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La paura della verità



Benedetto XVI ha dovuto rinunciare a recarsi all'università «La sapienza»

La paura della verità Quello che era inimmaginabile è accaduto: la visita di Benedetto XVI alla Sapienza in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico non si terrà. La notizia ha scosso l'Italia e ha poi cominciato a fare il giro del mondo, mentre cresce la marea delle reazioni, sincere o strumentali: incredule, addolorate, indignate, enfatiche, in alcuni casi persino più o meno soddisfatte. L'ondata decrescerà, naturalmente, ma resta il fatto grave che il Papa ha dovuto rinunciare a recarsi nella prima università di Roma, la città di cui è vescovo, nell'ateneo più grande del Paese del quale è primate. Perché si è arrivati a tanto? La risposta è semplice: a causa dell'intolleranza, radicalmente antidemocratica, di pochi, anzi di pochissimi. 
E ora, come nella favola dell'apprendista stregone, tra quanti, a diversi livelli, hanno lasciato, in modo irresponsabile, che montasse questa opposizione preconcetta e ottusa - che va distinta da possibili dissensi, ovviamente legittimi quando siano espressi in modi civili e con metodi democratici - alla visita papale, vi è addirittura chi si preoccupa e rammarica. Dopo aver osservato nei giorni precedenti un silenzio pressoché totale. E la gravità del fatto, senza precedenti nella storia della Repubblica italiana, è confermata dalla lettera al Papa del capo dello Stato, un gesto sincero e nobile che attenua in parte l'incidente. 
L'intenzione di Benedetto XVI era evidente: dimostrare interesse e simpatia nei confronti della più vasta comunità accademica italiana, da decenni afflitta da molteplici problemi e che vive in questi ultimi tempi la crisi più ampia delle istituzioni universitarie, in Italia e più in generale nel contesto europeo. Per dire la sua sul ruolo dell'università, certo, ma con una chiarezza ragionevole e desiderosa di confronto che si accompagna a una mitezza fuori del comune. Da teologo e pastore quale è sempre stato. Senza dimenticare la statura intellettuale e accademica, di respiro davvero internazionale, in genere riconosciutagli anche dai suoi avversari. 
Per di più in una istituzione laica e autonoma la cui storia secolare è profondamente intrecciata a quella del papato - sin dalla fondazione nel 1303 da parte di Bonifacio VIII, e con benemerenze culturali indubbie - e dove i successori di Pietro si sono di conseguenza sentiti quasi come a casa propria, come sottolineò il 15 marzo 1964 durante la sua visita Paolo VI, antico studente nell'ateneo romano, e come mostrò il 19 aprile 1991 Giovanni Paolo II, quel giorno ospite dell'antico studium urbis. 
In continuità con i suoi predecessori, Benedetto XVI avrebbe voluto tornare in un luogo dov'era già stato da cardinale il 15 febbraio 1990 per sostenere la necessità di una dialettica positiva tra fede e ragione, ma ha dovuto rinunciare. Già Paolo VI, avvertendo l'atteggiamento oppositorio fondato su luoghi comuni e toni polemici di quanti mantengono occhi chiusi e animo ostile, volle rassicurarli: il Papa - disse - non forzerà il loro raziocinio chiuso, non scardinerà alcuna porta e starà fuori a bussare, come il «testimone» descritto dall'Apocalisse (3, 20), dicendo a chi non apre: studia, capisci te stesso, leggi nella tua anima, guarda l'esperienza autentica che il nostro tempo sta vivendo proprio nella negazione dei valori religiosi e delle verità trascendenti, e troverai, in così diffuso tormento, un numero ingente di paurose rovine; a cominciare dalla più ampia e desolata: la disperazione, l'assurdo, l'arido nulla. 
Ora anche Benedetto XVI bussa senza stancarsi alla porta di ogni essere umano, fiducioso che la ragione non vorrà chiudersi alla fede, all'incontro con Cristo. Davvero c'è qualcuno che onestamente può considerare questo atteggiamento oscurantista, prevaricatore, nemico della scienza? Chi può davvero temere quest'uomo mite e ragionevole, questo pastore che appena eletto alla sede di Roma ha dichiarato di avere assunto il suo ministero nella consapevolezza di non essere solo? E il Papa non è solo: tutta la Chiesa oggi prega per lui, come pregava per Pietro a Gerusalemme, e sono moltissimi anche i non cattolici e i non cristiani che gli sono vicini. Senza paura di confrontarsi con la verità.

g.m.v.



