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  5. Riflessioni, approfondimenti, esplicitazioni


C’è anzitutto da osservare che fermare l’attenzione sui divorziati risposati, può essere fuorviante, perché ci si fermerebbe non sul matrimonio e la famiglia, ma su una figura che è deviazione dall’immagine originaria e deformazione di essa. Il divorziato risposato, infatti, contraddice proprio l’immagine e la figura del matrimonio e della famiglia secondo l’immagine che la Chiesa ne offre. Ancora di più si può dire che la problematica corre il rischio di non essere affrontata correttamente, quando il problema mira in modo particolare a raggiungere un obiettivo che a prima vista si presenta già escluso in partenza e quindi raggiungibile soltanto attraverso novità e rotture con la dottrina tradizionale della Chiesa.


La Chiesa di fatto ha sempre proposta una dottrina e una disciplina che esclude i divorziati risposati dall’Eucaristia. Non è una dottrina specifica per i matrimoni, ma di semplice applicazione della dottrina della Chiesa per accedere all’Eucarestia; dottrina che essa trasmette ai fedeli fin dall’infanzia, particolarmente a partire dalla prima comunione, come abbiamo esaminato appena sopra. Prospettive errate fanno correre il rischio di strumentalizzare per fini loro estranei gli strumenti stessi dei quali si parla e quindi deformarli purché raggiungano lo scopo. Tale potrebbe essere la prospettiva pietistica.


La problematica dei divorziati risposati ha di fatto assunto una prospettiva quasi esclusivamente compassionevole che sottolinea le sofferenze e il dolore dei coniugi coinvolti in tale situazione, perché respinti dall’accesso all’Eucaristia. La prospettiva così limitata intende oggettivamente muovere a compassione verso tali fedeli e creare opposizione tra rigore della norma e pietà per le persone; tra rigidità della legge e situazioni personali alle quali la legge dovrebbe piegarsi; conflitto tra il desiderio santo di ricevere l’Eucaristia e la durezza di una norma che la esclude; esclusione dalla Eucaristia vista come condanna delle persone e concessione della Eucaristia come rispetto delle persone. Si esercita in tal modo una forte pressione per condannare coloro che sono visti come oppositori alla misericordia e difensori della durezza della legge contro la benevolenza.


In realtà tale prospettiva e tale presentazione del problema appare subito a chi esamina con un minimo di attenzione il problema che tale presentazione è estremamente semplicistica, superficiale e non realistica: essa tra i tanti aspetti del problema, tutti gravi, ne tratta solo uno e per di più a livello emotivo. La prospettiva di fronte ad una situazione è quella di esaminare a quale disegno di Dio essa possa rispondere e come si possa inserire in tale disegno o progetto di Dio: ossia la sua moralità.


5.1 E’ in gioco la legge divina: indissolubilità del matrimonio


Anzitutto la questione della quale si sta parlando non tratta semplicemente di una legge umana positiva, che possa essere modificata a piacimento del legislatore umano anche ecclesiastico. La legge della indissolubilità del matrimonio è una legge divina proclamata solennemente da Gesù e confermata più volte dalla Chiesa al punto che la norma che afferma che il matrimonio rato e consumato tra battezzati non può essere sciolto da nessuna autorità umana ma viene sciolto solo dalla morte è dottrina di fede della Chiesa.


5.2 Legge divina: la morale sessuale


Una seconda norma di diritto divino è che la sessualità è lecita soltanto tra persone congiunte in matrimonio; questo implica che chi convive con una persona che, secondo le leggi della Chiesa non è coniuge, si trova in una situazione grave di peccato che esclude dall’accesso all’Eucaristia, e non solo, ma non può ricevere neppure il sacramento della penitenza, perché questo implica che il penitente non può essere assolto perché intende e se intende perseverare in quella situazione. Infatti l’assoluzione implica che vi sia il pentimento e il proposito di non ripetere il peccato.


