DIFENDERE LA VERA FEDE

LA DOTTRINA ufficiale CATTOLICA SUL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

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    00 21/02/2014 11:16

    COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

    LA DOTTRINA CATTOLICA SUL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

    (1977)

     

    A) TESTO DELLE PROPOSIZIONI APPROVATE « IN FORMA SPECIFICA » DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

    B) LE « SEDICI TESI CRISTOLOGICHE » DI GUSTAVE MARTELET, S.I., APPROVATE « IN FORMA GENERICA » DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

     

     
    A) TESTO DELLE PROPOSIZIONI APPROVATE « IN FORMA SPECIFICA » 
    DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE 
    *

    Introduzione

    L’insegnamento del Concilio Vaticano II sul matrimonio e la famiglia, sebbene sparso in diversi documenti quali la Lumen Gentiumla Gaudium et Spes, l’Apostolicam Actuositatem, ha prodotto in questi ambiti un rinnovamento teologico e pastorale sulla linea di altre ricerche che avevano anticipato questi testi.

    Tuttavia l’insegnamento conciliare è stato subito oggetto delle contestazioni del « post-concilio » in nome della secolarizzazione, di una severa critica della religione popolare giudicata troppo « sacramentalista », dell’opposizione alle istituzioni in generale e del moltiplicarsi dei matrimoni dei divorziati. Anche alcune scienze umane, « fiere della loro nuova gloria », hanno giocato un ruolo importante in questo campo.

    Si è così imposta all’attenzione dei membri della Commissione Teologica Internazionale la necessità di una riflessione al tempo stesso costruttiva e critica.

    Fin dal 1975, con l’approvazione del loro presidente, il Cardinal Šeper, decisero di mettere nel loro programma di studio alcuni problemi dottrinali riguardanti il matrimonio cristiano. Una sottocommissione si mise subito al lavoro per preparare i lavori della sessione del dicembre 1977. Questa sottocommissione era composta dai Professori B. Ahern, C. Caffarra, Ph. Delhaye (Presidente), W. Ernst, E. Hamel, K. Lehmann, J. Mahoney (moderatore della discussione), J. Medina Estevez, O. Semmelroth.

    La materia fu divisa in cinque grandi temi che vennero introdotti da ricerche di lavoro, « relazioni », « documenti ». Il Prof. Ernst diresse la prima giornata dedicata al matrimonio come istituzione. La sacramentalità del matrimonio e il suo rapporto con la fede e il battesimo vennero studiati sotto la direzione del Prof. K. Lehmann. Alcune nuove prospettive, illustrate dal Prof. Caffarra, sul vecchio problema « contratto-sacramento » considerandolo nell’ottica della storia della salvezza in relazione soprattutto con la creazione e la redenzione, hanno preceduto i lavori guidati dal Prof. E. Hamel sull’indissolubilità. La situazione dei divorziati risposati interessa in primo luogo la pastorale, ma ha pure una incidenza sul problema della indissolubilità e dei poteri della chiesa in questo ambito. Questo problema è stato esaminato sotto la guida di Mons. Medina-Estevez, con riferimento a un documento del comitato pontifico per la famiglia.

    Queste proposizioni sono state votate a maggioranza assoluta dai membri della Commissione Teologica Internazionale, ciò significa che questa maggioranza le approva non solo nella loro sostanziale ispirazione, ma pure nei loro termini e nella loro attuale redazione.

    Ph. Delhaye
    Segretario generale della 
    Commissione Teologica Internazionale,
    Presidente della Sottocommissione 
    Problemi dottrinali del matrimonio cristiano

     

    PROPOSIZIONI

    1. Istituzione

    1.1. Aspetto divino e umano del matrimonio

    Il patto matrimoniale si basa su strutture preesistenti e permanenti che determinano la diversità tra l’uomo e la donna. Esso è pure voluto come istituzione dagli sposi sebbene, nella sua forma concreta, subisca i diversi cambiamenti storici e culturali, come anche le diversità personali. È un’istituzione voluta anche da Dio creatore, sia per l’aiuto che gli sposi debbono darsi reciprocamente nell’amore e nella fedeltà, sia per l’educazione da dare, nella comunità familiare, ai figli nati da questa unione.

    1.2. Il matrimonio « in Cristo »

    Appare chiaramente nel nuovo Testamento che Gesù ha confermato questa istituzione che esisteva « dal principio » e ne ha eliminato i successivi aspetti negativi (Mc 10, 2-9; 10-12). Le ha ridato tutta la sua dignità e le sue iniziali caratteristiche. Gesù ha santificato questo stato di vita (GS 48, 2) inserendolo nel mistero d’amore che lo unisce come redentore alla sua chiesa. Per questo è compito della chiesa la guida pastorale e l’organizzazione del matrimonio cristiano (cf. 1 Cor 7, 10 ss.).

    1.3. Gli apostoli

    Le lettere del nuovo Testamento esigono da tutti il rispetto per il matrimonio (Ebr 13, 4) e, in risposta ad alcune critiche, lo presentano come un’opera positiva di Dio creatore (1 Tim 4, 1-5). Valorizzano il matrimonio dei fedeli cristiani perché inserito nel mistero dell’alleanza e dell’amore che uniscono Cristo e la chiesa (Ef 5, 22-33; cf. GS 48, 2). Richiedono di conseguenza che il matrimonio si celebri « nel Signore » (1 Cor 7, 39) e che la vita degli sposi sia condotta secondo la loro dignità di « nuova creatura » (2 Cor 5, 17), « in Cristo » (Ef 5, 21-33). Mettono in guardia i fedeli dai costumi pagani in questo campo (1 Cor 6, 12-20; cf. 6, 9-10). Le chiese apostoliche si basano su un « diritto proveniente dalla fede » e vogliono assicurarne la stabilità; per questo formulano direttive morali (Col3, 18 ss.; Tt 2, 3-5; 1 Pt 3, 1-7) e disposizioni giuridiche che portano a vivere il matrimonio « secondo la fede » nelle diverse situazioni e condizioni umane.

    1.4. I primi secoli

    Durante i primi secoli della storia della chiesa, i cristiani hanno celebrato il loro matrimonio « come gli altri uomini » (A Diogneto V, 6), sotto la presidenza del padre di famiglia, attraverso i soli gesti e i riti domestici, come per esempio quello di unire le mani dei futuri sposi. Tuttavia, essi hanno sempre tenuto presenti « le leggi straordinarie e veramente paradossali della loro società spirituale » (A Diogneto V, 4). Hanno eliminato dalla loro liturgia domestica ogni aspetto della religione pagana. Hanno dato una importanza particolare alla procreazione e all’educazione dei figli (ibid., V, 6); hanno accettato che i vescovi esercitassero una vigilanza sui loro matrimoni (Ignazio di Antiochia, Lettera a Policarpo V, 2). Hanno espresso nel loro matrimonio una particolare sottomissione a Dio e un rapporto con la loro fede (Clemente di Alessandria, Stromata IV, 20). E a volte, in occasione del matrimonio, hanno partecipato alla celebrazione del sacrificio eucaristico e hanno ottenuto una particolare benedizione (Tertulliano, Lettera alla moglie II, 9).

    1.5. Le tradizioni orientali

    Nelle chiese orientali, fin dall’antichità, i pastori hanno partecipato attivamente alla celebrazione dei matrimoni insieme ai genitori oppure sostituendoli. Questo cambiamento non è frutto di un’usurpazione. Si realizzò proprio dietro richiesta delle famiglie e con l’approvazione delle autorità civili. In seguito a quest’evoluzione, alcune cerimonie compiute originariamente nell’ambito delle famiglie vennero a poco a poco incluse negli stessi riti liturgici. Per cui si formò il concetto che i ministri del rito del « mysterion » matrimoniale non erano solo i coniugi, ma anche il pastore della chiesa.

    1.6. Le tradizioni occidentali

    Nelle chiese d’occidente, avvenne l’incontro tra la visione cristiana del matrimonio e il diritto romano. Da ciò sorse un problema: « Qual è l’elemento costitutivo del matrimonio dal punto di vista giuridico? ». Si stabilì che il consenso degli sposi era da ritenere l’unico elemento costitutivo. Per questo, fino all’epoca del concilio di Trento, vennero considerati validi i matrimoni clandestini. Tuttavia, da molto tempo, la chiesa aveva desiderato che si celebrassero anche alcuni riti liturgici, che ci fosse la benedizione del presbitero e la sua presenza come testimone della chiesa. Tale presenza del parroco e di altri testimoni è diventata la forma canonica ordinaria; il decreto Tametsi la dichiarò necessaria per la validità.

    1.7. Le nuove chiese

    È da auspicarsi che vengano poste in essere, sotto il controllo dell’autorità ecclesiastica, nuove norme liturgiche e giuridiche del matrimonio cristiano per i popoli evangelizzati di recente. Questo è anche il desiderio del concilio Vaticano II e del nuovo Ordo per la celebrazione del matrimonio. Potranno così essere armonizzati la realtà del matrimonio cristiano e i valori autentici racchiusi nelle tradizioni di questi popoli.

    Questa diversità di norme dovuta alla pluralità delle culture è compatibile con l’unità essenziale. Non va quindi al di là dei limiti di un legittimo pluralismo.

    Il carattere cristiano ed ecclesiale dell’unione e del dono reciproco degli sposi può infatti essere espresso in diversi modi, per il battesimo da essi ricevuto e per la presenza di testimoni, fra i quali ha un ruolo preminente il « presbitero competente ».

    Oggi possono forse sembrare opportuni alcuni adattamenti canonici di questi diversi elementi.

    1.8. Adattamenti canonici

    La riforma del diritto canonico deve tener conto della visione globale del matrimonio, delle sue dimensioni personali e sociali. La chiesa infatti deve sempre aver coscienza che le disposizioni giuridiche servono ad aiutare a promuovere condizioni sempre più attente ai valori umani del matrimonio. Tuttavia, non è pensabile che questi adattamenti possano vertere sulla totalità della realtà del matrimonio.

    1.9. Aspetto personalistico dell’istituzione

    « Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno della vita sociale » (Gaudium et Spes 25). Come « intima comunità di vita e d’amore coniugale » (GS 48) il matrimonio è un luogo e un mezzo capace di favorire il bene delle persone secondo la loro vocazione. Per questo, il matrimonio non può mai essere considerato come una realtà che sacrifica le persone a un bene comune esterno a loro. D’altronde « il bene comune » è « l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente » (GS 26).

    1.10. Struttura e non sovrastruttura

    Nonostante che il matrimonio sia condizionato al suo inizio e per tutta la sua durata dalla realtà economica, non è una sovrastruttura della proprietà privata dei beni e dei mezzi di produzione. Certamente, le forme concrete di realizzazione del matrimonio e della famiglia possono dipendere dalle condizioni economiche. Ma l’unione totale di un uomo e di una donna nel patto coniugale corrisponde innanzitutto alla natura umana e alle esigenze in essa poste dal Creatore. È questa la ragione profonda per cui il matrimonio, invece di impedirla, favorisce ampiamente la maturazione personale degli sposi.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 21/02/2014 11:17

    2. Sacramentalità

    2.1. Simbolo reale e segno sacramentale

    Gesù Cristo ha fatto riscoprire in modo profetico la realtà del matrimonio come era stata voluta da Dio fin dall’origine del genere umano (cf. Gn 1, 27; Mc 10, 6 e Mt 19, 4; Gn 2, 24; Mc 10, 7-8 e Mt 19, 5). L’ha ristabilita con la sua morte e risurrezione. Per questo il matrimonio cristiano si vive « nel Signore » (2 Cor 7, 39); ed è determinato dagli elementi dell’opera salvifica.

