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NON HO MAI VISTO UNO SGUARDO COSì LIETO

Luca Doninelli

BENEDETTO XVI

Gli avvenimenti hanno il potere di riaccendere la memoria, illuminando di senso particolari che erano rimasti nascosti, quasi dimenticati. Anche noi siamo come quei ricordi: quasi non esistiamo finché Qualcosa viene a illuminarci, a darci senso. 

Quattro luglio 2011. Due anni dopo il famoso incontro nella Cappella Sistina, con alcuni artisti ero stato invitato a celebrare con un dono personale gli ottantacinque anni di Benedetto XVI, in Vaticano. Era una giornata torrida e io sudavo nel mio abito grigio. 

Il Papa tardava a giungere: un problema improvviso, enorme, rispetto al quale il nostro piccolo raduno era pressoché niente, lo aveva costretto a un lavoro supplementare. 

Giunse chiedendoci scusa per il ritardo. Sorrideva, disse di essere felice di trovarsi lì, con noi. Intanto erano circolate voci circa la causa di quel ritardo, e io mi stupii all’idea che, dopo quel momento che doveva essere stato per lui molto complicato, potesse con tanta semplicità e letizia donarsi a noi.
Invece si interessò a ciascuno, rivolse domande a tutti. Quando me lo trovai davanti, gli chiesi in ginocchio di pregare per il mio amico Emanuele, che era molto malato. Lui si fece ripetere il nome per ricordarlo bene e mi assicurò la sua preghiera. 

Non ho mai visto uno sguardo così lieto e fiducioso. Quest’uomo dall’intelligenza impareggiabile affidava come un bambino a Cristo tutti gli istanti della sua vita. Oggi non posso non pensare a quello sguardo, a quella luce. E anche se, sicuramente, un’ombra tragica grava sul cammino della Chiesa, non posso disgiungere la sua libera decisione da quello sguardo. 

Dio può metterci alla prova anche con il Suo silenzio, dice quello sguardo, ma non ci abbandona, e non abbandona la Sua Chiesa, nemmeno per un istante. Questo abisso di fiducia e di positività è stato il suo grande dono di quel giorno, per tutti i giorni.






DA LUI HO IMPARATO COME SI Può INSEGNARE Ciò CHE è VERO

Andrea Simoncini

BENEDETTO XVI

Provare a sintetizzare in poche righe ciò che debbo a Benedetto XVI è davvero impossibile. A me sembra che tutto quel che ha detto e tutto quel che ha fatto abbia una sola spiegazione razionale: Cristo. Cristo presente, adesso. 
È stato don Giussani a farmi amare la figura di san Pietro, quando tante volte ce l’ha descritto assieme a Gesù che, di fronte ai suoi mille peccati e alla sua totale incapacità, gli chiede: «Mi ami tu?». E Pietro, pieno di tradimenti, ma completamente “travolto” dalla simpatia umana per quell’Uomo, risponde senza esitazione: «Sì! Lo sai che ti amo». Ecco, se debbo confessare l’impressione che mi ha sempre suscitato questo Papa, fino al suo ultimo gesto della rinuncia, è che davvero siamo davanti al “successore” di Pietro. Benedetto XVI è proprio uno come lui: un uomo affascinato da Gesù presente adesso, dominato dalla attrattiva e dalla certezza suscitata dal figlio di Dio, presente ora. 

Se debbo ricordare un momento particolare in cui questa consapevolezza mi ha sorpreso, è stata l’omelia del 2012 dinanzi al Ratzinger Schülerkreis, il “circolo” dei suoi ex-allievi a Castelgandolfo. Ero particolarmente curioso nel leggere questo suo intervento perché mi chiedevo: «Il Papa è stato ed è un teologo di fama mondiale, un vero maestro. Ebbene, che tipo di professore sarà stato? Come avrà educato i suoi allievi? Come avrà insegnato la verità?». Al fondo, questa mia domanda nasceva da una sorta di “dilemma” che, insegnando anch’io in università, mi sono sempre portato dietro: ma come si fa ad insegnare ciò che è “vero”? Oggi, infatti, questa parola - “verità” - porta con sé un sentore di “violenza”: se uno ritiene che la sua posizione sia “vera”, questo vuol dire che le altre sono false e, allora, di che discutiamo? La discussione può avere un solo scopo: convincerti. 