(©L'Osservatore Romano 17 gennaio 2008)



Cuore e ragione


L'Angelus del 20 gennaio

La preghiera domenicale dell'Angelus con Benedetto XVI sarà come sempre? Sì e no. Sì, perché come ogni settimana in piazza San Pietro donne, uomini, fedeli o no, romani o pellegrini, si riuniranno numerosi per ascoltare le parole del Papa e per pregare con lui. Ma anche no, perché questa volta all'appuntamento si aggiunge un significato speciale dopo le vicende che hanno portato alla mancata visita del vescovo di Roma alla Sapienza, la più antica università della città, fondata da un suo predecessore e per oltre mezzo millennio università papale. 
All'ascolto di quanto dirà Benedetto XVI, e all'antichissima preghiera rivolta a Maria che segna lo scorrere del giorno nella tradizione cristiana, parteciperà per questo motivo - non è difficile prevederlo - un numero molto più grande di persone: per esprimere in questo modo «un gesto di affetto e di serenità» che vuole bilanciare la tristezza seguita a quanto è accaduto. Per questo il cardinale vicario Camillo Ruini ha invitato a essere a San Pietro, spiegando al nostro giornale che l'incontro sarà soltanto una partecipazione alla preghiera dell'Angelus.
Ben al di sopra quindi di ogni lettura dell'avvenimento che non rispetti, strumentalizzando, il suo senso religioso e di vicinanza a Benedetto XVI: per mostrargli che non è solo, ma che con lui c'è un popolo i cui confini sono conosciuti solo da Dio. 

Questo Angelus insieme al Papa sarà espressione di un moto del cuore e insieme della ragione.
In questo senso, un gesto laico e di libertà - come ha accennato in un'intervista anche il ministro degli Esteri italiano - in quanto mosso da quel principio che può e deve unire credenti e non credenti: la ragione, diversa ma non opposta al cuore. 

La relazione tra cuore e ragione non a caso è al centro del discorso che Benedetto XVI avrebbe tenuto alla Sapienza. Un discorso inevitabilmente oscurato dalle sconcertanti vicende che lo hanno accompagnato ma che merita, eccome, di essere letto, meditato e discusso. Un discorso, ancora una volta, profondamente laico, sul rapporto tra autorità religiosa e mondo profano, che fa appello alla ragionevolezza. Rifacendosi a sant'Agostino che ragiona sul profeta Isaia e a san Tommaso sull'autonomia della filosofia e sulla responsabilità della ragione; cioè a grandi figure della tradizione cristiana, certo, ma anche a pensatori laici, come John Rawls e Jürgen Habermas. 
E non vuole imporre la fede Benedetto XVI, ma proporla, con mite fermezza, come sta facendo sin dal primo giorno del suo servizio come vescovo di Roma. E come avevano fatto Paolo VI - chiudendo il Vaticano II e durante tutto il suo pontificato - e poi Giovanni Paolo II nella sua incessante predicazione planetaria, ripetendo senza stancarsi: uomini del nostro tempo, ascoltateci, dateci fiducia, non chiudetevi, non abbiate paura di Cristo. Quasi a dire: anche noi siamo ragionevoli e liberi, e dunque, non chiudete la vostra laicità, la vostra ragione a Dio, al Logos - principio razionale che ha creato e regge l'universo - che bussa alla porta di ogni donna e di ogni uomo. E dunque al cuore, che tuttavia non è lontano dalla ragione.

g.m.v.



(©L'Osservatore Romano 20 gennaio 2008)




Per l'onomastico del Papa

Sin dal 1861 per la ricorrenza dell'onomastico del Papa «L'Osservatore Romano» è solito esprimere in forma pubblica l'augurio di tutto il giornale, sicuro di interpretare in questo modo i sentimenti dei suoi lettori e di moltissime altre persone nel mondo. 
Le forme esteriori possono cambiare, ma il senso e il contenuto di questi voti sono nascosti nell'intimo di chi sente un legame con il vescovo di Roma e riconosce l'unicità del suo servizio alla Chiesa e all'intera famiglia umana, ben al di là dei visibili confini cattolici. Senso e contenuto che talvolta si ha il pudore di manifestare, quando invece è profondamente umano farlo, perché se è importante volere bene a qualcuno, non è meno importante dirglielo. 
Nella tradizione cristiana la ricorrenza del santo patrono - per Benedetto XVI la solennità di san Giuseppe - prevale su quella del compleanno, e questo è confermato dall'uso vaticano di festeggiare pubblicamente l'onomastico del Romano Pontefice piuttosto che il giorno del suo genetliaco.
Riflettendo, secondo un uso antichissimo, appunto sul nome. Nel caso di Papa Benedetto (nome anch'esso carico di significati), quello ebraico di colui che la devozione cristiana almeno dal medioevo venera come il custode del piccolo Gesù e della Madre di Dio, proclamato da Pio IX patrono universale della Chiesa. 