5.3 Legge divina: accedere all’Eucaristia in stato di grazia


Va poi detto che la proibizione di accedere all’Eucaristia in stato di peccato grave contrasta con la natura stessa della comunione e come tale è contro la volontà divina e la natura stessa della Eucaristia. La Chiesa infatti esige per chi vuole accedere all’Eucaristia lo stato di grazia santificante, normalmente attraverso il sacramento della penitenza, eccezionalmente quando non sia possibile confessarsi ed urge l’accesso all’Eucaristia, si richiede la contrizione perfetta che implica il proposito di confessarsi quanto prima. In tale modo l’accesso all’Eucaristia implica sempre, almeno come proposito il riferimento allo stesso sacramento della penitenza. Si tratta non semplicemente di una norma disciplinare ma di una dottrina molto profonda sulla stessa Eucaristia, dottrina spesso ignorata dagli stessi fedeli che esprimono la volontà di ricevere il sacramento. Situazione di peccato e comunione eucaristica sono in netto contrasto ed opposizione. Il sacramento dell’amore quale è l’Eucaristia è il sacramento dell’amicizia tra Cristo che offre se stesso e il fedele che accetta l’amicizia con il Signore. Il problema perciò andrebbe affrontato seriamente proprio a partire dal senso della partecipazione al sacramento della Eucaristia[14].


5.4 Legge divina: il sacramento della penitenza


Qualsiasi peccato per quanto grave esso possa essere, può essere perdonato da Dio e dalla Chiesa. Per ricevere tuttavia l’assoluzione sacramentale si richiede il pentimento del peccato e il proposito di non ricadere e quindi di fuggire le occasioni di peccato.


5.5 Legge divina: armonia tra legge divina e misericordia divina


Davanti alla legge divina non si può porre il contrasto tra misericordia e giustizia; tra rigore della legge e misericordia e perdono. In questi casi evidentemente non si può parlare di una incapacità o inadeguatezza della legge a misurare tutti i casi concreti specialmente se nel caso concreto il ricorso alla misericordia non sarebbe altro che violazione diretta della legge divina. Non si può opporre misericordia e moralità; né si può identificare l’amore con la misericordia. Questa è certamente un volto dell’amore, e come abbiamo già avuto modo di dire, è anche amore in quanto però comunica il bene che elimina ogni male[15]. Ma l’amore si può alle volte esprimere, e in alcuni casi si deve, con la negazione della misericordia intesa come condiscendenza benevola e peggio ancora approvazione.


5.6 Legge divina: ogni comandamento di Dio è un dono del suo amore


L’adempimento di un comandamento di Dio non è né può essere visto opposto all’amore e alla misericordia. Anzi ogni comandamento di Dio, anche il più severo, ha il volto dell’amore di Dio, anche se non dell’amore misericordioso. Il comandamento della indissolubilità del matrimonio e della castità matrimoniale è dono di Dio e non si può opporre alla misericordia di Dio. Ogni manifestazione di Dio nei confronti dell’uomo è sempre un atto di amore. Ma l’amore ha un volto di tanti aspetti: è sempre il volto di Gesù che in ogni atto della sua vita divina in terra ha sempre il volto dell’amore, anche quando era un volto severo nei confronti dei farisei, degli scribi e degli ipocriti. Gesù, come Dio, è sempre amore.


Domanda: si può autorizzare l’accesso alla Eucaristia e alla Penitenza ad un divorziato risposato che convive more uxorio?


Di fronte a queste riflessioni, non ha senso e non può avere senso la possibilità di autorizzare l’accesso all’Eucaristia neppure alla persona che non è stata in nessun modo causa del fallimento matrimoniale e poi è passata a convivere con un altra persona perché si è sentita oggetto di ingiustizia, bisognosa di essere aiutata nell’educazione dei figli e bisognosa di affetto stabilendo una situazione irreversibile. Di fatto neppure l’ingiustizia può giustificare la violazione della legge di Dio. Né si può addurre la debolezza umana o la mancanza della vocazione alla continenza perfetta. La legge del Signore a volte può chiedere anche azioni eroiche. Se il Signore ci trova in questa condizione non farà mancare la grazia. Né si può giustificare l’aiuto del quale l’eventuale persona innocente ha bisogno per l’educazione dei figli. E tanto meno si può addurre la irreversibilità della situazione. Sempre per le stesse ragioni. Vivere coniugalmente con un partner che non è il proprio marito o la propria moglie è un atto intrinsecamente cattivo che non si può mai giustificare per nessun motivo. E’ la dottrina morale cattolica ribadita recentemente dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nella enciclica Veritatis Splendor. Giustificare in questi casi l’accesso all’Eucaristia affermando che si tratta di casi singoli che non si possono misurare con la legge, perché la legge non può coprire tutti i casi, è dimenticare che nel caso si tratta di legge divina che per natura sua copre tutti i casi e non ammette eccezione, a meno che non si voglia ammettere la dottrina dell’etica della situazione, condannata dalla Chiesa anche recentemente nella enciclica Veritatis Splendor[16]. In realtà è evidente che un rapporto coniugale con una persona che non è il proprio coniuge è sempre gravemente lesivo della legge morale e mai giustificabile e tanto meno può essere ammesso l’accesso alla Eucaristia.


