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   7. La sacramentalità del matrimonio evidente nella fede


La sacramentalità del matrimonio cristiano diventa allora una evidenza per la fede. Poiché i battezzati fanno parte visibilmente del corpo di Cristo che è la chiesa, Cristo attira dietro di sé il loro amore coniugale per comunicargli la verità umana di cui, al di fuori di lui, questo amore è privo. Egli lo fa mediante lo Spirito, in forza del potere che ha come secondo e ultimo Adamo, di assumersi e di far giungere a compimento la coniugalità del primo Adamo. Lo compie anche in conformità alla visibilità della chiesa, in cui l’amore coniugale, consacrato al Signore, diventa un sacramento. Nel cuore della chiesa, gli sposi attestano che s’impegnano nella vita coniugale attendendo da Cristo la forza di attuare questa forma d’amore che, senza di lui, è esposta al pericolo. In questa maniera, il mistero caratteristico di Cristo come sposo della chiesa, s’irradia e può irradiarsi sulle coppie che gli sono consacrate. Il loro amore coniugale viene così approfondito e non svilito, perché è riferito all’amore di Cristo che li sostiene e li fonde. La speciale effusione dello Spirito che è propria del sacramento, fa sì che l’amore di queste coppie diventi l’immagine stessa dell’amore che Cristo ha per la chiesa. Tuttavia, questa effusione costante dello Spirito non dispensa mai le coppie di cristiani dalle condizioni umane della fedeltà, perché mai il mistero del secondo Adamo sopprime o sostituisce in qualcosa la realtà del primo.


8. Il matrimonio civile


Ne deriva la conseguenza che non si può realizzare l’entrata nel matrimonio cristiano solo attraverso il riconoscimento di un diritto puramente « naturale » circa il matrimonio, qualunque sia il valore religioso che a questo diritto si riconosca o possieda realmente. Infatti nessun diritto naturale può avere la forza, di per se stesso, di realizzare il contenuto di un sacramento cristiano.


Se lo si pretendesse nel caso del matrimonio, si finirebbe per falsare il significato del sacramento il cui scopo è quello di consacrare a Cristo l’amore degli sposi battezzati, affinché sviluppi in loro gli effetti trasformati del suo mistero. Perciò, mentre gli stati considerano il matrimonio civile come un atto sufficiente per fondare, dal punto di vista sociale, la comunità coniugale, la chiesa invece, senza negare a questo matrimonio ogni valore per i non battezzati, contesta che esso possa mai bastare per i battezzati.


Per loro va bene solo il matrimonio sacramento, che suppone da parte dei futuri sposi la volontà di consacrare a Cristo un amore il cui valore umano dipende, in ultima analisi, dall’amore che Cristo ha per noi e ci comunica. Ne consegue che l’identità del sacramento e del « contratto », su cui il magistero apostolico si è formalmente impegnato nel XIX secolo, dev’essere intesa in modo tale che rispetti veramente il mistero del Cristo e la vita dei cristiani.


9. Contratto e sacramento


L’atto di alleanza coniugale, spesso chiamato contratto, che raggiunge la realtà di sacramento quando si tratta di sposi cristiani, non si stabilisce come semplice effetto giuridico del battesimo.


Per il fatto che la promessa coniugale di una cristiana e di un cristiano è un vero sacramento, tocca la loro identità cristiana, che viene assunta da loro a livello dell’amore che si giurano in Cristo. Mentre il loro patto coniugale li dona l’una all’altro, li consacra anche a colui che è lo sposo per eccellenza e che insegnerà a loro diventare anch’essi dei coniugi realizzati. Il mistero personale di Cristo penetra, quindi, dall’interno la natura di patto umano o di « contratto ».


Esso diventa sacramento solo se i futuri sposi accettano di entrare nella vita coniugale passando attraverso Cristo al quale, mediante il battesimo, sono incorporati. La loro libera adesione al mistero del Cristo è talmente essenziale alla natura del sacramento che la chiesa vuole assicurarsi, attraverso il ministero del presbitero, circa l’autenticità cristiana del loro impegno. Quindi l’alleanza coniugale umana non diventa sacramento in forza di uno statuto giuridico, efficace per se stesso indipendentemente da ogni adesione liberamente data al battesimo. Lo diventa invece in virtù del carattere pubblicamente cristiano che comporta nel suo intimo l’impegno reciproco e che, inoltre, permette di stabilire in quale senso gli sposi stessi sono ministri del sacramento.


