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4. La sfida di Benedetto XVI: il primato della coscienza

pope-benedict-portrait (1)Sotto il pontificato di Benedetto XVI, il tema della coscienza è riemerso in modo esplosivo, complice la vicinanza speculativa del Papa bavarese con il fine teologo di origine anglicana, convertito al cattolicesimo proprio a causa della coscienza, il Cardinal Newman. Celebre è la frase di quest’ultimo, ascritto nella schiera dei beati dallo stesso Ratzinger, secondo cui “Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo – cosa che non è molto indicato fare – allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”.

Se si tenta di fare un bilancio sommario e mirato della breve era del pontificato che si è concluso poco meno di un anno fa, l’affinità appena descritta, però, non è ravvisabile solamente nelle parole, ma addirittura nello stile che era (ed è) proprio della persona di Benedetto XVI. Uomo mite, sincero, fine pensatore, egli si è sempre presentato al mondo come “l’umile servitore”, non come un “principe rinascimentale”. Un servo sempre pronto a lasciare il primato alla coscienza personale, aiutandola – sì – con tutta l’arte della razionalità, ma mai egli ha tentato di usare trucchetti per raggirare l’interlocutore, facendolo vagare per i sentieri previamente minati da trappole mortifere per l’anima. Lo si è visto anche di recente nella ferma ed articolata risposta che, nella sua nuova veste di Papa emerito, Ratzinger ha inviato sotto forma di lettera al matematico Odifreddi.

Dal momento che la coscienza, per il 265° successore di Pietro, è il luogo della Verità, ne consegue che offrendole ciò che è oggetto della sua conoscenza essa sarà in grado di riconoscerlo in tutta la sua dignità e portata. È come, sempre permettendomi un esempio a fine didattico, se la coscienza fosse simile a un bracco ungherese alle dipendenze di un cercatore di tartufi: una volta scovato il piccolo tesoro, sarà necessario dissotterrarlo con cura e pulirlo con dovizia!

Molte volte, come infatti si constata, tale Verità non è però riconosciuta. La coscienza ha, per questo, bisogno di essere “rettamente” formata, in modo cioè da evitare che nascano cortocircuiti e, soprattutto, perché sempre più spesso la voce del mondo tuona prepotentemente contro la flebile voce dello Spirito, il quale mai vuole imporsi. Stando all’esempio appena proposto, si potrebbe dire che la spazzatura, che ormai infesta anche le più belle montagne della penisola italica, sta distraendo il “naso” del nostro bracco con il proprio fetore e, contemporaneamente, sta sommergendo sempre di più la Verità sulle cui tracce siamo in cammino. Tutto ciò complica ulteriormente l’avventura della conoscenza.

Di fronte a questo vulnus, come si è detto, qualsiasi educatore deve operare una scelta: dirigere la cordata verso il pattume che offre il mondo – perché qualcosa, all’ora di pranzo, si dovrà pur mettere sotto i denti – o fare lo sforzo di aiutare il discepolo a rientrare in se stesso per decifrare l’afflato di Dio, con umiltà e pazienza.

In questa seconda prospettiva mi sentirei di porre il tentativo messo in campo da Papa Benedetto XVI, il quale è stato un vero e grande maestro per tutta l’umanità, non solo per la Chiesa. Egli non ha mai tuonato fulmini, non ha mai usato le armi della vendetta, non si è mai macchiato dell’atroce sacrilegio di pervertire le coscienze secondo la propria immagine. Ha, invece, giocato tutto sulla persuasione della Verità diffusivum sui, sulla certezza che un po’ di bene esiste in tutti e questo deve essere fatto ri-emergere. Si è fatto umile e paziente, si è lasciato anche umiliare, nella certezza che vi è più gioia in cielo per un vero peccatore (non importa quanti!) che si converte (ma veramente), piuttosto che per un coro di giovani che, con il sorriso stampato sulle labbra, danzano e saltellano sulle note di canti non liturgici durante la celebrazione di una Santa Eucaristia presieduta dal Successore di Pietro.

La gioia della Chiesa, infatti, non è il sorriso del “beato beota”, ma il riconoscimento – spesso anche faticoso – della Verità di Dio che, appena viene anche solo intravista, mozza il fiato e piega le ginocchia: “Mio Signore e mio Dio!”. Non servirebbe a nulla una Chiesa piena di pattume, una Chiesa in cui ognuno potesse scegliersi la sedia che a lui risulti essere più comoda – come accade già in qualche moderna aula liturgica: il pattume finisce sempre nell’inceneritore e la comodità atrofizza le coscienze!