Ciò premesso si può dire che la problematica dei divorziati risposati si presenta come una situazione irregolare, in quanto le persone interessate si trovano legate da un vincolo matrimoniale non riconosciuto dalla Chiesa e non ammissibile da essa perché le parti risultano legate da un precedente vincolo matrimoniale che non può essere sciolto. La irregolarità consiste proprio in questo nuovo vincolo. Ne consegue che la stessa convivenza condotta dalle persone interessate risulta contraria alla morale cattolica, particolarmente proprio perché la morale sessuale della dottrina cattolica dichiara che è lecito l’atto coniugale solo tra sposi legittimi nell’ambito matrimoniale. Questa situazione fa sorgere un’altra irregolarità, l’accesso al sacramento della Eucaristia che è aperta solo a chi non è conscio di nessun peccato grave, e della penitenza o della confessione sacramentale che non può essere a disposizione se non a chi è pentito del proprio peccato e si impegna a non commetterlo più.


Rimane così confermata in modo incontrovertibile la dottrina tradizionale che oltre ad essere una dottrina collaudata da secoli, ha solide basi nella morale e spiritualità cristiana. Del resto una dottrina durata per secoli e riaffermata continuamente dalla Chiesa non può essere cambiata senza rischiare la credibilità della Chiesa.


6. La posizione del Card. Kasper


Che dire della domanda posta dal Cardinale Kasper nel Concistoro del 21 febbraio 2014? Essa viene spiegata nel modo seguente. La via della Chiesa è una via media tra il rigorismo e il lassismo, attraverso un cammino penitenziale che sfocia nel sacramento della penitenza prima e poi dell’Eucarestia. Kasper si domanda se tale cammino è percorribile anche per i divorziati risposati . Egli indica le condizioni: «La domanda è: Questa via al di là del rigorismo e del lassismo, la via della conversione, che sfocia nel sacramento della misericordia, il sacramento della penitenza è anche il cammino che possiamo percorrere nella presente questione? Se un divorziato risposato, 1. si pente del suo fallimento nel primo matrimonio, 2. Se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro, 3. se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il matrimonio civile, 4. se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità a vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede, 5. se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento (metanoia), il sacramento della penitenza e poi della comunione?».


Lo stesso Kasper osserva: «Questa possibile via non sarebbe una soluzione generale. Non è la strada larga della grande massa, bensì lo stretto cammino della parte probabilmente più piccola dei divorziati risposati, sinceramente interessati ai sacramenti. Non occorre forse evitare il peggio proprio qui?» (ossia la perdita dei figli con la perdita di tutta una seconda generazione). Egli poi precisa: «Un matrimonio civile come descritto con criteri chiari va distinto da altre forme di convivenza irregolare, come i matrimoni clandestini, le coppie di fatto, soprattutto la fornicazione, dei così detti matrimoni selvaggi. La vita non è solo bianco e nero. Di fatto, ci sono molte sfumature».


Al di là delle buone intenzioni, la domanda non sembra che possa avere risposta positiva. Al di là delle differenti situazioni in cui i divorziati risposati vengono a trovarsi, in tutte le situazioni si riscontra sempre lo stesso problema: la illeceità di una convivenza more uxorio tra due persone che non sono legate da un vero vincolo matrimoniale. Il matrimonio civile, di fatto, non è un vincolo matrimoniale; secondo le leggi della Chiesa non ha neppure l’apparenza di matrimonio, tanto che la Chiesa parla di attentato matrimonio. Di fronte a questa situazione non si vede come il divorziato possa ricevere l’assoluzione sacramentale e accedere all’Eucaristia. Spesso per legittimare l’accesso all’Eucarestia dei divorziati risposati motivazioni che possono avere una parvenza di bontà e di legittimazione.