    Già nell’antico Testamento, l’unione matrimoniale è una figura dell’alleanza tra Dio e il popolo d’Israele (cf. Os 2; Ger 3, 6-13; Ez 16, e 23; Is 54). Nel nuovo Testamento, il matrimonio cristiano assume una dignità maggiore, perché è la rappresentazione del mistero che unisce Cristo Gesù e la chiesa (of. Ef 5, 21-33). Questa analogia viene chiarita più profondamente attraverso l’interpretazione teologica: l’amore supremo e il dono del Signore fino alla morte, come pure il legame fedele e irrevocabile della chiesa sua sposa diventano modelli ed esempi per il matrimonio cristiano. Questa somiglianza è una relazione di autentica partecipazione all’alleanza di amore tra Cristo e la chiesa. E così, a modo di simbolo reale e di segno sacramentale, il matrimonio cristiano rappresenta concretamente la chiesa di Gesù Cristo nel mondo e, soprattutto nella struttura della famiglia, è chiamato giustamente una « chiesa domestica » (LG 11).

    2.2. Sacramento in senso stretto

    In questo modo il matrimonio cristiano è configurato secondo il mistero dell’unione tra Gesù Cristo e la chiesa. Il fatto che il matrimonio cristiano sia così assunto nell’economia della salvezza giustifica già la denominazione di « sacramento » nel senso più ampio. Ma insieme significa anche una realizzazione concreta e una attualizzazione reale di questo sacramento primordiale. Il matrimonio cristiano è quindi in se stesso realmente e propriamente un segno della salvezza che conferisce la grazia di Gesù Cristo. È proprio per questo che la chiesa cattolica lo elenca tra i sette sacramenti (cf. DS 1327, 1801).

    Fra l’indissolubilità del matrimonio e la sua sacramentalità, esiste un rapporto particolare, cioè una reciproca relazione costitutiva. L’indissolubilità permette di cogliere più facilmente la sacramentalità del matrimonio cristiano; d’altro canto, dal punto di vista teologico, la sacramentalità costituisce il fondamento ultimo, sebbene non unico, della indissolubilità del matrimonio.

    2.3. Battesimo, fede attuale, intenzione, matrimonio sacramentale

    Anche il sacramento del matrimonio trasmette la grazia come gli altri sacramenti. La fonte ultima di questa grazia è l’impatto con l’opera compiuta da Gesù Cristo e non soltanto la fede dei soggetti del sacramento. Ciò non significa tuttavia che, nel sacramento del matrimonio, la grazia sia data al di fuori della fede o senza alcuna fede. Ne consegue, secondo i principi classici, che la fede è presupposta a titolo di « causa dispositiva » dell’effetto fruttuoso del sacramento. Ma d’altra parte la validità del sacramento non implica necessariamente che esso sia fruttuoso.

    La realtà dei « battezzati non credenti » pone oggi un nuovo problema teologico e un grave dilemma pastorale, soprattutto se emerge chiaramente l’assenza o il rifiuto della fede. L’intenzione richiesta — l’intenzione di fare ciò che fanno Cristo e la Chiesa — è la condizione minima necessaria perché ci sia veramente un atto umano di impegno sul piano della realtà sacramentale. Certamente non bisogna confondere il problema dell’intenzione con quello relativo alla fede personale dei contraenti, ma non è neppure possibile separarli totalmente. In ultima analisi, la vera intenzione nasce e si nutre di una fede viva. Nel caso in cui non si avverta alcuna traccia della fede in quanto tale (nel senso del termine « credenza », disposizione a credere) né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no. La fede personale dei contraenti non costituisce, come è stato notato, la sacramentalità del matrimonio, ma l’assenza della fede personale compromette la validità del sacramento.

    Questo fatto origina nuovi interrogativi ai quali non sono state trovate finora risposte sufficienti; esso impone nuove responsabilità pastorali in materia di matrimonio cristiano. « Innanzitutto i pastori si sforzino di sviluppare e nutrire la fede dei fidanzati poiché il sacramento del matrimonio suppone e richiede la fede » (Ordo celebrandi matrimonium. Praenotanda, n. 7).

    2.4. Una articolazione dinamica

    Nella chiesa, il battesimo è il fondamento sociale e il sacramento della fede per cui gli uomini che credono diventano membri del corpo di Cristo. Anche da questo punto di vista, l’esistenza di « battezzati non credenti » implica problemi di grande importanza. Le necessità di ordine pastorale e pratico non troveranno una reale soluzione in cambiamenti che sovvertano il nucleo centrale della dottrina in materia sacramentale e di quella del matrimonio, ma in un rinnovamento radicale della spiritualità battesimale. Occorre ricomporre una visione integrale che collochi il battesimo nell’unità essenziale e nell’articolazione dinamica di tutti i suoi elementi e delle sue dimensioni: la fede, la preparazione al sacramento, il rito, la confessione della fede, l’incorporazione a Cristo e alla chiesa, le conseguenze etiche, la partecipazione attiva alla vita della chiesa. È necessario mettere in rilievo il rapporto intimo tra il battesimo, la fede e la chiesa. Soltanto in questo modo, diventa evidente che il matrimonio tra battezzati è un vero sacramento « in se stesso », cioè non in forza di una specie di « automatismo », ma per la sua intrinseca natura.

    3. Creazione e Redenzione

    3.1. Il matrimonio voluto da Dio

    Tutte le cose sono state create in Cristo, da Cristo e per Cristo. Anche il matrimonio, dal momento che è stato creato da Dio creatore, diventa un segno del mistero dell’unione di Cristo sposo con la chiesa sposa. Si trova, in un certo modo, ordinato a questo mistero. Questo matrimonio, quando viene celebrato fra due battezzati, è elevato alla dignità di sacramento propriamente detto. Esso vuole dunque essere segno e rendere partecipi dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa.

    3.2. Inseparabilità dell’opera di Cristo

    Quando si tratta di due battezzati, il matrimonio, come istituzione voluta da Dio creatore, è inseparabile dal matrimonio-sacramento. La sacramentalità del matrimonio dei battezzati non è un fatto accidentale che potrebbe esserci o non esserci. Essa è inerente alla sua essenza al punto che non potrebbe venirne separata.

    3.3. Ogni matrimonio fra battezzati deve essere sacramentale

    La conseguenza delle proposizioni precedenti è che, per i battezzati, non può esistere veramente e realmente nessuno stato coniugale diverso da quello voluto da Cristo. In questo sacramento, la donna e l’uomo cristiani, si danno e si accettano come sposi attraverso un consenso personale, libero e irrevocabile, sono definitivamente liberati dalla « durezza di cuore » di cui ha parlato Gesù (cf. Mt 19, 8). Per loro diventa possibile realmente vivere in una carità totale perché, con il sacramento, entrano veramente e realmente nel mistero dell’unione sponsale di Cristo e della chiesa. Quindi, la chiesa non può in nessun modo riconoscere che due battezzati sono sposati conformemente alla loro dignità e al loro modo di essere « nuova creatura in Cristo », se non si sono uniti con il sacramento del matrimonio.

    3.4. Il matrimonio «legittimo » dei non-credenti

    La forza e la grandezza della grazia di Cristo si estende a tutti gli uomini, anche al di là delle frontiere della chiesa, per l’universalità della volontà salvifica di Dio. Esse informano ogni amore coniugale umano, confermano la « natura creata » e anche il matrimonio «come fu all’origine ». Gli uomini e le donne che non hanno ancora conosciuto la predicazione del vangelo si uniscono attraverso un’alleanza umana in un matrimonio legittimo. Questo è provvisto di beni e di valori autentici che gli assicurano una consistenza. Ma è bene mettere in evidenza che, anche se gli sposi lo ignorano, questi valori provengono da Dio creatore e si inseriscono in modo incoativo nell’amore sponsale che unisce Cristo e la chiesa.

    3.5. L’unione dei cristiani che non conoscono ciò che esige il loro battesimo

    Sarebbe dunque contraddittorio dire che dei cristiani, battezzati nella chiesa cattolica, possono veramente e realmente fare un passo indietro accontentandosi di uno stato coniugale non sacramentale. Sarebbe come pensare che possano accontentarsi dell’« ombra » quando Cristo offre loro la « realtà » del suo amore sponsale.

    Non si può tuttavia escludere l’esistenza di casi in cui, per dei cristiani, la coscienza sia deformata da ignoranza o da errore invincibile. Essi giungono a credere sinceramente che possono contrarre un vero matrimonio escludendo il sacramento.

    In questa situazione, essi non sono in grado di contrarre un matrimonio sacramentale valido poiché negano la fede e non hanno l’intenzione di fare ciò che fa la chiesa. Ma, d’altra parte, il diritto naturale di contrarre matrimonio non viene meno. Sono dunque in grado di donarsi e di accettarsi reciprocamente come sposi in forza della loro intenzione di concludere un patto irrevocabile. Questo dono reciproco e irrevocabile crea fra essi un rapporto psicologico che si differenzia per la sua struttura interna da una relazione puramente transitoria.

    Tuttavia questa relazione non può in alcun modo essere rico­nosciuta dalla chiesa come una società coniugale non sacramentale, anche se ha le sembianze di un matrimonio. Per la chiesa, infatti, fra due battezzati, non esiste matrimonio naturale separato dal sacramento ma unicamente un matrimonio naturale elevato alla dignità di sacramento.

    3.6. I matrimoni progressivi

    Queste considerazioni mostrano l’errore e il pericolo di introdurre o di tollerare in seno a una comunità cristiana certe pratiche che consistono nel celebrare a più riprese, per la stessa coppia, cerimonie matrimoniali di grado diverso anche se unite fin dall’inizio tra loro. A maggior ragione non è opportuno permettere a un prete o a un diacono di assistere, come tali, a un matrimonio non sacramentale che due battezzati vogliono celebrare, o ancora di accompagnare questa cerimonia con le loro preghiere.

    3.7. Il matrimonio civile

    In una società pluralista, l’autorità dello stato può imporre ai fidanzati una formalità ufficiale che renda pubblica, davanti alla società politica, la loro condizione di sposi. Può anche stabilire delle leggi che regolino in modo certo e corretto gli effetti civili derivanti dal matrimonio, come i diritti e i doveri familiari. È tuttavia necessario far sapere in modo adeguato ai fedeli cattolici, che questa formalità ufficiale chiamata correntemente matrimonio civile non rappresenta per loro un vero matrimonio. Vi sono eccezioni a questa regola solo nel caso in cui vi sia stata la dispensa dalla forma canonica ordinaria o ancora se, a causa dell’assenza prolungata di un testimone qualificato della Chiesa, la cerimonia civile può servire con forma canonica straordinaria nella celebrazione del matrimonio sacramentale (cf. can. 1116). Per quanto riguarda i non-cristiani e spesso anche i non-cattolici la cerimonia civile può avere un valore costitutivo sia per il matrimonio legittimo che per il matrimonio sacramentale.





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 21/02/2014 11:19

      4. Indissolubilità


    4.1. Il principio


    La tradizione della chiesa primitiva, che si fonda sull’insegnamento di Cristo e degli apostoli, afferma l’indissolubilità del matrimoni anche in caso di adulterio. Questo principio si impone nonostante alcuni maldestri tentativi di interpretazione ed esempi di indulgenza nei confronti di persone che si trovavano in situazioni molto difficili. D’altronde non è facile valutare esattamente l’estensione e la frequenza di questi fatti.


