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Anticipiamo la prefazione del cardinale arcivescovo di Manila al volume della Emi di cui a pagina 6 offriamo in anteprima uno stralcio.

Ripercorrere i viaggi di Paolo VI — come questo libro propone — per me significa riandare con la memoria a un giorno ben preciso della mia vita.

Avevo tredici anni quando papa Montini venne nel mio paese. In quella fine di novembre del 1970 le Filippine si stavano rimettendo in piedi dopo un tifone. La visita del Papa offriva ai filippini un orizzonte luminoso verso cui guardare.

La comunità parrocchiale, la scuola, la famiglia, i mass media locali mi tenevano tutti costantemente aggiornato sull’evento che si stava avvicinando e facevano crescere in me le aspettative. Noi giovani di allora guardavamo ai preti con grande rispetto. Tremavamo con reverenza davanti a un vescovo. Mi chiedevo come mi sarei sentito trovandomi davanti il Papa! Quale emozione o quale esperienza avrebbe suscitato in me la sua presenza?

Il giorno dell’arrivo, la nostra scuola ci aveva portato ai bordi della strada da cui sarebbe passato Paolo VI giungendo a Manila dall’aeroporto. Eravamo lì ad accoglierlo sventolando le bandierine. La nostra eccitazione raggiunse il culmine quando sentimmo la sirena che anticipava l’arrivo della scorta papale. Tirando bene la schiena e il collo sgranai gli occhi per riuscire a vedere direttamente il Papa quando la sua auto sarebbe passata davanti a noi. E alla fine arrivò: un uomo vestito di bianco, un volto che irradiava pace, gioia e serenità. Vidi questa serenità. La avvertii profondamente. Ma a quel punto lui era passato. E noi tornammo a casa.

I giorni successivi furono pieni di immagini di Paolo VI rilanciate dai mezzi di comunicazione sociale. Rimasi particolarmente colpito dalla sua visita a una comunità di poveri nel distretto di Tondo, a Manila. Entrò nella baracca di una famiglia e si mescolò con persone che di solito erano rigorosamente tenute fuori dalla vista e dalla portata dei dignitari che facevano tappa nelle Filippine. Mi meravigliai anche al vedere come il Papa fosse in grado di radunare una moltitudine di persone, specialmente durante le messe e il rito dell’ordinazione di alcuni nuovi sacerdoti.

La visione di questi eventi mi fecero gustare nel Papa la presenza di Cristo, il pastore che raduna il suo gregge.

Piu tardi sarebbe arrivato il 1985, l’anno in cui mi recai alla Catholic University of America a Washington per perfezionare i miei studi in teologia. Desiderando approfondire il rinnovamento portato dal Vaticano ii, accettai la proposta avanzata dal responsabile della mia licenza e del mio dottorato di studiare il Concilio dal punto di vista di Paolo VI. Scrissi la mia tesi di licenza sul Piano per il Concilio tratteggiato dall’allora cardinale Giovanni Battista Montini. La mia dissertazione per il dottorato si concentrò in seguito sulla collegialità episcopale nel magistero e nell’azione di Papa Paolo VI. Era arrivato il mio turno di «viaggiare» nella grande mente, nel cuore e nell’anima di questo servo di Dio che ha guidato la chiesa in un momento decisivo della sua storia.

Quando avevo tredici anni non avrei mai immaginato che quello sguardo fugace lanciato a Papa Montini sarebbe stato l’inizio di una vita in cammino al servizio della Chiesa, in spirito di comunione e di dialogo. Un cammino in cui oggi mi lascio accompagnare volentieri dal beato Paolo VI.

di Luis Antonio Gokim Tagle

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Una vita umana. Paolo VI, dalla polvere all’altare

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A pochi giorni dalla sua beatificazione, omaggio ad un Papa che aveva tanto da dire al mondo e che non fu compreso. Molti lo detestarono per essere stato il Papa dell’Humanae Vitae: per lo stesso motivo oggi sentiamo di ringraziarlo, insieme alla Chiesa e all’umanità. Un ritratto

 

 

ciramidi Claudia Cirami

Per capacità di dialogo, abilità diplomatica, sensibilità moderna, non c’era nessuno più adatto di Giovanni Battista Montini a diventare Papa. Il papato era nelle sue corde fin da quando muoveva i suoi primi passi per i corridoi della Curia Romana. Con quella capacità immediata di farsi benvolere dai precedenti Pontefici, la naturale predisposizione ai rapporti umani, l’intelligenza di capire quando parlare e quando tacere, sembrava fosse nato per ruoli chiave nella Chiesa e che niente, neppure il pontificato, potesse essergli precluso. Eppure, quando salì al soglio pontificio, Paolo VI non si fece particolarmente amare dalle opposte fazioni del cattolicesimo, progressista e tradizionalista, e non riuscì ad imprimersi nell’immaginario comune del popolo cattolico. Qualche anno fa, il programma La Grande Storia di Rai Tre gli dedicò una puntata dal titolo eloquente: Il Papa dimenticato. Perché accadde?

