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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

«Felici
coloro che hanno meritato di ricevere il Signore nella propria casa»

Le parole di nostro Signore Gesù
Cristo ci vogliono ricordare che esiste un unico traguardo al quale tendiamo,
quando ci affatichiamo nelle svariate occupazioni di questo mondo. Vi tendiamo
mentre siamo pellegrini e non ancora stabili…Ma dobbiamo tendervi senza
svogliatezza e senza intermissione, per potere giungere finalmente un giorno
alla meta. Marta e Maria erano due sorelle, non solo sul piano della natura, ma
anche in quello della religione; tutte e due onoravano Dio, tutte e due
servivano il Signore presente nella carne in perfetta armonia di sentimenti.
Marta lo accolse come si sogliono accogliere i pellegrini, e tuttavia accolse
il Signore come serva, il Salvatore come inferma, il Creatore come creatura; lo
accolse per nutrirlo nel suo corpo, mentre lei doveva nutrirsi con lo Spirito. […]

Del resto tu, Marta, sia detto con tua buona pace, tu, già benedetta per il
tuo encomiabile servizio, come ricompensa domandi il riposo. Ora sei immersa in
molteplici faccende, vuoi ristorare dei corpi mortali, sia pure di persone
sante. Ma dimmi: Quando sarai giunta a quella patria, troverai il pellegrino da
accogliere come ospite? Troverai l'affamato cui spezzare il pane? L'assetato al
quale porgere da bere? L'ammalato da visitare? Il litigioso da ricondurre alla
pace? Il morto da seppellire?

Lassù non vi sarà posto per tutto questo. E allora che cosa vi sarà? Ciò che
ha scelto Maria: là saremo nutriti, non nutriremo. Perciò sarà completo e
perfetto ciò che qui Maria ha scelto: da quella ricca mensa raccoglieva le
briciole della parola del Signore. E volete proprio sapere quello che vi sarà
lassù? Il Signore stesso afferma dei suoi servi: «In verità vi dico, li farà
mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37).



Dalla
«Pratica di amare Gesù Cristo» di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo

«L’amore di Cristo»

Tutta la santità e la perfezione di un’anima consiste nell’amar Gesù Cristo
nostro Dio, nostro sommo bene e nostro Salvatore. La carità…unisce e conserva
tutte le virtù che rendono l’uomo perfetto.

Forse Iddio non si merita tutto il nostro amore? Egli ci ha amati sin
dall’eternità. «Uomo, dice il Signore, considera ch’io sono stato il primo ad
amarti. Tu non eri ancora al mondo, il mondo neppur v’era ed io già t’amavo. Da
che sono Dio, io t’amo». […] Egli… ha creato… il cielo e la terra e tante altre
cose tutte per amor dell’uomo; acciocché servano all’uomo, e l’uomo l’ami per
gratitudine di tanti doni.

Ma Iddio non è stato contento di donarci tutte queste belle creature.
Egli per cattivarsi tutto il nostro amore è giunto a donarci tutto se stesso.
L’Eterno Padre è giunto a darci il suo medesimo ed unico Figlio. Vedendo che
noi eravamo tutti morti e privi della sua grazia per causa del peccato, che
fece? Per l’amor immenso, anzi, come scrive l’Apostolo, pel troppo amore che ci
portava mandò il Figlio diletto a soddisfare per noi, e così renderci quella
vita che il peccato ci aveva tolta.





Dalla «Lettera»
detta di Barnaba: 
«La speranza
della vita è il principio e il termine della nostra fede»

Per l'amore che vi porto voglio mettervi a parte di quanto ho avuto, sicuro di
ricevere beneficio dal servizio che vi rendo. Vi scrivo dunque alcune cose
perché la vostra fede arrivi ad essere conoscenza perfetta. Tre sono le grandi
realtà rivelate dal Signore: la speranza della vita, inizio e fine della nostra
fede, la salvezza, inizio e fine del piano di Dio; il suo desiderio di farci
felici, pegno e promessa di tutti i suoi interventi salvifici.