10. I coniugi, ministri del sacramento nella chiesa e mediante la chiesa


Poiché il sacramento del matrimonio è la libera consacrazione a Cristo dell’amore coniugale nascente, i coniugi sono evidentemente i ministri di un sacramento che li riguarda al massimo. Tuttavia, non sono ministri in forza di un potere che si potrebbe dire « assoluto » e nell’esercizio del quale la chiesa, strettamente parlando, non avrebbe niente da dire.


Sono ministri in quanto membri vivi del corpo di Cristo in cui essi emettono il loro giuramento, senza che mai la loro decisione, che è insostituibile, faccia del sacramento una pura e sola emanazione del loro amore. Il sacramento come tale appartiene totalmente al mistero della chiesa in cui sono introdotti, in modo privilegiato, dal loro amore coniugale. Perciò nessuna coppia si scambia il sacramento del matrimonio, senza il consenso della chiesa stessa, e in forma diversa da quella che la chiesa stabilisce come la più espressiva del mistero in cui il sacramento introduce gli sposi.


Spetta dunque alla chiesa verificare se le disposizioni dei futuri sposi corrispondono realmente al battesimo che essi hanno già ricevuto; come spetta ad essa dissuaderli, se fosse necessario, dal porre un gesto che sarebbe offensivo nei confronti di colui di cui essa è testimone. Nello scambio del consenso che fa il sacramento, essa rimane anche il segno e garante del dono dello Spirito Santo che gli sposi ricevono impegnandosi l’uno verso l’altro in quanto cristiani. Perciò i contraenti battezzati non sono mai ministri del sacramento del loro matrimonio senza la chiesa e meno ancora al di sopra di essa; essi sono ministri nella chiesa e attraverso la chiesa, senza mai mettere al secondo posto colei il cui mistero è fonte del loro amore.


Una giusta teologia del ministero del sacramento del matrimonio non ha soltanto una grande importanza per la verità spirituale dei contraenti, ma essa ha anche delle ripercussioni ecumeniche non trascurabili nei nostri rapporti con gli ortodossi.


11. L’indissolubilità del matrimonio


In questo contesto, appare in una luce viva anche l’indissolubilità del matrimonio. Essendo Cristo l’unico sposo della chiesa, il matrimonio cristiano non può diventare e restare un’immagine autentica dell’amore di Cristo per la chiesa, senza partecipare alla fedeltà che definisce Cristo come sposo della chiesa. Quali che siano il dolore e le difficoltà psicologiche che ne possono derivare, è perciò impossibile consacrare a Cristo, per farne un segno o un sacramento del suo mistero, un amore coniugale che implicasse il divorzio di uno dei due contraenti o di tutti e due insieme, nel caso che il primo matrimonio sia veramente valido: cosa, questa, che in più di un caso non è evidente. Ma se il divorzio, secondo il suo scopo, dichiara d’ora in poi sciolta un’unione legittima e permette quindi di stabilirne un’altra, come è possibile pretendere che il Cristo possa fare di questo secondo « matrimonio » un’immagine reale del suo rapporto personale con la chiesa?


Benché possa avere un certo rispetto per alcuni aspetti, specialmente nel caso di un coniuge ingiustamente abbandonato, il nuovo matrimonio dei divorziati non può essere un sacramento e crea un’incapacità obiettiva a ricevere l’eucaristia.


12. Divorzio e eucaristia


Senza misconoscere le circostanze attenuanti e talvolta anche la qualità di un matrimonio civile successivo al divorzio, l’accesso dei divorziati risposati all’eucaristia risulta incompatibile con il mistero di cui la chiesa è servitrice e testimone. Accogliendo i divorziati risposati all’eucaristia, la chiesa lascerebbe credere a tali coniugi che essi possono, sul piano dei segni, comunicare con colui del quale essi rifiutano il mistero coniugale sul piano della realtà.