Sarà adatto a reggere la Barca di Cristo?

dina_bellotti,_paolo_viIn realtà, se leggiamo la cronaca del Conclave in cui fu eletto[1], pare che ci fosse più di qualche dubbio su di lui già prima della sua elezione. Di certo, Giovanni XXIII lo avrebbe voluto come successore e questo fatto, alla fine, ebbe un suo peso. Il Conclave, però, si spaccò sulla sua candidatura e si formarono due blocchi contrapposti, con i cardinali curiali che gli fecero grande opposizione.

Fu, però, proprio un cardinale di Curia, Testa, che gli aprì la strada al soglio, rompendo il protocollo rigido del Conclave con un discorso che invitava i cardinali a ricomporre la spaccatura per il bene della Chiesa. Eppure, quello stesso cardinale, convinto a procedere così su suggerimento di mons. Dell’Acqua, pare abbia detto: «aderisco per rispetto a Dell’Acqua, non perché convinto». Gli sembrava infatti che Montini fosse «incerto, dubbioso, perciò inadatto a reggere il timone» della Barca di Cristo. E si sa che questa ha bisogno di una guida salda e sicura. Ad ogni modo, il Conclave alla fine si ricompose sul suo nome e Giovanni Battista Montini divenne Paolo VI.

Paolo: quel nome che pesa.

"Quegli occhi azzurri e vitrei di Paolo, che quando volevano una cosa la voleva e basta..."

“Quegli occhi azzurri e vitrei di Paolo, che quando volevano una cosa la voleva e basta…”

«Scegliendo il nome dell’Apostolo più consapevole della sua piccolezza e della sua divina elezione, Paolo VI ha accettato sopra di sé e sopra il suo pontificato il peso di trepidazione e di lacerazione continua che questa duplice e simultanea coscienza comporta»[2]. La conciliazione di questa “duplice e simultanea coscienza” non fu semplice e, in realtà, non avvenne mai. Paolo VI risentì, forse più di altri, della consapevolezza della propria fragilità rispetto al grande compito che gli era stato affidato.

Se Paolo, l’Apostolo delle Genti, era riuscito a trasformare in propulsiva forza evangelizzatrice la sua debolezza e in un benefica coscienza di sé quell’essere scelto personalmente dal Risorto, Paolo VI, invece, sembrò spesso emotivamente sopraffatto da un peso che sapeva superiore alle sue forze, non tanto o non solo fisiche. Lo sguardo sovente malinconico, il sorriso disilluso, l’andatura che, man mano, si fece più incerta tradivano la coscienza dolente di quella “croce” che egli sentiva di portare.

La coscienza della morte imminente

Il giovane Montini,1920 circa, in un ritratto attribuito a Giacomo Balla

Il giovane Montini,1920 circa, in un ritratto attribuito a Giacomo Balla

Il filosofo e accademico francese Jean Guitton, che lo conosceva bene per una lunga frequentazione amichevole, fornisce una spiegazione supplementare di questa sua “dolenza” interiore[3]. A causa di alcuni problemi di salute avuti sin da bambino, Giovanni Battista Montini «serbò per tutta la vita il sentimento della fragilità della propria esistenza, del proprio tempo posto sotto la minaccia della fine, della possibilità di essere interrotto senza preavviso… Non aveva avuto bisogno di meditazione per rendere efficace il pensiero della morte, che trasforma la nostra percezione del tempo. Sono ancora convinto che molti atti che hanno sorpreso il pubblico si spieghino con questa precoce esperienza della morte… Quando ci si accomiatava da lui, salutava come se fosse l’ultima volta che ci si vedeva: ‘Diamoci un arrivederci escatologico’».

