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Un altro tipo di Ragione

John Waters

BENEDETTO XVI - SORPRESI DA LUI

Ogni sua parola ha avuto lo scopo di portarci «oltre»: noi stessi, l’apparenza, il mondo. Nella certezza che la Chiesa non è opera nostra, ma «l’irrompere di qualcos’altro». Ma anche ora che si ritira nel «silenzio di Dio» continuerà ad accompagnarci al fondo di tutto. Ecco come 

Un padre ci insegna ad aderire, a comprendere più a fondo, a rimandare, a rinunciare, a obbedire in tutta la profondità che questi termini hanno. Un grande padre è sempre una sorpresa per i suoi figli. Fa cose che non si aspettano, ma con una chiarezza che, stranamente, non li sorprende mai. A volte, davanti a un padre veramente grande, appare chiaro che la totalità del compito della paternità è più importante per lui persino del desiderio, così profondamente umano, di essere amato dagli altri esseri umani. Il significato di ciò - di questa intenzione del padre - è che esiste un oltre, verso il quale occorre andare, anche a fronte del sacrificio di ciò che è presente, disponibile e profondamente desiderato. È una dura lezione, per il maestro come per il discepolo, per il padre come per i figli, ma è la più importante di tutte.
Un padre così è stato, per gli ultimi otto anni, papa Benedetto XVI. Come ci ha commosso, con le sue parole che vanno oltre le parole! Come ci ha accompagnato con la sua mite certezza! Come ci ha tenuti vicini a sé, perché potessimo farci più vicini a Lui!
Ho molto amato Benedetto XVI proprio perché, da padre, nella vita di ogni giorno ho potuto vedere la limpidezza e la grandezza delle sue intenzioni e dei suoi desideri per il mondo che ha amato con così grande paternità.
Questo amore mi ha lasciato dapprima ammutolito, all’udire della sua decisione di abbandonare il ministero papale. Ma poi ho avuto la grazia di leggere le parole di un altro padre, Julián Carrón, che ha parlato della «mossa di libertà senza precedenti del Santo Padre, che privilegia innanzitutto il bene della Chiesa. Così egli mostra a tutti di essere totalmente affidato al disegno misterioso di un Altro. Chi non desidererebbe una simile libertà? Il gesto del Papa è un richiamo potente a rinunciare a ogni sicurezza umana, confidando esclusivamente nella forza dello Spirito Santo...».
Ecco. Anche noi, a cui è stato insegnato a vivere questi pensieri, possiamo dimenticarcene.
Questo ci spalanca un’altra possibilità: che il vero gesto del Papa sia racchiuso nel suo stesso significato, che ancora una volta il Santo Padre ci stia ricordando che esiste una forma diversa di ragione, e tipi differenti di ragioni, da cui ogni cosa prende forma.

Non è forse stato questo il tema costante del papato di Benedetto XVI? Non è apparso evidente in ogni suo gesto, in ogni intervento, in ogni incontro?
Il Papa non ci lascia, ma ci sta accompagnando al fondo della questione. Con questo gesto ha illuminato, in un modo nuovo, ogni cosa che lo ha preceduto, mostrando che le parole non sono semplicemente parole, ma segni di un tipo diverso di realtà. Con questo gesto, il più radicale degli uomini ci ha ricordato che la radicalità più profonda non sta in lui che la mostra, ma in un Altro, e che questa radicalità è trascendente ed eterna. Il Papa ha tenuto in serbo il vino migliore sino alla fine!
Otto anni fa, eravamo stati addolorati, ma insieme edificati, dal modo con cui il suo predecessore, Giovanni Paolo II, ci aveva lasciato. Dopo aver passato un quarto di secolo insegnandoci come si vive, il Papa ci aveva chiamato al suo capezzale per insegnarci come si muore. In questo modo, ci aveva costretto a porci davanti alla domanda che stava dietro a tutto ciò che ci aveva detto: è vero che Cristo vive in noi, con noi? E attraversando la pioggia delle nostre lacrime, il sole era sbucato ad illuminare tutto. È vero!
Oggi il suo amico e successore ci ha di nuovo riportato alla domanda, anche se potrebbe sembrare impossibile. Ma davvero è così? Come può un uomo accompagnarci più in là della sua morte? 
Benedetto ha fatto esattamente questo. Ci ha insegnato che la Presenza di cui parliamo trascende non solo la morte, ma anche la vita. È più grande e diversa rispetto a entrambi questi fenomeni. È qualcosa che è al di là non solo delle cose terrene, ma della stessa dimensione terrena.

