DIFENDERE LA VERA FEDE

San Giovanni XXIII, il papa sconosciuto

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 03/05/2014 21:25



        San Giovanni XXIII, il papa sconosciuto (Prima parte)


    "Comprendo che di un Papa si voglia conoscere tutto e tutto possa servire alla storia.... La mia anima è in questi fogli più che non in qualsiasi altro mio scritto

     

    Se facessimo in giro una domanda alla gente: chi è Giovanni XXIII ? avremo diverse risposte fra le quali queste due:

    - è il Papa "buono", della Pacem in terris;

    - è il Papa del Concilio....

    risposte davvero disarmanti dal momento che tutti i Papi, pur solo concentrandoci all'epoca moderna, sono stati Papi "buoni". Tuttavia un concetto di "buono", quello che i Media attribuiscono a questo Pontefice,  che nulla ha a che vedere con i termini biblici del chi è veramente "santo" e del perchè la Chiesa canonizza una tal persona anzichè un'altra.

    Non vogliamo fare qui un trattato sui processi di canonizzazione quanto piuttosto rivelare a Voi Lettori il Papa "sconosciuto", questo Giovanni XXIII che senza dubbio "buono" nei modi, era tuttavia un intransigente per Dottrina, con se stesso, contro il peccato.

     

    Per comprendere davvero Giovanni XXIII e come è giunto all'apice della sua vita a dare inizio a quella Riforma che troviamo nell'apertura del Concilio Vaticano II è fondamentale leggere e riflettere sul suo "Il Giornale dell'Anima".

     

    "Comprendo che di un Papa si voglia conoscere tutto e tutto possa servire alla storia.... La mia anima è in questi fogli più che non in qualsiasi altro mio scritto" (*)

     

    "Il Giornale dell’anima è lo strumento più adatto per conoscere Giovanni XXIII, parlare scrivere di lui, interpretarne il pensiero, l’attività, la spiritualità, la autentica pietas, la vera fedeltà alla tradizione, le corrette aperture pastorali nell'indizione del Concilio, la misericordia non disgiunta dall’inflessibile condanna di errori e deviazioni, la quieta conversazione, il senso cristiano dell’humor, il tacere delle sue labbra e il sanguinare del suo cuore. …", così sottolinea più volte, a più riprese e in molte occasioni il suo segretario, oggi cardinale, mons. Capovilla.

     

    Su questi "fogli", seguendoli anno dopo anno, si comprende la struttura e la conformazione di una Roccia granitica sulla quale Giovanni XXIII costruisce la sua vita di fede giorno dopo giorno, da seminarista, da pastore di anime, da nunzio apostolico, da Pontefice, fino a concludere questo suo percorso terreno con l'indizione del Concilio. Leggendo attentamente queste pagine si comprende allora che le intenzioni del Concilio stesso nulla hanno a che vedere con le impostazioni e l'eco perversa dei Media di quei giorni, anni, convulsi; Giovanni XXIII non intese mai, neppur minimamente, ad uno stravolgimento liturgico o dottrinale.

    Era appunto "buono" nei modi per esporre la dottrina, ma intransigente contro ogni vizio e contro ogni forma di peccato.

     

    Non si "canonizza" un Papa perchè "ha aperto il Concilio", diversamente, avendo avuto la Chiesa oltre venti Concili, che avrebbe dovuto fare, canonizzare tutti questi Pontefici coinvolti? E non si canonizza qualcuno perchè " è buono".... conosciamo molte persone che di bontà ne hanno da regalare e molti non sono neppure battezzati, non sono cattolici e già solo per questo non possono essere riconosciuti dalla Chiesa come "Santi", ma la bontà del Vangelo è altra cosa.

    Uno solo è buono, risponderà Gesù a chi lo chiamava "buono": "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio" (Mc.10,17-18)

    Può forse un Papa, anche tra i più Santi, essere "più buono" di Gesù stesso, o di Dio stesso?

    Ovvio che no, sarebbe come un mettersi (o mettere un Santo) al di sopra di Gesù stesso.

    Infatti lo stesso Papa Francesco si è guardato bene dal motivare tale canonizzazione con gli stereotipi creati ad arte dai Media, piuttosto ha usato una espressione che riteniamo una conferma alle riflessioni che abbiamo voluto raccogliere in questo articolo, dice Il Papa:

    ".. san Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata, guidata dallo Spirito. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo a me piace pensarlo come il Papa della docilità allo Spirito Santo" (1).

     

    Il concetto di "Papa buono" è stato sviscerato da molti articoli in questi anni, perciò non ce ne occuperemo, ricordiamo solo che i Media si crogiolano in termini slogan, o ad effetto, proprio per ingannare la gente e dare, di un Papa o di un Santo, una immagine che spesse volte non corrisponde affatto a quella bontà insegnata dal Vangelo verso la quale tutti dobbiamo tendere se vogliamo entrare nel Regno dei Santi.

    Cercheremo di rispondere, in questa prima parte e a questo riguardo, con le parole stesse di Papa Giovanni attraverso i fogli del suo Il Giornale dell'Anima.

     

    Nel rapporto con il mondo e con le anime, questo è il vero pensiero di Giovanni XXIII:

     

    "Le creature sono state create per nostro aiuto nella consecuzione del fine. Dobbiamo servircene o astenercene in tanto quanto ci danno o no questo aiuto. Perciò:

    a) sanità, malattia, pensiero delle persone care, ricordo del mondo in quanto distraggono non sono per noi;

    b) le creature devono essere benedette quando portano la croce e non maledette;

    c) devono essere tutte ali per ascendere e non catene che ci fanno schiavi..."

     

    Per Roncalli tutta la vita e tutti i mezzi ci sono dati per un unico scopo, un solo fine, Dio. E riflette:

     

    "Il fine. Dio voluto, cercato, amato, servito in tutto e per sempre. In ordine a questo fine, quattro conclusioni:

    1) pensarvi sempre con sentimenti di amore;

    2) desiderarlo con effusione di preghiera, con generosità di esibizioni;

    3) scegliere i mezzi che la Provvidenza ci propone;

    4) scegliere e preferire i mezzi migliori."

     

    Chi non persegue questo "fine", va incontro alla dannazione eterna.

    Non usa mezze parole Roncalli e spiega:

     

    "L'inferno.... Per capire l'inferno bisogna immedesimarsi colle anime che ivi stanno a soffrire. Perchè sono là? Perchè hanno voluto trovare fuori di Dio un piacere che non può essere perfetto se non in Lui. Ego erravimus (Sap.5,6), che parola! Sono rimasti sotto il peso del loro piacere, del loro peccato.

    Iddio non ha cambiato nulla nell'anima del dannato per farla soffrire. L'ha lasciata nel suo peccato: questo è il suo inferno, inferno che del resto era già cominciato anche sulla terra.

    Ma in che cosa consiste veramente questa pena? Oh! i gemiti lugubri e terribili dei dannati: Dio perduto, perduto per sempre; un'eternità senza Dio, senza luce, senza pace, senza amore.

    L'inferno sia per noi scuola di amore e di zelo. Anche di zelo per tante anime che sono sul punto di cadervi, e vi cadono, e vi cadono!

    Bisogna pregare, immolarsi, sacrificarsi all'amore e alla giustizia del Signore come Santa Teresa che quando vedeva, per rivelazione, le anime cadere, scoppiava di dolore e di zelo..." (2)

     

    E giunge così a spiegare in cosa consistono la giustizia e la misericordia di Dio, inseparabili:

    "La giustizia di Dio...

    1) Attende. Con tanta pazienza nel sopportarci; con quanta indulgenza nel perdonarci; con quanta saggezza nell'avvertirci.

    2) La prova. Necessità della prova per espiare e meditare; bontà della prova col raddolcirla e col conforto, la fine della prova; santificarci facendoci morire al mondo e distaccandoci da esso.

    3) Colpisce. Ci colpisce nella vita con crisi talora decisive; nella morte - pena del peccato - consumazione del sacrificio; nella eternità - Dio non voglia - nell'inferno senza rimedio, oppure nel Purgatorio..."

     

    Roncalli Nunzio a ParigiRoncalli Nunzio a Parigi

    quindi, riepiloga Roncalli:

    La Giustizia attende: la misericordia previene.

    La Giustizia prova: la misericordia sostiene (nel combattimento).

    La Giustizia colpisce: la misericordia salva (chi a lei fa ricorso con il pentimento, la conversione, una vita nuova in Cristo)...

     

    Chi non accoglie la Misericordia di Dio, si autoesclude dalla salvezza e perciò va incontro al giudizio di Dio, va all'inferno, alla Sua giustizia che in virtù proprio e specifico del libero arbitrio di cui siamo dotati, non farà altro che confermarci in ciò che abbiamo perseguito su questa terra: o l'eterna beatitudine o l'eterna dannazione, del resto aveva le idee molto chiare, il Papa "buono":

    Il peccato mortale! Quale infamia! Inorridisce il solo pensarci!

    Ma non meno da fuggirsi per la sua gravezza e pei funesti effetti che apporta, è il peccato veniale, il quale, quantunque non sia tale da meritarmi l’inferno e la perdita della grazia, tuttavia reca a Dio grande dispiacere.”

     

    e ancora diceva:

    "Peccati e malinconia, fuori di casa mia. Anche le cose che urtano la mia suscettibilità, i compagni che non mi vanno a genio, li debbo sopportare con grande tranquillità; diversamente, dov'è il merito, il piacere di Dio? Mi sforzerò sempre di trovare delle virtù anche dove non sembrano apparire. Soprattutto penserò come, per tanti e tanti miei difetti, gli altri debbano forse fare dei grandi sacrifici per sopportare la mia povera persona. Umiltà, dunque; umiltà e sempre congiunta ad allegria di spirito, ininterrotta, beata. «O Jesu, fac me humilem»".

     

    Quale era, per esempio, la "giornata tipo" del giovane seminarista prima e sacerdote poi, Roncalli? Leggiamola da lui stesso:

    Ogni giorno:

    Fare almeno un quarto d'ora di orazione mentale, subito levato dal letto la mattina.

    2. Ascoltare, o meglio servire, la Santa Messa.

    3. Fare un quarto d'ora di lezione spirituale.

    4. Avanti di andare a letto, la sera, fare l'esame generale della coscienza, coll'atto di contrizione, e preparare i punti per la meditazione del dì seguente.

    5. Avanti pranzo o avanti cena, o almeno avanti l'esame generale della sera, fare un altro esame particolare sopra il liberarsi da qualche vizio o difetto, o sopra l'acquisto di qualche virtù.

    6. Essere diligente alla congregazione, la festa, alla scuola ed ai circoli nei dì feriali, e dare sempre il suo tempo conveniente allo studio in casa.

    7. Visitare il Ss. Sacramento e qualche chiesa o cappella divota alla beata Vergine, almeno una volta (al giorno).

    8. Recitare cinque Pater e Ave alle cinque piaghe di Gesù Cristo tra le diciotto e le ventuna ora, e fare almeno tre atti di mortificazione o virtù ad onore di Maria Vergine.

    9. Recitare le altre orazioni vocali ed altre solite divozioni a Maria Vergine, a san Giuseppe, ai santi avvocati ed anime del purgatorio; le quali però dovranno essere approvate dal proprio direttore; così anche libri per la meditazione e lezione spirituale.

    10. Leggere con attenzione e riflessione un capitolo intero, o almeno una parte, del divotissimo libro di Tommaso da Kempis, latino. Lì per osservare stabilmente le suddette cose, farsi una distribuzione delle ore del giorno, ed ivi assegnare il suo determinato tempo all'orazione, allo studio, alle altre divozioni, alla ricreazione ed al sonno, consultando[si] prima di tutto col direttore.

    12. Assuefarsi ad alzare spesso la mente a Dio, con brevi ma ferventi orazioni giaculatorie..."

     

    Una giornata tipo che, dimezzata e modificata a causa degli impegni sempre crescenti in quanto Vescovo e Pastore, Nunzio apostolico e poi Pontefice, cercherà comunque sia di mantenere inalterata nell'essenziale, per tutta la vita.

