00 10/05/2014 17:43

  Paolo VI sarà proclamato Beato il 19 ottobre prossimo




Ieri pomeriggio, 9 maggio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ed ha autorizzato la Congregazione a promulgare i Decreti riguardanti:

- il miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini), Sommo Pontefice; nato il 26 settembre 1897 a Concesio (Italia) e morto il 6 agosto 1978 a Castelgandolfo (Italia);



Nella medesima Udienza il Santo Padre ha autorizzato il Dicastero a comunicare che il rito della beatificazione del Ven. Servo di Dio Paolo VI avrà luogo, in Vaticano, il 19 ottobre 2014.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/05/10/paolo_vi_sar%C3%A0_proclamato_beato_il_19_ottobre_prossimo/it1-798066 
del sito Radio Vaticana 







Preghiera ufficiale per ottenere grazie per intercessione di Paolo VI

Signore, la nostra povertà ci porta a chiedere il Tuo aiuto.
Lo facciamo nella certezza che il Tuo cuore di Padre è sempre pronto ad ascoltare le richieste dei Suoi figli.
Si fa voce interprete delle nostre necessità il Papa Paolo VI, il Papa del dialogo, il Papa pellegrino, il Papa della civiltà dell'amore.
È con lui, Tuo servo buono e fedele che riposa nella Tua beatitudine, che ti innalziamo la nostra supplica.
O Signore, per intercessione di Papa Paolo VI, concedi il Tuo aiuto per ottenere la grazia di……………………
Sia fatta, Signore, la tua volontà.
Amen
Pater, Ave, Gloria. 

***********
Chi ottenesse grazie è pregato di darne comunicazione alla Vicepostulazione della Causa di beatificazione
e di canonizzazione di Papa Paolo VI
via delle Grazie, 13 - 25122 BRESCIA
tel. 030 3755075 - fax 030 43323

UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 
DEL SOMMO PONTEFICE

NOTIFICAZIONE

DOMENICA XXIX DEL TEMPO ORDINARIO

CAPPELLA PAPALE

 

Domenica 19 ottobre 2014, XXIX del Tempo Ordinario, alle ore 10.30, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Francesco celebrerà la Santa Messa in occasione della chiusura dell’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi e presiederà il rito della beatificazione del Servo di Dio Paolo VI, papa (1897-1978).

Potranno concelebrare con il Santo Padre:

- i Cardinali e i Patriarchi, che si troveranno, alle ore 9.30, nella Cappella di San Sebastiano in Basilica, portando con sé la mitria bianca damascata;

- gli Arcivescovi e i Vescovi, muniti di apposito biglietto dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice (la richiesta deve essere inviata entro mercoledì 15 ottobre all’indirizzo: beatificazionepaolovi@gmail.com), che si troveranno, alle ore 9.15, nella Cappella di San Pio X in Basilica, portando con sé amitto, camice, cingolo e mitria bianca;

- i Sacerdoti, muniti di apposito biglietto dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice (la richiesta deve essere inviata entro mercoledì 
15 ottobre all’indirizzo: biglietti@celebra.va), che si troveranno, alle ore 9, al Braccio di Costantino, portando con sé amitto, camice, cingolo e stola bianca.

* * *

I Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi e i Vescovi e tutti coloro che, in conformità al Motu Proprio «Pontificalis Domus», compongono la Cappella Pontificia e, muniti della Notificazione, desiderano partecipare alla celebrazione liturgica senza concelebrare, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi alle ore 9.30 sul Sagrato della Basilica, per occupare il posto che verrà loro indicato.

Città del Vaticano, 11 ottobre 2014

Per mandato del Santo Padre

Mons. Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie

 




IL TESTAMENTO DI PAOLO VI


 