In questo senso nel nome (nomen) di battesimo del Papa è in qualche modo misteriosamente prefigurato e racchiuso il destino (omen) della sua vita e della sua funzione di custode della tradizione cristiana, che è una tradizione viva e rivolta con fiducia al futuro. Per questo, rivolgendo a Benedetto XVI gli auguri per il suo onomastico, assume un significato più affettuoso e partecipe l'altro uso che vige quotidianamente a «L'Osservatore Romano»: quello di concludere a mezzogiorno la recita dell'Angelus con l'antichissimo Oremus pro pontifice nostro.

g.m.v.



(©L'Osservatore Romano 19 marzo 2008)





La speranza di Cristo 
e una regola d'oro


Benedetto XVI negli Stati Uniti

Un viaggio importante per rendere testimonianza a Cristo nel cuore del mondo moderno. Sotto il segno di una «regola d'oro» radicata nella tradizione ebraica e cristiana ma iscritta nel cuore di ogni essere umano: «Fate agli altri ciò che volete facciano a voi, non fate ciò che non volete che essi vi facciano». È questo il senso della missione di Benedetto XVI - proprio il Papa l'ha definita così, «speciale esperienza missionaria» - negli Stati Uniti d'America e nella sede delle Nazioni Unite, sulle orme dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II. 
Un viaggio simbolico, dunque, che richiama l'arrivo di Paolo a Roma e la sua predicazione senza impedimenti, la scena con la quale si chiude la grande narrazione degliAtti degli apostoli quasi a sottolineare che in quel modo, nel cuore del mondo romano, il messaggio evangelico era come se fosse giunto ai confini della terra, secondo la promessa della Scrittura. E questo anche volle sottolineare nel 1965 il primo Papa giunto davanti a un'assemblea delle Nazioni Unite: «Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata». 
La visita del vescovo di Roma toccherà solo due città, ma per abbracciare tutti i cattolici statunitensi, esprimere la fraternità per ogni comunità ecclesiale, in un Paese - lo ha voluto sottolineare Benedetto XVI - dove il Vangelo di Cristo è profondamente radicato, e testimoniare amicizia «verso tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà». Nel segno della speranza di Cristo, la sola nella quale ogni essere umano, tutti gli esseri umani siamo salvati. 
Ecco l'intento profondo del viaggio papale: condividere e offrire con ragionevolezza e fiducia la speranza di Cristo. Nell'amicizia verso un grande Paese - nato all'insegna della libertà e della democrazia - che proprio per questo motivo ha grandi responsabilità nei confronti di tutto il mondo. Come mostra anche il fatto che questo stesso Paese ospita la sede delle Nazioni Unite, l'assemblea davanti alla quale Benedetto XVI parlerà, rivolgendosi idealmente a tutti i popoli. 
Mai un Papa aveva parlato - come ora avverrà - a un numero così grande di rappresentanti del mondo, ed è tanto significativo quanto impegnativo che questo coincida con il sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti umani. Oggi ribaditi, ma anche tragicamente violati. Mentre è possibile riprenderli, riaffermarli, condividerli, promuoverli. Guardando alla ragione e a quella «regola d'oro» scritta nella coscienza umana nella quale tutti - anche i non credenti - possono ritrovarsi per far sì che «l'incontro delle differenze» auspicato da Benedetto XVI sia costruttivo per l'intera famiglia umana. «Io vengo» - dice il Papa - «inviato da Gesù Cristo». Per ripetere con umiltà il messaggio di sempre, nella fiducia che venga almeno ascoltato: è Dio a salvare il mondo e la storia.

g.m.v.



(©L'Osservatore Romano 14-15 aprile 2008)