    4.2. La dottrina della chiesa


    Il concilio di Trento ha dichiarato che la chiesa non si sbaglia quando ha insegnato e insegna, secondo la dottrina evangelica e apostolica, che il legame matrimoniale non può essere sciolto dall’adulterio (DS 1807). Tuttavia, il concilio ha colpito con l’anatema solo coloro che negano l’autorità della chiesa in questo campo. Le ragioni di questa riserva sono da ricercare in alcuni dubbi sorti nel corso della storia (le opinioni dell’Ambrosiaster, di Catharinus e di Cajetano) e, da un altro punto di vista, prospettive che si avvicinano all’ecumenismo. Non si può quindi affermare che il concilio abbia avuto l’intenzione di definire solennemente l’indissolubilità del matrimonio come verità di fede. Si dovrà tuttavia tener conto delle parole pronunciate da Pio XI nella Casti Connubii, in riferimento a questo canone: « Se la chiesa non si è mai sbagliata e non si sbaglia quando ha dato e da questo insegnamento, è dunque assolutamente certo che il matrimonio non può essere sciolto neppure in caso di adulterio. È altresì evidente che le altre cause di divorzio, molto più fragili di quanto si possa supporre, hanno un valore ancora minore e non possono essere prese in considerazione » (cf. DS1807).


    4.3. Indissolubilità intrinseca


    L’indissolubilità intrinseca del matrimonio può essere consi­derata sotto diversi aspetti e avere molti fondamenti.


    Si può considerare il problema in riferimento agli sposi. In questo caso si affermerà: l’unione intima del matrimonio, dono reciproco di due persone, l’unione coniugale stessa, il bene dei figli esigono l’unità indissolubile di queste persone. Da qui deriva, per gli sposi l’obbligo morale di proteggere il loro patto coniugale, di conservarlo e di farlo progredire.


    È inoltre necessario collocare il matrimonio nella prospettiva di Dio. L’atto umano attraverso il quale gli sposi si donano e si ricevono scambievolmente, crea un legame che è fondato sulla volontà di Dio. Questo legame è inscritto nello stesso atto creativo e supera la volontà degli uomini. Non dipende dal potere degli sposi e per questo è intrinsecamente indissolubile.


    Vista nelle (prospettive cristologiche, l’indissolubilità del matrimonio cristiano ha un fondamento ultimo ancora più profondo. Esso consiste nel fatto che il matrimonio cristiano è immagine, sacramento e testimonianza dell’unione indissolubile tra Cristo e la chiesa. Ciò è stato chiamato il bonum sacramenti. In questo senso, l’indissolubilità diventa un avvenimento di grazia.


    Anche le prospettive sociali fonderanno la indissolubilità: essa è richiesta dall’istituzione stessa. La decisione personale dei coniugi è assunta, protetta e fortificata dalla società, soprattutto dalla comunità ecclesiale. È la dimensione giuridico-ecclesiale del matrimonio.


    Questi diversi aspetti sono intimamente legati tra di loro. La fedeltà a cui gli sposi sono obbligati deve essere protetta dalla società stessa, in modo particolare dalla società ecclesiale. È richiesta sia da Dio creatore che da Cristo che la rende possibile in forza della sua grazia.


    4.4. Indissolubilità estrinseca e potere della Chiesa sui matrimoni


    La Chiesa, contemporaneamente alla sua prassi, ha elaborato una dottrina sul proprio potere nell’ambito dei matrimoni. Ne ha così precisato l’ampiezza e i limiti. La chiesa non si riconosce alcun potere di sciogliere un matrimonio sacramentale celebrato e consumato (ratum et consummatum). Per gravissimi motivi, per il bene della fede e la salvezza delle anime, gli altri matrimoni possono essere sciolti dall’autorità ecclesiastica competente o, secondo un’altra interpretazione, essere dichiarati nulli.


    Questo insegnamento è soltanto un caso particolare della teoria che si riferisce al modo in cui evolve la dottrina cristiana nella chiesa. Oggi, essa è accettata da quasi tutti i teologi cattolici.


    Non è escluso tuttavia che la chiesa possa precisare meglio le nozioni di sacramentalità e di consumazione. In questo caso, ne spiegherà ancor meglio il significato. Così, l’insieme della dottrina sull’indissolubilità del matrimonio potrebbe essere proposta in una sintesi più profonda e più esatta.


    5. Divorziati risposati


    5.1. Radicalismo evangelico


    Fedele al radicalismo del vangelo, la chiesa non può porsi nei confronti dei fedeli con parole diverse da quelle dell’apostolo Paolo: « Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito — e il marito non ripudi la moglie » (1 Cor 7, 10-11). Ne deriva che le nuove unioni, dopo un divorzio ottenuto con una legge civile, non sono né regolari né legittime.


    5.2. Testimonianza profetica


    Questo rigore non è dovuto a una legge puramente disciplinare o a un certo legalismo. Si fonda sul giudizio che il Signore ha dato a questo proposito (Mc 10, 6 ss.). In quest’ottica, questa regola severa è una testimonianza profetica resa alla fedeltà irreversibile dell’amore che lega il Cristo alla chiesa. Essa dimostra ancora come l’amore degli sposi sia assunto nella carità stessa di Cristo (Ef 5, 23-32).


    5.3. La « non-sacramentalizzazione »


    L’incompatibilità dello stato dei « divorziati-risposati » con il precetto e il mistero dell’amore pasquale del Signore comporta per questi l’impossibilità di ricevere, nella santa eucaristia, il segno dell’unità con Cristo. L’ammissione alla comunione eucaristica può avvenire solo dopo la penitenza che implica « il pentimento per il peccato commesso e il buon proposito di non commetterlo più in futuro » (Concilio di TrentoDS 1676). Tutti i cristiani debbono ricordarsi le parole dell’apostolo: «... Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna » (1 Cor11, 27-29).


    5.4. Pastorale dei divorziati risposati


    Questa situazione illegittima non consente di vivere in piena comunione con la chiesa. E tuttavia i cristiani che vi si trovano non sono esclusi dall’azione della grazia di Dio e dal legame con la chiesa. Non debbono essere privati della cura dei pastori (Allocuzione pontificia di Paolo VI, 4 novembre 1977). Essi hanno ancora molti compiti che loro derivano dal battesimo. Devono attendere all’educazione religiosa dei loro bambini. La preghiera cristiana sia pubblica che privata, la penitenza, certe attività apostoliche sono sempre modi per vivere la loro vita cristiana. Non debbono essere disprezzati ma aiutati come tutti i cristiani che, con l’aiuto della grazia di Cristo, si sforzano per liberarsi dal peccato.


    5.5. Combattere le cause del divorzio


    È sempre più necessario svolgere un’azione pastorale che tenda ad evitare il moltiplicarsi dei divorzi e delle nuove unioni civili dei divorziati. In particolare è necessario inculcare ai nuovi sposi una coscienza viva di tutte le loro responsabilità di coniugi e di genitori. È fondamentale presentare in modo sempre più efficace il significato autentico del matrimonio sacramentale come alleanza realizzata « nel Signore » (1 Cor 7, 39). In questo modo i cristiani saranno più preparati a conformarsi al comandamento del Signore e a rendere testimonianza all’unione di Cristo con la chiesa. Questo d’altronde sarà fatto per il maggior bene degli sposi, per quello dei bambini come pure per la società stessa.







    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 21/02/2014 11:20

       B) LE « SEDICI TESI CRISTOLOGICHE » 
    DI GUSTAVE MARTELET, S.I., 

    APPROVATE « IN FORMA GENERICA » 
    DALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

    1. Sacramento del matrimonio e mistero della Chiesa

    La sacramentalità del matrimonio cristiano emerge in modo più evidente se non viene separata dal mistero della chiesa. « Segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano », come afferma il recente concilio (LG 1), la chiesa è fondata sul rapporto indefettibile che Cristo stabilisce con essa per farne il suo corpo. Quindi l’identità della chiesa non dipende solo dai poteri dell’uomo, ma anche dall’amore del Cristo, che viene continuamente annunciato dalla predicazione apostolica e al quale possiamo partecipare mediante l’effusione dello Spirito. Testimone di questo amore che la fa vivere, la chiesa è quindi il sacramento di Cristo nel mondo, perché essa è il corpo visibile e la comunità che annuncia la presenza di Cristo nella storia degli uomini. Certo, la chiesa-sacramento, la cui « grandezza » viene dichiarata da Paolo (Ef 5, 32), è inseparabile dal mistero dell’incarnazione perché è un mistero che riguarda il corpo; essa è anche inseparabile dall’economia dell’alleanza perché riposa sulla promessa personale fatta da Cristo risorto di restare « con » lei « tutti i giorni fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). Ma la chiesa-sacramento partecipa anche al mistero che si può chiamare coniugale: Cristo è legato ad essa con un amore che fa della chiesa la sposa di Cristo, nella forza di un solo Spirito e nell’unità di un solo corpo.

    2. L’unione di Cristo e della chiesa

    L’unione sponsale di Cristo con la chiesa non distrugge, ma al contrario completa quanto, a modo suo, l’amore coniugale dell’uomo e della donna annuncia, implica o già realizza dal punto di vista della comunione e della fedeltà. In realtà, il Cristo della croce compie quella perfetta oblazione di se stesso, che gli sposi desiderano realizzare nella loro carne, senza però riuscire a raggiungerla mai perfettamente. Verso la chiesa che egli ama come suo corpo, il Cristo realizza quello che i mariti devono fare — come dice S. Paolo — per le loro mogli. Da parte sua la risurrezione di Gesù nella potenza dello Spirito rivela che l’oblazione da lui fatta sulla croce porta i suoi frutti nella stessa carne in cui fu compiuta, e che la chiesa da lui amata fino a morire per essa, può introdurre il mondo nella comunione totale tra Dio e gli uomini di cui essa già gode come sposa di Gesù Cristo.

    3. Il simbolo coniugale nella Scrittura

    Giustamente quindi l’Antico Testamento usa il simbolismo dell’amore coniugale per indicare l’amore senza limiti di Dio per il suo popolo e, mediante questo popolo, vuole rivelarlo a tutta l’umanità. Specialmente nel profeta Osea, Dio si presenta come uno sposo che con tenerezza e fedeltà senza misura saprà guadagnare finalmente Israele, che all’inizio è stato infedele all’amore immenso con cui era stato amato. Così l’Antico Testamento ci apre, senza esitazioni, la comprensione del nuovo in cui Gesù più volte è designato come lo sposo per eccellenza. Così è chiamato da Giovanni Battista (Gv 3, 29); Gesù stesso si chiama così (Mt 9, 15); anche S. Paolo l’attribuisce a Gesù per due volte (2 Cor11, 2 e Ef 5, 21-33); lo fa pure l’Apocalisse (22, 17-20); senza citare i riferimenti espliciti che si trovano nelle parabole escatologiche del regno (Mt 22, 1-10 e 25, 1-12).

    4. Gesù, sposo per eccellenza

    Benché questo titolo sia ordinariamente trascurato dalla cristologia, esso deve trovare per noi tutto il suo significato. Allo stesso modo che Gesù è la via, la verità, la vita, la luce, la porta, il pastore, l’agnello, la vigna, perfino l’uomo, poiché riceve dal Padre « il primato su tutte le cose » (Col 1, 18), con la stessa verità e a buon diritto, è anche lo sposo per eccellenza, vale a dire, « il maestro e il signore », quando si tratta di amare l’altro come la propria carne. Perciò la cristologia del matrimonio si deve iniziare da questo titolo di sposo e dal mistero che esso richiama. In questo campo, come in ogni altro, « nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo » (2 Cor 3, 11). Ad ogni modo, il fatto che Cristo è certamente lo sposo per eccellenza, non va separato dall’altro che è il « secondo » (1 Cor 15, 47) e « l’ultimo Adamo » (ibid., 15, 45).