     

    Nel 1900 scrive dei suoi difetti e i proponimenti per diventare santo:

    "Qualche volta discorrendo mi scaldo un po' troppo; tal'altra sono meno piacevole in famiglia, meno garbato nel tratto, e infinite altre cose...."

    e si propone quanto segue:

    "Io rinnovo il mio proponimento di volermi fare santo davvero, e protesto un'altra volta innanzi a te, o Cuore dolcissimo del mio maestro Gesù, di volerti amare come tu lo desideri, di volermi investire del tuo spirito. Intanto, quattro sono le risoluzioni che propongo di praticare, « hic et nunc et semper » per fare qualche passo innanzi. Anzitutto, spirito di unione con Gesù, raccoglimento nel suo Cuore dai primo svegliarsi il mattino al chiudere gli occhi la sera, e, se fosse possibile, anche nel sonno notturno. «Ego dormio sed cor meum vigilat» (Ct 5,2). (Traduzione: io dormo, ma il mio cuore veglia).

    Tutti i miei sforzi, poi, li devo condensare nella recita del rosario.

    Secondariamente, non dimenticarsi mai dell'« age quod agis»; essere sempre in tutte le mie azioni presente a me stesso. 

    In terzo luogo, modestia la più scrupolosa negli sguardi, nelle parole, ecc. Siamo già intesi.

    Da ultimo, tranquillità, quiete, giovialità, buone maniere, mai una parola risentita con nessuno, mai scaldarsi ragionando; ma semplicità, cordialità; ma franchezza insieme e non codardia, non cose fiacche.

    Aggiungi: non parlare mai di persone, di compagni intimi miei, la di cui triste riuscita faccia sempre più risaltare la mia condotta, se non con riserbo, dicendone quel più bene che si può, coprendone i difetti quando lo svelarli sia inutile, e non faccia che eccitare il mio amor proprio che si nasconde sotto e il più delle volte, così bei' bello, si tradisce..."

     

    Roncalli non si è mai sognato di tacere sul peccato quanto piuttosto ciò che i Santi tutti hanno sempre insegnato: non umiliare il prossimo a causa dei suoi difetti, non svelarli se.... lo svelarli sia inutile, e per "eccitar l'amor proprio".

     

    Giovanni XXIII era un amante, un fervente, un obbediente alle Devozioni, ma mai devozionista o superstizioso, combatteva i superstiziosi e al tempo stesso ammoniva specialmente quel clero che alle pie pratiche non credeva più.

    Amava in particolar modo (come il Rosario di cui abbiamo già parlato sopra) la devozione al Preziosissimo Sangue, una Festa "di vera pietas" che, ahimè, venne meno dopo il Concilio...

    Nel Giornale dell'Anima scrive: " Poiché non posso portare dinnanzi alla croce di Gesù i sentimenti di Maria, di Giovanni e delle pie donne, almeno non mi manchi la commozione del centurione che scendeva dal colle percotendosi il petto e confessando la divinità del crocifisso Nazareno. Del dono delle lacrime io non sono degno, o Signore, perché peccatore. Ho però tutti i diritti ad essere purificato nel Vostro Sangue che fu sparso per le mie miserie...."

     

    Insomma, basta chiedere alle genti che quel giorno hanno popolato Roma per le due canonizzazioni e chiedere: che cosa ha scritto Giovanni XXIII ? (3). Per sentirsi dire: la Pacem in terris! - ma che domande sono !? -

    Ci vorrebbe un altro articolo per approfondire quell'Enciclica che al momento non possiamo affrontare per sfrondarla dai molti miti mediatici, ma ci basti citare un'altro testo poco conosciuto eppure di grande importanza, parliamo di un documento scomodo, approvato pochi mesi prima dell’apertura del Concilio, il 22 febbraio 1962, la Costituzione apostolica Veterum Sapientia (4). Si tratta del documento che riafferma con forza l’uso del latino come lingua immutabile della Chiesa, lingua da studiare nei seminari, da impiegare nei documenti e negli atti ecclesiastici e, soprattutto, nella liturgia.

    Lo stesso Giornale dell'Anima contiene molte citazioni in latino che Roncalli non scriveva per vanagloria o per vantarsi di conoscerlo, al contrario. Imparare e conoscere quella lingua della Chiesa, era costato a Roncalli molto studio e molta fatica, ma gli avevano aperto un mondo sconosciuto al mondo stesso, il mondo dei Padri della Chiesa, dei Santi, dei Dottori, il mondo della Chiesa Mistica alla quale il futuro Pontefice aveva deciso di voler appartenere per sempre, se Dio glielo avesse concesso naturalmente, e su questo desiderio fonda lo scopo della sua vocazione sacerdotale.

    E diceva:

    "Il mio voler fare, voler dire è amor proprio bello e buono; seguendo i miei modi di vedere, lavorerò, suderò e poi, e poi... vento, vento.

    Se voglio essere veramente grande, un gran sacerdote, mi devo spogliare di tutto, come Gesù in croce; e giudicare di tutti gli avvenimenti della vita mia, le disposizioni superiori a mio riguardo, con spirito di fede. Non portiamo, per carità, la critica in questo campo: «Oh! beata simplicitas, o beata simplicitas! »."

    "Se il Signore darà a me vita lunga e modo di essere prete di qualche profitto nella Chiesa, voglio che si dica di me, e me ne glorierò più di qualunque altro titolo, che sono stato un sacerdote di fede viva, semplice, tutto di un pezzo, col Papa e per il Papa, sempre, anche nelle cose non definite, anche nei più minuti modi di vedere e sentire..."

     

    E così sulla questione della lingua latina già messa a rischio prima del Concilio, chiudeva Giovanni XXIII citando i suoi Predecessori:

    "La piena conoscenza e l'uso di questa lingua, cosí legata alla vita della Chiesa, non interessa tanto la cultura e le lettere quanto la Religione, come il nostro Predecessore di immortale memoria Pio XI ebbe ad ammonire; egli, essendosi occupato scientificamente dell'argomento, additò chiaramente tre doti di questa lingua, in modo mirabile conformi alla natura della Chiesa: «Infatti la Chiesa, poiché tiene unite nel suo amplesso tutte le genti e durerà fino alla consumazione dei secoli… richiede per sua natura un linguaggio universale, immutabile, non volgare». 

    Poiché è necessario, invero, che «ogni Chiesa si unisca nella Chiesa Romana» e, dal momento che i Sommi Pontefici hanno «autorità episcopale, ordinaria e immediata su tutte le Chiese e su ogni Chiesa in particolare, su tutti i pastori e su ogni pastore e sui fedeli» di qualunque rito, di qualunque nazione, di qualunque lingua essi siano, sembra del tutto conseguente che il mezzo di comunicazione sia universale ed uguale per tutti, particolarmente tra la Sede Apostolica e le Chiese che seguono lo stesso rito latino. Pertanto, sia i Pontefici Romani, quando vogliono impartire qualche insegnamento alle genti cattoliche, sia i Dicasteri della Curia Romana, quando trattano di affari, quando stendono dei decreti, che riguardano tutti i fedeli, sempre usano la lingua latina, che è accolta da innumerevoli genti, quasi voce della madre comune. 

    Ed è necessario che la Chiesa usi una lingua non solo universale, ma anche immutabile."

    Così, possiamo concludere questa nostra prima parte con un accenno al concetto di "pace" che Roncalli aveva.

     

    Non era certo il pacifismo, non è certo la pace che intende il mondo, non è la pace del mondo, così come ci insegna Gesù stesso: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore..." (Gv 14,23-29).

    Roncalli aveva compreso bene di quale Pace parlare e scrive nel suo Giornale dell'anima:

    " Amo porre vicino al « pax et bonum» le parole di san Gregorio Nazianzeno: « Voluntas Dei pax nostra». E con ciò siamo subito intesi. La pace è il sommo dei beni: la sostanza viva di questi beni è la volontà di Dio. Non la nostra: ma quella che la vocazione religiosa ha deposto nello spirito come un seme. Una risposta ad una chiamata alla vita religiosa che non fosse ricerca ed esercizio della volontà del Signore sarebbe voce falsa e ingannatrice. Questa conformità alla volontà del Signore in noi è la chiave che schiude i tesori della nostra esistenza: è la guida sicurissima che ci conduce alla nostra felicità quaggiù, e in eterno: è l'affermazione della vera pace in noi, diffusiva di molta pace intorno a noi. Oh! le parole « Voluntas Dei pax nostra». Come mi piace intrecciarle al motto francescano che aggiunge alla « pax nostra », il « bonum », che indica il successo felice del vivere nostro! San Paolo lo dice « pax et gaudium»: pace e letizia (Rm 14.17).

    (..) La pace del Signore suppone il perfetto distacco da noi stessi, e l'abbandono assoluto della nostra volontà in ordine ai beni ed alle comodità della nostra vita. Quando l'anima raggiunge una completa indifferenza in faccia alle persone, agli uffici ed alle mutazioni di luoghi, di posti, di carriera più o meno fortunata e felice, quella è la vera pace.

    (...) Purtroppo siamo portati ad aggirarci fra i salici babilonesi come pellegrini quaggiù, sulla landa dell'esilio; in atto di trasferire le nostre tende, giorno per giorno, ora per ora, sempre all'ombra della croce. Se fra le spine della vita il Signore ci fa spuntare un gelsomino, una rosa, o qualche altro bel fiore, ce ne compiacciamo, ma queste piccole cose non possono dare la vera pace. Sono una tregua. San Gregorio Magno con bella grazia le dice "aliquantula requies": sono un respiro di pace: però di una pace armata che vuol essere difesa dalle quattro tentazioni.

    L'esercizio della pace è qualche cosa di ben più perfetto.

    Riposa nel trionfo della misericordia del Signore in noi.

    Sant'Agostino dice «una spes, una fiducia, una promissio, misericordia tua ». Nel Salmo 135 questa misericordia viene ricordata ben 27 volte: quoniam in aeternum misericordia eius. "

     

    Queste, se vogliamo -  e lo vogliamo - sono state le basi e le fondamenta per laPacem in terris nella sua più autentica e vera interpretazione.

    Scrive infatti Giovanni XXIII in questa Enciclica:

    "In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili [da una citazione di Pio XII].

    Che se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna".

     

    e sottolinea i parametri della vera pace:

     

    "Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio... (..)  Ma la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza:ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà..."

    ed è naturale che San Giovanni XXIII intendeva affermare una vera Pace fondata sulla Verità di Nostro Signore Gesù Cristo; sull'autentica giustizia donata agli uomini dall'ordine costituito da Dio; da quella Carità che si esprime e si attua nella verità e perciò nella libertà dei Figli di Dio, diversamente, rammenta il Pontefice: la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine... stabilito da Dio.

     

    - fine prima parte

     

    Note

     

    *) Il Giornale dell'Anima

    1) Papa Francesco Omelia 27 aprile 2014

    2) Suggeriamo la riflessione su Lettera di Annetta "Sono dannata all'inferno", un testo con tanto di Imprimatur.. Nelle parole di Roncalli sull'inferno sopra lette, si riscontrano i medesimi moniti rivelati da Annetta.

    3) scriveremo alcuni articoli anche sulla vera immagine di Giovanni Paolo II e sui suoi scritti.

    4) Veterum Sapientia, purtroppo nel sito ufficiale del Vaticano è ancora assente la versione italiana e c'è solo quella in latino. Per la versione italiana, cliccate qui.



     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 05/05/2014 08:31
      dall'amica Claudia Cirami di papalepapale.com ecco un altro bell'articolo su Giovanni XXIII


    Ritratto di un pontefice né “povero parroco” né “rivoluzionario”: Giovanni XXIII, santo

    Posted on 26/04/2014 by claudiac

    misc-Pope-John-XXIII



    C’è un Giovanni XXIII che appartiene al mito. Ma non è quello vero. Non è stato, infatti, quello che voleva rivoltare la Chiesa da cima a fondo. Nè è stato l’ingenuo che è capitato per caso nel posto sbagliato. Era un uomo amabile, ma intelligente, aperto alla novità ma legato alla Tradizione, non spavaldo ma fiducioso nella Provvidenza. Uno che sapeva sorridere di sé e del mondo, un profeta con i piedi per terra.

    Ritratto dal vero, non icona ideologica di un pontefice. Nel giorno della sua ascesa alla gloria degli altari

     

     

    di Claudia Cirami

    Mettere i Pontefici l’uno contro l’altro. Succede da tanto tempo, oggi forse con maggiore esasperazione. Esacerbati come siamo da chi si serve del potere amplificante dei media per soffiare sulle nostre passioni, li portiamo come vessillo nelle nostre guerre personali. Che, troppe volte, di cattolico hanno solo il nome. Benedetto contro Francesco, Paolo contro Giovanni Paolo, Pio contro Giovanni. Eppure il buon senso dovrebbe prevalere: nella Chiesa c’è spazio per tutti e ogni eletto al soglio di Pietro è stato il pontefice adatto per il tempo in cui è stato chiamato a reggere il timone della barca di Cristo. Così vogliamo iniziare questo viaggio-ritratto di Giovanni XXIII partendo dall’ affermazione di un uomo di Chiesa: «Questo (Giovanni XXIII n. d.r.) vive in letizia, quanto l’altro (Pio XII, n.d.r.) viveva in mestizia. Hanno un temperamento opposto, ma gli opposti si toccano e formano un tutt’uno» (in B. Lai, Settimana Incom, 11 Marzo 1962). Quel tutt’uno che da duemila anni e più ha nome Chiesa Cattolica.

