00 06/10/2014 11:13

    Riabilitiamo l’enciclica Humanae Vitae del neo beato Paolo VI 

 

Mentre ci avviciniamo alla beatificazione di Paolo VI (19 ottobre 2014), vogliamo approfondire alcuni punti della sua ultima enciclica e tanto discussa, talmente tanto che non temiamo smentite se diciamo che la maggior parte di coloro che la criticano non l’hanno mai letta.

L’attacco all’Humanae Vitae infatti, non partì da un dibattito sul testo, ma per partito preso quando si seppe che Paolo VI aveva deciso di non appoggiare quella parte della Commissione (istituita a riguardo) e che sosteneva moralmente lecita la contraccezione, aprendo le porte, inesorabilmente, alla limitazione delle nascite – con la scusa della “bomba demografica” – e a relegare il matrimonio non più al valore della vita, ma esclusivamente ai rapporti sensitivi dei coniugi.

Ci rallegriamo che, nel momento in cui scriviamo, la Francia riabilitava l’enciclica (1).

Giovanni Paolo II ha dedicato in difesa del magistero di Paolo VI – per altro in perfetta continuità con quelli di Pio XI, sancito nell’enciclica Casti Connubi, e del venerabile Pio XII nei suoi discorsi agli sposi novelli – l’Evangelium Vitae; Benedetto XVI ha fatto ben quarant’otto interventi ufficiali in difesa della vita umana e, tra i più imponenti che vogliamo riportare è quello per il 40° dell’Enciclica, che per l’occasione fu fatto proprio un Congresso internazionale ed ufficiale. (2)

Così si espresse allora Benedetto XVI:

«La possibilità di procreare una nuova vita umana è inclusa nell’integrale donazione dei coniugi. Se, infatti, ogni forma d’amore tende a diffondere la pienezza di cui vive, l’amore coniugale ha un modo proprio di comunicarsi: generare dei figli. Così esso non solo assomiglia, ma partecipa all’amore di Dio, che vuole comunicarsi chiamando alla vita le persone umane.

Escludere questa dimensione comunicativa mediante un’azione che miri ad impedire la procreazione significa negare la verità intima dell’amore sponsale, con cui si comunica il dono divino: “se non si vuole esporre all’arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono necessariamente riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato sia rivestito di autorità, è lecito infrangere” (Humanae vitae17).

È questo il nucleo essenziale dell’insegnamento che il mio venerato predecessore Paolo VI rivolse ai coniugi e che il Servo di Dio Giovanni Paolo II, a sua volta, ha ribadito in molte occasioni, illuminandone il fondamento antropologico e morale.

A distanza di 40 anni dalla pubblicazione dell’Enciclica possiamo capire meglio quanto questa luce sia decisiva per comprendere il grande “sì” che implica l’amore coniugale. In questa luce, i figli non sono più l’obiettivo di un progetto umano, ma sono riconosciuti come un autentico dono, da accogliere con atteggiamento di responsabile generosità verso Dio, sorgente prima della vita umana. Questo grande “sì” alla bellezza dell’amore comporta certamente la gratitudine, sia dei genitori nel ricevere il dono di un figlio, sia del figlio stesso nel sapere che la sua vita ha origine da un amore così grande e accogliente».

Ripetiamo:

«Se non si vuole esporre all’arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono necessariamente riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato sia rivestito di autorità, è lecito infrangere» (Humanae vitae17).