    5. Adamo, immagine di quello che doveva venire

    L’Adamo della Genesi, inseparabile da Eva, al quale Gesù stesso si riferisce in Mt 19 in cui tratta la questione del divorzio, non è pienamente comprensibile se non si vede in lui « la figura di colui che doveva venire» (Rm 5, 14). Perciò la personalità di Adamo, in quanto simbolo iniziale dell’umanità intera, non è una personalità stretta è ripiegata su se stessa. Essa è, come anche quella di Eva, di ordine tipologico. Adamo, come anche noi stessi, va visto in rapporto con colui che gli dà il suo significato ultimo: Adamo non è comprensibile senza Cristo, ma anche Cristo, a sua volta, non è comprensibile senza Adamo, vale a dire, senza l’umanità intera — come anche senza tutto ciò che è umano — la cui apparizione è salutata nella Genesi come voluta da Dio in modo assolutamente particolare. Di conseguenza, la coniugalità che costituisce Adamo nella sua verità d’uomo, spetta anche a Cristo attraverso il quale essa viene realizzata, essendo stata ristabilita. Distrutta per una mancanza di amore, davanti alla quale anche Mosè ha dovuto arrendersi, essa può ritrovare in Cristo la verità che le spetta. Infatti, con Cristo appare nel mondo lo sposo per eccellenza che può, in quanto « secondo » e « ultimo Adamo », salvare e ristabilire la vera coniugalità che Dio non cessa di volere per il bene del « primo ».

    6. Gesù rinnovatore della primordiale verità della coppia

    Interpretando la prescrizione mosaica sul divorzio come un risultato storico derivato dalla « durezza del cuore », Gesù osa presentarsi come rinnovatore deciso della verità primordiale della coppia. Nel suo potere di amare senza limiti e di realizzare con la sua vita, morte e risurrezione, un’unione senza pari con l’umanità intera, Gesù ritrova il vero significato della parola della Genesi: « quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi » (Mt 19, 6). Per lui, d’ora in poi, l’uomo e la donna possono amarsi nel modo che Dio da sempre vuole che facciano, poiché in Gesù si manifesta la stessa sorgente dell’amore che è il fondamento del regno. Così il Cristo riconduce tutte le coppie del mondo alla purezza iniziale dell’amore promesso; abolisce la prescrizione che aveva creduto un dovere ratificare la propria miseria, non potendo eliminarne la causa. Nella concezione di Gesù, la coppia iniziale ritorna ad essere quello che era stata sempre agli occhi di Dio: la coppia profetica in cui Dio rivela l’amore coniugale cui l’umanità aspira e per il quale essa è fatta, ma che essa non può raggiungere, se non in colui che insegna agli uomini che cosa sia l’amore. Da allora, l’amore che rimane fedele, la coniugalità che « la durezza » dei nostri cuori » riduce a un sogno impossibile, ritrova in Gesù uno stato che solo lui, in quanto ultimo Adamo e sposo per eccellenza, ha il potere di comunicargli nuovamente.





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    00 21/02/2014 11:21

       7. La sacramentalità del matrimonio evidente nella fede


    La sacramentalità del matrimonio cristiano diventa allora una evidenza per la fede. Poiché i battezzati fanno parte visibilmente del corpo di Cristo che è la chiesa, Cristo attira dietro di sé il loro amore coniugale per comunicargli la verità umana di cui, al di fuori di lui, questo amore è privo. Egli lo fa mediante lo Spirito, in forza del potere che ha come secondo e ultimo Adamo, di assumersi e di far giungere a compimento la coniugalità del primo Adamo. Lo compie anche in conformità alla visibilità della chiesa, in cui l’amore coniugale, consacrato al Signore, diventa un sacramento. Nel cuore della chiesa, gli sposi attestano che s’impegnano nella vita coniugale attendendo da Cristo la forza di attuare questa forma d’amore che, senza di lui, è esposta al pericolo. In questa maniera, il mistero caratteristico di Cristo come sposo della chiesa, s’irradia e può irradiarsi sulle coppie che gli sono consacrate. Il loro amore coniugale viene così approfondito e non svilito, perché è riferito all’amore di Cristo che li sostiene e li fonde. La speciale effusione dello Spirito che è propria del sacramento, fa sì che l’amore di queste coppie diventi l’immagine stessa dell’amore che Cristo ha per la chiesa. Tuttavia, questa effusione costante dello Spirito non dispensa mai le coppie di cristiani dalle condizioni umane della fedeltà, perché mai il mistero del secondo Adamo sopprime o sostituisce in qualcosa la realtà del primo.


    8. Il matrimonio civile


    Ne deriva la conseguenza che non si può realizzare l’entrata nel matrimonio cristiano solo attraverso il riconoscimento di un diritto puramente « naturale » circa il matrimonio, qualunque sia il valore religioso che a questo diritto si riconosca o possieda realmente. Infatti nessun diritto naturale può avere la forza, di per se stesso, di realizzare il contenuto di un sacramento cristiano.


    Se lo si pretendesse nel caso del matrimonio, si finirebbe per falsare il significato del sacramento il cui scopo è quello di consacrare a Cristo l’amore degli sposi battezzati, affinché sviluppi in loro gli effetti trasformati del suo mistero. Perciò, mentre gli stati considerano il matrimonio civile come un atto sufficiente per fondare, dal punto di vista sociale, la comunità coniugale, la chiesa invece, senza negare a questo matrimonio ogni valore per i non battezzati, contesta che esso possa mai bastare per i battezzati.


    Per loro va bene solo il matrimonio sacramento, che suppone da parte dei futuri sposi la volontà di consacrare a Cristo un amore il cui valore umano dipende, in ultima analisi, dall’amore che Cristo ha per noi e ci comunica. Ne consegue che l’identità del sacramento e del « contratto », su cui il magistero apostolico si è formalmente impegnato nel XIX secolo, dev’essere intesa in modo tale che rispetti veramente il mistero del Cristo e la vita dei cristiani.


    9. Contratto e sacramento


    L’atto di alleanza coniugale, spesso chiamato contratto, che raggiunge la realtà di sacramento quando si tratta di sposi cristiani, non si stabilisce come semplice effetto giuridico del battesimo.


    Per il fatto che la promessa coniugale di una cristiana e di un cristiano è un vero sacramento, tocca la loro identità cristiana, che viene assunta da loro a livello dell’amore che si giurano in Cristo. Mentre il loro patto coniugale li dona l’una all’altro, li consacra anche a colui che è lo sposo per eccellenza e che insegnerà a loro diventare anch’essi dei coniugi realizzati. Il mistero personale di Cristo penetra, quindi, dall’interno la natura di patto umano o di « contratto ».


    Esso diventa sacramento solo se i futuri sposi accettano di entrare nella vita coniugale passando attraverso Cristo al quale, mediante il battesimo, sono incorporati. La loro libera adesione al mistero del Cristo è talmente essenziale alla natura del sacramento che la chiesa vuole assicurarsi, attraverso il ministero del presbitero, circa l’autenticità cristiana del loro impegno. Quindi l’alleanza coniugale umana non diventa sacramento in forza di uno statuto giuridico, efficace per se stesso indipendentemente da ogni adesione liberamente data al battesimo. Lo diventa invece in virtù del carattere pubblicamente cristiano che comporta nel suo intimo l’impegno reciproco e che, inoltre, permette di stabilire in quale senso gli sposi stessi sono ministri del sacramento.


    10. I coniugi, ministri del sacramento nella chiesa e mediante la chiesa


    Poiché il sacramento del matrimonio è la libera consacrazione a Cristo dell’amore coniugale nascente, i coniugi sono evidentemente i ministri di un sacramento che li riguarda al massimo. Tuttavia, non sono ministri in forza di un potere che si potrebbe dire « assoluto » e nell’esercizio del quale la chiesa, strettamente parlando, non avrebbe niente da dire.


    Sono ministri in quanto membri vivi del corpo di Cristo in cui essi emettono il loro giuramento, senza che mai la loro decisione, che è insostituibile, faccia del sacramento una pura e sola emanazione del loro amore. Il sacramento come tale appartiene totalmente al mistero della chiesa in cui sono introdotti, in modo privilegiato, dal loro amore coniugale. Perciò nessuna coppia si scambia il sacramento del matrimonio, senza il consenso della chiesa stessa, e in forma diversa da quella che la chiesa stabilisce come la più espressiva del mistero in cui il sacramento introduce gli sposi.


    Spetta dunque alla chiesa verificare se le disposizioni dei futuri sposi corrispondono realmente al battesimo che essi hanno già ricevuto; come spetta ad essa dissuaderli, se fosse necessario, dal porre un gesto che sarebbe offensivo nei confronti di colui di cui essa è testimone. Nello scambio del consenso che fa il sacramento, essa rimane anche il segno e garante del dono dello Spirito Santo che gli sposi ricevono impegnandosi l’uno verso l’altro in quanto cristiani. Perciò i contraenti battezzati non sono mai ministri del sacramento del loro matrimonio senza la chiesa e meno ancora al di sopra di essa; essi sono ministri nella chiesa e attraverso la chiesa, senza mai mettere al secondo posto colei il cui mistero è fonte del loro amore.


    Una giusta teologia del ministero del sacramento del matrimonio non ha soltanto una grande importanza per la verità spirituale dei contraenti, ma essa ha anche delle ripercussioni ecumeniche non trascurabili nei nostri rapporti con gli ortodossi.


    11. L’indissolubilità del matrimonio


    In questo contesto, appare in una luce viva anche l’indissolubilità del matrimonio. Essendo Cristo l’unico sposo della chiesa, il matrimonio cristiano non può diventare e restare un’immagine autentica dell’amore di Cristo per la chiesa, senza partecipare alla fedeltà che definisce Cristo come sposo della chiesa. Quali che siano il dolore e le difficoltà psicologiche che ne possono derivare, è perciò impossibile consacrare a Cristo, per farne un segno o un sacramento del suo mistero, un amore coniugale che implicasse il divorzio di uno dei due contraenti o di tutti e due insieme, nel caso che il primo matrimonio sia veramente valido: cosa, questa, che in più di un caso non è evidente. Ma se il divorzio, secondo il suo scopo, dichiara d’ora in poi sciolta un’unione legittima e permette quindi di stabilirne un’altra, come è possibile pretendere che il Cristo possa fare di questo secondo « matrimonio » un’immagine reale del suo rapporto personale con la chiesa?


    Benché possa avere un certo rispetto per alcuni aspetti, specialmente nel caso di un coniuge ingiustamente abbandonato, il nuovo matrimonio dei divorziati non può essere un sacramento e crea un’incapacità obiettiva a ricevere l’eucaristia.


    12. Divorzio e eucaristia


    Senza misconoscere le circostanze attenuanti e talvolta anche la qualità di un matrimonio civile successivo al divorzio, l’accesso dei divorziati risposati all’eucaristia risulta incompatibile con il mistero di cui la chiesa è servitrice e testimone. Accogliendo i divorziati risposati all’eucaristia, la chiesa lascerebbe credere a tali coniugi che essi possono, sul piano dei segni, comunicare con colui del quale essi rifiutano il mistero coniugale sul piano della realtà.


    Fare una cosa del genere, significherebbe inoltre che la chiesa si dichiara d’accordo con battezzati, al momento in cui essi entrano o restano in una contraddizione obiettiva ed evidente con la vita, il pensiero e lo stesso essere del Signore come sposo della chiesa. Se essa potesse comunicare il sacramento dell’unità a quelli e a quelle che, su un punto essenziale del mistero di Cristo, hanno rotto con lui, essa non sarebbe più segno e testimone del Cristo, ma suo contro-segno e suo contro-testimone. Non di meno, però, tale rifiuto non giustifica assolutamente una qualche procedura infamante che sarebbe in contraddizione, a sua volta, con la misericordia di Cristo verso noi peccatori.