    Il “Papa buono”? Sì, ma non fermiamoci qui

    La sua bontà d’animo traspariva dallo sguardo e da tutta la sua persona.

    Parlando di Giovanni XXIII, cerchiamo di andare oltre la definizione di “Papa buono”. Non tutti, infatti, la usano con l’umiltà di Benedetto XVI o con la genuinità della vecchina sgrana-rosari. Tante volte questa definizione è risuonata con intento insolente nei confronti degli altri pontefici, predecessori e successori: l’amabilità – che era una caratteristica di Papa Roncalli – non deve essere confusa con la bontà d’animo, che è appartenuta anche agli altri. Inoltre, per una certa furbizia italica (ma non solo), l’aggettivo “buono” è sinonimo di “sempliciotto”, “ingenuo”, “sprovveduto”. Questo equivoco è nato fin dai tempi del suo pontificato se Enzo Biagi, già nel 1963, deve puntualizzare: «L’umana amabilità con la quale affronta la gente non toglie maestà e prestigio alla sua persona. Non è, come qualcuno ha scritto, “un bravo parroco”, è il Papa. Quando dice “Noi”, si sente che parla il successore di Pietro e non “un povero prete”» (E. Biagi in La Stampa, 4 Febbraio 1963).

    Del resto, prima di essere Papa fu visitatore apostolico in Bulgaria, delegato apostolico in Turchia e Grecia e nunzio a Parigi: non certo luoghi in cui si invia soltanto un “buon parroco”. Ma c’è anche un terzo motivo per non fermarsi a questa definizione: il santino da “papa buono” mette in secondo piano la carica di simpatia di Papa Roncalli. Uno a cui rispondere con una battuta piaceva molto. Ad un ecclesiastico troppo solerte che, per tutelare le passeggiate papali nei giardini vaticani, aveva pensato di vietare l’accesso alla cupola di San Pietro per i turisti, Giovanni XXIII rispose sorridendo: «Non è necessario, cercherò di non scandalizzare nessuno» (M. Bergerre, Quattro Papi e un giornalista, p. 68). Si dilettava anche ad ironizzare su se stesso e la sua “rotondità”: «diceva che quando voleva sentirsi magro si metteva accanto al cardinale Gaetano Cicognani, nunzio a Madrid, suo buon amico e uno dei suoi grandi elettori, la cui mole era ragguardevole» (M. Bergerre, op. cit., p.87).

    Angelo da Sotto il Monte

    Roncalli da giovane.

    Sapeva bene da pontefice qualedoveva essere il suo ruolo, ma ha avuto la capacità di imprimere il suo stile personale al pontificato. NelGiornale dell’Anima – quell’insieme di quadernetti dove egli aveva l’abitudine di annotare pensieri, dialoghi con Dio, appunti spirituali – scrive: «comunemente si crede e si approva che il linguaggio anche famigliare del Papa sappia di mistero e di terrore circospetto. Invece è più conforme all’esempio di Gesù la semplicità più attraente, non disgiunta dalla prudenza dei savi e dei santi, che Dio aiuta» (GdA, 341). Quella semplicità di linguaggio e di modi che l’avevano contraddistinto fin da bambino, nell’infanzia a Sotto il Monte, dove era nato nel 1881, cresciuto in una famiglia di contadini, solida riguardo ad educazione religiosa e affettuosa rispetto ai legami familiari. I sacrifici per studiare furono non pochi, ma alla fine riuscì ad entrare in seminario. Nessuno poteva immaginare quale sentiero luminoso Dio avesse in mente per lui, ma soprattutto difficile pensare che quest’uomo, eletto pontefice da alcuni con la probabile volontà che fosse “di transizione”, potesse poi incidere in profondità nella storia della Chiesa con soli cinque anni di pontificato. E fu proprio lui il primo a dubitare di se stesso quando sentì parlare di elezione: «Ma ho 77 anni» ribattè ad Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze, che nei giorni precedenti all’esito del Conclave stava sondando il campo per una sua candidatura. Era turbato, Angelo Roncalli, sebbene non sconvolto perché la sua calma derivava dal rapporto intenso con Dio. «Dieci meno dei miei», replicò Dalla Costa, chiudendo il discorso. Da quel momento, Roncalli si predispose a fare ancora una volta la volontà del Signore.

    Un conservatore o un progressista? Un Papa, come gli altri

    Santo, insieme a Giovanni Paolo II.

    Ogni volta che un papa viene eletto al soglio pontificio, c’è sempre il tentativo di tirarlo… per la veste ed inserirlo nel blocco tradizionalista o in quello progressista. Al solito, i Papi non si fanno rinchiudere in questi schieramenti che ricordano tanto le suddivisioni politiche. Se anche prima di sedere sulla Cattedra di Pietro, hanno manifestato una sensibilità più spiccata verso l’una o l’altra parte, una volta eletti, hanno poi saputo diventare pontefici della cattolicità, portando sì ognuno la propria sensibilità ma aprendola ad un carattere universale che è poi la cifra dell’essere cattolico. Così accade a Giovanni XXIII: la vulgata lo vuole papa progressista perché ideatore del Concilio. Come non ricordare quei gruppi di radicali che chiedevano a gran voce, durante il penultimo conclave, un Giovanni XXIV, erede dello spirito del primo (e che magari, secondo i loro desiderata, avrebbe sposato pure tutte le battaglie radicali)? Giovanni XXIII, però, non è stato un progressista. Non lo è stato da prete, poi vescovo, poi cardinale, poi patriarca, e non lo è stato da Papa.

    Col camauro e la stola di Pio VI, suo sventurato predecessoreCol camauro e la stola di Pio VI, suo sventurato predecessore

    Ecco cosa dice un suo biografo, riferendosi al notoGiornale dell’Anima: «Fin dalle prime pagine, scritte a 14 anni, Angelo Roncalli si inserisce nel solco antico, risalente addirittura ai Padri della Chiesa, per mettersi alla presenza e in ascolto di Dio: silenzio, sguardo attento alla realtà della sua vita, sincerità spoglia e totale davanti ai suoi atteggiamenti profondi e alla chiamata di Dio, lettura sapienziale della parola di Dio. Il Giornale è e si svela ad ogni pagina l’angolo di monastero dove Angelo Giuseppe Roncalli vive la sua vita a tu per tu con Dio. Vita nutrita ogni giorno dalla liturgia, dalla presenza sacramentale di Gesù nella Messa, e purificata pacificamente ma inesorabilmente nel confronto quotidiano con Dio che lo chiama ad essere (e ad essere “soltanto”) suo sacerdote» (T. Bosco, Giovanni XXIII. Storia di un cristiano, pp.27-29). Emerge qui un tratto di spiritualità che difficilmente si può definire “progressista”.

    «Gioisce la Madre Chiesa…». Non tanto, a dire il vero, ma non fu colpa sua.

    Apertura del Concilio. In pompa magna.Apertura del Concilio. In pompa magna. Qui, secondo alcuni, si arena la santità di Giovanni XXIII. Per altri, invece, questo è il motivo della sua santità. Letture entrambe riduttive della sua persona.
    Qui, secondo alcuni, si arena la santità di Giovanni XXIII. Per altri, invece, questo è il motivo della sua santità. Letture entrambe riduttive della sua persona.

    E andiamo al Concilio Vaticano II.Che è diventata la pietra d’inciampo (o la leva archimedea, a seconda delle prospettive da cui si guarda, entrambe parziali) del pontificato di Giovanni XXIII. «Gaudet Mater Ecclesia…» furono le parole di apertura del discorso di papa Roncalli. «Gioisce la Madre Chiesa» per quel Concilio che, nelle intenzioni del Papa, doveva accrescere la comunità cattolica di «spirituali certezze e, attingendovi forze di nuove energie» permetterle di guardare «intrepida al futuro» e «con opportuni aggiornamenti e con il saggio ordinamento di mutua collaborazione» consentirle di far sì «che gli uomini, le famiglie, i popoli» volgessero «realmente l’animo alle cose celesti». Sappiamo come è andata a finire. A fronte di alcuni frutti, la Chiesa è entrata in una stagione difficile. Di recente, lo storico Roberto De Mattei ha detto: «Nel caso di un Papa, per essere considerato santo egli deve avere esercitato le virtù eroiche nello svolgere la sua missione di Pontefice, come fu, ad esempio, per san Pio V o san Pio X. Ebbene, per quanto riguarda Giovanni XXIII, nutro la meditata convinzione che il suo pontificato abbia rappresentato un oggettivo danno alla Chiesa e che dunque sia impossibile parlare per lui di santità» . Un giudizio abbastanza severo. Perché De Mattei attribuisce al pontificato di Giovanni XXIII i danni della deriva post-conciliare. Su cui, per altro, papa Roncalli non poté esercitare alcun controllo, dato che morì prima della conclusione del Concilio, nel 1963.

    Ma il Vaticano II fu un male?

    Benedetto XVI e Francesco. Benedetto XVI e Francesco. Entrambi convinti della santità di Giovanni XXIIIEntrambi convinti della santità di Giovanni XXIII

    Basterebbe però leggere Benedetto XVI, un pontefice che di certo non può essere tacciato di progressismo, per vedere che il Vaticano II in sé non fu un male: «Quarant’anni dopo il Concilio possiamo rilevare che il positivo è più grande e più vivo di quanto non potesse apparire nell’agitazione degli anni intorno al 1968. Oggi vediamo che il seme buono, pur sviluppandosi lentamente, tuttavia cresce, e cresce così anche la nostra profonda gratitudine per l’opera svolta dal Concilio».

    Quella solennità pontificia infinitamente cara al vecchio Roncalli

    Se non bastasse, è ottimo il giudizio che sempre lo stesso Benedetto XVI esprime su Giovanni XXIII: «La grazia di Dio andava preparando una stagione impegnativa e promettente per la Chiesa e per la società, e trovò nella docilità allo Spirito Santo, che distinse l’intera vita di Giovanni XXIII, il terreno buono per far germogliare la concordia, la speranza, l’unità e la pace, a bene dell’intera umanità. Papa Giovanni indicò la fede in Cristo e l’appartenenza alla Chiesa, madre e maestra, quale garanzia di feconda testimonianza cristiana nel mondo. Così, nelle forti contrapposizioni del suo tempo, il Papa fu uomo e pastore di pace, che seppe aprire in Oriente e in Occidente inaspettati orizzonti di fraternità tra i cristiani e di dialogo con tutti». Semmai è stata quell’ “ermeneutica della rottura” – che ha giganteggiato nel post-concilio – che ha oscurato, per non dire quasi annullato, i buoni frutti del Vaticano II. Una lettura serena dei documenti conciliari ancora oggi non è possibile. Troppe le forzature da parte di chi voleva imporre un presunto spirito del Concilio sulla “lettera” dei documenti. Tante le chiusure dalla parte opposta che – invece di puntare il dito accusatore contro chi strumentalizzava (e continua a farlo) a suo piacimento il Vaticano II – ha preferito condannare il Concilio come origine di tutti i mali della Chiesa. Letture entrambe riduttive e, in fondo, incapaci, in modo diverso, di accettare quell’autentica novità evangelica che è dirompente e non si fa costringere in bieche categorie paralizzanti.

    La grande intuizione giovannea

    Giovanni celebra la messa privata. Giovanni celebra la messa privata. Si raccomandò molto per la preservazione del latino liturgico. Un'altra delle sue intenzioni tradite. Si raccomandò molto per la preservazione del latino liturgico. Un’altra delle sue intenzioni tradite.