 

Già il 13 maggio del 2006 così si esprimeva Benedetto XVI nel suo primo anno di Pontificato:

«L’enciclica Humanae vitae ribadisce con chiarezza che la procreazione umana dev'essere sempre frutto dell'atto coniugale, con il suo duplice significato unitivo e procreativo (cfr n. 12). Lo esige la grandezza dell'amore coniugale secondo il progetto divino, come ho ricordato nell’enciclica Deus caritas est: “L’eros degradato a puro ‘sesso’ diventa merce, una semplice ‘cosa’ che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce... In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano”. Grazie a Dio, non pochi, specialmente tra i giovani, vanno riscoprendo il valore della castità, che appare sempre più come sicura garanzia dell’amore autentico. Il momento storico che stiamo vivendo chiede alle famiglie cristiane di testimoniare con coraggiosa coerenza che la procreazione è frutto dell’amore. Una simile testimonianza non mancherà di stimolare i politici e i legislatori a salvaguardare i diritti della famiglia»

Lo stesso Giovanni Paolo II non volle far passare sotto silenzio il XX° anno dell’Enciclica. In un incontro specifico all’Anniversario (3), così si esprimeva:

«Nell’allocuzione del mercoledì successivo alla pubblicazione dell’enciclica lo stesso Paolo VI confidò ai fedeli i sentimenti che l’avevano guidato nell’adempimento del suo mandato apostolico. Diceva: “Il primo sentimento è stato quello d’una nostra gravissima responsabilità. Esso ci ha introdotto e sostenuto nel vivo della questione durante i quattro anni dovuti allo studio e alla elaborazione di questa enciclica. Vi confideremo che tale sentimento ci ha fatto anche non poco soffrire spiritualmente. Non mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del nostro ufficio. Abbiamo studiato, letto, discusso quanto potevamo, e abbiamo anche molto pregato. (…) Abbiamo riflettuti sugli elementi stabili della dottrina tradizionale e vigente della Chiesa, specialmente poi sopra gli insegnamenti del recente Concilio, abbiamo ponderato le conseguenze dell’una o dell’altra decisione, e non abbiamo avuto dubbio sul nostro dovere di pronunciare la nostra sentenza nei termini espressi dalla presente enciclica».

«D’altra parte Paolo VI – continua Giovanni Paolo II – nutrì sempre una profonda fiducia nella capacità degli uomini d’oggi di accogliere e di comprendere la dottrina della Chiesa sul principio della “connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” (Humanae Vitae, 12). “Noi pensiamo – egli scriveva – che gli uomini nel nostro tempo sono particolarmente in grado di affermare il carattere profondamente ragionevole e umano di questo fondamentale principio» (Humanae Vitae, 12).

In realtà, gli anni successivi all’enciclica, nonostante il persistere di critiche ingiustificate e di silenzi inaccettabili, hanno potuto mostrare con crescente chiarezza come il documento di Paolo VI fosse non solo sempre di viva attualità, ma persino ricco di un significato profetico. Una testimonianza di particolare valore è stata offerta dai vescovi nel Sinodo del 1980, che così scrivevano nella “Propositio 22”: “Questo sacro Sinodo, riunito nell’unità della fede col successore di Pietro, fermamente tiene ciò che nel Concilio Vaticano II (cf. Gaudium et Spes, 50) e, in seguito, nell’enciclica Humanae Vitae viene proposto, e in particolare che l’amore coniugale deve essere pienamente umano, esclusivo e aperto alla nuova vita” (Humanae Vitae, 11 et cf. 9 et 12). 

Io stesso poi nell’esortazione post-sinodale Familiaris Consortio ho riproposto, nel più ampio contesto della vocazione e della missione della famiglia, la prospettiva antropologica e morale della Humanae Vitae sulla trasmissione della vita umana (cf. Humanae Vitae, 28-35). Così come ho dedicato, durante le udienze del mercoledì, le ultime catechesi sull’amore umano nel piano divino a confermare e ad illuminare il principio etico fondamentale dell’enciclica di Paolo VI circa la connessione inscindibile dei significati unitivo e procreativo dell’atto coniugale, interpretato alla luce del significato sponsale del corpo umano. (...) Senza dubbio si devono riconoscere le molteplici e talvolta gravi difficoltà che in questo campo i sacerdoti e le coppie incontrano, gli uni nell’annunciare la verità intera sull’amore coniugale e le altre nel viverla. D’altra parte le difficoltà a livello morale sono il frutto e il segno di altre difficoltà più gravi che toccano i valori essenziali del matrimonio quale “intima comunità di vita e di amore coniugale” (Gaudium et Spes, 48).

