00 11/02/2014 15:05

6. La seconda tentazione: terrorizzare i Collaboratori

Il desiderio che Dio si mostri più forte per la realizzazione di ciò che noi ci aspettiamo debba accadere, però, è qualcosa che a volte applichiamo anche allo stesso Vicario di Cristo, al “Dolce Cristo in terra”, perché lasci da parte il miserando titolo di “servo dei servi” e assuma piuttosto quello di “padrone dei padroni”. Se solo Benedetto XVI avesse usato un po’ di quel potere temporale che è nelle mani del Pontefice durante munere?! Chissà! Sognare ad occhi aperti è un lusso che a volte possiamo permetterci, perciò, chissà cosa sarebbe successo se, per esempio, un giorno si fosse presentato in terza Loggia senza preavvertire. La veste talare vista attraverso la porta a vetri avrebbe certamente portato gli usceri ad un gesto istintivo di cortesia – perché solo i Superiori portano abitualmente il loro abito proprio (e sempre solo ai Superiori si usano gesti di cortesia). Ritrovandosi coram Sanctissimo, i bravi addetti si sarebbero inginocchiati chiedendo la benedizione e, d’un tratto il battito cardiaco di minutanti, capi-ufficio e Superiori tutti avrebbe avuto un’impennata accelerazione, avvisati di quell’ingombrante presenza.

Ecco, continuiamo ad immaginare che, rimanendo in piedi, e ormai accalcatisi nell’atrio che accomuna la I e la II Sezione di quella che anticamente veniva chiamata la “Segreteria del Papa” (o magari sarebbe stato più comodo se ciò fosse avvenuto nella Biblioteca privata), l’Augusto avesse accennato un segno in direzione di uno dei monsignori di Curia – gli unici uomini su questa terra che ancora oggi possono sognare di fare la grande scalata che li porterà anche ad indossare una lunga gonna dalle tipiche tinte virili: il rosa. Immaginiamo, sempre ad occhi aperti, che, solo per diletto e sfizio, – magari proprio perché Benedetto XVI era tedesco, e, dunque, secondo una certa logica honduregna, era non solo un decerebrato teologo bipolare (vero-falso), ma probabilmente anche un nazista crudele – immaginiamo, dicevo, che avesse chiesto a tale malcapitato di mettersi a saltare: già, saltare come fanno le scimmie in gabbia. Volete sapere cosa penso sarebbe successo? Magicamente, diverse persone – non tutti i presenti, perché per grazia di Dio vi sono anche moltissimi santi in quelle segrete stanze! – si sarebbero mosse per comporre una fila, nella speranza di avere a propria volta la possibilità di saltare e mettersi in mostra come si fa durante l’esibizione per una audizione! “Per Dio e per il bene della Chiesa”, non per altro!

Eppure, Benedetto XVI, che è tedesco, – e proprio per questo portato alla riflessione, al rispetto e all’umiliazione di sé e non degli altri – lui che, comunque, ancora oggi ama alimentarsi con la musica classica, pur apparendo agli occhi di alcuni come un “principe rinascimentale”, perché “toccato, anzi ferito, dal desiderio della Bellezza stessa” – piuttosto che abbuffarsi con le esibizioni dei nuovi circensi offerti dai moderni imperatori –, ebbene, lui non ha mai usato di questo potere. L’ha assaporato, dicevo, certamente, perché lo si assapora dal primo momento in cui sulla porta di un ufficio viene messa la targhetta con il proprio nome, ma non si è mai materializzato per lui come una pietra d’inciampo.

Il suo segreto è consistito nel fatto che proprio perché “teologo tedesco – e non un voltagabbana salesiano (come ce ne sono tanti di questi tempi) che ha appoggiato un regime golpista forse anche grazie al contributo mensile di 100.000 Lempiras che lo stesso governo gli elargiva (in un paese in cui lo stipendio medio è di 3.000 Lempiras) – proprio per questo, Benedetto XVI ha sempre avuto rispetto della coscienza altrui, tanto da non volervi entrare, quanto, piuttosto, da volerla aiutare con un Magistero improntato sullacommunicatio della Verità. Chissà, se solo avesse osato dire: “Saltate, piccoli sottoposti, voi che dovete temermi”! Ma si sa che certe cose, a volte, non serve dirle… non vi è cosa più aperta e alla portata della comprensione di un sottoposto della volontà (soprattutto se sadica) di un Superiore.