Il Signore ci ha fatto capire, per mezzo dei profeti, le
cose passate e presenti, e ci ha messo in grado di gustare le primizie delle
cose future. E poiché vediamo ciascuna di esse realizzarsi proprio come ha
detto, dobbiamo procedere sempre più sulla via del santo timore di Dio. […]

Timore e pazienza devono essere il sostegno della nostra
fede, longanimità e continenza le nostre alleate nella lotta… Queste sono le
cose che Dio vuole da noi. Il Signore infatti ci ha insegnato per mezzo di
tutti i profeti che egli non ha bisogno di sacrifici, né di olocausti, né di
offerte. Che m'importa, dice, dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio
degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di
agnelli e di capri io non lo gradisco. Non presentatevi nemmeno davanti a me
per essere visti. Infatti chi ha mai richiesto tali cose dalle vostre mani? Non
osate più calpestare i miei atri. Se mi offrirete fior di farina, sarà vano;
l'incenso è un abominio per me. I vostri noviluni e i vostri sabati non li
posso sopportare (cfr. Is 1, 11-13).




Dal «Discorso
tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaita,
vescovo: 
«È bello restare
con Cristo!»

Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul
monte Tabor. Egli aveva parlato loro del Regno di Dio e della sua seconda
venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente
forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e
profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli
eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro
un'immagine prefigurativa del Regno dei Cieli. […]

L'evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che
Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con
sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un
alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il
sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero
loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17,1-3). Ecco le realtà
meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova
compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e
insieme la gloria del Cristo.

Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri 
insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio 
che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall'alto.
Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire andiamoci come Gesù, 
che ora dal cielo si fa nostra guida e battistrada... La 
nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. 
Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché 
saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita 
beata.








Da
«Scientia Crucis» di Santa Teresa Benedetta della Croce, vergine e martire

«Ai credenti in Cristo Crocifisso viene aperta la porta della vita»

Cristo si era addossato lui stesso il giogo della legge,
osservandola e adempiendola perfettamente, tanto da morire per la legge e
vittima della legge. Nello stesso tempo, tuttavia, egli ha esonerato dalla
legge tutti quelli che avrebbero accettato la vita da lui. I quali però
avrebbero potuto riceverla solo disfacendosi della propria. Infatti «quanti
sono stati battezzati in Cristo, sono stati battezzati nella sua morte» (Rm 6,
3). Essi si immergono nella sua vita per divenire membra del suo corpo, e sotto
questa qualifica soffrire e morire con lui; ma anche per risuscitare con lui
alla eterna vita divina. Questa vita sorgerà per noi nella sua pienezza
soltanto nel giorno della glorificazione. Tuttavia, sin da ora «nella carne»
noi vi partecipiamo, in quanto crediamo: crediamo che Cristo è morto per noi, per
dare la vita a noi. […]

La croce non è fine a se stessa… non è soltanto un’insegna,
è anche l’arma vincente di Cristo, la verga da pastore con cui… Davide esce
incontro all’infernale Golia, il simbolo trionfale con cui egli batte alla
porta del cielo e la
spalanca. Allora ne erompono i fiotti della luce divina,
sommergendo tutti quelli che marciano al seguito del Crocifisso.






Lunedì 11 agosto, memoria di S. Chiara d’Assisi

Benedetto XVI, Udienza Generale, 15 settembre 2010

Una delle Sante più amate è senz’altro santa Chiara
d’Assisi, vissuta nel XIII secolo, contemporanea di san Francesco. La sua
testimonianza ci mostra quanto la Chiesa tutta sia debitrice a donne coraggiose
e ricche di fede come lei, capaci di dare un decisivo impulso per il rinnovamento
della Chiesa. […]

Nata nel 1193, Chiara apparteneva ad una famiglia
aristocratica e ricca. Rinunciò a nobiltà e a ricchezza per vivere umile e
povera, adottando la forma di vita che Francesco d’Assisi proponeva.