Debbo dire che il Papa, in quell’omelia, sembrava parlasse a me. «Chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata? Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità». E fin qui, mi sono sentito descritto nelle mie domande e perplessità; ma sono rimasto del tutto sbalordito da come il Papa prosegue: «Nessuno può dire: ho la verità - questa è l’obiezione che si muove - e, giustamente, nessuno può avere la verità. È la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei».
Nessuno può dire «ho la verità», e giustamente.

La verità, infatti, non è un discorso o una teoria, ma è un Uomo vivente.
Di colpo mi sono così reso conto che per anni avevo ceduto in partenza all’idea che la verità fosse una misura, una formula capace di spiegare con esattezza tagliente l’accadere delle cose. Se fosse così, affermarla sarebbe davvero intollerabile. Finalmente ho compreso da dove nasce il timore di tanti miei amici e colleghi - e talvolta mio - di fronte alla parola “verità”: ne abbiamo una idea ridotta, la verità è uno schema, una misura. Mentre nel Papa la verità è un uomo eccezionale che ci viene incontro e ci chiede: «Mi ami tu, più di tutto?». 

Pellegrini della verità, questo siamo. «Non possediamo la verità, è lei che ci possiede!». È un capovolgimento assoluto. La verità è una relazione, un affectus. E tutto quel che possiamo fare è non frapporre niente alla sua attrattiva.






HO VISSUTO AFFAMATO DEL SUO MAGISTERO

padre Aldo Trento

BENEDETTO XVI

La decisione del Santo Padre, dopo alcuni istanti di smarrimento, grazie a quanto ci ha detto Julián Carrón mi ha colmato di stupore e di silenzio. E quello che mi era apparso come un terremoto, che mi aveva privato di ogni certezza, si è trasformato in una provocazione: ma io in chi pongo la mia consistenza? Chi è il mio centro affettivo, qual è la ragione della mia vita? La decisione del Papa si basa su risposte chiare a queste domande. «L’incredibile libertà di un uomo afferrato da Cristo», ha scritto Carrón. «Un uomo afferrato da Cristo» come san Paolo, o dal Mistero, come Abramo, Giacobbe, Mosè, uomini educati a vivere stando con lo sguardo, l’intelligenza e il cuore di fronte alla grande Presenza.

Benedetto XVI mi ha testimoniato questa libertà di lasciarsi guidare dalla voce del Mistero, vivendo intensamente, attraverso la preghiera e il silenzio, la realtà, il luogo dove il Mistero è divenuto un Tu in Cristo Gesù. 

Durante questi anni di Pontificato ho percepito con stupore la sintonia tra il suo magistero, espressione della sua vita di fede, e il carisma del Servo di Dio don Giussani. Ciò che mi ha segnato profondamente, dando un gusto nuovo alla mia vocazione missionaria, è stata la centralità di Cristo, espressa in modo profondo e commovente già nelle sue prime parole, in cui ci invitava a non aver timore di Cristo, ma a riconoscere in Lui l’Unicum che comprende pienamente l’uomo rivelandogli ciò che ha nel cuore. Cristo non solo non ci toglie nulla, ma ci dà tutto. 

Questa certezza, che ha sempre mosso la sua vita, ha trovato in me non solo l’unica ragione della mia vita, la sua consistenza, la sua gioia, ma è stata anche l’origine di una passione missionaria senza precedenti. Quante volte tornando a casa dopo un lungo viaggio attraverso il Paraguay e contemplando per tutto il cammino l’immensa pianura costellata di case, mi ritrovavo a piangere al pensiero che Cristo non era ancora arrivato là!

