Nel 1960 viene aperto lo studio tecnico Mori, nel 1968 nasce la società Forni impianti industriali ceramici Mori con l’inizio della progettazione e della produzione dei forni a rulli per ceramica, con cottura rapida in monocottura. Si trattava allora di una innovazione prodigiosa, destinata a trasformare il settore della ceramica in Italia e all’estero.

Nel 1980 Uberto Mori dà vita infine al Gruppo Mori, comprendente la Mori spa., la Mori iberica, la Ing. Uberto Mori spa e l’emittente televisiva Antenna Uno. Come vediamo, un impegno lavorativo a tutto campo, coronato da un grande successo imprenditoriale che però non ostacola – anzi, rafforza – il forte impegno ugualmente profuso da Uberto nel campo della perfezione cristiana.

Cesenatico, luglio 1959: Uberto e Gilda in passeggiata sul lungomare.
Cesenatico, luglio 1959: Uberto e Gilda in passeggiata sul lungomare.

Nel 1958 c’è l’importante incontro con padre Pio da Pietrelcina ed un maggiore approfondimento della fede e della spiritualità francescana. Si rafforza anche la devozione alla Madonna e nel 1963 i coniugi Mori vanno in pellegrinaggio a Lourdes. Quattro anni più tardi, il 19 febbraio 1967, Uberto entra formalmente nel Terz’Ordine francescano a Modena. Con la moglie Gilda inizia una fitta collaborazione, materiale e spirituale, con il santuario Nostra Signora della salute di Puianello, che diventerà ben presto un frequentato centro di spiritualità e di preghiera.

Apostolo mariano. Successi, progetti, iniziative continue e grandissime opere di solidarietà e di promozione umana e cristiana. Uberto Mori vive intensamente gli anni della piena maturità coinvolgendo un gran numero di persone che incontra, giorno dopo giorno, nel suo cammino di uomo, di marito, di padre, di imprenditore.

La famiglia sarà fonte di gioie profonde e di acute sofferenze per Uberto ed avrà sempre un posto particolarissimo nel suo cuore. Fin dal 1953 aveva consacrato tutti i suoi membri alla Madonna. Nella quotidianità della vita familiare, con le sue gioie e i suoi dolori, portava la sua fede salda come una roccia, profondamente incardinata nell’amore di Dio e nell’intercessione potente ed umile di Maria.

«La Madonna – sosteneva – ci ricorda che l’amore è sacrificio. Un sacrificio che va accettato e vissuto nella vita quotidiana, rinunciando a noi stessi, perché solo Gesù viva e trionfi in noi. Se pensiamo a noi stessi, amarci (ed è il nostro primo dovere) vuol dire accettare ciò che è il nostro vero bene: non ciò che maggiormente ci attira, ci alletta, ci seduce, ma ciò che produce il nostro bene. Se pensiamo al nostro prossimo: amarlo vuol dire accettare nel nostro cuore, per poi attuarlo, tutto ciò che è il suo bene. Non dunque l’accondiscendenza, ma anche la severità, l’impopolarità, se sono necessari per il suo bene. Si comincia così a capire perché amore vuoi dire sacrificio perché la risposta che dovremo attenderci sarà di riconoscenza e di ricompensa, ma solo da Dio, non dal nostro prossimo».

Città del Vaticano, 22.12.1971: Uberto Mori in udienza privata da Paolo VI. Nella circostanza, presentava al Pontefice il progetto Villa Ghirlandina (Repubblica Centrafricana) ed offriva un testo sul Santuario di Puianello.
Città del Vaticano, 22.12.1971: Uberto Mori in udienza privata da Paolo VI. Nella circostanza, presentava
al Pontefice il progetto Villa Ghirlandina (Repubblica Centrafricana) ed offriva un testo sul Santuario di Puianello.

«Cercate prima il Regno». Gli ultimi anni della sua vita sono di fatica, malattia e preghiera.

Il 7 aprile 1987 viene colpito da infarto e inizia la sua personale via crucis nei vari ospedali. Morirà due anni più tardi, il 6 settembre 1989, lasciando il ricordo di un uomo interamente dedito al bene degli altri, in cui vedeva riflesso l’amore misericordioso e provvidente di Dio. 