7. Ulteriori riflessioni


Può essere opportuno dilungarci ancora sul tema offrendo ulteriori spunti di riflessione:


7.1 Gli equivoci della pastoralità


Spesso ci si appella alla pastoralità in opposizione alla dottrina, sia morale sia dommatica, che sarebbe astratta e poco aderente alla vita concreta, o alla spiritualità, che proporrebbe l’ideale della vita cristiana, inaccessibile ai fedeli cristiani, oppure al diritto, perché la legge essendo universale, regolerebbe la vita in genere, ma che dovrebbe essere adattata alla vita e adeguarsi ai casi concreti, che potrebbero non rientrare alla legge che nel caso concreto non dovrebbe essere pertanto applicata.


In realtà si tratta di una visione errata della pastorale, la quale è un’arte, ossia l’arte con la quale la Chiesa edifica se stessa in popolo di Dio nella vita quotidiana. E’ un’arte che si fonda sulla dommatica, sulla morale, sulla spiritualità e sul diritto per agire prudentemente nel caso concreto. Non vi può essere pastorale che non sia in armonia con le verità della Chiesa e con la sua morale, e in contrasto con le sue leggi, e non fosse orientata al raggiungimento dell’ideale della vita cristiana. Una pastorale in contrasto con la verità creduta e vissuta dalla Chiesa, e che non additasse l’ideale cristiano, nel rispetto delle leggi della Chiesa si trasformerebbe facilmente in arbitrarietà nociva alla stessa vita cristiana.


Quanto poi alle leggi, non si può dimenticare la distinzione tra le leggi di Dio e le leggi positive del legislatore umano. Se queste in alcuni casi possono essere dispensate o non obbligare se vi sia grave incomodo, non si può dire altrettanto per le leggi divine, sia positive che naturali e non ammettono eccezioni. Se poi gli atti proibiti sono intrinsecamente cattivi, essi non possono essere legittimati in nessun caso. Così un atto sessuale con una persona che non sia il proprio coniuge non è mai ammissibile e non può mai essere dichiarato lecito, per nessuna ragione. Il fine non può mai giustificare i mezzi. La dottrina morale della Chiesa è stata ribadita anche recentemente, particolarmente nella enciclica Veritatis Splendor di Giovanni Paolo II. Non è accettabile l’etica della situazione, o l’etica misura dalle conseguenze, o dalle finalità o la negazione degli atti intrinsecamente cattivi.


7.2 Gli equivoci della misericordia


«Misericordia» è un’altra parola facilmente esposta agli equivoci, come del resto la parola «amore» con la quale facilmente si identifica. Anche per essa in linea di principio valgono le cose dette circa la pastorale. Ma c’è bisogno di una riflessione apposita.


Perché essa è collegata all’amore, essa, come l’amore viene presentata in contrasto con il diritto e la giustizia. Ma si sa bene che non esiste amore senza giustizia, e né esiste amore senza giustizia e senza verità e operando contro la legge, sia umana che divina. San Paolo contro quanti interpretavano malamente le sue affermazioni sull’amore, dirà che la regola è «l’amore che compie le opere della legge» (Gal 5,13-18).


Ma c’è da dire che la misericordia è un aspetto, molto bello, dell’amore, ma non si può identificare con l’amore. L’amore, infatti, ha molte sfaccettature. Il bene che l’amore persegue sempre si realizza in modo diverso secondo ciò che l’amore esige in una determinata situazione. Ciò si evidenzia molto bene ancora in san Paolo, nella lettera ai Galati, dove si parla del frutto dello Spirito, ossia dell’Amore (Gal 5,22). Sono i diversi volti dell’amore, che esprime la benevolenza, la condiscendenza, ma anche il rimprovero, il castigo, la correzione, l’urgenza della norma, ecc. La fede cristiana proclama: Dio è amore! Il volto umanato dell’amore di Dio è il volto del Verbo Incarnato. Gesù è il volto dell’amore di Dio: è amore quando perdona, guarisce, coltiva l’amicizia, ma anche quando rimprovera e richiama, e condanna. Anche la condanna rientra nell’amore. La misericordia è un aspetto dell’amore, l’amore perdonante. Dio perdona sempre, perché vuole la salvezza di tutti noi. Ma Dio non può perdonarci se noi siamo fuori della strada della salvezza e perseveriamo in essa. In questo caso l’amore di Dio si manifesta nel rimprovero e nella correzione, non nella «misericordia», che sarebbe una legittimazione impossibile, che porterebbe alla morte o la confermerebbe[17].