«Più forte della pioggia». Ricordo un amico che mi raccontava i fatti straordinari accaduti all’aeroporto di Cuatro Vientos, a Madrid, nell’estate del 2011, quando Benedetto XVI celebrò la messa davanti a due milioni di ragazzi nella Giornata mondiale della Gioventù. Per tutto il giorno, malgrado la temperatura fosse intorno ai 40 gradi, la folla dei ragazzi aveva cantato e ballato aspettando il Papa. Al suo arrivo, lo aveva accolto con grandissimo entusiasmo ed affetto. Più tardi, quando il Papa cominciò la sua omelia, ci fu un improvviso cambiamento di tempo. Se durante tutto il giorno i pompieri avevano spruzzato acqua sulla folla che andava crescendo per rinfrescare la gente, in quel momento la pioggia cominciò a cadere a scrosci trasversali che non risparmiarono nessuno dall’infradiciarsi.

Per qualche minuto ci fu confusione; il Papa interruppe la sua omelia e non si capiva bene se la cerimonia avrebbe potuto continuare. Poi il Papa riprese la parola, e disse che Dio aveva mandato la pioggia come un dono. Disse ai giovani che nella vita avrebbero incontrato problemi ben più grandi di quella pioggia, ma che non dovevano avere paura perché sarebbero stati sempre accompagnati. «La vostra fede è più forte della pioggia», disse. Poi, mentre il temporale non accennava a smettere, si inginocchiò davanti al Santissimo e tra i due milioni di giovani assiepati a Cuatro Vientos cadde il silenzio.
Più tardi, dei poliziotti di lunga esperienza dichiararono di non aver mai visto nulla di simile. Erano concordi nel dire che se una tempesta simile si fosse scatenata ad un concerto rock o ad una partita di calcio avrebbe potuto essere una catastrofe. Lì c’era stato silenzio, calma, davanti a qualcosa di immenso e incommensurabilmente affascinante. Da sette anni, la Spagna viveva sotto un regime che cercava di estromettere il Mistero dalla vita civile, non semplicemente opponendosi a Dio, ma cercando di occuparne il posto nella realtà. Eppure, quello che abbiamo visto a Madrid in quel fine settimana era che i ragazzi spagnoli, e i loro coetanei di diverse parti del mondo, sapevano riconoscere qualcosa in grado di offrire più speranza di quello che i politici chiamano progresso, e più bello di ciò che i giornalisti chiamano libertà.

Attesa e desiderio. Questo è stato il marchio del tempo di Benedetto, e il tono della sua voce nel mondo. Ogni sua parola è stata come concepita in uno sforzo di condurci oltre l’apparenza immediata, a ciò che sembra ovvio, oltre le nostre impressioni e reazioni istintive, oltre noi stessi e il mondo, verso un nuovo modo di vedere e usare la ragione. Ha assunto questo ruolo con la massima serietà, ricordando sempre che il compito del Papa è di stare al culmine dell’umana realtà e di puntare lo sguardo oltre. Quindi - ci ha costantemente ricordato - la Chiesa stessa è ultimamente un segno più che una istituzione. E adesso ce lo ricorda di nuovo. Perché la Chiesa «non è una nostra istituzione, ma l’irrompere di qualcos’altro», ha scritto in La Comunione nella Chiesa, di conseguenza «non possiamo mai crearcela da noi». Al contrario, noi preghiamo in ginocchio, attendiamo e desideriamo.
Un anno fa, in occasione della 46ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni, il Papa ci chiese di considerare l’importanza del silenzio. Esiste un «rapporto tra silenzio e parola» - diceva, sottolineando come i due fenomeni non sono opposti, bensì due elementi diversi dello stesso meccanismo, «due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone». Lo definiva «il silenzio di Dio», un silenzio che diviene contemplazione, e dal quale nasce una nuova Parola, la Parola di salvezza.