Ho vissuto affamato del suo magistero al punto che - senza badare al costo - ho deciso di pubblicare ogni mese tutto ciò che il Santo Padre diceva, poiché ero certo che fosse l’unico strumento in un Paese e in un Continente dove non esiste quella tradizione romana che avrebbe potuto educare il mio popolo alla fede vissuta come un Avvenimento, superando quel moralismo pauroso ed asfissiante della vita.

La passione del Santo Padre per Cristo si esprime come passione totale per l’uomo, per il cuore dell’uomo. In questo senso il suo sguardo alla realtà e a tutto ciò che nasce da un amore grande alla realtà mi costringe a domandarmi, per esempio se la clinica è veramente un luogo di evangelizzazione, come lui ha affermato nell’ottobre 2012 alla conclusione di un Congresso medico celebrato a Roma.
O come quando nel suo messaggio per la Giornata mondiale del malato, celebrata nel suo amato santuario di Altötting, in Germania, ha ricordato che dobbiamo «riconoscere nel volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo». Sono provocazioni che mi hanno sempre educato a nutrire una grande passione affinché ciò che Dio ha operato nella mia vita e mediante la mia umile persona possa essere segno della Sua gloria nel mondo. 

Osservandolo e seguendolo come un figlio ho imparato a sentire il bisogno del silenzio, di quel silenzio pieno della Presenza di Cristo. Ho gustato ogni giorno di più la bellezza e l’amore per Cristo presente nell’Eucarestia, fino a che questa è diventata la guida e il fondamento della mia vita e di tutti i miei gesti. La modalità con cui vivevo la liturgia, momento culminante della preghiera e fonte della bellezza che raduna in armonia tutte le cose, mi ha portato a vivere ogni cosa con una tensione all’Infinito che mi consentiva di curare ogni particolare, favorendo il cammino educativo di tutti.
Infine da Benedetto XVI ho imparato, come da don Giussani, che il vertice della carità è la bellezza, l’unica capace di risvegliare il cuore assopito, anestetizzato, dell’uomo di oggi.




Quando disse che Dio non è un’ipotesi distante

Marco Bersanelli

BENEDETTO XVI

La figura di Benedetto XVI ha illuminato con forza straordinaria e con grande dolcezza la vita di moltissimi uomini e donne del nostro tempo. Come migliaia e migliaia di altre persone anch’io sono rimasto conquistato da questo Papa grande e semplice, dalle sue parole, dai suoi giudizi, dal suo modo di porsi così libero e pieno di ragioni. 

Ricordo che quando fu eletto otto anni fa, nel mondo accademico e scientifico le reazioni di molti colleghi furono titubanti, se non negative. Ma poi pian piano in tanti di loro si è fatta strada una crescente curiosità, un rispetto, un’ammirazione. Non in tutti, certo, ma in coloro che hanno guardato. Forse queste persone - quelle che ho in mente - non si sono convertite, ma hanno visto in azione una umanità convincente, non riducibile a schemi pregressi, e hanno potuto riconoscere che la fede è in grado di generare un tipo umano credibile, instancabilmente teso al bene del mondo e di ogni persona, con un acume umano forse irreperibile altrove.

Papa Benedetto ha testimoniato che Cristo è una risposta plausibile all’immensità del desiderio umano, uno spartiacque nella storia del cosmo, il volto del mistero accessibile alla nostra umanità: «Per noi Dio non è un’ipotesi distante, non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il Big Bang. Dio si è mostrato in Gesù Cristo. Nel volto di Gesù Cristo vediamo il volto di Dio. Nelle sue parole sentiamo Dio stesso parlare con noi». 