I “molti atti” danno la misura del tipo di coscienza della fine maturata in lui: Paolo VI non era un uomo che attendeva la morte, impiegando il suo tempo nell’indolenza. Al contrario, la coscienza di essere in un certo qual senso “atteso dalla morte” gli imponeva di conservare una serenità interiore e di essere vigile per farsi trovare evangelicamente impegnato quando il Signore lo avesse chiamato a sé.

Radicato in Cristo

Sapeva anche sorridere, ma i più lo hanno dimenticato.

Sapeva anche sorridere, ma i più lo hanno dimenticato.

La “croce” del pontificato, dunque, seppur pesante, non lo schiacciò. Forse i più lo hanno dimenticato, ma Papa Montini scrisse un esortazione apostolica sulla gioia, laGaudete in Domino, nel 1975, tre anni prima della sua morte: quasi alla fine, dunque, di un pontificato difficile, pieno di insidie e di ostacoli, di delusioni e di amarezze.

Compreso nella sua missione.

Compreso nella sua missione.

Nell’introduzione, usando il plurale maiestatis, scrive di aver sentito «la felice necessità interiore di indirizzarvi, nel corso di questo Anno di grazia, e molto opportunamente in occasione della Pentecoste, una Esortazione Apostolica il cui tema è, precisamente, la gioia cristiana, la gioia nello Spirito Santo. È come una specie di inno alla gioia divina, che noi vorremmo intonare per suscitare un’eco nel mondo intero e anzitutto nella Chiesa»[4].

La sua serenità dipendeva dal forte radicamento in Cristo. In un profilo biografico, leggiamo che la sua spiritualità era «cristocentrica, e questo divenne un elemento fondamentale anche della concezione del ministero papale. Nel discorso del 29 settembre 1963, in apertura del secondo periodo del concilio, egli si compiacque di raffigurarsi come il suo predecessore Onorio III, che nel mosaico absidale della basilica di san Paolo fuori le Mura “piccolo e quasi annichilito per terra, bacia il piede di Cristo, dalle dimensioni gigantesche…”[5]».

Tra due giganti in umanità, anche un “esperto” soccombe

Con il futuro San Giovanni Paolo II.

Con il futuro San Giovanni Paolo II.

Eppure quest’esortazione non è bastata a riabilitare la sua immagine presso la maggior parte dei fedeli. E’ sorprendente, per certi versi, come persino nella biografia ufficiale[6] sul sito della Santa Sede, in lingua inglese, si faccia cenno all’impopolarità di Paolo VI, con queste parole: «his public image suffered by comparison with his outgoing and jovial predecessor». Chi ha redatto la biografia, in poche parole, ammette che Paolo VI fu come schiacciato dal paragone con la figura di Giovanni XXIII.

Né giovò certo alla sua memoria il fatto che – dopo la brevissima parentesi di Giovanni Paolo I – il suo vero successore fu un uomo carismatico, un leader nato, quale era Giovanni Paolo II. Come compresso tra questi due giganti in umanità, lui, che pure di umanità, insieme alla Chiesa, si definiva “esperto”, soffrì la sorte di non essere considerato incisivo tra la gente. Suona perciò triste la precisazione che subito dopo leggiamo nella stessa biografia: «Coloro che lo conobbero meglio, ad ogni modo, lo descrivono come un uomo brillante, profondo spiritualmente, umile, riservato e gentile, un uomo di “infinita cortesia”» (n.d.T.). La mancanza di un carisma come quello di san Giovanni Paolo II impedì ai più di conoscere queste notevoli doti.

Il Concilio diede il primo colpo…

PaoloVI_zpsca369ab0Per quanto, tuttavia, l’umanità di Paolo VI non riuscisse a riscaldare i cuori, come con altri Papi, occorre dire che fu anche un altro il motivo per cui non riuscì a “bucare”. Ebbe un compito ingrato, in fondo: quello di essere pontefice in anni complessi, dove, all’improvviso, tutte le aperture apparvero plausibili, tutte le strade percorribili, tutti i ponti realizzabili. Non fu così, però. E il primo responsabile della mancata realizzazione di una “nuova chiesa” fu considerato Paolo VI, che s’era trovato a traghettare il Concilio Vaticano II fino alla sua conclusione. Di contro, però, nemmeno tutto il mondo tradizionalista lo amò: ancora adesso da parte di alcuni gli viene rimproverato un modo di fare troppo “dialogante” con il mondo e molti dei disastri post-conciliari sono attribuiti alla sua direzione incerta.