La testimonianza
di Papa Benedetto


A tre anni dall'elezione

Da tre anni Joseph Ratzinger è vescovo di Roma. L'anniversario della sua elezione - una delle più rapide nella storia, in un conclave che mai era stato così numeroso - ricorre mentre il Papa è negli Stati Uniti d'America, e il significato di questa coincidenza può essere ritrovato in una frase raccolta da "Usa today". Giovedì, il quotidiano più diffuso nel Paese s'interrogava infatti sul fenomeno, fino a poche settimane fa del tutto inaspettato, dell'interesse che ha suscitato la visita papale, muovendo per l'occasione diverse decine di migliaia di persone da ogni parte dell'Unione. 
Un fenomeno spiegato da CeAnne Laramee con semplicità: "Il mondo - ha dichiarato al giornale la donna, venuta appunto a Washington dalla Florida con due figlie - ha bisogno di vedere l'amore che Gesù vuole donare a noi tutti". Ecco, è proprio questo il significato essenziale del servizio che, come successore di Pietro, Benedetto XVI sta svolgendo con gentile mitezza: testimoniare l'amore di Cristo per renderlo visibile e mostrarne la credibilità nel mondo di oggi. 
Come ora il Papa sta facendo nel suo percorso americano, vero e proprio viaggio missionario che è finalizzato ad annunciare, a un grande Paese e davanti all'Organizzazione delle Nazioni Unite, Cristo nostra speranza. A questa speranza, nella quale siamo salvati, Benedetto XVI ha dedicato lo scorso autunno la sua seconda enciclica, per richiamare ciò che davvero importa nel frastuono di tante voci: non un'ideologia e nemmeno una morale che si aggiungerebbero a tante altre, ma l'incontro unico con una persona che è in grado di cambiare la vita di ogni essere umano, secondo l'affermazione iniziale dell'enciclica programmatica del pontificato, dedicata a Dio che è amore. 
Ed è un annuncio quello del Papa intenzionato a mostrare come sia possibile superare l'individualismo, il relativismo e il materialismo che segnano le nostre società e favoriscono l'ingiustizia, offuscando la speranza più profonda del cuore umano e mettendo a tacere la stessa legge iscritta nelle coscienze: quella ragione che permetterebbe invece a credenti e non credenti di procedere insieme. Da tre anni la predicazione di Benedetto XVI è così rivolta senza stancarsi ad annunciare a donne e uomini del nostro tempo, e con il loro linguaggio, la verità di Cristo. In continuità con la tradizione cattolica, che è dinamica e vitale proprio perché rivolta al futuro, alla venuta definitiva dell'unico Signore.

g.m.v.



(©L'Osservatore Romano 19 aprile 2008)

Il nome di Dio 
e la storia dell'uomo


Il Papa a Savona e a Genova

È stata esemplare la visita di Benedetto XVI alla Chiesa della Liguria. Esemplare perché, nella concentrazione sull'essenziale che è caratteristica del vescovo di Roma, ha mostrato il volto di pastore del successore di Pietro. In un viaggio breve ma che ha saputo fortemente esprimere e mostrare, nella festa della Trinità, l'"essenza del cristianesimo". Questa, ha detto il Papa a Savona, si riassume nel nome di Dio: "Misericordia, che è sinonimo di amore, di grazia".
E questo nome, "così antico e sempre nuovo", non è una lontana astrazione; al contrario - ha ripetuto Benedetto XVI a Genova - "dal nome di Dio dipende la nostra storia". 


Non sono state parole disperse al vento, ma un insegnamento - tratto da quello di Gesù che, appunto, "non fa giri di parole"; e questo insegnamento il Papa ha voluto seminare con fiducia e amicizia nel cuore di quanti lo hanno voluto ascoltare. Come è avvenuto soprattutto nell'incontro con i giovani, vera e propria meditazione sul significato del futuro e sull'importanza di Dio, riflessione che non è stata impedita nel suo svolgimento da una pioggia insistente, figura anzi di quella che bagna la "terra secca delle nostre anime".
 

In questo nuovo viaggio nel Paese di cui è primate, Benedetto XVI ha voluto recarsi in due città legate in modo speciale a Roma e ai suoi vescovi, entrambe radicate nella devozione a Maria, che "non parla mai di sé, ma sempre di Dio". E in questo intrecciarsi di simboli il Romano Pontefice ha voluto mostrare l'esempio di due suoi grandi predecessori - Benedetto XV e Pio VII - che in modo diverso seppero affrontare i poteri del mondo: il primo, "Papa della pace" durante la prima guerra mondiale, e il secondo che con il coraggio dimostrato di fronte alla bufera napoleonica, "pagina oscura della storia dell'Europa", ci insegna ad "affrontare le sfide del mondo: materialismo, relativismo, laicismo, senza mai cedere a compromessi". 

Il guardare alla trasmissione vitale e aperta della fede cristiana, cioè alla tradizione, ha permesso al Papa di unire le vicende passate della Chiesa ligure - con figure rilevanti nella storia come i due pontefici della Rovere, Sisto IV e Giulio II, ed esemplari nella testimonianza quali sono stati le sante e i santi ricordati nella cattedrale genovese - a quelle attuali, sintetizzate da tre cardinali arcivescovi metropoliti genovesi che Benedetto XVI ha voluto espressamente ricordare per il servizio alla loro comunità ma anche alla Chiesa universale: da Giuseppe Siri a Tarcisio Bertone, oggi suo segretario di Stato, fino ad Angelo Bagnasco, che presiede la Conferenza episcopale italiana. 