Benedetto XVI è stato una presenza imponente nel mezzo dell’umanità contemporanea, inquieta, lacerata. Ha parlato al cuore di noi figli del Terzo Millennio, consapevole del senso di soffocamento in cui rischiamo di ingabbiare la nostra anima, indaffarati come siamo a rincorrere qualche forma vecchia o nuova di potere. E ha mostrato che Cristo comprende fino al midollo questa nostra sofferenza e ci viene incontro, immeritatamente: «Non soltanto noi esseri umani siamo inquieti in relazione a Dio. Il cuore di Dio è inquieto in relazione all’uomo». 

La libertà inaudita con cui Benedetto XVI ha concepito il suo gesto di rinuncia al Pontificato ha sorpreso tutti e almeno per un attimo ha lasciato il mondo intero senza parole. Uno stupore che questo Papa ci aveva già destato tante altre volte per la nettezza della sua testimonianza di fronte al mondo, intervenendo davanti ai potenti del Vecchio e del Nuovo continente, o davanti agli ultimi nel Terzo Mondo, eludendo polemiche, superando i pregiudizi, sorprendendoci per la sua capacità di valorizzare ogni traccia di bene presente in chiunque e in qualunque cultura.
Ora credo che, come a migliaia di altre persone, mi mancherà. Ma certamente il suo silenzio sosterrà la voce di chi gli succederà, e sarà per tutti noi una modalità inedita e potente con cui il Mistero si farà presente alla nostra memoria.






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di mons. Giampaolo Crepaldi*

 

ROMA, domenica, 21 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il tentativo della stampa di coinvolgere Benedetto XVI nella questione pedofilia è solo il più recente tra i segni di avversione che tanti nutrono per il Papa. Bisogna chiedersi come mai questo Pontefice, nonostante la sua mitezza evangelica e l’onestà, la chiarezza delle sue parole unitamente alla profondità del suo pensiero e dei suoi insegnamenti, susciti da alcune parti sentimenti di astio e forme di anticlericalismo che si pensavano superate. E questo, è bene dirlo, suscita ancora maggiore stupore e addirittura dolore, quando a non seguire il Papa e a denunciarne presunti errori sono uomini di Chiesa, siano essi teologi, sacerdoti o laici.

Le inusitate e palesemente forzate accuse del teologo Hans Küng contro la persona di Jopeph Ratzinger teologo, vescovo, Prefetto della Congregazione della Fede e ora Pontefice per aver causato, a suo dire, la pedofilia di alcuni ecclesiastici mediante la sua teologia e il suo magistero sul celibato ci amareggiano nel profondo. Non era forse mai accaduto che la Chiesa fosse attaccata in questo modo. Alle persecuzioni nei confronti di tanti cristiani, crocefissi in senso letterale in varie parti del mondo, ai molteplici tentativi per sradicare il cristianesimo nelle società un tempo cristiane con una violenza devastatrice sul piano legislativo, educativo e del costume che non può trovare spiegazioni nel normale buon senso si aggiunge ormai da tempo un accanimento contro questo Papa, la cui grandezza provvidenziale è davanti agli occhi di tutti.

A questi attacchi fanno tristemente eco quanti non ascoltano il Papa, anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici. Quanti non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna. Il fenomeno è molto grave in quanto anche molto diffuso.

Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di controformazione e di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo. Per molti la Dominus Iesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte.

La situazione è grave, perché questa divaricazione tra i fedeli che ascoltano il Papa e quelli che non lo ascoltano si diffonde ovunque, fino ai settimanali diocesani e agli Istituti di scienze religiose e anima due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero espressione di due Chiese diverse e procurando incertezza e smarrimento in molti fedeli.

In questi momenti molto difficili, il nostro Osservatorio si sente di esprimere la nostra filiale vicinanza a Benedetto XVI. Preghiamo per lui e restiamo fedelmente al suo seguito.

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Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân”.

   

[Modificato da Caterina63 14/07/2015 13:24]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)