    13. Perché la chiesa non può scegliere un matrimonio rato e consumato


    Questa visione cristologica del matrimonio cristiano permette ancora di comprendere perché la chiesa non riconosce a se stessa nessun diritto di sciogliere un matrimonio « ratum et consummatum », ossia un matrimonio sacramentalmente contratto nella chiesa e ratificato dagli sposi stessi nella loro carne. In effetti, la totale comunione di vita, che umanamente parlando definisce la coniugalità, evoca a suo modo il realismo dell’incarnazione in cui il Figlio di Dio diventa uno con l’umanità nella carne. Impegnandosi l’un l’altro nel dono senza riserve di se stessi, gli sposi esprimono il loro effettivo passaggio alla vita coniugale, in cui l’amore diventa una condivisione così assoluta quanto è possibile di se stesso con l’altro. Entrano così in quel tipo di condotta umana di cui Cristo ha richiamato il carattere irrevocabile e di cui ha fatto un’immagine rivelatrice del suo mistero. La chiesa, quindi, non ha nessun potere su una unione coniugale che è passata sotto il potere di colui del quale essa deve annunciare il mistero e non svuotarlo.


    14. Il privilegio paolino


    Quello che viene chiamato « privilegio paolino » non contraddice in nulla quello che abbiamo appena ricordato. In funzione di quanto Paolo spiega in 1 Cor 7, 12-17, la chiesa si riconosce il diritto di annullare un matrimonio umano che si dimostri cristianamente invivibile per il coniuge battezzato, a causa dell’opposizione che gli fa quello non battezzato. In questo caso, il « privilegio », se esiste veramente, gioca in favore della vita in Cristo, la cui importanza, per la chiesa, può legittimamente prevalere su una vita coniugale che non ha potuto e non può effettivamente essere consacrata a Cristo da questa coppia.


    15. Il matrimonio cristiano non può essere isolato dal mistero del Cristo


    Che si tratti dei suoi aspetti scritturistici, dogmatici, morali, umani o canonici, mai il matrimonio cristiano è quindi isolabile dal mistero di Cristo. Perciò il sacramento del matrimonio, del quale la chiesa è testimone, al quale educa e che permette di ricevere, non è realmente vivibile che in una conversione continua degli sposi alla persona del Cristo.


    Tale conversione a Cristo fa dunque parte intrinseca della natura del sacramento e fornisce direttamente il significato e la portata di un tale sacramento nella vita dei coniugi.


    16. Visione non totalmente incomprensibile ai non credenti


    Ad ogni modo questa visione cristologica, di per sé, non è totalmente incomprensibile anche per i non credenti. Non solo ha una coerenza sua propria che designa Cristo come l’unico fondamento di quello che noi crediamo, ma rivela pure la grandezza della coppia umana, che può « parlare » anche ad una coscienza che sia estranea al mistero del Cristo.


    Inoltre, il punto di vista dell’uomo come tale è esplicitamente inseribile nel mistero di Cristo, a titolo del primo Adamo da cui il secondo ed ultimo non è mai da separare. Mostrarlo in pienezza nell’esempio del matrimonio aprirebbe la presente riflessione su altri orizzonti, nei quali però qui non entriamo. Si è voluto ricordare, prima di tutto, che Cristo è il vero fondamento, spesso ignorato dagli stessi cristiani, del loro matrimonio in quanto sacramento.




    * Per un commento delle proposizioni, cf. Commissione Teologica Internazionale, Teologia del Matrimonio, Collana « Documenti » n. 2, Edizioni Dehoniane, Bologna 1978, 49 pp. - Commission Théologique Internationale, Problèmes Doctrinaux du Mariage Chretien, Centre Cerfaux-Lefort, Louvain 1979, 377 pp.


      


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    00 06/03/2014 11:38


    COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI? QUANDO GIOVANNI PAOLO II SPIEGÒ IL «NO» IRREMOVIBILE DELLA CHIESA




    Dall'Esortazione Apostolica «Familiaris Consortio» (22 novembre 1981) 

    L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.

    Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.

    Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.

    La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.

    La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi».

    Dal discorso alla Rota Romana (28 gennaio 2002) 

    Il matrimonio «è» indissolubile: questa proprietà esprime una dimensione del suo stesso essere oggettivo, non è un mero fatto soggettivo. Di conseguenza, il bene dell'indissolubilità è il bene dello stesso matrimonio; e l'incomprensione dell'indole indissolubile costituisce l'incomprensione del matrimonio nella sua essenza. Ne consegue che il «peso» dell'indissolubilità ed i limiti che essa comporta per la libertà umana non sono altro che il rovescio, per così dire, della medaglia nei confronti del bene e delle potenzialità insite nell'istituto matrimoniale come tale. In questa prospettiva, non ha senso parlare di «imposizione» da parte della legge umana, poiché questa deve riflettere e tutelare la legge naturale e divina, che è sempre verità liberatrice (cfr Gv 8, 32).

    Questa verità sull'indissolubilità del matrimonio, come tutto il messaggio cristiano, è destinata agli uomini e alle donne di ogni tempo e luogo. Affinché ciò si realizzi, è necessario che tale verità sia testimoniata dalla Chiesa e, in particolare, dalle singole famiglie come "chiese domestiche", nelle quali marito e moglie si riconoscono mutuamente vincolati per sempre, con un legame che esige un amore sempre rinnovato, generoso e pronto al sacrificio.

    Non ci si può arrendere alla mentalità divorzistica: lo impedisce la fiducia nei doni naturali e soprannaturali di Dio all'uomo. L'attività pastorale deve sostenere e promuovere l'indissolubilità. Gli aspetti dottrinali vanno trasmessi, chiariti e difesi, ma ancor più importanti sono le azioni coerenti.


     


    A quanto pare, i nostri vescovi sono i primi a fregarsene di ciò che insegna la Chiesa. Come il blog Cantuale Antonianum fa notare, già il primo sinodo di Benedetto XVI sull'Eucarestia si espresse sulla Comunione ai divorziati-risposati: no, fu la risposta. 
    D'accordo fare un altro sinodo sulla famiglia, perché oggi abbiamo le nozze e le adozioni gay, ma è assurdo discutere su una questione già risolta. 
    Così si dà solo l'impressione, molto fondata, che si voglia, per prima cosa, cancellare il pontificato e il magistero benedettino, e in secondo luogo che i primi a non credere all'immutabile dottrina evangelica siano proprio i successori degli apostoli, visto che sono i primi a rimettere sempre tutto in discussione. 
    Come i farisei, per mezzo delle loro tradizioni, trasgredivano ai comandamenti divini, così oggi i vescovi, per mezzo della "pastorale misericordiosa" caso per caso, eclissano il deposito della fede. Non ci fa una bella figura neppure Bergoglio... ma vabbè...


    http://www.cantualeantonianum.com/2014/03/una-pratica-pastorale-fondata-su.html?spref=fb


     e a fare queste riflessioni, badiamo bene, non è un "tradizionalista" o uno contro Papa Francesco eh!... trattasi dell'ottimo frate francescale del sito Cantuale Antonianum.... una persona equilibrata e sempre molto ponderata.... ma leggiamo l'articolo integralmente:


    Dopo aver letto la relazione "segreta" del Card. Kasper al recente Concistoro, preludio di future assise sinodali che molti preannunciano "infuocate", e dopo aver ascoltato le più disparate interpretazioni, vien quasi da chiedersi: "Ma il Card. Kasper dov'era quando fecero il Sinodo sull'Eucaristia del 2005? E con lui tanti vescovi, magari già all'epoca elevati alla porpora?"... Kasper al Sinodo dei Vescovi del 2005 c'era. Faceva pure parte del Consiglio post-Sinodale, quello che aiuta il Papa a preparare la successiva Esortazione apostolica, documento che raccoglie e rilancia alla Chiesa intera quando elaborato dai Padri nel Sinodo.
    Possiamo supporre che il cardinale tedesco abbia già fatto presenti le stesse opinioni, espresse pochi giorni fa a Papa e cardinali, anche ai confratelli nell'episcopato riuniti nel 2005. Con tutta l'evidenza dei risultati di quel Sinodo, i vescovi non avevano né accettato né approvato le opinioni di Kasper. E lui stesso, con onestà, dice che si tratta di "novità", di "tradizioni più recenti" (cioè né bibliche, né apostoliche) che possono - a suo parere - esser messe accanto alle soluzioni tradizionali, senza scalzarle. Ma è davvero così semplice?

    La trattazione del Presidente Emerito del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani inizia e prosegue in maniera dotta e biblica per i primi 4 capitoletti. Finché si arriva al quinto punto. Qui assistiamo ad una sfilza di domande retoriche che sembrano essere messe lì al solo fine di affermare: "non sono io che dico certe cose, siete voi a dirle!".
    Viene anche ricordato fugacemente il numero 29 di Sacramentum Caritatis, il documento post-sinodale del 2007, ma Kasper non si sofferma a citarlo per esteso e a trarne le conseguenze. Quel numero, tra l'altro, afferma con estrema chiarezza che il Sinodo dei Vescovi ha già dato una sua autorevole risposta al problema della comunione a chi, dopo un divorzio, passa a nuove nozze civili:
    Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'Eucaristia.
    Ricapitoliamo: un Sinodo dei Vescovi ha già risposto, ed evidentemente ha già discusso, su questo preciso e spinoso punto "di prassi", di pratica pastorale (per usare la terminologia di Kasper). E ha discusso non nel medioevo o nel XIX secolo, ma nemmeno 10 anni fa. Qualcuno potrebbe essere però tentato di mettere in dubbio che quanto i vescovi del Sinodo avevano deciso nel 2005 e proposto al Papa sia stato solamente ratificato da Benedetto XVI nel 2007. Papa Ratzinger, forse, ha piegato secondo le sue personali visioni teologiche le proposte dei Vescovi o li ha convinti con la sua autorità.... In realtà Ratzinger ci aveva sorpresi in precedenza, perché nel 1998 già aveva esposto i suoi personali crucci teologici sulla questione dell'ammissione alla comunione dei battezzati che dopo un divorzio si risposano. E i suoi dubbi di teologo mostravano punti di contatto con quanto continua a sostenere il cardinal Kasper (vedi qui). Inoltre, Ratzinger, da Papa, per non nascondere nulla aveva voluto pure la pubblicazione integrale delle proposte dei Padri sinodali, in tempi assolutamente non sospetti: due anni prima del suo documento! Tutto alla luce del sole, come si suol dire.
    Che cosa avevano proposto, dunque, i Vescovi riuniti nel Sinodo a questo proposito? Leggiamo:
    Proposizione 40 I divorziati risposati e l’Eucaristia
    In continuità con i numerosi pronunciamenti del Magistero della Chiesa e condividendo la sofferta preoccupazione espressa da molti Padri, il Sinodo dei Vescovi ribadisce l’importanza di un atteggiamento e di un’azione pastorale di attenzione e di accoglienza verso i fedeli divorziati e risposati.
    Secondo la Tradizione della Chiesa cattolica, essi non possono esser ammessi alla Santa Comunione, trovandosi in condizione di oggettivo contrasto con la Parola del Signore che ha riportato il matrimonio al valore originario dell’indissolubilità (cf. CCC 1640), testimoniato dal suo dono sponsale sulla croce e partecipato ai battezzati attraverso la grazia del sacramento. I divorziati risposati tuttavia appartengono alla Chiesa, che li accoglie e li segue con speciale attenzione perché coltivino uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla Santa Messa, pur senza ricevere la Santa Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’Adorazione Eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli. Se poi non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa li incoraggia a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, trasformandola in un’amicizia leale e solidale; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale, ma si eviti di benedire queste relazioni perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio.
    Nello stesso tempo il Sinodo auspica che sia fatto ogni possibile sforzo sia per assicurare il carattere pastorale, la presenza e la corretta e sollecita attività dei tribunali ecclesiastici per le cause di nullità matrimoniale (cf. Dignitas connubii), sia per approfondire ulteriormente gli elementi essenziali per la validità del matrimonio, anche tenendo conto dei problemi emergenti dal contesto di profonda trasformazione antropologica del nostro tempo, dal quale gli stessi fedeli rischiano di esser condizionati specialmente in mancanza di una solida formazione cristiana.
    Il Sinodo ritiene che, in ogni caso, grande attenzione debba esse assicurata alla formazione dei nubendi e alla previa verifica della loro effettiva condivisione delle convinzioni e degli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del matrimonio, e chiede ai Vescovi e ai parroci il coraggio di un serio discernimento per evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali conducano i nubendi all’assunzione di una grande responsabilità per se stessi, per la Chiesa e per la società, che non sapranno poi onorare.
    Ma allora perché non vengono più citati questi testi recenti e si insiste che solo un'ennesima riunione del Sinodo, a pochi anni dall'XI assemblea, darà "finalmente" il permesso di cambiare la "prassi" anche senza toccare la "dottrina"? Possibile che lo Spirito Santo - che tutti tirano continuamente in ballo - non abbia agito e suggerito queste cose nel 2005-2007? E il cardinal Scola, che era stato tanto preciso e chiaro a quel tempo (vedi qui), come mai oggi non fa sentire la sua voce?