La perdita di stima nei riguardi del figlio come “preziosissimo dono del matrimonio” (Gaudium et Spes, 50) e persino il rifiuto categorico di trasmettere la vita, talvolta per una malintesa concezione della procreazione responsabile, e la interpretazione del tutto soggettiva e relativistica dell’amore coniugale, spesso così diffusi nella nostra società e nella nostra cultura, sono il segno evidente dell’attuale crisi matrimoniale e familiare. Alle radici della «crisi», la esortazione Familiaris Consortio ha individuato una corruzione dell’idea e della prassi della libertà, che viene “concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere” (Familiaris Consortio, 6). 

Più radicalmente ancora è da rilevarsi una visione immanentistica e secolaristica del matrimonio, dei suoi valori e delle sue esigenze: il rifiuto di riconoscere la sorgente divina, da cui derivano l’amore e la fecondità degli sposi, espone il matrimonio e la famiglia a dissolversi anche come esperienza umana. (...) Dio vuole che ogni famiglia diventi in Gesù Cristo una “Chiesa domestica” (cf. Lumen Gentium, 11): da questa “Chiesa in miniatura”, come ama spesso chiamare la famiglia san Giovanni Crisostomo (cf. ex. gr., S. Ioannis Chrysostomi “In Genesim”, Serm. VI, 2; VII, 1), dipende per la maggior parte il futuro della Chiesa e della sua missione evangelizzatrice. 

Anche l’avvenire d’una società più umana, perché ispirata e sostenuta dalla civiltà dell’amore e della vita, dipende in gran parte dalla «qualità» morale e spirituale del matrimonio e della famiglia, dipende dalla loro «santità». Questo è il fine supremo dell’azione pastorale della Chiesa, di cui noi Vescovi siamo i primi responsabili. Il XX anniversario della Humanae Vitae ripropone a tutti noi questo fine con la medesima urgenza apostolica di Paolo VI, che concludeva la sua enciclica rivolgendosi ai fratelli nell’episcopato con queste parole: «Con i sacerdoti vostri cooperatori e i vostri fedeli, lavorate con ardore e senza sosta alla salvaguardia e alla santità del matrimonio, perché sia sempre più vissuto in tutta la sua pienezza umana e cristiana. Considerate questa missione come una delle vostre più urgenti responsabilità nel nostro presente» (Humanae Vitae, 30).

Nel far mie queste esortazioni .... vi offro la mia benedizione apostolica”.

 

Sia Giovanni Paolo II, canonizzato di recente, che Benedetto XVI hanno fatto proprie le esortazioni e la dottrina dell’Humanae Vitae di Paolo VI, il quale a breve sarà beatificato, e nulla ci fa pensare che il Pontefice regnante, Francesco, grande estimatore di Paolo VI come da lui affermato più volte, non debba fare altrettanto, lo speriamo... e ce lo auguriamo visti i molti interventi che egli stesso ha fatto in difesa della vita e citando molte volte in diverse occasioni la Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II che è la prosecuzione della Humanae Vitae.

Perdonateci le molte e lunghe citazioni ma il problema è questo: troppi anni e troppo tempo è stato sprecato alle mille interpretazioni dell’Enciclica, che si è finito con il perdere spesso il senso vero e reale del suo contenuto. Ci chiediamo seriamente chi e in quanti, specialmente nel clero, conoscono davvero il contenuto del Documento e soprattutto la chiave di lettura che ne hanno fatto i successori di Paolo VI.

Troviamo una interessante risposta al dialogo fra Jean Guitton e Paolo VI (e dallo stesso invitato al Vaticano II), osserva Guitton:

“Faccio presente al papa un’altra obiezione: quella dell’onanismo. L’esegeta, gli dico, si chiede se Onan è rimproverato per aver sparso il seme (ciò che ha dato origine al termine onanismo) o per non aver voluto suscitare una posterità sposando la cognata.