Spesso la misericordia viene presentata contro la legge, anche divina. E’ una visione inaccettabile. Il comandamento di Dio non può essere visto che come una manifestazione del suo amore con la quale ci indica la strada che dobbiamo percorrere per non perderci nel cammino della vita. Presentare la misericordia di Dio contro la sua stessa legge è una contraddizione inaccettabile.


Spesso, e giustamente, si dice che noi non siamo chiamati a condannare le persone; il giudizio infatti appartiene a Dio. Ma una cosa è condannare un’altra è valutare moralmente una situazione, per distinguere ciò che è bene e ciò che è male; esaminare se essa risponde al progetto di Dio sull’uomo. Questa valutazione è doverosa. Davanti alle diverse situazioni della vita, come quella dei divorziati risposati, si può e si deve dire che non dobbiamo condannare, ma aiutare; però non possiamo limitarci a non condannare. Siamo chiamati a valutare quella situazione alla luce della fede e del progetto di Dio e del bene della famiglia, delle persone coinvolte, e soprattutto della legge di Dio e del suo disegno di amore. Altrimenti corriamo il rischio di non essere più in grado di apprezzare la legge di Dio; anzi di considerarla quasi un male, dal momento che facciamo derivare tutto il male da una legge. In un certo modo di presentare le cose verrebbe quasi da dire che se non ci fosse quella legge della indissolubilità del matrimonio staremmo meglio. Aberrazione che mette in luce le storture del nostro modo di pensare e ragionare.


7.3 La cultura


Esiste una forte tendenza a ricondurre la spiegazione di ogni cosa al fatto culturale. Ed è innegabile che la cultura ha il suo peso. Ma è anche vero che la cultura è già frutto di una mentalità e di una visione antropologica, come pure di una visione filosofica della realtà. La cultura non può essere pertanto la spiegazione ultima di ogni cosa. Non ogni cultura e visione filosofica e antropologica possono essere accolte senza discernimento e senza accurata circospezione. La stessa teologia dommatica e morale, che poi ha la sua espressione anche nel campo del diritto, hanno alla base una visione antropologica e filosofica, senza la quale la stessa fede non si può esprimere. Sappiamo che la Chiesa ha rivendicato sempre la competenza ad interpretare le verità di diritto naturale, che stanno alla base della stessa rivelazione e senza le quali la rivelazione non avrebbe il suo stesso fondamento. Il can. 747, § 2 afferma: «Ecclesiae competit semper et ubique principia moralia etiam de ordine sociali annuntiare, necnon iudicium ferre dee quibuslibet rebus humanis, quatenus personae humanae iura fundamentalia aut animarum salus id exigat».


Per questo la Chiesa attribuisce un grande ruolo allo stesso San Tommaso che ha offerto ad essa non solo una Somma Teologica, ma anche una Somma di Filosofia, nella quale il magistero della Chiesa trova una visione della realtà e dell’uomo entro la quale può esprimere la sua verità e la sua visione[18]. La stessa formula di fede distingue chiaramente verità rivelate contenute nella rivelazione e verità naturali che la Chiesa interpreta e ritiene necessarie e indispensabili perché essa possa esprimere e fondare nella razionalità umana il suo linguaggio e le sue verità di fede. Di fatto nell’interpretare tali verità la Chiesa è infallibile quando le dichiarare con un atto definitivo. Ciò significa che la cultura non è criterio ultimo di verità e che la verità non si può misurare dall’opinione comune, anche se dominante.


7.4 Dottrina e disciplina


Speso si fa la distinzione tra dottrina e disciplina per affermare che nella Chiesa la dottrina non cambia e la disciplina sì. In realtà tutte e due i termini sarebbero presi in modo equivoco. La dottrina infatti, ha diversi gradi, e all’interno di questa gradualità non è escluso un progresso e cambiamento anche dottrinale. La Chiesa distingue nella sua formula fidei tre livelli di verità: le verità di fede divina e cattolica, contenute nella rivelazione e proposte dal magistero in modo definitivo; le verità che la Chiesa propone con atto definitivo e quindi anche infallibili; e altre verità che pur appartenendo al patrimonio della fede non raggiungono tale definitività. Per quanto riguarda la disciplina, essa non si può tenere come realtà semplicemente umana e cambiabile, ma ha un significato molto più ampio; la disciplina comprende anche la legge divina come i comandamenti, che non sono soggetti a cambiamento, pur non essendo direttamente di natura dottrinale, e lo stesso si dica di tutte le norme di diritto divino. La disciplina, speso comprende tutto ciò che il cristiano deve ritenere come impegno della sua vita per essere un discepolo fedele di nostro Signore Gesù Cristo. Può essere utile riportare quanto si legge nel documento Comunione, comunità e disciplina: «La parola "disciplina", derivando dal termine "discepolo", che nell’ambito cristiano caratterizza i seguaci di Gesù, ha un significato di particolare nobiltà. La disciplina ecclesiale consiste in concreto in quell'insieme di norme e di strutture che danno una configurazione visibile e ordinata alla comunità cristiana, regolando la vita individuale e sociale dei suoi membri perché sia in misura sempre più piena, e in aderenza al cammino del popolo di Dio nella storia, espressione della comunione donata da Cristo alla sua Chiesa. Nel suo senso più ampio essa può comprendere anche le norme morali, mentre in un significato più ristretto designa le sole norme giuridiche e pastorali»[19].