    Ancora: se quella attuale è una "prassi fondata sulla Scrittura e sulla Tradizione" è davvero possibile che sia "senza misericordia" o sbagliata o anche solo "fuori del tempo"? Oppure dev'essere intesa come una prassi medicinale, necessaria per chi ne ha bisogno per la guarigione e la conversione, che comprende scelte forti e coraggiose (non solo un cammino interiore) e insieme per tutelare e difendere il bene dell'indissolubilità del matrimonio, tanto bersagliato e attaccato?
    Io mi chiedo e vi chiedo: se appena 7 anni dopo quanto scriveva Benedetto XVI, sulla scorta del consiglio dei vescovi della Chiesa Cattolica, non è più nemmeno ricordato, sottolineato, e tenuto in conto, come è possibile credere che ciò che un Papa oggi dice domani varrà ancora?

    Leggete e giudicate voi se la prassi pastorale odierna, descritta dal documento pontificio, sia così cattiva e senza cuore o anacronistica come viene dipinta da chi rischia forte nel contrapporre (e non conciliare) la verità e la carità, oppure sia un coraggioso richiamo a chi si è "sposato nel Signore" a non calpestare il sacramento che rende il marito e la moglie "una sola carne".
    Sacramentum Caritatis 29: Eucaristia e indissolubilità del matrimonio 
    Se l'Eucaristia esprime l'irreversibilità dell'amore di Dio in Cristo per la sua Chiesa, si comprende perché essa implichi, in relazione al sacramento del Matrimonio, quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare.(91) Più che giustificata quindi l'attenzione pastorale che il Sinodo ha riservato alle situazioni dolorose in cui si trovano non pochi fedeli che, dopo aver celebrato il sacramento del Matrimonio, hanno divorziato e contratto nuove nozze. Si tratta di un problema pastorale spinoso e complesso, una vera piaga dell'odierno contesto sociale che intacca in misura crescente gli stessi ambienti cattolici. I Pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere bene le diverse situazioni, per aiutare spiritualmente nei modi adeguati i fedeli coinvolti.(92) Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'Eucaristia. I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli.
    Là dove sorgono legittimamente dei dubbi sulla validità del Matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza. Bisogna poi assicurare, nel pieno rispetto del diritto canonico,(93) la presenza sul territorio dei tribunali ecclesiastici, il loro carattere pastorale, la loro corretta e pronta attività.(94) Occorre che in ogni Diocesi ci sia un numero sufficiente di persone preparate per il sollecito funzionamento dei tribunali ecclesiastici. Ricordo che «è un obbligo grave quello di rendere l'operato istituzionale della Chiesa nei tribunali sempre più vicino ai fedeli».(95) È necessario, tuttavia, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d'incontro tra diritto e pastorale è l'amore per la verità: questa infatti non è mai astratta, ma «si integra nell'itinerario umano e cristiano di ogni fedele».(96) Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall'aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio.(97)
    Data la complessità del contesto culturale in cui vive la Chiesa in molti Paesi, il Sinodo ha, poi, raccomandato di avere la massima cura pastorale nella formazione dei nubendi e nella previa verifica delle loro convinzioni circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del Matrimonio. Un serio discernimento a questo riguardo potrà evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali inducano i due giovani ad assumere responsabilità che non sapranno poi onorare.(98) Troppo grande è il bene che la Chiesa e l'intera società s'attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale.
    (91) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1640.
    (92) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981), 84:AAS 74 (1982), 184-186; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati Annus Internationalis Familiae (14 settembre 1994): AAS 86 (1994), 974-979.
    (93) Cfr Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, Istruzione sulle norme da osservarsi nei tribunali ecclesiastici nelle cause matrimoniali Dignitas connubii (25 gennaio 2005), Città del Vaticano, 2005.
    (94) Cfr Propositio 40.
    (95) Benedetto XVI, Discorso al Tribunale della Rota Romana in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario (28 gennaio 2006): AAS 98 (2006), 138.
    (96) Cfr Propositio 40.
    (97) Cfr ibidem.
    (98) Cfr ibidem.


    Testo preso da: Una pratica pastorale fondata su Scrittura e Tradizione. L'oblio di decisioni Sinodali scomode ma evangeliche http://www.cantualeantonianum.com/2014/03/una-pratica-pastorale-fondata-su.html#ixzz2vB4oFtsu 
    http://www.cantualeantonianum.com 

     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 08/09/2014 12:27
      Nei mesi successivi, contro le tesi di Kasper hanno reagito pubblicamente e con particolare vigore i cardinali Carlo Caffarra, Velasio De Paolis, Walter Brandmüller, Thomas Collins.

    Ma ora è di nuovo il prefetto della congregazione per la dottrina della fede a intervenire con forza in difesa della dottrina tradizionale.

    L'intervista è stata raccolta lo scorso giugno da Carlos Granados, direttore della madrilena Biblioteca de Autores Cristianos. È stata rivista dal cardinale e ha come orizzonte il prossimo sinodo dei vescovi, dedicato al tema della famiglia.

    Nella prefazione, un altro cardinale, lo spagnolo Fernando Sebastián Aguilar, già arcivescovo di Pamplona, scrive:

    "Il principale problema, presente nella Chiesa a proposito della famiglia, non è il piccolo numero dei divorziati risposati che desiderano accostarsi alla comunione eucaristica. Il nostro problema più grave è il gran numero di battezzati che si sposano civilmente e degli sposati sacramentalmente che non vivono né il matrimonio né la vita matrimoniale in sintonia con la vita cristiana e gli insegnamenti della Chiesa, che li vorrebbe come icone viventi dell’amore di Cristo verso la sua Chiesa presente e operante nel mondo".

    Il cardinale Sebastián ha ricevuto la porpora da papa Francesco, che ne ha grande stima. Ma certo non può essere classificato tra i sostenitori di Kasper.

    Nell'intervista il cardinale Müller critica anche chi si fa forte di alcune affermazioni di papa Francesco, piegandole a sostegno di un cambiamento della "pastorale" del matrimonio.

    Dice ad esempio:

    "L'immagine dell’ospedale da campo è molto bella. Tuttavia non possiamo manipolare il papa riducendo a questa immagine tutta la realtà della Chiesa. La Chiesa in sé non è un sanatorio: la Chiesa è anche la casa del Padre".

    E ancora:

    "Un semplice 'adattamento' della realtà del matrimonio alle attese del mondo non dà alcun frutto, anzi risulta controproducente: la Chiesa non può rispondere alle sfide del mondo attuale con un adattamento pragmatico. Opponendoci a un facile adattamento pragmatico, siamo chiamati a scegliere l’audacia profetica del martirio. Con essa, potremo testimoniare il Vangelo della santità del matrimonio. Un profeta tiepido, mediante un adeguamento allo spirito dell’epoca, cercherebbe la propria salvezza, non la salvezza che solamente Dio può dare".

    Ecco qui di seguito un estratto dell'intervista nei passaggi dedicati alla questione della comunione ai divorziati risposati, in cui Müller confuta anche un altro dei mantra associati a papa Francesco, quello della "misericordia":

    __________



    LA VERA DIMENSIONE DELLA MISERICORDIA DI DIO

    Intervista con il cardinale Gerhard Ludwig Müller



    D. – Il problema dei divorziati risposati è stato riproposto ultimamente all’attenzione dell’opinione pubblica. Partendo da una certa interpretazione della Scrittura, della tradizione patristica e dei testi del magistero, sono state suggerite soluzioni che propongono innovazioni. Ci si può attendere un mutamento dottrinale?

    R. – Nemmeno un concilio ecumenico può mutare la dottrina della Chiesa, perché il suo fondatore, Gesù Cristo, ha affidato la custodia fedele dei suoi insegnamenti e della sua dottrina agli apostoli e ai suoi successori. Abbiamo sul matrimonio una dottrina elaborata e strutturata, basata sulla parola di Gesù, che occorre offrire nella sua integrità. L’assoluta indissolubilità di un matrimonio valido non è una mera dottrina, bensì un dogma divino e definito dalla Chiesa. Di fronte alla rottura di fatto di una matrimonio valido, non è ammissibile un altro "matrimonio" civile. In caso contrario, saremmo di fronte a una contraddizione, perché se la precedente unione, il "primo" matrimonio o, meglio, il matrimonio, è realmente un matrimonio, un’altra unione successiva non è "matrimonio". È solo un gioco di parole parlare di primo e di secondo "matrimonio". Il secondo matrimonio è possibile solamente quando il legittimo coniuge è morto, oppure quando il matrimonio è stato dichiarato invalido, perché in questi casi il vincolo precedente si è dissolto. In caso contrario ci troviamo di fronte a ciò che è definito "impedimento di vincolo".

    A questo proposito, desidero sottolineare che l’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione che ora io presiedo, con l’approvazione dell’allora papa san Giovanni Paolo II, dovette intervenire espressamente per respingere un’ipotesi simile a quella della sua domanda ["ipotesi" sostenuta all'epoca, era il 1993, dagli allora vescovi di Rottenbiurg, Walter Kasper, di Magonza, Karl Lehmann, e di Friburgo, Oskar Saier - ndr].

    Ciò non impedisce di parlare del problema della validità di tanti matrimoni nell’attuale contesto secolarizzato. Tutti abbiamo assistito a nozze in cui non si sapeva bene se i contraenti del matrimonio erano realmente intenzionati a "fare ciò che fa la Chiesa" nel rito del matrimonio. Benedetto XVI ha fatto insistenti richiami a riflettere sulla grande sfida rappresentata dai battezzati non credenti. Di conseguenza, la congregazione per la dottrina della fede ha raccolto la preoccupazione del papa, mettendo al lavoro un buon numero di teologi e di altri collaboratori per risolvere il problema della relazione tra fede esplicita e implicita.