7.Una diversa impostazione: i gesuiti e il primato dell’obbedienza

benedictoxviIn realtà, prima ancora dei Cardinali Ratzinger, Newman e D’Aquino – del quale, secondo alcune fonti, sembrava imminente l’annuncio della creazione cardinalizia (se non fosse che a volte Dio fa morire qualcuno, prima che questi riceva la berretta) –, anche il Poverello d’Assisi fece mettere nero su bianco nella sua Regola che “i frati obbediscano ai loro ministri in tutte quelle cose che hanno promesso a Dio di osservare e che non sono contrarie alla coscienza e alla regola”.

Si sa, anche a causa degli interessi non propriamente religiosi che a volte possono spingere (e magari far sopravvivere) certe Congregazioni, che fra i francescani e i gesuiti non è mai scorso buon sangue, in particolare a livello teologico. Sarà forse per questo che vi è stato un tempo in cui nella Chiesa questo sacro rispetto per la coscienza (propria e altrui) si è come offuscato, tanto che il Bellarmino, anch’egli Cardinale come i sopraccitati Ratzinger e Newman, arrivò ad affermare una cosa che alle nostre orecchie dovrebbe suonare aberrante: “Se anche il Papa errasse comandando dei vizi e proibendo delle virtù, la Chiesa è tenuta a credere che i vizi siano buoni e le virtù cattive”.

Ci tengo a sottolineare che tale affermazione dovrebbe suonare aberrante perché purtroppo oggi tante persone sarebbero disposte teoricamente ad approvarla, ma poi nei fatti a negarla. Più di una volta, infatti, la mia esperienza recente è testimone del fatto che “il Papa è il Papa, per questo ciò che Egli dice o fa, va fatto perché è sempre vero e giusto”; o ancora: “Non si può criticare il Papa, perché il Papa è scelto da Dio”.

Mi si consenta, dunque, una brevissima digressione: siccome Dio ha creato gli uomini come esseri liberi e intelligenti – e, se anche risulta che lo status di Cardinale possa offuscare talune facoltà della persona, non è provato che riesca addirittura ad eliminare la libertà –, mi piace adattare alla situazione un noto adagio del compianto Andreotti, affermando che “in Sistina sono i Cardinali che scrivono il nome sulle schede; Dio, invece, no!”.

E mi si consenta un’ulteriore divagazione, dal momento che risulta a me alquanto interessante notare come si sia sempre pronti ad abbracciare le armi dell’apologetica nei confronti di un uomo qual è il Papa (chiunque egli sia), quando invece non si è egualmente rapidi nel fare la stessa cosa per Gesù Cristo, il quale tante volte lo si può anche contraddire, lui che è uomo-Dio! Ma basterebbe che le persone che sono d’accordo con le frasi poc’anzi riprodotte si facessero un bell’esame di coscienza per scoprirsi nel dire: “Gesù è Gesù, perciò ciò che Egli dice o fa, va fatto… solo quando fa comodo” – si pensi per esempio ai temi relativi alla sessualità.

Perché, dunque a volte, noi uomini siamo così docili nel compiere ciò che ci viene comandato, piuttosto che nell’usare la nostra coscienza? La risposta è presto detta: è più semplice far prendere le decisioni difficili a qualcun altro. Inoltre, se poi si sbaglia, vi è pure già pronto un capro espiatorio contro il quale rivolgere ogni colpa. Far lavorare la nostra coscienza, magari perché un po’ “arrugginita”, richiede sforzo, costanza, un’operazione virtuosa su noi stessi che non tutti sembrano disposti a compiere. Peccato, però, che l’ultima decisione spetti sempre e comunque alla nostra coscienza, che sia rettamente formata o meno. Perciò le colpe dei nostri errori le paghiamo ancora noi (coloro che hanno dissacrato il luogo della manifestazione di Dio in noi, però, pagheranno le loro).