«Cercate prima il Regno e la suo giustizia, e tutto il resto vi sarò dato». Potremmo dire che in questa frase evangelica si trova riassunto tutto il senso della sua vita.

«Chi vive la vita di Gesù è inevitabilmente condotto ad accettare il suo modo di vivere e di considerare Dio Padre, e nello stesso tempo il mondo e se stesso in rapporto al Padre», sosteneva, «con umiltà, consapevoli cioè del nostro niente di fronte alla grandezza, alla misericordia ed all’amore di Dio».

È Dio che agisce in noi e attraverso di noi: per questo è necessario «che tutto il nostro essere si apra maggiormente all’azione divina, che il nostro abbandono diventi totale, fiducioso, senza riserve e timori».

Era, questo, un pensiero pressoché costante in Uberto Mori: l’uomo deve aprirsi a Dio per raggiungere la pienezza della propria identità e personalità.

Il 29 giugno 2000 si è chiuso nel Duomo di Modena il Processo informativo diocesano sulla vita e le virtù del servo di Dio Uberto Mori.

Una brillantissima intelligenza, un’umiltà profonda, un abbandono fiducioso nella preghiera e un lascito spirituale tutto racchiuso nella sua costante e sincera devozione alla Vergine Maria.

«Continuate così, cercando una cosa sola: di capire l’amore di Dio e di aumentarlo sempre in voi. È l’unica cosa che conti».

Maria Di Lorenzo
  

Invito all’approfondimento: G. Pelucchi, Un uomo così. L’ingegnere Uberto Mori, San Paolo 2008, pp. 186, € 14,00.








Un duro rimprovero 
   

Narrano gli Evangelisti che, nei giorni della Pasqua a Gerusalemme, Gesù scacciò dal Tempio mercanti e cambiavalute, ripetendo loro le parole della Sacra Scrittura: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri» (Mt 21,13).

Già nell’Antico Testamento, Isaia e Geremia definivano il Tempio come casa di preghiera. Mentre, però, Isaia parlava del Tempio come casa di preghiera promessa a tutti i popoli, Geremia, dal canto suo, stando fermo alle porte del Tempio, pronunziava un discorso di aspro rimprovero contro i profanatori del Tempio. Ecco le loro affermazioni messe a confronto. «...Li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché il mio Tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7). «...Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo Tempio che prende il nome da me? ...Andate, dunque, nella mia dimora che era in Silo, dove avevo da principio posto il mio nome; considerate che cosa io ne ho fatto a causa delle malvagità di Israele, mio popolo. Ora, poiché avete compiuto tutte queste azioni – parola del Signore – e, quando vi ho parlato con premura e sempre, non mi avete ascoltato e, quando vi ho chiamato, non mi avete risposto, io tratterò questo Tempio, che porta il mio nome e nel quale confidate e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo».

Corigliano (Cosenza): il Santuario (sec. XV) di san Francesco di Paola.
Corigliano (Cosenza): il Santuario (sec. XV) di san Francesco di Paola.

Il santuario: casa e scuola di preghiera. Occorre, infatti, che i nostri santuari siano realmente case di preghiera e, al tempo stesso, scuole di preghiera. Molto significativa è, al riguardo, l’osservazione dell’evangelista Luca che presenta la preghiera del Padre nostro insegnata da Gesù: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Ed egli disse loro: "Quando pregate, dite..."» (Lc 11,1-2).

Così è. Nel contemplare Gesù che pregava così bene, gli apostoli avvertono il vivo desiderio di saper pregare come lui pregava. Sia così anche dei pellegrini dei nostri santuari. Subito essi dovrebbero sentirsi invitati alla preghiera o dal raccolto silenzio del tempio, o dalla preghiera dei fedeli già presenti nel santuario.

Chi non ricorda le Confessioni di sant’Agostino? «Quanto ho pianto – scriveva – al sentire gli inni e i canti in tuo onore, vivamente commosso dalle voci della tua Chiesa, che cantava dolcemente! Quelle voci vibravano nelle mie orecchie e la verità calava nel mio cuore e tutto si trasformava in sentimento di amore e mi procurava tanta gioia da farmi sciogliere in lacrime».