    Che cosa avviene quando un matrimonio è carente perfino della fede implicita? Certamente quando essa manca, sebbene sia stato celebrato "libere et recte", il matrimonio potrebbe risultare invalido. Ciò induce a ritenere che, oltre ai criteri classici per dichiarare l’invalidità del matrimonio, ci sia da riflettere di più sul caso in cui i coniugi escludano la sacramentalità del matrimonio. Attualmente ci troviamo ancora in una fase di studio, di riflessione serena ma tenace su questo punto. Non ritengo opportuno anticipare conclusioni precipitate, dal momento che non abbiamo ancora trovato la soluzione, ma ciò non mi impedisce di segnalare che nella nostra congregazione stiamo dedicando molte energie per dare una risposta corretta al problema posto dalla fede implicita dei contraenti.

    D. – Perciò se il soggetto escludesse la sacramentalità del matrimonio, allo stesso modo di chi, al momento di sposarsi, escludesse per esempio i figli, quel fatto potrebbe rendere nullo il matrimonio che è stato contratto?

    R. – La fede appartiene all’essenza del sacramento. Certo, occorre chiarire la questione giuridica posta dall’invalidità del sacramento a causa di una evidente mancanza di fede. Un celebre canonista, Eugenio Corecco, diceva che il problema sorge quando occorre concretare il grado di fede necessaria perché possa realizzarsi la sacramentalità. La dottrina classica aveva ammesso una posizione minimalista, esigendo una semplice intenzione implicita: "Fare ciò che fa la Chiesa". Corecco aggiunse che nel mondo attuale globalizzato, multiculturale e secolarizzato, in cui la fede non è un dato che si possa semplicemente presupporre, si rende necessario esigere dai contraenti una fede più esplicita, se davvero vogliamo salvare il matrimonio cristiano.

    Insisto nuovamente a ripetere che tale questione è ancora in fase di studio. Stabilire un criterio valido e universale al riguardo non è davvero una questione futile. In primo luogo perché le persone sono in costante evoluzione, sia per le conoscenze che via via acquisiscono col passare degli anni, sia per la loro vita di fede. Il tirocinio e la fede non sono dati statistici! Talvolta, al momento di contrarre il matrimonio una certa persona non era credente; ma è anche possibile che nella sua vita sia intervenuto un processo di conversione, sperimentando così una "sanatio ex posteriori" di ciò che in quel momento era un grave difetto di consenso.

    Desidero ripetere in ogni caso che, quando ci troviamo in presenza di un matrimonio valido, in nessun modo è possibile sciogliere quel vincolo: né il papa né alcun altro vescovo hanno autorità per farlo, perché si tratta di realtà che appartiene a Dio, non a loro.

    D. – Si parla della possibilità di consentire ai coniugi di "rifarsi una vita". È stato anche detto che l’amore tra coniugi cristiani può "morire". Può davvero un cristiano impiegare questa formula? È possibile che muoia l’amore tra due persone unite dal sacramento del matrimonio?

    R. – Queste teorie sono radicalmente errate. Non si può dichiarare estinto un matrimonio col pretesto che l’amore tra i coniugi è "morto". L'indissolubilità matrimoniale non dipende dai sentimenti umani, permanenti o transitori. Questa proprietà del matrimonio è voluta da Dio stesso. Il Signore si è implicato nel matrimonio tra l’uomo e la donna, per cui il vincolo esiste e ha origine in Dio. Questa è la differenza.

    Nella sua intima realtà soprannaturale, il matrimonio include tre beni: il bene della reciproca fedeltà personale ed esclusiva (il "bonum fidei"); il bene dell’accoglienza dei figli e della loro educazione alla conoscenza di Dio (il "bonum prolis") e il bene dell’indissolubilità o indistruttibilità del vincolo, che ha per fondamento permanente l’unione indissolubile tra Cristo e la Chiesa, sacramentalmente rappresentata dalla coppia (il "bonum sacramenti"). Perciò, anche se è possibile sospendere la comunione fisica di vita e di amore, la cosiddetta "separazione di mensa e di letto", per il cristiano non è lecito contrarre un nuovo matrimonio finché vive il primo coniuge, perché il vincolo legittimamente contratto è perpetuo. Il vincolo matrimoniale indissolubile corrisponde in qualche modo al carattere ("res et sacramentum") impresso dal battesimo, dalla confermazione, dal sacramento dell’ordine.

    D. – A questo proposito si parla anche molto della importanza della "misericordia". Si può interpretare la misericordia come un "fare eccezioni" alla legge morale?

    R. – Se apriamo il Vangelo, troviamo che anche Gesù, in dialogo coi farisei a proposito del divorzio, allude al binomio "divorzio" e "misericordia" (cfr Mt 19, 3-12). Accusa i farisei di non essere misericordiosi, dato che secondo la loro subdola interpretazione della Legge avevano concluso che Mosè avrebbe concesso un presunto permesso di ripudiare le loro mogli. Gesù ricorda loro che la misericordia di Dio esiste contro la nostra debolezza umana. Dio ci dona la sua grazia perché possiamo essere fedeli.

    Questa è la vera dimensione della misericordia di Dio. Dio perdona anche un peccato tanto grave come l’adulterio; tuttavia non permette un altro matrimonio che metterebbe in dubbio un matrimonio sacramentale già in essere, matrimonio che esprime la fedeltà di Dio. Fare un simile appello a una presunta misericordia assoluta di Dio, equivale a un gioco di parole che non aiuta a chiarire i termini del problema. In realtà, mi sembra che sia un modo per non percepire la profondità dell’autentica misericordia divina.

    Assisto con un certo stupore all’impiego, da parte di alcuni teologi, dello stesso ragionamento sulla misericordia come pretesto per favorire l’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati civilmente. La premessa di partenza è che, dal momento che Gesù stesso ha preso le parti di coloro che soffrono, offrendo loro il suo amore misericordioso, la misericordia è il segnale speciale che caratterizza ogni autentica sequela. Ciò in parte è vero. Tuttavia, un errato riferimento alla misericordia comporta il grave rischio di banalizzare l’immagine di Dio, secondo cui Dio non sarebbe libero, bensì sarebbe obbligato a perdonare. Dio non si stanca mai di offrirci la sua misericordia: il problema è che noi ci stanchiamo di chiederla, riconoscendo con umiltà il nostro peccato, come ha ricordato con insistenza papa Francesco nel primo anno e mezzo del suo pontificato.

    I dati della Scrittura rivelano che, oltre la misericordia, anche la santità e la giustizia appartengono al mistero di Dio. Se occultassimo questi attributi divini e si banalizzasse la realtà del peccato, non avrebbe alcun senso implorare per le persone la misericordia di Dio. Perciò si comprende che Gesù, dopo aver trattato la donna adultera con grande misericordia, abbia aggiunto come espressione del suo amore: "Va’ e da ora in poi non peccare più" (Gv 8, 11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dagli insegnamenti della Chiesa. È tutto il contrario: Dio, per infinita misericordia, ci concede la forza della grazia per un pieno adempimento dei sui comandi e così ristabilire in noi, dopo la caduta, la sua immagine perfetta di Padre del Cielo.

    D. – Evidentemente si pone anche qui la relazione tra il sacramento dell’eucaristia e il sacramento del matrimonio. Come si può intendere la relazione tra i due sacramenti?

    R. – La comunione eucaristica è espressione di una relazione personale e comunitaria con Gesù Cristo. A differenza dei nostri fratelli protestanti e in linea con la tradizione della Chiesa, per i cattolici essa esprime l’unione perfetta tra la cristologia e l’ecclesiologia. Pertanto, non posso avere una relazione personale con Cristo e col suo vero Corpo presente nel sacramento dell’altare e, allo stesso tempo, contraddire lo stesso Cristo nel suo Corpo mistico, presente nella Chiesa e nella comunione ecclesiale. Quindi possiamo affermare senza errore che se qualcuno si trova in situazione di peccato mortale, non può e non deve accostarsi alla comunione.

    Ciò avviene sempre, non solamente nel caso dei divorziati risposati, bensì in tutti i casi in cui ci sia una rottura oggettiva con ciò che Dio vuole per noi. Questo è per definizione il vincolo che si stabilisce tra i vari sacramenti. Perciò bisogna stare ben attenti di fronte a una concezione immanentista del sacramento dell’eucaristia, ossia a una comprensione fondata su un individualismo estremo, che subordini alle proprie necessità o ai propri gusti la recezione dei sacramenti o la partecipazione alla comunione ecclesiale.

    Per alcuni la chiave del problema è il desiderio di comunicarsi sacramentalmente, come se il semplice desiderio fosse un diritto. Per molti altri, la comunione è solamente una maniera di esprimere l’appartenenza a una comunità. Certamente, il sacramento dell’eucaristia non può essere concepito in modo riduttivo come espressione di un diritto o di una identità comunitaria: l’eucaristia non può essere un "social feeling"!

    Spesso viene suggerito di lasciare alla coscienza personale dei divorziati risposati la decisione di accostarsi alla comunione eucaristica. Anche questo argomento esprime un problematico concetto di "coscienza", già respinto dalla congregazione per la fede nel 1994. Prima di accostarsi a ricevere la comunione, i fedeli sanno di dover esaminare la loro coscienza, cosa che li obbliga anche a formarla di continuo e quindi a essere degli appassionati ricercatori della verità.

    In questa dinamica tanto peculiare, l’obbedienza al magistero della Chiesa non è di peso, bensì di aiuto per scoprire la tanto anelata verità sul proprio bene e su quello degli altri.

    D. – A questo punto emerge la grande sfida della relazione tra dottrina e vita. Si è detto che, senza toccare la dottrina, ora è necessario adattarla alla "realtà pastorale". Questo adattamento supporrebbe che la dottrina e la prassi pastorale potrebbero seguire di fatto strade diverse.

    R. – La scissione tra vita e dottrina è propria del dualismo gnostico. Come lo è separare la giustizia e la misericordia, Dio e Cristo, Cristo Maestro e Cristo Pastore, o separare Cristo dalla Chiesa. C’è un solo Cristo. Cristo è il garante dell’unità tra la Parola di Dio, la dottrina e la testimonianza con la propria vita. Ogni cristiano sa che solamente attraverso la sana dottrina possiamo conseguire la vita eterna.

    Le teorie da lei accennate cercano di rendere la dottrina cattolica come una specie di museo delle teorie cristiane: una specie di riserva che interesserebbe solamente qualche specialista. La vita, da parte sua, non avrebbe nulla a che vedere con Gesù Cristo quale egli è, e come ce lo mostra la Chiesa. Il severo cristianesimo si starebbe convertendo in una nuova religione civile, politicamente corretta, ridotta ad alcuni valori tollerati dal resto della società. In tal modo, si otterrebbe l’obiettivo inconfessabile di alcuni: accantonare la Parola di Dio per poter dirigere ideologicamente l’intera società.

    Gesù non si è incarnato per esporre alcune semplici teorie che tranquillizzino la coscienza e in fondo lascino le cose come stanno. Il messaggio di Gesù è una vita nuova. Se qualcuno ragionasse e vivesse separando la vita dalla dottrina, non solamente deformerebbe la dottrina della Chiesa trasformandola in una specie di pseudofilosofia idealista, bensì ingannerebbe se stesso. Vivere da cristiano comporta vivere a partire dalla fede in Dio. Adulterare questo schema significa realizzare il temuto compromesso tra Dio e il demonio.

    D. – Per difendere la possibilità che un coniuge possa "rifarsi una vita" con un secondo matrimonio essendo ancora in vita il primo coniuge, si è fatto ricorso ad alcune testimonianze dei Padri della Chiesa che sembrerebbero propendere per una certa condiscendenza verso queste nuove unioni.