Fare una cosa del genere, significherebbe inoltre che la chiesa si dichiara d’accordo con battezzati, al momento in cui essi entrano o restano in una contraddizione obiettiva ed evidente con la vita, il pensiero e lo stesso essere del Signore come sposo della chiesa. Se essa potesse comunicare il sacramento dell’unità a quelli e a quelle che, su un punto essenziale del mistero di Cristo, hanno rotto con lui, essa non sarebbe più segno e testimone del Cristo, ma suo contro-segno e suo contro-testimone. Non di meno, però, tale rifiuto non giustifica assolutamente una qualche procedura infamante che sarebbe in contraddizione, a sua volta, con la misericordia di Cristo verso noi peccatori.


13. Perché la chiesa non può scegliere un matrimonio rato e consumato


Questa visione cristologica del matrimonio cristiano permette ancora di comprendere perché la chiesa non riconosce a se stessa nessun diritto di sciogliere un matrimonio « ratum et consummatum », ossia un matrimonio sacramentalmente contratto nella chiesa e ratificato dagli sposi stessi nella loro carne. In effetti, la totale comunione di vita, che umanamente parlando definisce la coniugalità, evoca a suo modo il realismo dell’incarnazione in cui il Figlio di Dio diventa uno con l’umanità nella carne. Impegnandosi l’un l’altro nel dono senza riserve di se stessi, gli sposi esprimono il loro effettivo passaggio alla vita coniugale, in cui l’amore diventa una condivisione così assoluta quanto è possibile di se stesso con l’altro. Entrano così in quel tipo di condotta umana di cui Cristo ha richiamato il carattere irrevocabile e di cui ha fatto un’immagine rivelatrice del suo mistero. La chiesa, quindi, non ha nessun potere su una unione coniugale che è passata sotto il potere di colui del quale essa deve annunciare il mistero e non svuotarlo.


14. Il privilegio paolino


Quello che viene chiamato « privilegio paolino » non contraddice in nulla quello che abbiamo appena ricordato. In funzione di quanto Paolo spiega in 1 Cor 7, 12-17, la chiesa si riconosce il diritto di annullare un matrimonio umano che si dimostri cristianamente invivibile per il coniuge battezzato, a causa dell’opposizione che gli fa quello non battezzato. In questo caso, il « privilegio », se esiste veramente, gioca in favore della vita in Cristo, la cui importanza, per la chiesa, può legittimamente prevalere su una vita coniugale che non ha potuto e non può effettivamente essere consacrata a Cristo da questa coppia.


15. Il matrimonio cristiano non può essere isolato dal mistero del Cristo


Che si tratti dei suoi aspetti scritturistici, dogmatici, morali, umani o canonici, mai il matrimonio cristiano è quindi isolabile dal mistero di Cristo. Perciò il sacramento del matrimonio, del quale la chiesa è testimone, al quale educa e che permette di ricevere, non è realmente vivibile che in una conversione continua degli sposi alla persona del Cristo.


Tale conversione a Cristo fa dunque parte intrinseca della natura del sacramento e fornisce direttamente il significato e la portata di un tale sacramento nella vita dei coniugi.


16. Visione non totalmente incomprensibile ai non credenti


Ad ogni modo questa visione cristologica, di per sé, non è totalmente incomprensibile anche per i non credenti. Non solo ha una coerenza sua propria che designa Cristo come l’unico fondamento di quello che noi crediamo, ma rivela pure la grandezza della coppia umana, che può « parlare » anche ad una coscienza che sia estranea al mistero del Cristo.


Inoltre, il punto di vista dell’uomo come tale è esplicitamente inseribile nel mistero di Cristo, a titolo del primo Adamo da cui il secondo ed ultimo non è mai da separare. Mostrarlo in pienezza nell’esempio del matrimonio aprirebbe la presente riflessione su altri orizzonti, nei quali però qui non entriamo. Si è voluto ricordare, prima di tutto, che Cristo è il vero fondamento, spesso ignorato dagli stessi cristiani, del loro matrimonio in quanto sacramento.




* Per un commento delle proposizioni, cf. Commissione Teologica Internazionale, Teologia del Matrimonio, Collana « Documenti » n. 2, Edizioni Dehoniane, Bologna 1978, 49 pp. - Commission Théologique Internationale, Problèmes Doctrinaux du Mariage Chretien, Centre Cerfaux-Lefort, Louvain 1979, 377 pp.


  


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)