    Ci guardiamo bene qui dall’avvallare interpretazioni abusivamente rivoluzionarie del pontificato di papa Roncalli. Troppo spesso, infatti, Giovanni XXIII è diventato, suo malgrado, l’icona di chi voleva (e vuole) protestantizzare la Chiesa e dissolverla in una Ong. Non è stato un rivoluzionario. Non è stato un comunista (Falcem in terris, storpiava una vignetta satirica il titolo di una sua enciclica, come si legge in R. Mezzanotte (a cura di) Pro e contro Giovanni XXIII. Dossier Mondadori, p.85). Egli ha preso atto di un mondo che stava cambiando e invece di trincerarsi dietro steccati di paura e di mantenimento dello status quo ecclesiale, ha coraggiosamente preso per mano la Chiesa per condurla verso tempi nuovi. E’ stato profondamente consapevole, infatti, che era venuto il momento – da qui l’attenzione ai “segni dei tempi” – in cui la Chiesa dovesse mettersi a servizio non solo dei cattolici ma di tutti gli uomini. Non rinunciando ad essere fedele al Vangelo (non così alcuni che si richiamano a questo Papa) ma cercando nuove strade attraverso cui questo potesse arrivare all’uomo moderno. Come sempre, ogni cambiamento comporta dei rischi. E ogni rischio può rivelarsi un problema. E’ successo anche in questo caso.

    Tra chi segue il Papa oggi non ci sono solo cattolici.

    Eppure, l’intuizione giovannea ha in fondo precorso i tempi. Non è forse oggi, con l’invadente e capillare diffusione dei media, che appare ancora più evidente come la Chiesa Cattolica sia ormai punto di riferimento imprescindibile per credenti e non, che guardano a questa come istituzione credibile, molto più delle altre, perché forte della sua esistenza bimillenaria e del richiamo irresistibile del suo messaggio d’amore? E come si fa ad ignorare le ansie e le attese del mondo per ripiegarsi solo su se stessi? Come si fa a non comprendere che l’uomo vestito di bianco – che si chiami Giovanni, Paolo, Benedetto, Francesco – è oggi più che nel passato una figura fondamentale non solo per i fedeli cattolici ma anche per tutti gli altri? La sfida dal Vaticano II in poi sarà allora quella di trovare, anno dopo anno, documento dopo documento, pastorale dopo pastorale, il modo più adatto per non “sfigurare” il messaggio cristiano, annacquandolo o ammorbidendolo, senza tuttavia rinunciare a prendere per mano l’umanità, come purtroppo sembrano voler fare molti spiriti tradizionalisti, che assumono spesso l’atteggiamento sdegnoso del fratello maggiore della parabola lucana sul padre generoso. Ma non si può andare incontro ad un’umanità dolente portandosi dietro irragionevoli paure (quante volte usiamo l’espressione “venuta dell’Anticristo” con leggerezza!) e chiudendo anticipatamente allo Spirito Santo, che non è certo il tifone spazza-dottrina che immagina il cattolicesimo “adulto”, ma nemmeno il blocco marmoreo, che di Spirito ha solo il nome, concepito dagli ismi del cattolicesimo di segno opposto.

    Ai profeti di sventura di ieri… e di oggi

    Senza le strumentalizzazioni, il suo monito ai profeti di sventura rimane attualissimo.

    La conclusione di questo scritto non poteva che essere affidata al noto brano contro i profeti di sventura. Per due motivi: 1) perché quella di rimpiangere i tempi andati è una tentazione perenne nella Chiesa da cui mettere giustamente in guardia e non si può liquidare sbrigativamente come progressismo (che è altra cosa) il voler essere fedeli alla novità del Vangelo senza costringerlo in cristallizzazioni abusive; 2) perché mostra le sapienti doti di analisi di storia ecclesiale di Papa Roncalli, nonché la sua capacità di affidamento alla Provvidenza, doti e capacità che spesso mancano ai detrattori di Giovanni XXIII.

    Lo riporto senza strumentalizzarlo – come è stato fatto invece da chi voleva in tal modo zittire bruscamente l’opposizione alle sue poco cattoliche fumisterie teologiche e pastorali – riconducendolo alla purezza originaria, quella di un Papa al di là con gli anni (di lì a poco sarebbe morto, sopportando con fortezza eroica l’attacco furente di un cancro) che aveva scoperto il divino segreto per mantenere uno sguardo giovane, un cuore accogliente, una mente aperta.

    Sempre giovane in Dio.

    Ecco le sue significative parole: «Nell’esercizio quotidiano del Nostro ministero pastorale ci feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discernimento e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia, che pur è maestra di vita, e come se al tempo dei Concili precedenti tutto procedesse bene in fatto di dottrina e vita cristiana, e di giusta libertà religiosa. A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo. Nel presente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettativa, si volgono progressivamente verso il compimento di disegni superiori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della Chiesa». Ad maiorem Dei gloriam.


    papal6rb2


     


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 13/05/2014 12:08


    SAN GIOVANNI XXIII IL PAPA SCONOSCIUTO E LA PACEM IN TERRIS - SECONDA PARTE


    "Se la creatura umana è fatta a immagine di Dio, un Dio di giustizia che è «ricco di misericordia» (Ef 2, 4), allora queste qualità devono riflettersi nella conduzione degli affari umani. È la combinazione di giustizia e perdono, di giustizia e grazia, a essere al centro della risposta divina al peccato umano (cfr. Spe salvi n. 44), al centro, in altre parole, dell'«ordine stabilito da Dio» (Pacem in terris n. 1). Il perdono non è negazione del male, ma partecipazione all'amore salvifico e trasformatore di Dio, che riconcilia e guarisce". (1)

     

    Nella prima parte abbiamo cercato di sviscerare i tanti luoghi comuni che nel tempo hanno offerto al mondo una immagine falsificata, adulterata, di ciò che era realmente Giovanni XXIII.

    Ora ci vogliamo occupare della Pacem in terris, la famosa enciclica che paradossalmente è diventata, suo malgrado, l'icona del pacifismo cattolico-laicista, in evidente contrasto con la vera dottrina sociale della Chiesa e in netto contrasto con gli stessi contenuti del documento.

    In un terzo articolo tenteremo, infine, di sviscerare anche le false interpretazioni attribuite a Giovanni XXIII nell'aprire il Concilio e, giustamente, anche le sue imprudenze che vennero usate a vantaggio del progressismo-modernismo cattolico che usò il Concilio come un "Cavallo di Troia" per farvi entrare le più aberranti nefandezze.

     

    S.S. Benedetto XVIS.S. Benedetto XVI

    Come introduzione usiamo di proposito le lungimiranti parole usate da Benedetto XVI che così presenta questa enciclica:

     

    "«Infatti non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di essi, se cioè ognuno non instaura in se stesso l'ordine voluto da Dio» (Pacem in terris n. 88). Al centro della dottrina sociale della Chiesa c'è l'antropologia che riconosce nella creatura umana l'immagine del Creatore, dotata d'intelligenza e di libertà, capace di conoscere e di amare. Pace e giustizia sono frutto del giusto ordine, che è iscritto nella creazione stessa, scritto nel cuore umano (cfr. Rm 2, 15) e pertanto accessibile a tutte le persone di buona volontà, a tutti i «pellegrini di verità e di pace». L'enciclica di Papa Giovanni era ed è un forte invito a impegnarsi in quel dialogo creativo tra la Chiesa e il mondo, tra i credenti e i non credenti, che il concilio Vaticano II si è proposto di promuovere..." (2)

     

    Il cuore di tutta l'enciclica giovannea è questo: "«... non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di essi, se cioè ognuno non instaura in se stesso l'ordine voluto da Dio»

     

    L'ordine "voluto da Dio" non è una offerta magisteriale facoltativa o opinabile che il santo Padre fece al mondo, ma è proprio il cuore dell'enciclica, il suo motore, il punto di raccordo con il quale dare ad essa la corretta interpretazione.

    Giustizia e perdono, infatti, sono sempre stati i capisaldi della Dottrina sociale della Chiesa che vide in Leone XIII non l'iniziatore di tale dottrina, ma precisamente colui che raccogliendo tutto l'insegnamento bimillenario della Chiesa, lo investì - possiamo dire - quale fondamento alla Rerum Novarum e da questo documento, questa dottrina si irradiò nel mondo dai veloci mutamenti trovando poi, nella Pacem in terris, le coordinate per la comprensione dei nostri tempi.

     

    Vale la pena di riflettere anche su queste parole profetiche e provvidenziali dell'allora cardinale Ratzinger poche settimane prima di diventare Pontefice:

     

    “È vero che oggi esiste un nuovo moralismo le cui parole-chiave sono giustizia, pace, conservazione del creato, parole che richiamano dei valori morali essenziali di cui abbiamo davvero bisogno.

    Ma questo moralismo rimane vago e scivola così, quasi inevitabilmente, nella sfera politico-partitica. Esso è anzitutto una pretesa rivolta agli altri, e troppo poco un dovere personale della nostra vita quotidiana. Infatti, cosa significa giustizia? Chi lo definisce? Che cosa serve alla pace?

    Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo. Il moralismo politico degli anni Settanta, le cui radici non sono affatto morte, fu un moralismo che riuscì ad affascinare anche dei giovani pieni di ideali. Ma era un moralismo con indirizzo sbagliato in quanto privo di serena razionalità, e perché, in ultima analisi, metteva l’utopia politica al di sopra della dignità del singolo uomo, mostrando persino di poter arrivare, in nome di grandi obbiettivi, a disprezzare l’uomo.

    Il moralismo politico, come l’abbiamo vissuto e come lo viviamo ancora, non solo non apre la strada a una rigenerazione, ma la blocca. Lo stesso vale, di conseguenza, anche per un cristianesimo e per una teologia che riducono il nocciolo del messaggio di Gesù, il Regno di Dio, ai valori del Regno, identificando questi valori con le grandi parole d’ordine del moralismo politico, e proclamandole, nello stesso tempo, come sintesi delle religioni. Dimenticandosi però, così, di Dio, nonostante sia proprio Lui il soggetto e la causa del Regno di Dio. Al suo posto rimangono grandi parole (e valori) che si prestano a qualsiasi tipo di abuso”. (3)

     

     

     

    S.S. Paolo VIS.S. Paolo VI

     Leggiamo cosa disse Paolo VI nell'Omelia in san Giovanni in Laterano (4) per  la prima giornata della Pace, nella quale cita la Pacem in terris:

     

     "Ciascuno dei temi delle varie « Giornate per la Pace » completa i precedenti come una pietra si aggiunge alle altre per costruire una casa: questa casa della Pace, che - come diceva il nostro venerato predecessore Giovanni XXIII - si fonda su quattro pilastri : « la verità, la giustizia, la solidarietà operante e la libertà »...."

     

     I "pilastri" dell'enciclica stessa sono quattro:

     1. la verità;

     2. la giustizia;

    3. la solidarietà operante;

    4. la libertà.

     

    se togliessimo un solo pilastro, tutta l'enciclica crollerebbe o, come è accaduto, diventa strumento per qualcosa di altro perdendo senza dubbio la sua impalcatura originale. Che cosa si è dunque tolta a questa enciclica? la Verità e di conseguenza si è tolto quell'ordine voluto da Dio!

    E la giustizia, senza quella Verità che per noi e nelle intenzioni di Giovanni XXIII era ed è: "«... l'ordine voluto da Dio», non è diventata altro che moralismo ideologizzato - leggasi per esempio la questione della perversa bandiera della pace (5) - atto a frantumare l'autentica Pace portata dal Cristo e che, consegnata alla Sua Chiesa, è sorgente di conversioni al Cristo, a quella Verità, a quell'ordine voluto da Dio e non alla pace effimera del mondo (Gv.14,27). Gesù lo dice chiaramente: non come il mondo la da a voi, mettendo in chiaro che la pace del mondo è quella senza la legge di Dio, senza l'ordine voluto da Dio, e di conseguenza una pace falsa, il cosiddetto pacifismo.

     

    Giovanni XXIII lo disse al suo segretario: "ci siamo fatti scippare la pace; dobbiamo riappropriarci  della Pace donata dal Cristo nel Vangelo e diffonderla in questo nostro tempo".

     

    Il fatto è che la Pacem in terris è stata grandemente strumentalizzata. Si è voluto diabolicamente  esorcizzare il Regno di Dio, si è voluto perversamente esorcizzare la Croce, la sofferenza, la Pace vera che costa in quel “morire a se stessi”. Il pacifismo non è altro che un esorcizzare le proprie responsabilità verso un “Sì” incondizionato che dovremmo dire a Dio e all'ordine da Lui voluto.

    “Sì” che diventa un “né” quando va bene e un “no” quando la stessa enciclica fu usata dai cortei pacifisti di quegli anni. Pacifisti ma in verità eternamente inquieti e insoddisfatti!