È vero. Noi custodi del santuario non dobbiamo fare una sferza di cordicelle per scacciare dal tempio quanti non ne rispettassero la santità. È anche vero, però, che l’amore per la casa del Signore dev’essere come un fuoco che ci consuma. Il Vangelo fa notare che il duro rimprovero fatto da Gesù ai profanatori del Tempio di Gerusalemme era rivolto, anche se indirettamente, ai sommi sacerdoti che avevano l’amministrazione del santuario, ma che se ne occupavano così male.

L’evangelista Marco fa anche notare come il duro rimprovero mosso da Gesù ai mercanti del Tempio fu seguito da un insegnamento: «Insegnava loro, dicendo: "Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti?"» (Mc 11,17). I santuari sono scuola di preghiera; hanno quindi bisogno di maestri pazienti e sapienti.

Due momenti di orazione più intensa. Si vivono, nel santuario, due momenti di più intensa preghiera: la preghiera liturgica dell’Eucaristia e la preghiera del rosario.

Dobbiamo, con la Marialis culltus di Paolo VI, «riconoscere come il rosario sia un pio esercizio che si accorda facilmente con la sacra liturgia». Di fatto, però, si ha talvolta la penosa impressione che il rosario sia considerato come una specie di semplice riempitivo del tempo che precede immediatamente la Celebrazione eucaristica.

Il popolo santo di Dio va quindi da noi educato a sintonizzare la preghiera mariana del rosario sulla lunghezza d’onda dei misteri salvifici celebrati nell’Eucaristia.

La Madonna delle grazie (secc. XV-XVI) venerata nell'omonimo Santuario di Piove di Sacco (Padova).
La Madonna delle grazie (secc. XV-XVI) venerata nell’omonimo Santuario di Piove di Sacco (Padova).

Facendo nostre le riflessioni della Marialis cultus (n. 48), potremmo dire così: «Come la liturgia, il rosario ha un’indole comunitaria, si nutre della Sacra Scrittura e gravita intorno al mistero di Cristo. Sia pure su piani di realtà essenzialmente diversi, l’anamnesi della liturgia e la memoria contemplativa del rosario hanno per oggetto i medesimi eventi salvifici compiuti da Cristo. La prima rende presenti, sotto il velo dei segni ed operanti in modo arcano, i più grandi misteri della nostra redenzione; la seconda, con il pio affetto della contemplazione, rievoca quegli stessi misteri alla mente dell’orante e ne stimola la volontà perché da essi attinga norme di vita. Stabilita questa sostanziale differenza, non è difficile comprendere come il rosario sia un pio esercizio che dalla liturgia ha tratto motivo e, se praticato secondo l’ispirazione originaria, ad essa naturalmente conduce, pur senza varcarne la soglia. Infatti, la meditazione dei misteri del rosario, rendendo familiari alla mente e al cuore dei fedeli i misteri del Cristo, può costituire un’ottima preparazione di essi nell’azione liturgica e divenirne poi eco prolungata. È, tuttavia, un errore, purtroppo ancora presente in qualche luogo, recitare il rosario durante l’azione liturgica».

Per tutti i popoli. La casa di preghiera promessa dal Signore per tutte le genti (Is 56,7; Mc 11,17) sta a significare che lo scopo primo del Tempio – del santuario – è quello di servire da luogo privilegiato di preghiera, e di scuola di preghiera.

Così, come Mosè di fronte al roveto ardente, il pellegrino dei nostri santuari dovrà, prima di entrare nel tempio, togliersi simbolicamente i sandali dai piedi, perché il luogo dove sta andando è una terra santa. «Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6, 6).

Ancora. Come Gesù amava definire il Tempio «casa del Padre mio», così i nostri pellegrini sono invitati a riconoscere nel santuario la casa del Padre – e della madre, Maria – che li attende, e dove essi dovranno rinvigorire il legame fraterno che li unisce in un cuor solo e un’anima sola.

Così nel loro cuore e sulle loro labbra fiorirà il canto festoso delle ascensioni, la preghiera della pace: «Quale gioia quando mi dissero: "Andremo alla casa del Signore!"... Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: "Su di te sia pace! Per la casa del Signore chiederò per te il bene"».

Alberto Rum, smm
   

«Si dà il caso che molte volte i nostri luoghi di culto più importanti diventino vere e proprie "industrie"...».

Gian Franco Scarpitta, om






 














[Modificato da Caterina63 16/01/2014 10:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)