Resistendo alle pressioni dei suoi familiari che
inizialmente non approvarono la sua scelta, Chiara si stabilì con le prime
compagne nella chiesa di san Damiano dove i frati minori avevano sistemato un
piccolo convento per loro. In quel monastero visse per oltre quarant’anni fino
alla morte, avvenuta nel 1253. […]

Giacomo di Vitry [un vescovo fiammingo in visita in Italia],
aveva colto con perspicacia un tratto caratteristico della spiritualità
francescana cui Chiara fu molto sensibile: la radicalità della povertà
associata alla fiducia totale nella Provvidenza divina. Per questo motivo, ella
agì con grande determinazione, ottenendo dal Papa Gregorio IX o, probabilmente,
già dal papa Innocenzo III, il cosiddetto Privilegium Paupertatis (cfr FF,
3279). In base ad esso, Chiara e le sue compagne di san Damiano non potevano
possedere nessuna proprietà materiale. […]

Ciò mostra come anche nei secoli del Medioevo, il ruolo
delle donne non era secondario, ma considerevole. A questo proposito, giova
ricordare che Chiara è stata la prima donna nella storia della Chiesa che abbia
composto una Regola scritta, sottoposta all’approvazione del Papa. […]

Nel convento di san Damiano Chiara praticò in modo eroico le
virtù che dovrebbero contraddistinguere ogni cristiano: l’umiltà, lo spirito di
pietà e di penitenza, la
carità. Pur essendo la superiora, ella voleva servire in
prima persona le suore malate, assoggettandosi anche a compiti umilissimi.







Giovedì 14 agosto, memoria di S. Massimiliano M. Kolbe

Dalle
lettere di san Massimiliano Maria Kolbe

«
Zelo apostolico per la salvezza e la santificazione delle anime»

Nei nostri tempi, constatiamo, non senza tristezza, il propagarsi
dell’«indifferentismo». Una malattia quasi epidemica che si va diffondendo in
varie forme non solo nella generalità dei fedeli, ma anche tra i membri degli
istituti religiosi. Dio è degno di gloria infinita. La nostra prima e
principale preoccupazione deve essere quella di dargli lode nella misura delle
nostre deboli forze, consapevoli di non poterlo glorificare quanto egli merita.
[…]

Attraverso la via dell’obbedienza noi superiamo i limiti della nostra
piccolezza, e ci conformiamo alla volontà divina che ci guida ad agire
rettamente con la sua infinita sapienza e prudenza. Aderendo a questa divina
volontà a cui nessuna creatura può resistere, diventiamo più forti di tutti.

Questo è il sentiero della sapienza e della prudenza, l’unica via nella quale
possiamo rendere a Dio la massima gloria. Se esistesse una via diversa e più
adatta, il Cristo l’avrebbe certamente manifestata con la parola e con
l’esempio. Il lungo periodo della vita nascosta di Nazareth è compendiato dalla
Scrittura con queste parole: «e stava loro sottomesso» (Lc 2, 51). Tutto il
resto della sua vita è posto sotto il segno dell’obbedienza, mostrando
frequentemente che il Figlio di Dio è disceso sulla terra per compiere la
volontà del Padre.














Venerdì 15 agosto, solennità dell’Assunzione della Beata
Vergine Maria

Dalla
Costituzione Apostolica «Munificentissimus Deus» di Pio XII, papa


«
Santo e glorioso è il corpo della Vergine
Maria»


I santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi, rivolti al popolo
in occasione della festa odierna, parlavano dell'Assunzione della Madre di Dio
come di una dottrina già viva nella coscienza dei fedeli e da essi già
professata; ne spiegavano ampiamente il significato, ne precisavano e ne
approfondivano il contenuto, ne mostravano le grandi ragioni teologiche. Essi
mettevano particolarmente in evidenza che oggetto della festa non era
unicamente il fatto che le spoglie mortali della beata Vergine Maria fossero
state preservate dalla corruzione, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua
celeste glorificazione, perché la Madre ricopiasse il modello, imitasse cioè il
suo Figlio unico, Cristo Gesù`.