    E’ tipico, per esempio, quello strumentalizzare anche la frase famosa di sant’Agostino: “Ama e fa ciò che vuoi”, giungendo di fatto all’anarchia, all'anarchia dei valori etici e morali, all'anarchia religiosa.

    No! Non era questo l’amore che intendeva sant’Agostino, men che meno il contenuto della Pacem in terris! Sant'Agostino intendeva dire ciò che poi spiega bene nelle Confessioni: “Ama i comandamenti, ama la Legge di Dio, e allora con questo amare potrai fare ciò che vuoi e non sbaglierai”. Del resto lo dice Gesù stesso che il comandamento dell'amore parte da quell'amare il prossimo come amando prima noi stessi ma nel modo corretto, sempre in quell'ordine voluto da Dio dove, al primo posto, c'è Dio stesso in quanto Creatore e Padre con i suoi Comandamenti.

    San Paolo lo rammenta: “Ho combattuto la buona battaglia”, ma contro cosa e contro chi? Contro le sue derive, i suoi difetti, contro il peccato sotto ogni forma per “conservare la fede”.

     

    I pacifisti non combattono questa battaglia. Non hanno capito nulla del Vangelo e non hanno capito nulla delle Beatitudini, laddove viene detto “beati gli assetati di giustizia”. É come se Gesù ci dicesse: “Se, malgrado la povertà, la sofferenza, la persecuzione, sei felice, allora la tua felicità è posta altrove: sei un beato”. "Dov'è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore" (Mt.6,21).

     

    Sì, amici: Gesù svela che l’origine della felicità non è nel pacifismo ma è nel sentirsi amati da Dio e nel leggere la propria storia nella grande storia d’amore di Dio. La beatitudine è dentro, è in Dio. Beato se capisci questo: allora neppure la sofferenza, la povertà, la fame possono distaccarti da questo grande oceano di felicità che è il cuore di Dio. Qui, in questa battaglia con noi stessi, ci è chiesto allora di essere pacifici e non pacifisti e la differenza è enorme! Al contrario, si è diventati pacifici con il proprio peccato, giacendo con esso, e pacifisti con Dio: questa è una delle accuse di “prostituzione”, di cui parla la Bibbia, circa le infedeltà degli uomini verso Dio, ma questo è un altro argomento.

     

    Dunque, secondo Paolo VI i pilastri della Pacem in Terris sono quattro e il primo è la verità!

     

    Leggiamo allora alcuni passi di questa enciclica:

     

    "La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche. (..)

    Ciò non è difficile a capirsi quando si pensi che le persone che rappresentano le comunità politiche, mentre operano in nome e per l’interesse delle medesime, non possono venire meno alla propria dignità; e quindi non possono violare la legge della propria natura, che è la legge morale.

    Sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità; quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale.

    Inoltre, l’autorità è un’esigenza dell’ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere tale; perciò ammonisce il Signore: "udite pertanto voi, o re, e ponete mente, imparate voi che giudicate tutta la terra. Porgete le orecchie voi che avete il governo dei popoli, e vi gloriate di aver soggette molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore e la dominazione dall’Altissimo, il quale disaminerà le opere vostre, e sarà scrutatore dei pensieri" (Sap 6,2-4)...." (P. in T. n.47)

     

    Senza dubbio che l'ottimismo di Giovanni XXIII doveva essere alle stelle mentre scriveva queste sue certezze se poi, come noi ben sappiamo, siamo davvero precipitati alle stalle!

     

    Dice il Papa: " Sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare...." per lui era davvero assurdo il solo immaginare la decadenza politica dell'Europa nei valori etici e morali.

    E non manca il monito giovanneo ai politici che se soltanto per quell'assurdo ipotizzare avessero poi agito contro l'ordine voluto da Dio, dice infatti: "Porgete le orecchie voi che avete il governo dei popoli, e vi gloriate di aver soggette molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore e la dominazione dall’Altissimo, il quale disaminerà le opere vostre, e sarà scrutatore dei pensieri".

     

    E ancora così leggiamo nell'Enciclica:

     

    "Riaffermiamo noi pure quello che costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà. ...."

    Senza la verità sarà l'individualismo, invece, a fare da bilancia, da padrona, spostando l'attenzione su concetti di giustizia e solidarietà fondati esclusivamente sul relativismo. Senza la verità subentra il relativismo e l'opinionismo, impossibile uscire da quest'impasse senza la Verità.

    Sul concetto della solidarietà è sempre la verità che le imprime la vera giustizia, così scrive infatti Giovanni XXIII:

     

    " I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella verità e secondo giustizia; ma quei rapporti vanno pure vivificati dall’operante solidarietà attraverso le mille forme di collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria, sportiva: forme possibili e feconde nella presente epoca storica. In argomento occorre sempre considerare che la ragione d’essere dei poteri pubblici non è quella di chiudere e comprimere gli esseri umani nell’ambito delle rispettive comunità politiche; è invece quella di attuare il bene comune delle stesse comunità politiche; il quale bene comune però va concepito e promosso come una componente del bene comune dell’intera famiglia umana..." (P. inT. n.54)

     

    e ancora: " Amiamo pure richiamare all’attenzione che la competenza scientifica, la capacità tecnica, l’esperienza professionale, se sono necessarie, non sono però sufficienti per ricomporre i rapporti della convivenza in un ordine genuinamente umano; e cioè in un ordine, il cui fondamento è la verità, misura e obiettivo la giustizia, forza propulsiva l’amore, metodo di attuazione la libertà.." (n.78)

     

    e ancora: " A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio..." (n.87)

     

    Dunque, per ricomporre i rapporti della convivenza in un "ordine genuinamente umano", la verità è il fondamento di questo ordine; la misura e l'obiettivo è la giustizia avente come fondamento la verità; la forza propulsiva di tale fondamento si esprime con l'amore autentico-solidarietà; e di conseguenza metodo di attuazione di questo fondamento della verità è la libertà!

    La vera Pace è quella che attua " l'ordine stabilito da Dio" a partire dalla verità sull'uomo, dalla verità sulla legge che regola la nostra natura e che da vita alle nostre società.

     

    Se si toglie un solo elemento da questo ordine, se si toglie la verità, c'è il fallimento, si va verso l'illusione di una pace umana, mondana, praticata solo sul "quieto vivere" per continuare a fare ciò che voglio, intendendo la libertà nel modo peggiore, anarchia, indipendenza da Dio e la stessa Chiesa vista come una istituzione umana fondata sul pacifismo e non sul Cristo che ha detto: "Io sono la via, la verità e la vita.." (Gv.14,6).

    Gesù stesso si identifica con queste tre qualità divine che fa proprie - io sono la... - ed anzi  le umanizza nel momento in cui "il Verbo si fece carne", elevando l'uomo stesso ad una trascendenza sublime per far ritornare l'uomo a quella "immagine e somiglianza" offuscata dal Peccato Originale,  e non solo, ma svela anche la chiave che apre uno spiraglio sulla comprensione del progetto di Dio sull'uomo in ogni tempo: l'ordine voluto da Dio, parole con le quali comincia e termina l'enciclica giovannea.

    Parole che ci riportano al sublime motto del Pontificato di San Pio X: Instaurare omnia in Christo del quale, probabilmente, ne ricaveremo un articolo per ricordare questo Centenario del grande Papa Santo.

     

    A conclusione di ciò rileggiamo e rimeditiamo sulle parole profetiche e sante del card. Ratzinger un giorno prima di essere eletto Successore di Giovanni XXIII e per comprendere come la Pacem in terris debba essere interpretata:

     

    "Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.

    Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1)" (6).

     

    Per ora ci fermiamo qui in attesa di offrirvi riflessioni anche su San Giovanni XXIII e il Concilio nella terza parte che seguirà, qui trovate la prima parte.

     

    Sia lodato Gesù Cristo.

    Sempre sia lodato.

     

    Note

     

    1)  Benedetto XVI - Messaggio  al Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali - 27 aprile 2012

    2) ibid come sopra

    3) card. J. Ratzinger, Conferenza su l’Europa nella crisi delle culture, per la consegna del premio “ S. Benedetto” Subiaco 1-4-2005

    4) Omelia di Paolo VI 1. gennaio 1978

    5) sulla bandiera della pace e la sua perversione si legga qui.

    6) Omelia card. Ratzinger Missa pro eligendo Pontifice - 18 aprile 2005






    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 18/05/2014 22:33


    "In questo nostro tempo la Chiesa vede la comunità umana gravemente turbata aspirare ad un totale rinnovamento. E mentre l’umanità si avvia verso un nuovo ordine di cose, compiti vastissimi sovrastano la Chiesa, come sappiamo avvenuto in ogni più tragica situazione. Questo si richiede ora alla Chiesa: di immettere l’energia perenne, vivificante, divina del Vangelo nelle vene di quella che è oggi la comunità umana, che si esalta delle sue conquiste nel campo della tecnica e delle scienze, ma subisce le conseguenze di un ordine temporale che taluni hanno tentato di riorganizzare prescindendo da Dio" (1)

     

    Proseguendo dalla prima parte e dalla seconda parte, vogliamo concludere questo ciclo di articoli dedicati al Papa "sconosciuto" approfondendo l'evento del Concilio Vaticano II e fortemente voluto dal Roncalli.

     

    Dalla Costituzione apostolica sopra accennata troviamo tutte le premesse per comprendere quelle autentiche motivazioni che spinsero il Pontefice a radunare l'intera Chiesa per capire come affrontare un mondo che, modificandosi e progredendo, lo stava facendo "prescindendo da Dio".

    Il primo allarme che il Papa intuisce è quel progredire a "prescindere da Dio".

     

    Naturalmente fa discutere ancora oggi quel passo contro i "profeti di sventura" di cui tanto si è scritto e che ben ebbe a spiegare il cardinale Biffi nelle sue "memorie di un cardinale italiano", tuttavia più che fermarci alla frase sviscerata da molti, a noi preme partire dalle istanze attraverso le quali il Papa arriva a pronunziarla, egli scrive prima:

    "Queste dolorose cause di ansietà si configurano alla nostra considerazione come un motivo per richiamare la necessità di vigilare e rendere ognuno cosciente dei suoi doveri. Sappiamo che la visione di questi mali deprime talmente gli animi di alcuni al punto che non scorgono altro che tenebre, dalle quali pensano che il mondo sia interamente avvolto. Noi invece amiamo riaffermare la Nostra incrollabile fiducia nel divin Salvatore del genere umano, che non ha affatto abbandonato i mortali da lui redenti. Anzi, seguendo gli ammonimenti di Cristo Signore che ci esorta ad interpretare "i segni dei tempi" (Mt 16,3), fra tanta tenebrosa caligine scorgiamo indizi non pochi che sembrano offrire auspici di un’epoca migliore per la Chiesa e per l’umanità" (2).

     

    Giovanni XXIII dunque non ce l'ha prettamente con i "profeti di sventura", egli mette a nudo, riconosce e non sottovaluta che  esistono davvero "dolorose cause"; la necessità di essere "vigilanti e di attendere ai propri doveri"; riconosce la "visione di questi mali", ma - ed ecco la novità - nonostante tutto ciò sia vero:

    " Noi invece amiamo riaffermare la Nostra incrollabile fiducia nel divin Salvatore del genere umano, che non ha affatto abbandonato i mortali da lui redenti..."

    Il che non esclude la buona battaglia dal momento che egli stesso scrive prima: " Questo si richiede ora alla Chiesa: di immettere l’energia perenne, vivificante, divina del Vangelo nelle vene di quella che è oggi la comunità umana, che si esalta delle sue conquiste nel campo della tecnica e delle scienze, ma subisce le conseguenze di un ordine temporale che taluni hanno tentato di riorganizzare prescindendo da Dio.."

     

    L'energia che voleva immettere il Papa non era certo l'abbandono della Dottrina, al contrario! Invitando i "profeti di sventura" a non perdere la speranza, la battaglia è più accesa che mai. Giovanni XXIII vuole cambiare il metodo, i modi fino ad allora usati dalla Chiesa. Modi "nuovi" come nuovi erano i problemi che si affacciavano nella società.

     

    Benedetto XVI, parlando di ermeneutiche - rottura e di continuità - dunque di interpretazioni,  sottolinea Gherardini, ha messo in luce un principio basilare: «un Concilio non sarà mai di rottura, perché dipende dalla sua continuità con la dottrina di sempre» (3).

    Non sembra perciò inutile ricordare e sottolineare che l’intenzione pastorale del Concilio non significa che esso non sia dottrinale, nè Roncalli voleva dire il contrario.