Nel corso della riunione della Congregazione Generale dei Cardinali, giovedì 10 agosto 1978, è stato letto il testo delle ultime volontà di Paolo VI, testo che prima della pubblicazione è stato portato a conoscenza dei familiari. Il testamento consiste in uno scritto del 30 giugno 1965, integrato da due aggiunte, una del 1972 e un’altra del 1973. Sono in tutto quattordici pagine manoscritte.
Il primo dei tre testi è scritto su tre fogli grandi, formato lettera, ciascuno di quattro facciate. Paolo VI ha numerato la prima pagina dei tre fogli di suo pugno ed ha apposto la sua firma anche a margine della quarta facciata del foglio I.
In tutto sono undici facciate scritte. La prima aggiunta fu fatta a Castel Gandolfo e, oltre alla data, reca anche l’indicazione dell’ora: 16 settembre 1972, ore 7,30. Si tratta di due foglietti manoscritti. Il primo reca tra parentesi, in alto, accanto allo stemma pontificio l’indicazione «Note complementari al testamento 8. La seconda, intitolata « Aggiunta alle mie disposizioni testamentarie », consiste in poche righe scritte su un unico foglio il 14 luglio 1973.

Alcune note
 per il mio testamento

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

1. Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara; e perciò con umile e serena fiducia. Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero, e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce.

Dinanzi perciò alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, Ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita.

Parimente sento il dovere di ringraziare e di benedire chi a me fu tramite dei doni della vita, da Te, o Signore, elargitimi: chi nella vita mi ha introdotto (oh! siano benedetti i miei degnissimi Genitori!), chi mi ha educato, benvoluto, beneficato, aiutato, circondato di buoni esempi, di cure, di affetto, di fiducia, di bontà, di cortesia, di amicizia, di fedeltà, di ossequio. Guardo con riconoscenza ai rapporti naturali e spirituali che hanno dato origine, assistenza, conforto, significato alla mia umile esistenza: quanti doni, quante cose belle ed alte, quanta speranza ho io ricevuto in questo mondo!
Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite?
Come celebrare degnamente la tua bontà, o Signore, per essere io stato inserito, appena entrato in questo mondo, nel mondo ineffabile della Chiesa cattolica?
Come per essere stato chiamato ed iniziato al Sacerdozio di Cristo? Come per aver avuto il gaudio e la missione di servire le anime, i fratelli, i giovani, i poveri, il popolo di Dio, e d’aver avuto l’immeritato onore d’essere ministro della santa Chiesa, a Roma specialmente, accanto al Papa, poi a Milano, come arcivescovo, sulla cattedra, per me troppo alta, e venerabilissima dei santi Ambrogio e Carlo, e finalmente su questa suprema e formidabile e santissima di San Pietro? In aeternum Domini misericordias cantabo.

Siano salutati e benedetti tutti quelli che io ho incontrati nel mio pellegrinaggio terreno; coloro che mi furono collaboratori, consiglieri ed amici - e tanti furono, e così buoni e generosi e cari!
benedetti coloro che accolsero il mio ministero, e che mi furono figli e fratelli in nostro Signore!

A voi, Lodovico e Francesco, fratelli di sangue e di spirito, e a voi tutti carissimi di casa mia, che nulla a me avete chiesto, né da me avuto di terreno favore, e che mi avete sempre dato esempio di virtù umane e cristiane, che mi avete capito, con tanta discrezione e cordialità, e che soprattutto mi avete aiutato a cercare nella vita presente la via verso quella futura, sia la mia pace e la mia benedizione.

Il pensiero si volge indietro e si allarga d’intorno; e ben so che non sarebbe felice questo commiato, se non avesse memoria del perdono da chiedere a quanti io avessi offeso, non servito, non abbastanza amato; e del perdono altresì che qualcuno desiderasse da me. Che la pace del Signore sia con noi.

E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore.

A te, Roma, diocesi di San Pietro e del Vicario di Cristo, dilettissima a questo ultimo servo dei servi di Dio, la mia benedizione più paterna e più piena, affinché Tu Urbe dell’orbe, sia sempre memore della tua misteriosa vocazione, e con umana virtù e con fede cristiana sappia rispondere, per quanto sarà lunga la storia del mondo, alla tua spirituale e universale missione.

Ed a Voi tutti, venerati Fratelli nell’Episcopato, il mio cordiale e riverente saluto; sono con voi nell’unica fede, nella medesima carità, nel comune impegno apostolico, nel solidale servizio al Vangelo, per l’edificazione della Chiesa di Cristo e per la salvezza dell’intera umanità. Ai Sacerdoti tutti, ai Religiosi e alle Religiose, agli Alunni dei nostri Seminari, ai Cattolici fedeli e militanti, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai cercatori della verità e della giustizia, a tutti la benedizione del Papa, che muore.