Nella continuità ininterrotta tra passato e presente il cammino della Chiesa guarda al futuro, sicura delle promesse di Gesù: "Chi ha scelto Dio ha ancora nella vecchiaia un futuro senza fine e senza minacce davanti a sé". E scegliere Dio significa per i cristiani prendere le decisioni quotidiane di sempre: la preghiera, soprattutto "uno stile semplice di preghiera domestica", la riscoperta della radice cristiana della domenica, la confessione, le opere di carità che ritrovano il volto di Cristo nelle persone sofferenti ed escluse, la testimonianza dei sacerdoti che devono andare "in cerca della gente" come faceva il Signore, una vita spirituale da coltivare, "una formazione "sostanziosa" più che mai necessaria" per maturare "una fede pensata capace di dialogare in profondità con tutti": non cattolici, non cristiani e non credenti. 

Queste scelte di ogni giorno comportano sempre "il coraggio di andare controcorrente". Sicuri che Dio, anche nelle difficoltà e nel dolore, "non ci abbandona mai". Nella fiducia che risplende davanti al mondo la testimonianza del primato di Dio e della presenza del suo nome nella storia degli uomini.

g.m.v.



(©L'Osservatore Romano 19-20 maggio 2008)



Il Papa va all'essenziale

Benedetto XVI non ama divagare. Nei suoi interventi mira all'essenziale e sa andare al cuore delle questioni che veramente contano. Con una chiarezza pari alla semplicità. Come sta dimostrando anche nei discorsi di Sydney, sin dal primo giorno.

E se subito il Papa ha saputo delineare il senso della sua visita a un'Australia impegnata in uno sforzo per purificare la propria storia e il presente, ripetendo poi ai giovani che Gesù è vicino a ogni essere umano e che la Chiesa è una casa accogliente, nella seconda giornata di questa visita - avvenimento che il rabbino Jeremy Lawrence ha definito storico - è tornato a rivolgere lo sguardo all'unico Signore, incontrando i rappresentanti delle confessioni cristiane, poi quelli di altre religioni e infine i giovani di una comunità di recupero. Non a caso nel giorno in cui una suggestiva Via crucis ha percorso le vie della città. 

Al centro dei tre discorsi Benedetto XVI ha posto Cristo e il suo significato. Per i rapporti tra le diverse Chiese e confessioni cristiane, innanzi tutto. Usando la cordiale franchezza amata dagli australiani, il vescovo di Roma ha sottolineato l'importanza di questa onestà per il progresso del movimento ecumenico che gli sta a cuore e che deve avanzare:  riconoscendo il fondamento del battesimo comune ma mirando alla comune celebrazione eucaristica. Ben sapendo che siamo a un "punto critico" e che si deve vincere la tentazione di considerare la dottrina un ostacolo nel progresso ecumenico rispetto alle opere. Le idee che cercano la verità e i doni che esprimono l'amore sono infatti entrambi "essenziali al dialogo". 

La centralità di Cristo è stata apertamente evocata dal Papa anche nell'incontro, molto cordiale, con i rappresentanti delle diverse religioni presenti in Australia. Nel quadro della libertà religiosa, ovviamente, e in una "armoniosa correlazione tra religione e vita pubblica", tanto più importante quanto più si tende a presentare - come avviene polemicamente in molte società - la religione come causa di divisione. Nei rapporti tra le religioni la possibilità di procedere insieme è larga, soprattutto nel campo dell'educazione:  insegnando la sobrietà e l'attenzione alla dimensione spirituale. Per riconoscere che la religione offre la pace, ma ancor più suscita "la sete della verità". 

E ancora Gesù è tornato nel discorso ai giovani che stanno ritrovando la vita in una comunità di Sydney:  è infatti Cristo - all'origine di ogni realtà, da lui creata e dunque buona - a volere per ogni essere umano la vita, e una vita piena. Che non si può ottenere adorando "altri dei", identificati da Benedetto XVI nei beni materiali, nell'amore possessivo e nel potere. Queste realtà sono buone, purché se ne riconosca la vera origine in Dio e non vengano adorate come idoli. Come ha saputo spiegare benissimo, mostrando l'essenziale.

g.m.v.



(©L'Osservatore Romano 18 luglio 2008)






[Modificato da Caterina63 08/12/2014 20:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)