In realtà, questa riflessione non vuole essere un’accusa contro nessuno, perché nessuno, d’altronde, è in grado di “scagliare la prima pietra”, ci mancherebbe! Almeno, però, si sia chiari nel chiamare “peccato” ciò che è “peccato”, “Verità” ciò che è “Verità” e, soprattutto, si dica che la Verità e il peccato, ultimamente, sono inconciliabili. Questo è qualcosa che non solamente un bravo teologo tedesco direbbe, dal momento che si è di fronte a ciò che è “o vero, o falso”: tertium non datur!

Siccome, ad ogni buon rendere, la quaestio ad oggetto risulta essere sempre attuale, bisognerebbe chiedersi se, con l’esempio e la parola, Papa Francesco vorrà seguire il suo predecessore Benedetto XVI, Newman, Tommaso e pure uno dei più grandi santi della storia dal quale egli ha ricavato il proprio nome, o, piuttosto, preferisca la tesi esposta dal Bellarmino. Ogni tentativo volto ad offrire una risposta a tale domanda sembrerebbe ancora troppo immaturo e imprudente, dal momento che – pur avendo già compiuto molti gesti importanti e significativi – questo Pontefice è ancora tutto da scoprire. Un sano distacco daimedia – particolarmente quelli italiani – sarà a tal proposito di giovamento.

Ora, però, occorre notare che il Bellarmino è stato educato nella Compagnia di Gesù! Pertanto è logico che da tale carisma egli in qualche modo sia stato condizionato nel modo di pensare e giudicare. Non sarebbe più che normale? La domanda corretta, dunque, potrebbe suonare così: “Cosa pensava a riguardo della coscienza il Generale, il Fondatore, il Padre di tutti i gesuiti, sant’Ignazio di Loyola?”. A tale proposito, bastino alcune frasi molto chiare – e molto più conosciute di quanto si possa credere – che ritroviamo al paragrafo 547 delle Costituzioni della Compagnia di Gesù: “Facciamo quanto ci sarà comandato con molta prontezza, gaudio spirituale e perseveranza, persuadendoci che tutto ciò è giusto, e rinnegando con cieca obbedienza ogni parere e giudizio personale in contrario, in tutte le cose che il superiore ordina… Persuasi come siamo che chiunque vive sotto l’obbedienza si deve lasciar portare e reggere dalla Provvidenza, per mezzo del superiore, come se fosse un corpo morto (perinde ac cadaver), che si fa portare dovunque e trattare come più piace”.

Volendo offrire una sintesi che tenga conto del percorso fin qui fatto, si potrebbe dire in questo modo: “Eseguiamo gli ordini dei Superiori piegando ad essi la nostra coscienza in cieca obbedienza, perché essi sono emanazione diretta della Provvidenza”; o ancora: “La Verità la conoscono innanzitutto i Superiori, non la coscienza”.

A scanso di equivoci, è chiaro che queste considerazioni nulla tolgono alla santità approvata e celebrata di coloro che fino ad ora sono stati qui considerati. Le virtù eroiche e la testimonianza di fede sono ben altra cosa rispetto alla capacità speculativa di questi santi (tra l’altro, molto più complessa di come qui è stata presentata), i quali, inoltre, personalmente prego ed ammiro.

Il fatto è che la storia magistra vitae ha dimostrato che i Superiori non sempre sono stati la longa manus della Provvidenza: anzi, Essa (come anche la Santa Sede) ha dovuto più di una volta mettervi una pezza. Inoltre, è certo che un’impostazione del genere (non la singola posizione di Ignazio!) è la causa principale di tanti problemi che la Chiesa nel tempo ha dovuto affrontare: si pensi ad un esempio d’impatto mediatico come lo “scandalo pedofilia”. Non è stato forse incubato in ambiti nei quali, a causa di una scorretta comprensione di cosa fossero la coscienza personale e il rapporto con i Superiori (parroco, rettore del seminario, ecc.), si riteneva che fosse meglio il tacere e il nascondere il male in nome di un presunto “bene della Chiesa”? Alla base di molti problemi per la Sposa di Cristo vi è, dunque, un modo di pensare foriero di utili conseguenze nel breve periodo – è comunque più facile mandare la polvere sotto il letto –, ma nel lungo termine tossina molto simile all’amianto, così nociva e al tempo stesso così difficile da smaltire.




   continua.......



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)