E così, con particolare riverenza e riconoscenza ai Signori Cardinali ed a tutta la Curia romana: davanti a voi, che mi circondate più da vicino, professo solennemente la nostra Fede, dichiaro la nostra Speranza, celebro la Carità che non muore, accettando umilmente dalla divina volontà la morte che mi è destinata, invocando la grande misericordia del Signore, implorando la clemente intercessione di Maria santissima, degli Angeli e dei anti, e raccomandando l’anima mia al suffragio dei buoni.

2. Nomino la Santa Sede mio erede universale: mi obbligano a ciò dovere, gratitudine, amore. Salvo le disposizioni qui sotto indicate.

3. Sia esecutore testamentario il mio Segretario privato. Egli vorrà consigliarsi con la Segreteria di Stato e uniformarsi alle norme giuridiche vigenti e alle buone usanze ecclesiastiche.

4. Circa le cose di questo mondo: mi propongo di morire povero, e di semplificare così ogni questione al riguardo.

Per quanto riguarda cose mobili e immobili di mia personale proprietà, che ancora restassero di provenienza familiare, ne dispongano i miei Fratelli Lodovico e Francesco liberamente; li prego di qualche suffragio per l’anima mia e per quelle dei nostri Defunti. Vogliano erogare qualche elemosina a persone bisognose o ad opere buone. Tengano per sé, e diano a chi merita e desidera qualche ricordo dalle cose, o dagli oggetti religiosi, o dai libri di mia appartenenza. Distruggano note, quaderni, corrispondenza, scritti miei personali.

Delle altre cose che si possano dire mie proprie: disponga, come esecutore testamentario, il mio Segretario privato, tenendo qualche ricordo per sé, e dando alle persone più amiche qualche piccolo oggetto in memoria. Gradirei che fossero distrutti manoscritti e note di mia mano; e che della corrispondenza ricevuta, di carattere spirituale e riservato, fosse bruciato quanto non era destinato all’altrui conoscenza.

Nel caso che l’esecutore testamentario a ciò non possa provvedere, voglia assumerne incarico la Segreteria di Stato.

5. Raccomando vivamente di disporre per convenienti suffragi e per generose elemosine, per quanto è possibile.

Circa i funerali: siano pii e semplici (si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso).

La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.

6. E circa ciò che più conta, congedandomi dalla scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia di Dio: dovrei dire tante cose, tante.
Sullo stato della Chiesa; abbia essa ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore.
Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine, e si provveda ad eseguirne fedelmente le prescrizioni. Sull’ecumenismo : si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica.
Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.

Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la divina Bontà. Ancora benedico tutti. Roma specialmente, Milano e Brescia. Alla Terra santa, la Terra di Gesù, dove fui pellegrino di fede e di pace, uno speciale benedicente saluto.

E alla Chiesa, alla dilettissima Chiesa cattolica, all’umanità intera, la mia apostolica benedizione.

Poi: in manus Tuas, Domine, commendo spiritum meum.

Ego: Paulus PP. VI.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il 30 giugno 1965, anno III del nostro Pontificato.

Note complementari 
al mio testamento

In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. 
Magnificat anima mea Dominum. Maria!

Credo. Spero. Amo.

Ringrazio quanti mi hanno fatto del bene.

Chiedo perdono a quanti io avessi non fatto del bene. A tutti io do nel Signore la pace.

Saluto il carissimo Fratello Lodovico e tutti i miei familiari e parenti e amici, e quanti hanno accolto il mio ministero. A tutti i collaboratori, grazie. Alla Segreteria di Stato particolarmente.

Benedico con speciale carità Brescia, Milano, Roma, la Chiesa intera. Quam diletta tabernacula tua, Domine!

Ogni mia cosa sia della Santa Sede.

Provveda il mio Segretario particolare, il caro Don Pasquale Macchi, a disporre per qualche suffragio e qualche beneficenza, e ad assegnare qualche ricordo fra libri e oggetti a me appartenuti a sé e a persone care.

Non desidero alcuna tomba speciale.

Qualche preghiera affinché Dio mi usi misericordia.