Ciò che Benedetto XVI aveva capito è che se gli uomini hanno un diritto, tale diritto è solo quello di poter conoscere la “Verità tutta intera”, di fronte alla quale, poi, essi stessi saranno chiamati a giocare la propria libertà e decidere conseguentemente se aderirvi o no. I trucchetti con i quali i prestigiatori ecclesiastici fanno sparire e riapparire qualche dogma servono ad extra solo come specchietti per le allodole, ma ad intra corrompono la coscienza dei discepoli come quella degli educatori che hanno volutamente evitato di pronunciare per intero il nome di Gesù Cristo, impauriti dall’altezza e difficoltà della cima da scalare. Riecheggiano qui le parole della Roccia: “Signore, anche noi non capiamo, ma se andiamo via da te, da chi andremo?”. Ogniqualvolta si opta di operare una qualche riserva mentale – a meno che non ci si trovi in foro interno ed in specialissime condizioni –, si contraddice direttamente il comando di Cristo secondo cui il nostro “parlare sia sì, sì, e no, no!” e si nega all’interlocutore il diritto di conoscere la Verità.

Benedetto XVI ha avuto fiducia nell’uomo, nella coscienza, ha dato una possibilità a tutti, anche ai suoi traditori, perdonandoli perché li amava: ha amato il nemico amando la persona, non le sue azioni, fino a trasformarlo in amico con la preghiera (cfr. sant’Agostino). Egli ha compreso certamente il peso del potere che aveva ricevuto il 19 aprile del 2005 per l’elezione dei “Signori Cardinali”: il demonio gli ha fatto sicuramente pregustare la forza che il Romano Pontefice ha tra le mani, come un tempo tentò Gesù stesso. Benedetto XVI deve aver sentito il profumo del successo, possibile attraverso il compromesso con il mondo e soprattutto con l’invasione e la manipolazione della coscienza altrui.

5. La prima tentazione: rendere schiavo il Popolo di Dio

Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore”: questo è solo uno dei passaggi dell’indimenticabile Omelia d’inizio pontificato di Benedetto XVI. Quale verità è stata espressa così lucidamente da colui che in quel momento, forse più di altri, era tentato di genuflettere anche solo per un istante di fronte al Principe di questo mondo, magari persuadendosi che fosse “per il bene della Chiesa”. Si ricordi, però, che chi va a mendicare qualcosa tra le gambe di Satana, vi resta sempre invischiato!

Del resto, avrà certamente pensato al potere dei media, al fatto che, oggi più che mai, l’aggettivo “semplice” attribuito alla gente è sinonimo di “stupido”. Tra questi ultimi vi sono a volte anche i cattolici, pronti a credere a qualsiasi cosa esca dalla bocca del Pontefice – visto non in quanto tale, ma come la star di turno –, soprattutto se in linea con un certo pensiero. Sarebbe stato facile per Benedetto XVI brindare solo a se stesso (al Papa, ndr.) attentando di prendersi cura personalmente, poi, delle coscienze altrui. Una persona così intelligente come lui deve certamente aver combattuto una dura battaglia nel tentativo di non prevaricare mai il limite sacro imposto come sigillo sul cuore di ciascun uomo. Non solo egli si è sempre piegato alla volontà di un Altro e alla tradizione viva della Chiesa, ma ciò che ha tentato di cambiare, lo ha fatto quasi in punta di piedi.

Un esempio particolarmente interessante potrebbe essere quello della sua preferenza – educativa, prima che estetica – perché, nella liturgia, centrale fosse il Crocefisso e non il sacerdote. In realtà, tale esigenza non era una sua personale posizione: la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II aveva tra le proprie finalità quella di rimettere al centro della celebrazione proprio il Mistero di Dio. Purtroppo – ma questo non è colpa della riforma! –, dal momento che in tante “comunità” Dio ben presto divenne solo una parola di tre lettere, si è dovuta supplire tale mancanza con qualcosa che intrattenesse il “pubblico”; così alcuni sacerdoti – magari divenuti tali più per una mancanza di vita sociale che non per un amore a Dio – si sono ritrovati improvvisamente su di un “palcoscenico” vuoto e completamente a loro disposizione.