San Giovanni Damasceno, che si distingue fra tutti come teste
esimio di questa tradizione,…esclama con vigorosa eloquenza: «Colei che nel
parto aveva conservato illesa la sua verginità doveva anche conservare senza
alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Colei che aveva portato nel suo seno il
Creatore, fatto bambino, doveva abitare nei tabernacoli divini. […]

In tal modo l'augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù
Cristo fin da tutta l'eternità «con uno stesso decreto» di predestinazione,
immacolata nella sua concezione, vergine illibata nella sua divina maternità,
generosa compagna del divino Redentore, vittorioso sul peccato e sulla morte,
alla fine ottenne di coronare le sue grandezze, superando la corruzione del
sepolcro. Vinse la morte, come già il suo Figlio e fu innalzata in anima e
corpo alla gloria del cielo dove risplende Regina alla destra del Figlio suo,
Re immortale dei secoli.




Dalle «Omelie sul
vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo: 
«Sale della terra
e luce del mondo»

«Voi siete il sale della terra» (Mt 5, 13). Vi viene affidato il ministero
della parola, dice il Cristo, non per voi, ma per il mondo intero. […] Un uomo
mite, umile, misericordioso e giusto non tiene nascoste in sé simili virtù, ma
fa sì che queste ottime sorgenti scaturiscano a vantaggio degli altri. E chi ha
un cuore puro, amante della pace e soffre per la verità, dedica la sua vita per
il bene di tutti. […]

Il sale non salva ciò che è putrefatto… prima Dio rinnovava
i cuori e li liberava dalla corruzione, poi li affidava agli apostoli, allora
essi diventavano veramente «il sale della terra», mantenendo e conservando gli
uomini nella nuova vita ricevuta dal Signore. È opera di Cristo liberare gli
uomini dalla corruzione del peccato, ma impedire di ricadere nel precedente
stato di miseria spetta alla sollecitudine e agli sforzi degli apostoli. […]

Gesù afferma: «Ma se il sale perdesse il sapore, con che
cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e
calpestato dagli uomini» (Mt 5, 13). Perché poi, udendo la frase: «Quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi»
(Mt 5, 11), non temano di farsi avanti, sembra voler dire: Se non sarete pronti
alle prove, invano io vi ho scelti. Così verranno le maledizioni a
testimonianza della vostra debolezza. Se, infatti, per timore dei
maltrattamenti, non mostrerete tutto quell'ardimento che vi si addice, subirete
cose ben peggiori, avrete cattiva fama e sarete a tutti oggetto di scherno.
Questo vuol dire essere calpestati.

Subito dopo passa ad un'altra analogia più elevata: «Voi siete la luce
del mondo» (Mt 5, 14). Nuovamente dice del mondo, non di un solo popolo o di
venti città, ma dell'universo intero: luce intelligibile, più splendente dei
raggi del sole. Parla prima del sale e poi della luce, per mostrare il
vantaggio di una parola ricca di mordente e di una dottrina elevata e luminosa.










Mercoledì 20 agosto, memoria di S. Bernardo, abate e dott.
della Chiesa

Dai
«Discorsi sul Cantico dei Cantici» di san Bernardo, abate
: «Amo perché amo, amo per
amare»

L’amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé.
È a se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi
all’infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo perché amo, amo per
amare. Grande cosa è l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla
sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per
continuare a scorrere. L’amore è il solo tra tutti i moti dell’anima, tra i sentimenti
e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se
non alla pari; l’unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in
questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere
amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che
l’ameranno si beeranno di questo stesso amore. […]

Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama
con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c’è tutto.
Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così
ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei
due, a meno che uno dubiti che l’anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.

























[Modificato da Caterina63 24/08/2014 17:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)