7.5 La nuova evangelizzazione


Sono ormai decenni che stiamo parlando della nuova evangelizzazione. Non si può negare l’ impegno profuso nel produrre documenti sulla catechesi e sui libri; sulle iniziative molteplici, particolarmente dell’anno della fede. I risultati sonno piuttosto scarsi. Possiamo avere un’idea della situazione, se esaminiamo i riflessi sul matrimonio e sulla famiglia. La domanda urgente che dobbiamo porci è la seguente: che cosa c’è che manca ai nostri sforzi per evangelizzare e annunciare Cristo? Quale strada percorrere? Sembra che Dio e il suo Verbo continuino ad essere assenti!


7.6 La forza e la luce della grazia


Da ultimo vogliamo richiamare la realtà più importante, che particolarmente oggi si rischia di dimenticare o di non attribuirvi la necessaria e indispensabile importanza. La Chiesa è una comunità soprannaturale nella sua natura nei suoi fini e nei mezzi. Essa dipende in modo decisivo dalla grazia, secondo le parole del Fondatore: «Senza di me non potette fare nulla» (Gv 15,8). Tutto è possibile a Dio. La Chiesa ne è consapevole. Essa non è una potenza che si sostiene con i mezzi umani. Per di più essa non ha una sapienza frutto di intelligenze di uomini; la sua è sapienza della croce, nascosta nel segreto di Dio e tenuta nascosta alla sapienza umana. La sua verità non è di facile accesso e accettazione da parte di una cultura che è puro frutto di intelligenza umana.


Si tratta di affermazioni che in modo particolare si scontrano con la cultura illuministica scientista e positivistica secolarizzata del mondo di oggi. Nel lodevole tentativo di dialogare con la cultura moderna, la Chiesa corre il rischio di mettere tra parentesi proprio le realtà che le sono proprie e specifiche, ossia la verità divina e di adattarsi al mondo. Certo, non negando le proprie verità, ma non proponendola o esitando a proporre ideali di vita che sono concepibili e praticabili solo alla luce della fede ed attuabili solo con la grazia. La Chiesa corre il rischio di annacquare il suo messaggio più vero e più profondo per paura di essere rifiutata dalla cultura moderna o per farsi accogliere da essa. Certamente la Chiesa ha bisogno sempre, ma particolarmente nei momenti difficili di credere a ciò che umanamente è impossibile. Così essa mette in luce la sua natura divina e trasmette il suo messaggio di salvezza dell’uomo.


La Chiesa, pur dovendo tener conto della cultura e dei tempi che cambiano, non può non annunciare Cristo che è sempre lo stesso, ieri oggi e sempre! (Eb. 13,8). Il riferimento alla cultura non può essere il riferimento principale, e tanto meno unico e determinante per la Chiesa, ma Cristo e la sua verità. Non può non essere motivo di riflessione il fatto che non pochi cristiani oggi tendono ad annacquare il messaggio evangelico per farsi accettare dalla cultura del tempo. Per di più, spesso danno l’impressione di subire il peso della disciplina della Chiesa e dei comandamenti di Dio che la regolano. In particolare Gesù è venuto a riportare l’uomo al progetto di Dio. Per quanto riguarda il matrimonio ha annunciato la gioia dell’amore indissolubile nel sacramento del matrimonio! Come mai tanti cristiani sentono questo come un peso piuttosto che come un dono e compiono sforzi poderosi per ridimensionarlo o addirittura annullarlo invece che per difenderne la verità e dare la testimonianza di gioia nel viverlo?


 


   seguono le note



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)