    Le prospettive pastorali si basano infatti, e non potrebbe essere diversamente, sulla dottrina. Ma occorre, soprattutto, ribadire che la dottrina è indirizzata alla salvezza, il suo insegnamento è parte integrante della pastorale. Inoltre, nei documenti conciliari è ovvio che ci sono molti insegnamenti di natura prettamente dottrinale: sulla divina Rivelazione, sulla Chiesa, ecc. Come scrisse il beato Giovanni Paolo II, «con l’aiuto di Dio i Padri conciliari hanno potuto elaborare, in quattro anni di lavoro, un considerevole complesso di esposizioni dottrinali e di direttive pastorali offerte a tutta la Chiesa» (4)

     

    Ed infatti chiare furono le parole di Papa Giovanni:

    "...abbiamo reputato nostro impellente dovere di rivolgere il pensiero, riunendo le forze di tutti i Nostri figli, a fare in modo che la Chiesa si dimostrasse sempre più idonea a risolvere i problemi degli uomini contemporanei. Per questo motivo, come obbedendo ad una voce interiore e suggerita da una ispirazione venuta dall’alto, abbiamo giudicato essere ormai maturi i tempi per offrire alla Chiesa cattolica e a tutta la comunità umana un nuovo Concilio Ecumenico che continuasse la serie dei venti grandi Concili, che hanno ottimamente contribuito nel corso dei secoli all’incremento della grazia celeste negli animi dei fedeli e al progresso del cristianesimo (..) si celebra felicemente in un momento in cui la Chiesa avverte più vivo il desiderio di irrobustire la sua fede con forze nuove " (5).

     

    Per il Papa era chiaro: riunire le forze perchè la Chiesa si dimostrasse sempre più idonea a risolvere i problemi degli uomini contemporanei... un Concilio, pertanto, che come gli altri concili: " che hanno ottimamente contribuito nel corso dei secoli all’incremento della grazia celeste negli animi dei fedeli e al progresso del cristianesimo", dunque al progresso del cristianesimo, irrobustire questa fede e non al suo regresso, non alle sue modifiche!

     

    Che cosa è dunque accaduto?

     

    Per carità! Ci asteniamo chiaramente dal voler fare noi qui una ulteriore polemica, giusta o sbagliata che fosse, a torto o a ragione, dei contenuti del Concilio e di ciò che accadde, penne più eccellenti della nostra hanno scritto come già il citato mons. Gherardini al quale saremo eternamente grati, e altri (6)(7).

     

    Ciò che ci preme sondare ed approfondire lo possiamo riassumere così:

     

    "San Pio X non esitò, come un chirurgo deciso; ma si trattava di un cancro maligno (il modernismo n.d.r): enucleato da dove appariva più sviluppato, si moltiplicò per metastasi in tutto l'organismo, subdolamente durante il pontificato di Pio XII, per protendere poi arditamente i suoi tentacoli in occasione del Vaticano II.

    Non mirò forse il modernismo a infamare la stessa agonia di Pio XII, che lo aveva tenuto a freno? E non si pretese da qualcuno di riformare le stesse strutture della Chiesa, nello spirito del Vaticano II – a sentir loro! – senza mai precisare che si dovesse intendere per strutture, perché si mirava solo a deformare e a distruggere? Che di sano si è lasciato?

    In nome della Bibbia, per fedeltà al Cristo – a sentir loro!

    La novella Pentecoste mirò in realtà a rifare da zero, e quindi innanzi tutto a ridurre a zero, quanto era stato edificato dalla prima e unica vera Pentecoste biblica.

    Nella Chiesa, inondata dallo Spirito Santo della vera, ed unicamente vera, Pentecoste , non si trovò nulla di buono, di evangelico: duemila anni di vita della Chiesa, duemila anni di errori, di infedeltà a Nostro Signore ed al Vangelo; duemila anni di colpe delle quali chiedere perdono, se non a Dio almeno agli uomini" (8).

     

    Quello che chiamiamo, a ragione, il Cavallo di Troia non fu altro che l'ultimo atto preparato dal modernismo cattolico, già da anni alla sua costruzione, e pronto ad inserirlo dentro la Chiesa alla prima occasione; l'occasione d'oro fu appunto il Concilio.

     

    Scriveva don Barsotti:

    "Io sono perplesso nei confronti del Concilio: la pletora dei documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno paura. Sono documenti che rendono testimonianza di una sicurezza tutta umana più che di una fermezza semplice di fede. Ma soprattutto mi indigna il comportamento dei teologi".

    "Il Concilio e l'esercizio supremo del magistero è giustificato solo da una suprema necessità. La gravità paurosa della situazione presente della Chiesa non potrebbe derivare proprio dalla leggerezza di aver voluto provocare e tentare il Signore? Si è voluto forse costringere Dio a parlare quando non c'era questa suprema necessità? È forse così? Per giustificare un Concilio che ha preteso di rinnovare ogni cosa, bisognava affermare che tutto andava male, cosa che si fa continuamente, se non dall'episcopato, dai teologi" (9).

    A giudizio di Radaelli, la crisi attuale della Chiesa non consegue da una errata applicazione del Concilio, ma da un peccato d'origine compiuto dal Concilio stesso.

    Tale peccato d'origine sarebbe l'abbandono del linguaggio dogmatico – proprio di tutti i precedenti concili, con l'affermazione della verità e la condanna degli errori – e la sua sostituzione con un vago nuovo linguaggio "pastorale".

    Va detto – e Radaelli lo fa notare – che anche tra gli studiosi di orientamento progressista si riconosce nel linguaggio pastorale una novità decisiva e qualificante dell'ultimo Concilio. È ciò che ha sostenuto di recente, ad esempio, il gesuita John O'Malley nel suo fortunato saggio "Che cosa è successo nel Vaticano II".

     

    Quanto segue ora è tratto, da noi liberamente e condensato, dal libro: "Papi in libertà" (10)

    da pag. 255 a pag.261 c'è una meticolosa descrizione del difficile rapporto fra Pio XII e l'allora Vescovo Montini, futuro Paolo VI.... padre Josè, pur sottolineando che "le ragioni" di un certo ben risaputo rapporto non felice fra i due, non è stato mai chiarito, egli avanza tuttavia con dei fatti ben conosciuti nell'ambiente.

     

    La situazione

     

    Alla morte di Pio XII, nel 1958, si presentò un grande dilemma nella Chiesa.

    Da una parte il lungo Pontificato di Pacelli era stato segnato dal prestigio indiscutibile di un pontefice che, più passavano gli anni, più concentrava potere nelle sue mani, anche perchè era cosciente delle tensioni che crescevano all'interno del mondo cattolico....

    Dall'altra parte la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi totalitarismi ed orrori, aveva aperto il dilemma non soltanto a nuove possibili distruzioni a livello mondiale, ma soprattutto alla necessità di un dialogo più aperto verso un mondo che voleva scardinare i valori tradizionali e perfino Dio....

    In questo scenario si rafforzarono alcuni quadri all'interno della Chiesa che credevano più importante l'apertura ad un dialogo con il mondo sacrificando la parte magisteriale dogmatica e dottrinale della Chiesa, mentre si fecero più pressanti quelle parti definite poi "conservatori" che ritenevano più importante invece mantenere ad ogni costo la purezza del dogma e della morale cattolica, nonostante il pericolo di naufragare con chi si sarebbe potuto invece salvare.

    Nascono così negli anni Quaranta e Cinquanta dei movimenti come quello della Nouvelle Théologie e dei sacerdoti operai che mantennero prima una posizione d'avanguardia tanto da essere tollerati dalla Chiesa, salvo poi, quando furono oggetto di condanna papale, agire più cautamente per non perdere un pò di tolleranza e agire così ugualmente efficacemente.

     

    Non è un segreto di oggi che molti all'epoca desideravano la morte di Pio XII che consideravano il maggior ostacolo alla vera riforma della Chiesa.... e non si può negare l'importante ruolo svolto dal cardinale Ottaviani, che si rivelò essere un vero e provvidenziale "angelo custode" per il Pontefice ma anche per la conservazione dottrinale della Chiesa contro la deriva "progressista-modernista".

     

    Il vero scontro fra l'ala conservatrice e progressista della Chiesa non avvenne con il Concilio Vaticano II come molti pensano, ma bensì nel Conclave del 1958, con il quale si pensò appunto ad eleggere un Pontefice "innovatore".

    L'uomo "chiave" dell'ala innovatrice era Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano dal 1954, tuttavia impossibile dall'essere eletto in quanto non era stato fatto cardinale poichè - ed anche qui non è un segreto - Pio XII gli negò la porpora per ragioni che ancora non sono state del tutto chiarite ufficialmente.

     

    Il Conclave del 1958

     

    Dal lato dei Conservatori-tradizionali c'era un giovane candidato, il cardinale Giuseppe Siri che all'epoca aveva cinquantadue anni e pertanto difficilmente eleggibile, così almeno si pensava all'epoca tanto che, alla voce di chi voleva Siri Papa, rispondeva un'altra voce che diceva: " Vogliamo un Padre santo, non un Padre eterno!" a sottolineare la giovane età del prelato.

    Si optò così per un "Papa di transizione", accettabile da entrambi gli schieramenti e fu scelto il cardinale Roncalli, appoggiato e sostenuto anche dal cardinale Ottaviani che lo riteneva "aperto, ma ortodosso nella dottrina".

    e qui si apre un altro piccolo giallo....

    l'ala innovatrice del Conclave diede i voti a Roncalli ma imponendogli una condizione, ossia che al primo Concistoro Montini fosse fatto cardinale, liberandogli in tal modo la strada pensando già alla sua successione.

    Non sappiamo come Roncalli rispose, sta di fatto che egli  mantenne la promessa e Montini fu il primo cardinale nel suo primo concistoro!

     

    Su Giovanni XXIII molto si è detto e forse dell'imprudenza di aprire un Concilio del quale egli stesso non sospettò affatto le conseguenze, c'è da dire, per onor del vero, che le sue intenzioni erano davvero buone.

    Egli non voleva affatto rivoluzionare la Chiesa, pensava di estendere i frutti del Sinodo Romano del 1960 con un approccio semplicemente conservatore e dare l'opportunità a tutti i Vescovi della terra di potersi incontrare  e parlarsi dei problemi delle rispettive comunità e trovare nuovi modi per comunicare la sana dottrina in un mondo che cambiava vertiginosamente, il Papa non voleva altro!

    Tuttavia fu egli stesso imprudente perchè nella composizione dell'assemblea in chiave ecumenica, non ci si poteva attendere il risultato da lui desiderato e avrebbe dovuto sospettare il ribaltamento delle sue stesse intenzioni.

    Giovanni XXIII, imprudentemente dunque, fece imbarcare la Chiesa in una avventura della quale nessuno sapeva come sarebbe potuta finire. Insomma, fece entrare il Cavallo di Troia al Concilio.

    Il cardinale Tisserant disse, quando morì Giovanni XXIII, che la Chiesa "avrebbe impiegato 40 anni per riprendersi dal danno causato da questo Papa".

    Forse anche più di 40 anni, non è forse reale che le parole di Tisserant le stiamo vivendo oggi sulla nostra pelle?

     

    Il Conclave del 1963

     

    ... nel 1963, nel Conclave, si riaccese la rivalità fra Conservatori-tradizionalisti e progressisti-modernisti.

    Tuttavia a differenza dell'ala Conservatrice che non aveva chiaro un unico candidato, anche se proponevano Ildebrando Antoniutti appoggiato da Ottaviani, l'ala innovatrice era questa volta compatta verso Montini, unico candidato appoggiato per altro in una famosa riunione a Grottaferrata dai cardinali Frings e Lercaro che portarono a termine una fruttuosa campagna per Montini che infatti fu eletto Papa.

     

    Paolo VI fu un Papa molto complesso e contraddittorio, appare quasi impossibile tracciarne un unico verdetto.

    Era un uomo che pensando dieci cose, nove le ricambiava nell'attuazione, c'è per esempio l'incomprensibile ripensamento della tiara.

    Quando Montini divenne Papa e l'arcidiocesi di Milano organizzò una sottoscrizione per donargli la tiara, pochi sanno che fu lo stesso Montini ad ordinarne la composizione.

    Fu Montini a scegliere il disegno ispirandosi alla forma usata da Bonifacio VIII per l'Anno Santo del 1300.

    Ma come poi ben sappiamo dalla storia, appena egli ne fu incoronato, il 30 giugno del 1963, la diede in vendita per dare il ricavato ai poveri.