Papa Montini, però, non assecondò lo spirito mondano che voleva impadronirsi del Concilio e che, purtroppo, pur non riuscendoci, provocò una serie di danni. Così il post-Concilio divenne per lui un’altra tappa del «martirio montiniano… il suo fu un lavoro estenuante di intelletto e di cuore: uno sfinimento di elaborazioni per fronteggiare le correnti opposte e avverse alla Chiesa, di un mondo moderno legato alla materia e lontano dallo spirito, che al posto di Dio metteva l’uomo, in un antropocentrismo esasperato»[7].

… l’Humanae Vitae quello di grazia.

Sul trono di spine

Sul trono di spine

Fu soprattutto l’Humanae Vitae, però, a decretare la fine delle simpatie mondane e progressiste nei confronti di Papa Montini. Pubblicata nel 1968, l’enciclica, che passerà alla storia come il no della Chiesa alla contraccezione – in realtà molto più profonda e luminosa di quanto non dica questa triste etichetta – isolò sempre di più il Papa. Non entriamo qui nel merito dell’argomento trattato: sappiamo solo che quel documento, che ha permesso alla Chiesa, negli anni del postConcilio, di mantenere salda la bussola nell’ambito delle questioni morali relative alla sessualità, si rivelò una vera prova per Papa Paolo VI.

Solo per arrivare ad annusare il clima,ecco una sintesi efficace di ciò che accadde subito dopo la pubblicazione dell’enciclica: «Il mondo rimase sbigottito. In quello cattolico scoppiò la rivolta. Parroci, congregazioni, episcopati criticarono l’enciclica e il suo autore. Negli Stati Uniti i teologi la definirono “ridicola”… Il New York Times scrisse: “È tragicamente ironico che questo papa possa essere ricordato per una enciclica che può servire a rafforzare i due mali della guerra e della miseria”. Più duri ancora gli attacchi olandesi, tedeschi, belgi… Un giornale inglese arrivò a dire che “l’Humane Vitae è il Vietnam di Paolo VI”»[8].

Papa fino al Tribunale dell’Eterno

"Sono vecchio, sono stanco: ma sono Pietro". Congedo di un pontificato già "dimenticato"

“Sono vecchio, sono stanco: ma sono Pietro”.
Congedo di un pontificato già “dimenticato”

Gli ultimi anni del suo pontificato non conobbero una ripresa di consensi, nonostante il grande sforzo di Paolo VI di continuare a guidare la Chiesa, andando oltre le amarezze. «Io passo da urgenza a urgenza. Non ho mai un momento di tregua, di riposo. E questo durerà fino alla morte. Non vorrei ammalarmi come i miei predecessori. Nessuno può capire che non ho altro avvenire che l’eternità, cioè il giudizio[9]». Così Paolo VI confidava a Jean Guitton. In questa confidenza, è racchiuso il senso del ruolo papale così come egli lo percepiva: un cammino irto d’ostacoli, da percorrere in fretta, e l’attesa di un riposo che, tuttavia, sarebbe coinciso con il presentarsi davanti al Tribunale dell’Eterno.

La sua visione del papato è stata drammatica, ma al tempo stesso capace di tenerlo inchiodato al soglio pontificio fino alla fine, consapevole che l’Unico che avrebbe potuto porre un termine alla sua fatica sarebbe stato anche Colui che lo avrebbe giudicato. La morte lo colse il 6 Agosto del 1978. Nella festa del Cristo trasfigurato nella gloria, il Papa avrà finalmente disteso il passo non più malfermo e il suo sorriso, ora libero dalla malinconia, si sarà schiuso alla gioia che non conosce tramonto.

 Death of Pope Paul VI

 

 

[1] G. Zizola, Quale Papa?, Borla, Roma 1977, pp.160-171

[2] AA.VV., Il Vaticano II nella parola di Giovanni e Paolo, introduzione, Vallecchi 1967

[3] J. Guitton, Paolo VI segreto, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1985, p.33

[5] A. Acerbi, Il pontificato di Paolo VI, in (a cura di) M. Greschat – E. Guerriero, Storia dei Papi, p.899.

[6] http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/biography/documents/hf_p-vi_bio_16071997_biography_en.html

[7] C. Siccardi, Paolo VI. Il Papa della luce, Edizioni Paoline, Milano 2008, pp. 8-9.

[8] L. Bazzoli, Papa Paolo VI. Tormento e grandezza di un’anima, Rizzoli, Milano 1978, p.90

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[Modificato da Caterina63 06/10/2014 11:11]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)