In Te, Domine, speravi. Amen, alleluia.

A tutti la mia benedizione, in nomine Domini.

PAULUS PP. VI

Castel Gandolfo, 16 settembre 1972ore 7,30.

Aggiunta 
alle mie disposizioni testamentarie

Desidero che i miei funerali siano semplicissimi e non desidero né tomba speciale, né alcun monumento. Qualche suffragio (beneficenze e preghiere).

PAULUS PP. VI

14 luglio 1973







Paolo VI, il Papa martire del Sessantotto
di Padre Piero Gheddo
10-05-2014 da La Bussola Quotidiana


Il Concilio Vaticano II aveva suscitato tanti entusiasmi e speranze, secondo quanto diceva San Giovanni XXIII: “Il Concilio sarà una nuova Pentecoste per la Chiesa”. La storia, com’è noto, è poi andata in senso diverso. Quando finisce il Vaticano II (7 dicembre 1965), Paolo VI pubblica, col Motu proprio Ecclesiae Sanctae (6 agosto 1966), le norme per applicare le decisioni conciliari alla vita quotidiana dei fedeli e di diocesi, parrocchie, istituti religiosi. Ma già nascevano convegni teologici, riviste specializzate (ad esempio Concilium) e pubblicistica ecclesiale che iniziavano la “fuga in avanti” (o indietro?) non spiegando e invitando ad applicare i documenti del Concilio, ma ipotizzando cosa volevano realmente dire i Padri conciliari. Si scriveva che “lo spirito del Concilio” superava ampiamente i testi conciliari, troppo timidi e incompleti, per colpa soprattutto delle mitica “Curia romana”. Sorgevano “profeti” che annunziavano prossimo il “Concilio Vaticano III”, che avrebbe dovuto completare il Vaticano II, ipotizzando forme nuove di vita cristiana e sacerdotale.

Nell’autunno 1967, inizia in Italia e in Occidente il “Sessantotto”, un miscuglio di grandi ideali (la pace e la giustizia nel mondo), di utopie spesso assurde (l’uguaglianza assoluta fra gli uomini e fra uomo e donna, il disarmo totale) e di comportamenti spesso violenti, che manifestavano la profonda insoddisfazione per la nostra società occidentale. Era una protesta generalizzata di giovani, specialmente studenti, contro la società in cui vivevano, bloccata dai “poteri forti” e dai detentori del potere, i “baroni” delle cattedre, i “padroni” delle industrie e tutte le autorità. Lo spirito sessantottino si è infiltrato anche nella Chiesa cattolica. A molti sembrava un movimento provvidenziale per il bene della politica, della società e della Chiesa.

Nascevano comunità di credenti, con i loro sacerdoti, che vivevano “secondo lo spirito del Concilio”, ma non obbedivano al vescovo ed erano motivo di divisione e di scandalo, amplificato dai mass media. Diminuiva la pratica religiosa, non pochi sacerdoti abbandonavano il sacerdozio, per sperimentare “un modo nuovo di essere prete”. Erano tempi di grande confusione, dubbi, incertezze: iniziava il periodo di crisi della fede e della vita cristiana di cui siamo ancor oggi spettatori addolorati.

Una certa teologia disincarnata dalla realtà minava le fondamenta dell'ideale missionario, come inteso dal Vaticano II. Si proclamavano come verità proposte che avevano qualcosa di autentico, ma diventavano, assolutizzandole, nefaste per la missione alle genti. Ad esempio:

Le giovani Chiese debbono annunziare Cristo ai loro popoli, i missionari sono superflui; nasceva una campagna di stampa per il “moratorium” delle missioni in Africa (ritirare tutti i missionari stranieri), per lasciar libere le Chiese locali. I non cristiani sono anche in Italia, la missione alle genti è qui da noi. Manchiamo di sacerdoti in Italia, perché voi missionari andate a portare Cristo in altri continenti, quando lo stiamo perdendo noi italiani? Non è importante che i popoli si convertano a Cristo, purché prendano il messaggio di amore e di pace del Vangelo. Ogni religione ha i suoi valori e tutte portano a Dio, che senso ha il “proselitismo” missionario in popoli di altre religione? Basta conversioni. Facciamo che il cristiano sia un miglior cristiano, il musulmano un miglior musulmano, un buddhista un miglior buddhista…