    Ancora oggi non si discute tanto sulla tiara in quanto ornamento, venduto per darne il ricavato ai poveri, nobile gesto, quanto il fatto di una arbitraria decisione nel voler eliminare il simbolo del potere per modificare l'immagine della Chiesa.

     Il dubbio che Montini ha fatto scaturire è stato proprio quello di una immagine di Chiesa che per la prima volta cambiava non a seguire la Tradizione ma seguendo l'andamento del mondo.

    Paolo VI inaugurò una immagine di Chiesa fondata sull'onda emotiva del momento e a seconda delle capacità comunicative del Pontefice eletto. Tolta la tiara, del resto, bisognava sostituirla con qualcos'altro che, altro non fu, che un pontificato ad personam nel quale il carisma del Pontefice di turno andava sostituendo il simbolo della tiara.

     

    L'atteggiamento incomprensibile e volubile della complessa personalità di Paolo VI, lo si evince anche quando perfino l'ala progressista che lo aveva eletto fin dal Conclave del 1958, eleggendo Roncalli solo come transizione in attesa di avere Montini cardinale, ne rimase profondamente delusa...

    Paolo VI che sembrava il grande innovatore e il propugnatore delle cause dell'ala progressista, si arrestò tuttavia di fronte alle questioni etiche e morali difendendo la dottrina della Chiesa categoricamente fino a scrivere la Humanae Vitae e la Mysterium Fidei che salverà lo stesso Pontefice da ogni dubbio circa l'ortodossia della fede.

    In questo modo Paolo VI si trovò completamente "solo", incompreso sia dall'ala progressista che lo aveva eletto, sia dall'ala conservatrice che temeva le sue idee innovatrici.

    Incompreso o meno resta palese che Paolo VI agì spesse volte in modo contraddittorio, con uno stile tutto suo spesso autonomo come quando, appunto, agiva di nascosto alle spalle di Pio XII.

     

    I Papi che seguirono Paolo VI ebbero così  a che fare con una eredità gravosa: rendere credibile una immagine di Chiesa che da una parte si rifletteva in qualità di "amica del mondo" togliendole i fasti, il simbolo del potere temporale e spirituale che era la tiara e perfino la sedia gestatoria, e dall'altra ne condannava ancora una volta i vizi e i peccati. La capacità della Chiesa di essere credibile non partiva più dalla sua dottrina, ma dalla capacità del Pontefice nel renderla credibile.

    Quanto questa rivoluzione sia stata giusta o meno, lo dirà la storia, certo è che la crisi della Chiesa comincia proprio da quando ne venne intaccata l'immagine a partire dalla Liturgia, ma questa è un altra pagina che valuteremo in altri contesti dedicando, anche a Paolo VI, ulteriori articoli.

     

    Ritorniamo ora al Concilio

     

    "C'è un concilio "virtuale", veicolato dai media e costruito secondo categorie "politiche" estranee alla fede, che in questi cinquant'anni ha provocato non pochi problemi e difficoltà alla Chiesa. E che oggi sta lasciando il posto al vero concilio "dei padri", la cui forza spirituale costituisce il motore dell'autentico rinnovamento ecclesiale" (11)

    Quella che doveva essere una "piccola chiacchierata" sul Vaticano II si è trasformata in una illuminante testimonianza e lectio magistralis che i preti di Roma, riuniti nell'Aula Paolo VI la mattina di giovedì 14 febbraio, hanno ascoltato dalla voce dell'allora "perito conciliare" Joseph Ratzinger.

    e ancora:

    "Io ricordo questo nostro caro padre, insegnante di diritto canonico ci diceva sempre così: id quod voluit, legislator dixit, quod taquit , noluit, cioè quello che il legislatore ha voluto dire, lo ha veramente detto, quello che ha taciuto, non ha voluto dirlo. Va bene, carissimi, questa era l’interpretazione autentica e anche dei testi conciliari. Quindi praticamente è inutile che questi signori vengano a dire: va bene che la lettera del concilio è quella che i vangeli sono veramente storici, ma però lo spirito del concilio e via dicendo. Lo spirito del concilio semplicemente non esiste o per lo meno si potrebbe dire in tedesco che è un gaist, cioè un non spirito, uno spirito piuttosto maligno; allora bisogna essere estremamente attenti a non interpretare male il concilio, sia pure ci sono certi momenti in cui alcuni testi conciliari potrebbero prestarsi anche a questa sbagliata interpretazione...." (12)

     

    Dunque, negli anni del Concilio Vaticano II balzano agli onori delle cronache i più fulgidi esponenti della “Nouvelle Theologie” (e non solo), teologi francesi, tedeschi, svizzeri in genere. Il Concilio in un certo senso diventa “loro” (o così pensano). In altri concili, così come accadde per altre riforme liturgiche, l’opera di approfondimento e attualizzazione del dogma cattolico è sempre stata ad opera dei santi più che dei teologi. Perché questa improvvisa importanza degli intellettuali?

    La “Nuova Theologia”, come concetto, non nasce con il Concilio Vaticano II. A fare i pignoli essa comincia a svilupparsi, come concetto moderno, con il Protestantesimo liberale e la sua devastante Sola Scriptura. Con l’Illuminismo (con tutti gli “ismi” raggruppati fino ad oggi), poi, troverà un terreno fertile che esploderà nei primi del Novecento tanto da far intervenire il pontefice san Pio X che, con autentico spirito profetico, condannerà quel concetto di modernismo.

    La crisi di questa insistente teologia modernista metterà a dura prova anche il venerabile Pio XII, che porrà un freno al suo espansionismo con l’enciclica Humani Generis, ma più che un freno questa sarà solo un tamponamento (13).

    Il comune denominatore della Nuova Teologia lo possiamo ricondurre a questa spiegazione: l’ideale di una maggiore libertà della ricerca teologica, scardinata dalle dottrine esistenti, e un pluralismo teologico capace di rimettere in discussione la storia stessa della Chiesa e delle dottrine emanate. Un ripartire da capo con la possibilità di modificare.

     

    E, attenzione, tutto ciò non era assolutamente nelle intenzioni di Giovanni XXIII, men che meno nelle intenzioni di apertura del Concilio, questo era il contenuto del Cavallo di Troia introdotto per mezzo del Concilio: Benedetto XVI lo ha definito il "concilio virtuale" quello dei Media, a noi piace definirlo più concretamente come un Cavallo di Troia o, come altri dicono, il vaso di Pandora.

    Con l’avvento del Concilio è stato modificato anche il senso della critica e spesso si confonde una giusta critica con l’ingiusta accusa del “voler giudicare gli altri”: così ti sbattono in faccia il versetto biblico del “non giudicare”! Il punto è che questi teologi non credono di aver deviato quanto piuttosto che sia la Chiesa ad avere avuto la necessità di una deviazione. O peggio: che la Chiesa era deviata e loro l’hanno rimessa in riga. Consapevoli? Senza dubbio sì, naturalmente in nome della “buona fede” e, naturalmente, in nome “dell’umanità e della libertà dell’uomo”. Come se la Chiesa, in questi duemila anni, non avesse fatto nulla o peggio, come se avesse tenuto nascosta all’uomo la verità.

     

    Le contraddizioni che abbiamo appena letto, subentrate di fatto e con prepotenza nel Concilio, sono letteralmente già annunciate dalle parole di Giovanni XXIII che, del Concilio, intendeva tutt'altra cosa:

    " (la Chiesa) Sa benissimo quanto giovino alle anime immortali quegli aiuti e quei soccorsi che sono atti a rendere più umana la vita dei singoli individui, della cui salvezza eterna bisogna aver cura. Essa sa che, illuminando gli uomini della luce di Cristo, è loro utile per conoscersi a fondo. Infatti li guida a capire che cosa essi sono, per quale dignità eccellano, quale fine debbano perseguire. Ne consegue che in questi tempi la Chiesa è presente, di diritto e di fatto, negli organismi internazionali, e da essa viene elaborata un’accurata dottrina sociale che tratta delle famiglie, delle scuole, dell’occupazione, della comunità e della solidarietà degli uomini, nonché di tutte le questioni similari; per effetto di tale insegnamento la Chiesa ha conseguito un livello così elevato di dignità che la sua voce incisiva gode di somma autorità tra tutti i periti, come interprete e propugnatrice dell’ordine morale e portavoce dei diritti e dei doveri sia degli individui che della comunità..." (14)

     

    Una piccola parentesi

     

    Gesù, se, eleggendo Pietro come suo vicario visibile, ha promesso a lui e ai suoi successori soltanto l'assistenza che ne rende infallibile il magistero, non ha però dispensato né loro, né i vescovi, né i sacerdoti, né i fedeli dallo sforzo del tutto personale necessario per pensare e vivere in modo conforme alle verità professate, dice infatti Gesù a Simone: "Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Luca 22,31-32).

    L'infallibilità del Papa non è qualcosa di automatico che si acquista con la elezione senza fare nulla di proprio, la preghiera di Gesù è senza dubbio la garanzia dell'infallibilità acquisita, subentra la Grazia di Stato, ma c'è una clausola perchè la Grazia produca l'effetto: " e tu, una volta ravveduto...".

    Se il Papa, come Pastore universale, non può errare, non si esclude perciò che - come persona privata - possa essere assalito dal dubbio, tentato di apostasia, nutrire opinioni errate, sentirsi a volte persino più buono di Gesù stesso, esageratamente "infervorato"...

    Molto meno può escludersi che sia moralmente mediocre (e persino corrotto!), soggetto a debolezze ed errori più o meno gravi, motivando perciò la critica dei contemporanei e severi giudizi della storia, di ciò basta sfogliare le storie dei Papi.

    La Chiesa - in quanto  Istituzione divina  e perciò a riguardo del Deposito della fede - scrive S. Caterina da Siena, non ha bisogno di essere riformata perché «non diminuisce né si guasta per i difetti dei suoi ministri»(15)

    Dunque, chi confonde "la Chiesa" con gli uomini di Chiesa - Papa compreso - induce ad attribuire a questa le colpe dei suoi membri.

     

    E' ovvio, pertanto che, la riforma di cui si parlava, si parla ed oggi si discute, non poteva e non può riguardare la Chiesa in quanto tale nel suo corpus dottrinale, quanto invece all'aspetto esteriore dei gesti, della predicazione, dei modi attraverso i quali le Membra (dal Papa all'ultimo dei fedeli) debbono portare sempre la medesima Dottrina ad un mondo in evoluzione e in un impietoso stato di suicidio culturale.

    Il paradosso o, se volete, la contraddizione che viviamo è che in realtà dallo stesso Giovanni XXIII in poi, nessun Papa voleva questa deriva, ma ognuno di loro ha messo del suo, abbassando di fatto la guardia, perché alla fine avvenisse. Sono stati imprudenti!

    Di fronte a queste incomprensioni, non possiamo far altro che tirare in causa Nostro Signore e pensare, ragionevolmente, che Egli stesso abbia permesso questi fatti per cause a noi ignote e che forse risultano chiarissime all’interno del Suo progetto. Rammentiamo infatti il monito di Gesù: “E’ necessario che gli scandali avvengano” (mentre fulmina coloro che scandalizzano).

    Gli scandali all’interno della Chiesa sono nati con la Chiesa stessa, come maturano insieme grano e gramigna, come esistono servi giusti e servi infingardi, come crescono senapi rigogliosi e fichi sterili. I Vangeli non nascondono l’uomo all’uomo, anzi, preannunciano un cammino tortuoso e difficile, per nulla agevolato dall’appartenere alla Chiesa.

    E questa Santa Chiesa non ha mai conosciuto isole di tranquillità nel suo navigare sulle correnti della storia. Anzi, spesso i venti contrari sono stati più numerosi di quelli favorevoli. Tuttavia, questa Chiesa continua ostinata per la sua strada, rispondendo al mandato di Cristo.

     

     

    Non a caso Benedetto XVI nell'indizione dell'apertura dell'Annus Fidei, scrive:

    "intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa".. (16)

    Tale "rinnovamento" - dirà spesse volte Ratzinger e poi nelle vesti di Benedetto XVI - è sempre rivolto ai modi di portare la Dottrina, alla conversione delle Membra e non de "la Chiesa" che nel Credo professiamo "una, santa, cattolica ed apostolica", diversamente sarebbe una contraddizione in termini e dottrina, ed è ciò che è invece avvenuto durante e dopo il Concilio.