Ora questo grande Papa si ritirerà nel «silenzio di Dio». Non sarà però un rifugio, ma solo un’altra fase tra le diverse modalità con cui lui ci ha parlato. Non ci abbandonerà, ma ci accompagnerà in una maniera nuova. Chiunque sostituirà Benedetto XVI sarà il Papa, naturalmente, e diventerà il nostro nuovo padre, portando una nuova ricchezza nella nostra vita. E naturalmente, continuerà ad esserci un solo Papa. Ma la sensazione che noi continueremo ad avere, della presenza del nostro amato Benedetto XVI, che prega inginocchiato da qualche parte, non lontano da noi, cambierà ogni cosa, tenendo sempre desta in noi la memoria della novità che ci è stata promessa. Non una novità fine a se stessa, certo che no, ma una novità che rende visibile, in modo inaspettato, miracoloso, il significato di tutte queste cose, di ogni cosa: che Colui che ci fa regna supremo su tutte le cose terrene, e su ogni essere terreno, e che il Padre celeste ci parla attraverso le parole e i silenzi di uomini che sono tra noi e come noi, ma che sono stati investiti della pesante responsabilità di condurci verso ciò che ci attende.









Quella volta che mi chiese: «lei è una vera poetessa?»

Ol’ga Sedakova.

BENEDETTO XVI

All’inizio non ci ho creduto. Mi sembrava inverosimile. Soprattutto perché, io come molti altri, avevamo in mente l’immagine del Pontificato precedente. Negli ultimi anni di Giovanni Paolo II alcuni avevano espresso l’opinione che in un tale stato di debolezza sarebbe stato meglio ritirarsi; ma Giovanni Paolo mostrò che il ministero vissuto nella debolezza ha un grande valore spirituale. Ad un mondo che ha paura della malattia e della vecchiaia, egli testimoniò la grande forza che «si compie nella debolezza». E il suo sacrificio mi aveva suscitato profonda venerazione.

La stessa profonda venerazione mi suscita ora la decisione di Benedetto XVI. Leggendo il testo della sua Declaratio, è impossibile non avvertire l’immenso lavoro spirituale sotteso a questa decisione, e come essa sia stata presa al cospetto di Dio che aveva affidato al Papa la Sua Chiesa, la «nave della Chiesa». Questa sensazione di uno stare di fronte al volto di Dio, di una profonda coscienza della responsabilità storica, è ciò che ho sempre percepito nelle opere teologiche di Benedetto XVI, anche di quelle firmate ancora con il nome di Joseph Ratzinger. Non c’è niente di esteriore, tutto scaturisce dal profondo di un’anima colma di fede e di un’intelligenza fulgida.

La sua sensibilità del momento storico, della drammatica crisi attraversata dalla nostra civiltà emerge tutta in un piccolo episodio. Una volta, insieme ad un gruppo di uomini di cultura venuti da Mosca, ebbi l’occasione di incontrare il cardinale Ratzinger, e gli venimmo presentati tutti, uno a uno, con il nome e la professione. Io fui presentata come «poetessa». «Una vera poetessa?», chiese Ratzinger, guardandomi con molta attenzione (il suo sguardo mi ricordava un professore durante l’esame). Io ero imbarazzata a rispondere, ma i miei compagni (tra loro c’era anche il filosofo Sergej Averincev) confermarono con entusiasmo. «Allora mi trovi le sue poesie tradotte in qualunque lingua», disse ad uno dei suoi collaboratori: «Questa è una cosa molto importante».

L’audacia. «Perché è importante?», chiesi io stupita. Che cosa mai poteva importare ad un alto personaggio della Chiesa della qualità dei versi della prima venuta, tanto più in una lingua straniera? «Finché continueranno ad esistere dei veri poeti, dei veri artisti - rispose lui - significa che il nostro mondo non è ancora abbandonato dall’ispirazione, cioè dallo Spirito». L’ispirazione artistica - quando si tratti di un «vero» artista - aveva evidentemente per lui il valore di una testimonianza.
Un Papa che si era soliti definire «conservatore» ha preso una decisione di incredibile novità. Mi hanno commosso nel profondo le parole con cui conclude il suo messaggio, dicendo che affida la Chiesa al suo Capo, Cristo. Dietro a questa frase io vedo una sorta di profondissima visione evangelica dello stato delle cose nel mondo. Lui, sommo pastore, è stato mandato a «pascere le pecore», ma queste pecore appartengono allo stesso Cristo.

Io percepisco in questo la stessa libertà e audacia spirituale con cui Joseph Ratzinger, già nel 1969, pensava al futuro della Chiesa, e sono sicura che anche ora queste sue previsioni spaventano molti, mentre per molti diventano la strada: «Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti. Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto».







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)