Benedetto XVI non ha voluto interpretare alcun monologo, né ha tentato di coinvolgere altri in una sorta di pagliacciata – perché i monologhi dopo un po’ stancano, mentre le pagliacciate, in cui a tutti è riservata una particina da interpretare, sono meno restii a raggiungere comunque la loro fine, cioè l’oblio. Egli ha semplicemente negato se stesso e rimesso al centro della “scena” il Signore Gesù. Egli ha fatto di tutto per demitizzare e relativizzare la figura del Pontefice, pur senza negarne mai le prerogative e i privilegi derivanti dall’essere Vicario, perché – fino a prova contraria – egli rimane un uomo come ciascuno di noi: “La Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura!”.

Ma facendo questo, non ha adottato la strategia del Principe Assoluto che a colpi di legge modifica a proprio piacimento il suo personalissimo regno. Nessuna circolare è mai stata emessa, se non nelle situazioni in cui era in gioco il bene dei fedeli: Benedetto XVI ha scommesso sulla capacità di discernere la Verità che è in ciascuno di noi, preferendo dare un esempio chiaro eppure flebile, “come la brezza della sera”. Ha avuto l’umiltà e la pazienza dell’educatore. Per questo non tutti sono riusciti a comprendere le sue posizioni, teologicamente molto forti. Chi non si è “adattato” lo ha fatto perché ha continuato a seguire, però, la baraonda del mondo, non il proprio cuore, ancora troppo incrostato. Chi invece lo ha fatto, ne ha guadagnato “la libertà dei figli di Dio”.

Ricordo a tal proposito, che nel periodo successivo alla sua elezione, ogni volta che ero in presenza del Papa mi sembrava che mancasse qualcosa: avevo bisogno di battiti di mano, di spontaneità, avevo bisogno di improvvisazioni e variazioni “petrine”, avevo la necessità che qualcosa accadesse di non-previsto, di appagante la mia istintività. Eppure, mai Benedetto XVI ha ceduto di una virgola e il suo esempio è stato per me profondamente educativo.

L’atteggiamento dell’“umile lavoratore della vigna del Signore” rispetto a tali bisogni – espressione di una religiosità in sé superba perché mossa dal desiderio umano di sostituirsi all’opus Dei – sono la ragione per cui il mondo ha disprezzato il Papa fin dal giorno della sua elezione. E così, paradossalmente, si spiega perché magicamente l’11 febbraio del 2013 tutto il mondo si è ritrovato ad amare colui che fino al giorno prima era tra le persone più odiate: finalmente, le dimissioni (seppur in latino) avevano dato al cuore istintivo e incrostato di tanti ciò che cercavano e, cioè, il totalmente imprevedibile.

Benedetto XVI, ancora, disse chiaramente che il cristianesimo non è una dottrina, ma un incontro personale con un uomo vivo. Eppure molti cattolici – magari proprio quelli che ogni domenica siedono tra i banchi del coro interessati più a mostrare se stessi che a lodare il Signore – continuano oggi a vivere come se la Deus caritas est non fosse mai stata scritta. Egli, per fare un altro esempio, ha cercato di incontrare tutti, mai indietreggiando su nulla: non ha mai fatto finta di essere d’accordo con qualcosa per cui oggettivamente non poteva essere d’accordo, ma allo stesso tempo ha preso sul serio le domande del cuore di chi incontrava. Ha saputo discernere e valutare, grazie innanzitutto alla sua coscienza rettamente formata, più che alle sue capacità scientifiche ovunque riconosciute – si pensi all’esempio dell’uso del preservativo nel rapporto con una prostituta.

Non ha offerto una ricetta facile al dialogo interreligioso, ma ha affermato chiaramente che Gesù è l’unico Salvatore e che se è possibile un dialogo, esso deve essere intrapreso solo a livello di valori non negoziabili. Eppure, proprio per questa sua chiarezza, è stato apprezzato da tanti, a partire da chi si trovava dall’altra parte del fiume, dimostrando che per parlare con qualcuno non si deve per forza dargli ragione (o farglielo credere). In realtà, le difficoltà le ha avute più all’interno della Chiesa, che non all’esterno.

Sarebbe bastato così poco per farsi amare dalla folla ed essere invocato come “Santo subito”, magari proprio evitando di parlare della Verità, perché a quanto pare essa è, per molti, fonte di divisione, “pietra d’inciampo”, “stoltezza e scandalo”. Forse proprio perché la Verità è Gesù Cristo e non sia mai che uno si senta giudicato da Lui!









   continua..............

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)