     

    Due esempi limiti - ma purtroppo neppure limitati - sono riportati dall'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I, quando in una lettera alla diocesi del 14.3.1972 scrive: «Alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme le guardie israeliane, in servizio alla porta, consigliano due donne a ripresentarsi vestite più decentemente. “Ma siamo suore!”, obiettano le donne. Sì, suore ultraconciliari in minigonna troppo audace!... Un vicario cooperatore accompagna il funerale in maglietta e calzoni lunghi; disdegna anticonformisticamente cotta e stola; in compenso suffraga il morto, accostando il transistor all’orecchio per seguire la partita di calcio» (17)

     

    E ancora così spiegava l'ambiguità di certo dialogo emerso dal Concilio, sempre Albino Luciani Patriarca a Venezia il 14.3.1972: “Dialogo. Ricorre, esso o i suoi sinonimi, una cinquantina di volte nei documenti conciliari. Nel suo nome la Chiesa sta gettando ponti in tre direzioni: cristiani separati, non cristiani e non credenti; tenendo conto di più di quel che unisce che di quello che ci divide, essa ha risolto o tenta di risolvere malintesi vecchi di secoli, rende giustizia agli ebrei e a Galileo, confessa umilmente che alcuni suoi uomini hanno sbagliato. Ciò è bello, dice passione per l’unità dei cristiani, dice umiltà, apertura, comprensione, maturazione e rispetto verso le opinioni religiose altrui. Altra cosa - invece - è affermare - dialogando - che la Chiesa cattolica ha delle manchevolezze costitutive, né più né meno delle altre chiese; anch’essa non si trova in situazione migliore delle altre e, per arrivare all’unità, deve fare solo questo: salire con le altre chiese verso Cristo; confessare - sempre alla pari delle altre chiese - le proprie colpe e rinunciare alla antica sua sicurezza circa il proprio “Credo”. Questo porta a cedimenti e compromessi sul terreno della fede, ad un irenismo a spese di verità, che non sono cosa nostra, ma solo “deposito” a noi affidato e da conservare gelosamente. Sarebbe poi ingenuo credere che il dialogo dottrinale sia una cosa facile; esso ha i suoi rischi e lo può condurre utilmente solo chi ha sicura preparazione dottrinale e psicologica” (18).

     

    Ci chiediamo, a questo punto e per giungere ad una conclusione:

    come mai uno sbandamento di tale portata nell’interpretazione del Concilio?

    C’è una spiegazione di ordine razionale almeno, se non di fede e di fede cattolica?

    Sì. E ci proviamo a documentarla (19).

    Giovanni XXIII indisse e inaugurò il Concilio; ma si trovò, ben presto, dinanzi a problemi e a difficoltà cui non aveva pensato, nel suo evangelico candore. Perciò, sul letto di morte, a coloro che dicevano di pregare perché guarisse, rispondeva: “No, non pregate per questo. È meglio che muoia, è meglio che un altro prenda in mano la situazione”.

     

    Ma che cosa era successo, in sostanza, all’inizio del Concilio con Giovanni XXIII?

     

    Alla sua apertura furono accantonati tutti gli schemi preparati dalla Curia romana sui vari argomenti da trattare; preparati, peraltro, col concorso dei Vescovi di tutto il mondo. Non solo, ma i Vescovi dichiararono subito che non intendevano comminare condanne per nessuno.

     “La qual cosa - osserva don Divo Barsotti, già citato - significava rinunciare al loro servizio di maestri della fede, di depositari della Rivelazione. Loro dovere era di proporre la fede autentica e di mettere in guardia i fedeli dalle deviazioni.

    I Vescovi, infatti, non devono sostituire i teologi, che hanno un’altra funzione e possono dunque vagliare ipotesi ed emettere pareri: l’episcopato deve dirci con chiarezza che cosa dobbiamo credere e che cosa dobbiamo rifiutare. Ebbene, poiché i Vescovi non misero al primo posto la loro funzione (pur così primaria ed essenziale) i documenti del Vaticano II hanno un linguaggio più teologico che dottrinale. Addirittura a volte (per esempio, in certe pagine della Gaudium et spes, su la Chiesa nel mondo contemporaneo) c’è un accento sociologico e un progressismo ottimistico”.

     

    Ciò spiega perché nei documenti del Concilio, celebrato nel secolo del trionfo del comunismo, ossia della eresia che sintetizza tutte le eresie di tutti i tempi e che sembrava inarrestabile, ebbene, la parola comunismo non c’è scritta, questa ideologia è ignorata; né tanto meno, conseguentemente c’è una condanna. C’è, sì, menzionata la parola materialismo, ma non si tratta di quello storico concretizzato nei regimi comunisti, che ha reso e rende ancora schiavi miliardi di uomini; realizzato su milioni e milioni di morti ammazzati, bensì come modo di vivere pratico come se Dio non ci fosse, che ci è sempre stato e sempre ci sarà.

    Tal cosa non sembrerà strana ai posteri del 2° millennio che, dopo avere studiato il comunismo così crudele e barbaro, lo troveranno ignorato da un Concilio di portata sicuramente epocale?

     

    “Dunque - si chiede a questo punto don Divo Barsotti - il Vaticano II è stato un errore? No, di certo: la Chiesa rischiava di diventare un ghetto, aveva bisogno di confrontarsi con la cultura del mondo; in questo modo si sono poste però le basi d’un pericolo di mondanizzazione che per fortuna lo Spirito Santo ha evitato. È lo stesso Spirito Santo che - naturalmente - ha impedito che nei documenti s’insinuasse l’errore; ma se tutto è giusto nel Vaticano II, non è detto che tutto sia opportuno” (V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo). 

       

    Hans Urs von Balthassar, morto nel 1988, fu un autorevole esponente della teologia cattolica. Fautore del rinnovamento conciliare della teologia, avversò tuttavia quel progressismo teologico che ha preteso di rompere gli argini della tradizione cattolica. Scrisse:  “La confusione di questo periodo post-conciliare è in gran parte dovuta al fatto che il Vaticano II credette di poter lasciare da parte i problemi primari - i dogmi della Trinità, della cristologia e dell’ecclesiologia, ad essi intimamente collegata - e di affrontare invece subito le questioni pastorali derivate. Facendo così, siamo stati subito puniti con una babelica confusione delle lingue. Tentando di vendere (peraltro, in buona fede) il cristianesimo a prezzo ridotto, soltanto per trovare compratori, non ci si è accorti che esso perdeva, così, ogni valore” (La Chiesa nel mondo, Napoli 26.1.1972).

     

    La crisi post-conciliare negli anni Settanta raggiunse una tale macroscopica evidenza che Leonardo Sciascia, il famoso scrittore siciliano, ebbe l’impudenza di dichiarare, in una intervista pubblicata su l’Europeo, 25 gennaio 1975, quanto segue: “Oggi non so a che punto sia la Chiesa, la Chiesa di dentro, nelle gerarchie, nei suoi movimenti interni: tranne che siamo, cioè che è, sul punto della fine. Credo che la Chiesa sia oggi come il mondo pagano verso il quinto secolo”.

    Evidentemente Sciascia, fedele discepolo di Voltaire, ripeteva quello che un tale maestro aveva detto duecento anni prima, alla fioca luce della sola ragione e senza quella comprensione della storia, che ci si sarebbe aspettata da una persona tanto intelligente. La storia ha smentito Voltaire, la storia smentirà anche Sciascia. Non sarà smentito Gesù Cristo che assicurò agli Apostoli: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo e che le porte degli inferi non prevarranno sulla Chiesa”. E lo vedremo.

     

    E lo vedremo...

    Intanto concludiamo riportando le parole inequivocabili con le quali Giovanni XXIII aprì il Concilio e le cui intenzioni furono decisamente capovolte, strumentalizzate e cancellate:

    "Iniziando questo Concilio universale, il Vicario di Cristo, che vi sta parlando, guarda, com’è naturale, al passato, e quasi ne percepisce la voce incitante e incoraggiante: volentieri infatti ripensa alle benemerenze dei Sommi Pontefici che vissero in tempi più antichi e più recenti... (..)

    Illuminata dalla luce di questo Concilio, la Chiesa si accrescerà, come speriamo, di ricchezze spirituali e, attingendovi il vigore di nuove energie, guarderà con sicurezza ai tempi futuri. Infatti, introducendo opportuni emendamenti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali.

    (...) diventa chiaro che cosa è stato demandato al Concilio Ecumenico per quanto riguarda la dottrina (..)

     

    1. Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace.

     

    2. Tale dottrina abbraccia l’uomo integrale, composto di anima e di corpo, e a noi, che abitiamo su questa terra, comanda di tendere come pellegrini alla patria celeste.

     

    Ma perché tale dottrina raggiunga i molteplici campi dell’attività umana, che toccano le persone singole, le famiglie e la vita sociale, è necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi... (...)

     Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione.

    (..)

    Dopo quasi venti secoli, le situazioni e i problemi gravissimi che l’umanità deve affrontare non mutano; infatti Cristo occupa sempre il posto centrale della storia e della vita: gli uomini o aderiscono a lui e alla sua Chiesa, e godono così della luce, della bontà, del giusto ordine e del bene della pace; oppure vivono senza di lui o combattono contro di lui e restano deliberatamente fuori della Chiesa, e per questo tra loro c’è confusione, le mutue relazioni diventano difficili, incombe il pericolo di guerre sanguinose..." (20).

     

    Non era forse anche Giovanni XXIII, nel pronunciare queste parole, "profeta di sventura"?

     

     

     

    Note

     

    1) Humanae Salutis Costituzione Apostolica di Giovanni XXIII per l'indizione del Concilio Vaticano II

    2) ibidem n.4

    3) mons. B. Gherardini, Critica teoligica-Continuità o rottura?, in «Divinitas», Rivista internazionale di ricerca e di critica teologica, Città del Vaticano, Anno LV, n. 3-2012, p. 351.

    4) Cost.Apot. Fidei depositum, 11 ottobre 1992, introduzione

    5) Humanae Salutis Costituzione Apostolica di Giovanni XXIII per l'indizione del Concilio Vaticano II, n.6/7

    6) qualcosa la stiamo inserendo nei nostri Dossier che vi invitiamo a scaricare.

    7) altro ricco materiale lo trovate qui http://www.conciliovaticanosecondo.it/

    8) Walter Martin in Habemus Papam - Prefazione di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro Ed. Fede e Cultura

    9) In un suo nuovo libro dato alle stampe nel febbraio 2013 il professor Enrico Maria Radaelli – filosofo, teologo e discepolo prediletto di colui che è stato uno dei più grandi pensatori cattolici tradizionalisti del Novecento, lo svizzero Romano Amerio (1905-1997) – cita tre brani tratti dai diari inediti di don Divo Barsotti (1914-2006)

    10) "Papi in libertà" di padre Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells Sacerdote, avvocato e giornalista è laureato in Giurisprudenza e Diritto Canonico e presso la Scuola Diplomatica spagnola si è diplomato in Studi Internazionali. E' inoltre Cappellano dell'Ordine di Malta ed è collaboratore di Radio Vaticana ed è inoltre autore di notevoli studi e articoli sulla storia della Chiesa e sulla storia dei Pontefici.

    11) Benedetto XVI Discorso ai parroci e al clero di Roma 14.2.2013

    12) P. Thomas M. Tyn O.P. - conferenza su La Chiesa postconciliare

    13) si approfondisca qui e qui.

    14) Humanae Salutis Costituzione Apostolica di Giovanni XXIII per l'indizione del Concilio Vaticano II, n.11

    15) Dialogo della divina Provvidenza, La dottrina della perfezione, Ed. Studio Domenicano, Bologna, 1989, p. 58

    16) Benedetto XVI Lettera Apostolica Porta Fidei 11.10.2011

    17) Albino Luciani-Giovanni Paolo I - Opera omnia, vol. V, p.340

    18) ibidem Opera omnia, vol. V, pp. 342-343.

    19) Don Gerlando Lentini  al quale volentieri abbiamo dedicato, usando le sue riflessioni, la conclusione di questo modesto articolo

    20) Giovanni XXIII - Discorso di apertura del Concilio Vaticano II - 11.10.1961

     




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 27/07/2014 09:48
    [SM=g1740733] In questa visita del Papa San Giovanni XXIII abbiamo un importante documento di "disciplina" cattolica. Il Papa chiede che in Chiesa non si battano le mani neppure al Papa perchè la Chiesa è Tempio di Dio! Ascoltiamo questi brevi passi.

    www.youtube.com/watch?v=xGbsVGrtN68




    [SM=g1740717]


    [SM=g1740722]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)