    R. – È certo che nell’insieme della patristica si possono trovare diverse interpretazioni o adattamenti alla vita concreta, tuttavia non c’è alcuna testimonianza dei Padri orientata ad accettare pacificamente un secondo matrimonio quando il primo coniuge è ancora in vita.

    Certamente, nell’Oriente cristiano è avvenuta una certa confusione tra la legislazione civile dell’imperatore e le leggi della Chiesa, che ha prodotto una diversa pratica che in certi casi è arrivata ad ammettere il divorzio. Ma, sotto la guida del papa, la Chiesa cattolica ha sviluppato nel corso dei secoli un’altra tradizione, accolta nell’attuale codice di diritto canonico e nel resto della normativa ecclesiastica, chiaramente contraria a qualunque tentativo di secolarizzare il matrimonio. La stessa cosa è accaduta in vari ambienti cristiani dell’Oriente.

    Talvolta ho scoperto come si isolano e si decontestualizzano alcune citazioni puntuali dei Padri, per sostenere in questo modo la possibilità di un divorzio e di un secondo matrimonio. Non credo che sia corretto dal punto di vista metodologico isolare un testo, toglierlo dal contesto, trasformarlo in una citazione isolata, sganciarlo dal quadro complessivo della tradizione. Tutta la tradizione teologica e magisteriale deve essere interpretata alla luce del Vangelo e in riferimento al matrimonio troviamo alcune parole assolutamente chiare di Gesù stesso. Non credo possibile un’interpretazione diversa da ciò che è stato segnalato finora dalla tradizione e dal magistero della Chiesa senza risultare infedeli alla Parola rivelata.

    __________


    Il libro:

    Gerhard Ludwig Müller, "La speranza della famiglia", Ares, Milano, 2014, pp. 80, euro 9,50.

    __________


    Le ipotesi affacciate da Joseph Ratzinger e tuttora allo studio della congregazione per la dottrina della fede, alle quali il cardinale Müller allude nell'intervista, sono esposte dettagliatamente in questo servizio di www.chiesa:

    > Niente comunione ai fuori legge. Ma il papa studia due eccezioni (5.12.2011)




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 16/10/2014 13:03

    CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE


    LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
    CIRCA LA RECEZIONEDELLA COMUNIONE EUCARISTICA
    DA PARTE DI FEDELI DIVORZIATI RISPOSATI

     

    Eccellenza Reverendissima,

    1. L'Anno Internazionale della Famiglia è un'occasione particolarmente importante per riscoprire le testimonianze dell'amore e della sollecitudine della Chiesa per la famiglia(1) e, nel contempo, per riproporre le inestimabili ricchezze del matrimonio cristiano che della famiglia costituisce il fondamento.

    2. In questo contesto una speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari(2). I pastori sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della Chiesa; li accolgano con amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio, e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione e di partecipazione alla vita della comunità eccesiale(3).

    3. Consapevoli però che l'autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità(4), i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della Chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell'Eucaristia. Su questo punto negli ultimi anni in varie regioni sono state proposte diverse soluzioni pastorali secondo cui certamente non sarebbe possibile un'ammissione generale dei divorziati risposati alla Comunione eucaristica, ma essi potrebbero accedervi in determinati casi, quando secondo il giudizio della loro coscienza si ritenessero a ciò autorizzati. Così, ad esempio, quando fossero stati abbandonati del tutto ingiustamente, sebbene si fossero sinceramente sforzati di salvare il precedente matrimonio, ovvero quando fossero convinti della nullità del precedente matrimonio, pur non potendola dimostrare nel foro esterno, oppure quando avessero già trascorso un lungo cammino di riflessione e di penitenza, o anche quando per motivi moralmente validi non potessero soddisfare l'obbligo della separazione.

    Da alcune parti è stato anche proposto che, per esaminare oggettivamente la loro situazione effettiva, i divorziati risposati dovrebbero intessere un colloquio con un sacerdote prudente ed esperto. Questo sacerdote però sarebbe tenuto a rispettare la loro eventuale decisione di coscienza ad accedere all'Eucaristia, senza che ciò implichi una autorizzazione ufficiale.

    In questi e simili casi si tratterebbe di una soluzione pastorale tollerante e benevola per poter rendere giustizia alle diverse situazioni dei divorziati risposati.

    4. Anche se è noto che soluzioni pastorali analoghe furono proposte da alcuni Padri della Chiesa ed entrarono in qualche misura anche nella prassi, tuttavia esse non ottennero mai il consenso dei Padri e in nessun modo vennero a costituire la dottrina comune della Chiesa né a determinarne la disciplina. Spetta al Magistero universale della Chiesa, in fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione, insegnare ed interpretare autenticamente il «depositum fidei».

    Di fronte alle nuove proposte pastorali sopra menzionate questa Congregazione ritiene pertanto doveroso richiamare la dottrina e la disciplina della Chiesa in materia. Fedele alla parola di Gesù Cristo(5), la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione(6).

    Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla Comunione eucaristica: «Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio»(7).

    Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, che può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, "assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi"»(8). In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo.

    5. La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare dall'Esortazione Apostolica «Familiaris consortio». L'Esortazione, tra l'altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la prassi costante e universale, «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati»(9), indicandone i motivi. La struttura dell'Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.

    6. Il fedele che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona(10) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa(11). Devono anche ricordare questa dottrina nell'insegnamento a tutti i fedeli loro affidati.

    Ciò non significa che la Chiesa non abbia a cuore la situazione di questi fedeli, che, del resto, non sono affatto esclusi dalla comunione ecclesiale. Essa si preoccupa di accompagnarli pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita ecclesiale nella misura in cui ciò è compatibile con le disposizioni del diritto divino, sulle quali la Chiesa non possiede alcun potere di dispensa(12). D'altra parte, è necessario illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione della recezione dell'Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella Messa, della comunione spirituale(13), della preghiera, della meditazione della Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia(14).

    7. L'errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria convinzione(15), dell'esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile(16). Il matrimonio infatti, in quanto immagine dell'unione sponsale tra Cristo e la sua Chiesa, e nucleo di base e fattore importante nella vita della società civile, è essenzialmente una realtà pubblica.

    8. É certamente vero che il giudizio sulle proprie disposizioni per l'accesso all'Eucaristia deve essere formulato dalla coscienza morale adeguatamente formata. Ma è altrettanto vero che il consenso, col quale è costituito il matrimonio, non è una semplice decisione privata, poiché crea per ciascuno dei coniugi e per la coppia una situazione specificamente ecclesiale e sociale. Pertanto il giudizio della coscienza sulla propria situazione matrimoniale non riguarda solo un rapporto immediato tra l'uomo e Dio, come se si potesse fare a meno di quella mediazione ecclesiale, che include anche le leggi canoniche obbliganti in coscienza. Non riconoscere questo essenziale aspetto significherebbe negare di fatto che il matrimonio esiste come realtà della Chiesa, vale a dire, come sacramento.

    9. D'altronde l'Esortazione «Familiaris consortio», quando invita i pastori a ben distinguere le varie situazioni dei divorziati risposati, ricorda anche il caso di coloro che sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido(17). Si deve certamente discernere se attraverso la via di foro esterno stabilita dalla Chiesa vi sia oggettivamente una tale nullità di matrimonio. La disciplina della Chiesa, mentre conferma la competenza esclusiva dei tribunali ecclesiastici nell'esame della validità del matrimonio dei cattolici, offre anche nuove vie per dimostrare la nullità della precedente unione, allo scopo di escludere per quanto possibile ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità oggettiva conosciuta dalla retta coscienza(18).

    Attenersi al giudizio della Chiesa e osservare la vigente disciplina circa I obbligatorietà della forma canonica in quanto necessaria per la validità dei matrimoni dei cattolici, è ciò che veramente giova al bene spirituale dei fedeli interessati. Infatti, la Chiesa è il Corpo di Cristo e vivere nella comunione ecclesiale è vivere nel Corpo di Cristo e nutrirsi del Corpo di Cristo. Ricevendo il sacramento dell'Eucaristia, la comunione con Cristo Capo non può mai essere separata dalla comunione con i suoi membri, cioè con la sua Chiesa. Per questo il sacramento della nostra unione con Cristo è anche il sacramento dell'unità della Chiesa. Ricevere la Comunione eucaristica in contrasto con le norme della comunione ecclesiale è quindi una cosa in sé contraddittoria. La comunione sacramentale con Cristo include e presuppone l'osservanza, anche se talvolta difficile, dell'ordinamento della comunione ecclesiale, e non può essere retta e fruttifera se il fedele, volendo accostarsi direttamente a Cristo, non rispetta questo ordinamento.

    10. In armonia con quanto sinora detto, è da realizzare pienamente il desiderio espresso dal Sinodo dei Vescovi, fatto proprio dal Santo Padre Giovanni Paolo II e attuato con impegno e con lodevoli iniziative da parte di Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici: con sollecita carità fare tutto quanto può fortificare nell'amore di Cristo e della Chiesa i fedeli che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Solo così sarà possibile per loro accogliere pienamente il messaggio del matrimonio cristiano e sopportare nella fede la sofferenza della loro situazione. Nell'azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l'indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore. Sarà necessario che i pastori e la comunità dei fedeli soffrano e amino insieme con le persone interessate, perché possano riconoscere anche nel loro carico il giogo dolce e il carico leggero di Gesù(19). Il loro carico non è dolce e leggero in quanto piccolo o insignificante, ma diventa leggero perché il Signore - e insieme con lui tutta la Chiesa - lo condivide. É compito dell'azione pastorale che deve essere svolta con totale dedizione, offrire questo aiuto fondato nella verità e insieme nell'amore.

    Uniti nell'impegno collegiale di far risplendere la verità di Gesù Cristo nella vita e nella prassi della Chiesa, mi è grato professarmi dell'Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mo in Cristo

    Joseph Card. Ratzinger
    Prefetto

    + Alberto Bovone
    Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia
    Segretario

    Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

    Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 14 Settembre 1994, nella festa dell'Esaltazione della Santa Croce.


    (1) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie (2 febbraio 1994), n. 3.

    (2) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. apost. Familiaris consortio, nn. 79-84: AAS 74 (1982) 180-186.

    (3) Cf. Ibid., n. 84: AAS 74 (1982) 185; Lettera alle Famiglie, n. 5; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1651.

    (4) Cf. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, n. 29: AAS 60 (1968) 501; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Reconciliatio et paenitentia, n. 34: AAS 77 (1985) 272; Lett. enc. Veritatis splendor, n. 95: AAS 85 (1993) 1208.

    (5) Mc 10,11-12: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».

    (6) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650; cf. anche n. 1640 e Concilio Tridentino, sess. XXIV: Denz.-Schoenm. 1797-1812.

    (7) Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185-186.

    (8) Ibid,. n. 84: AAS 74 (1982) 186; cf. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, n. 7: AAS 72 (1982) 1082.

    (9) Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.

    (10) Cf. 1 Cor 11,27-29.

    (11) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 978 § 2.

    (12) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1640.

    (13) Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni concernenti il Ministro dell'Eucaristia, III/4: AAS 74 (1983) 1007; S. Teresa di Avila, Camino de perfección, 35, 1; S. Alfonso M. de' Liguori, Visite al SS. Sacramento e a Maria Santissima.

    (14) Cf. Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.

    (15) Cf. Lett. enc. Veritatis splendor, n. 55: AAS 85 (1993) 1178.

    (16) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1085 § 2.

    (17) Cf. Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.

    (18) Cf. CIC, cann. 1536 § 2 e 1679 e CCEO, cann. 1217 § 2 e 1365 circa la forza probante delle dichiarazioni delle parti in tali processi.

    (19) Cf. Mt 11,30.




    [Modificato da Caterina63 16/10/2014 14:35]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)