Il Papa martire del 1900: Paolo VI

Paolo VI era il Papa del Concilio, aveva portato avanti con grande saggezza e chiuso bene, con voti quasi unanimi dei 2.500 Padre conciliari, un evento straordinario che apriva orizzonti nuovi alla Chiesa. Uomo colto, mite, umile, che aveva capito i tempi moderni, comunicava in modo comprensibile a tutti (si leggano le sue encicliche!) e con la sua prima enciclica Ecclesiae Sanctae (1964) indicava il dialogo col mondo (dare e ricevere) come metodo di annunzio del Vangelo nei tempi moderni. Eppure, all’inizio degli anni Settanta, dopo le contestazioni violente e sprezzanti (da parte di cattolici) seguite alla Humanae Vitae (1968), che l’avevano ferito nel vivo, di fronte al marasma di quei tempi era intimidito, si sentiva mancare le forze per reagire e riportare il gregge di Cristo a vivere secondo gli orientamenti dati dal Vaticano II. E anche la Chiesa italiana, dialogante e divisa, non aiutava certo Paolo VI. Era orientata verso “il senso religioso”, mentre la società e la cultura italiana erano arate, seminate e devastate dai prepotenti e spesso violenti metodi e ideologie sessantottini. Il messianismo della rivolta studentesca sembrava dare vigore ai fermenti post-conciliari, che interpretavano il Concilio come una rottura con la Tradizione ecclesiale e una rivoluzione totale della Chiesa e della vita cristiana.

Tanto più che non pochi intellettuali e teologi, associazioni e gruppi ecclesiali, seguivano la travolgente onda culturale che portava verso il laicismo, il relativismo, l’individualismo (i “diritti individuali” ma non i “doveri”), la lettura “scientifica” della società (cioè il marxismo). Nessuno più osava dire forte e chiaro che un “mondo nuovo” è possibile, ma solo a partire da Cristo. Paolo VI lo diceva, lo ripeteva, lo proclamava ad alta voce (si vedano i numeri 26, 28, 31 della Octogesima adveniens, 1971 sul socialismo), ma era ascoltato solo dai semplici credenti e da coloro che, nelle mischie dei talk show, erano definiti “papalini” in senso negativo.

La crisi dell’ideale missionario nell’Occidente cristiano è nata nella crisi di fede che squassava la Chiesa intera. Ha preso tutti alla sprovvista e ha diviso le forze missionarie (istituti missionari, riviste, animazione missionaria, ecc.). Un esempio significativo (ne ricordo tanti!). Nell'estate 1968, come già diverse volte in precedenza, ho partecipato alla Settimana di Studi missionari a Lovanio ("Liberté des Jeunes Eglises"), organizzata dall'indimenticabile amico gesuita padre Joseph Masson, docente di Missiologia della Gregoriana. Diverse voci non di missionari sul campo, ma di studiosi, teologi, missiologi mi ferivano, perché esprimevano forti dubbi sul mandare missionari europei in altri continenti; molto meglio, si diceva, lasciare che le giovani Chiese raggiungano una loro maturità e si organizzino secondo le loro idee e culture. Ho protestato contro questa ipotesi perché avevo seguito dal di dentro il Vaticano II e testimoniavo che la totalità dei vescovi delle missioni si erano espressi in modo radicalmente opposto, chiedendo nuovi missionari. Anzi, con l’indipendenza dei loro paesi, sentivano la necessità di avere più forti legami con la sede di Pietro e le Chiese cattoliche antiche. È solo un esempio della mentalità che si era infiltrata e diffusa nella Chiesa in quel tempo post-conciliare.

La crisi della “missio ad gentes”, e quindi dell'animazione missionaria (e delle riviste e libri missionari), si è manifestata anche nella chiusura delle tre "Settimane di studi missionari" che si tenevano a Milano dal 1960 (esperienza chiusa nel 1969), a Burgos (1970) e a Lovanio (1975), che venivano da una lunga tradizione (a Lovanio dagli anni venti), per i forti contrasti e divisioni fra i teologi e gli specialisti delle missioni.




[Modificato da Caterina63 18/10/2014 12:34]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)