Paolo VI risponde:

«Noi abbiamo pensato che Onan è rimproverato non solo perché non aveva sposato la cognata secondo la legge (cfr Gn.38,9-10), ma anche per il mezzo scelto. Onan avrebbe potuto uccidere la cognata: avrebbe commesso un crimine nella scelta del mezzo. Ora, noi pensiamo che il procedimento seguito da Onan non è quello buono»(4)”.

Allora vi proponiamo la lettura integrale di un intervento di Giovanni Paolo II nel quale spiegava e riassumeva – e davvero in poche righe – tutto il cuore dell’Enciclica.

Abbiate l’umiltà e la pazienza di leggere il Magistero petrino in forma integrale anziché rincorrere – troppo spesso – ad articoli apparentemente affascinanti ma ingannevoli e sopratutto autoreferenziali...

«1. Riferendoci alla dottrina contenuta nell’enciclica Humanae Vitae, cercheremo di delineare ulteriormente la vita spirituale dei coniugi.

Eccone le grandi parole: “La Chiesa, mentre insegna le esigenze inviolabili della legge divina, annunzia la salvezza e apre con i sacramenti le vie della grazia, la quale fa dell’uomo una nuova creatura, capace di corrispondere nell’amore e nella vera libertà al disegno supremo del suo Creatore e Salvatore e di trovare dolce il giogo di Cristo. Gli sposi cristiani, dunque, docili alla sua voce, ricordino che la loro vocazione cristiana iniziata col Battesimo si è ulteriormente specificata e rafforzata col sacramento del matrimonio. 

Per esso i coniugi sono corroborati e quasi consacrati per l’adempimento fedele dei propri doveri, per l’attuazione della propria vocazione fino alla perfezione e per una testimonianza cristiana loro propria di fronte al mondo. Ad essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità e la soavità della legge che unisce l’amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all’amore di Dio autore della vita umana” (Pauli VI, Humanae Vitae, 25).

2. Mostrando il male morale dell’atto contraccettivo, e delineando al tempo stesso un quadro possibilmente integrale della pratica “onesta” della regolazione della fertilità, ossia della paternità e maternità responsabili, l’enciclica Humanae Vitae crea le premesse che consentono di tracciare le grandi linee della spiritualità cristiana della vocazione e della vita coniugale, e, parimente, di quella dei genitori e della famiglia. Si può anzi dire che l’enciclica presuppone l’intera tradizione di questa spiritualità, la quale affonda le radici nelle sorgenti bibliche, già in precedenza analizzate, offrendo l’occasione di riflettere nuovamente su di esse e di costruire un’adeguata sintesi. Conviene ricordare qui ciò ch’è stato detto sul rapporto organico tra la teologia del corpo e la pedagogia del corpo. Tale “teologia-pedagogia”, infatti, costituisce già di per se stessa il nucleo essenziale della spiritualità coniugale. E ciò è indicato anche dalle frasi sopraccitate dell’enciclica.

3. Certamente rileggerebbe ed interpreterebbe in modo erroneo l’enciclicaHumanae vitae colui che vedesse in essa soltanto la riduzione della “paternità e maternità responsabile” ai soli “ritmi biologici di fecondità”. L’autore dell’enciclica energicamente disapprova e contraddice ogni forma di interpretazione riduttiva (e in tal senso “parziale”), e ripropone con insistenza l’intendimento integrale. La paternità-maternità responsabile, intesa integralmente, non è altro che un’importante componente di tutta la spiritualità coniugale e familiare, di quella vocazione cioè di cui parla il testo citato della Humanae Vitae, quando afferma che i coniugi debbono attuare la “propria vocazione fino alla perfezione” (Humanae Vitae, 25). È il sacramento del matrimonio che li corrobora e quasi consacra a raggiungerla (cf. Humanae Vitae, 25). Alla luce della dottrina, espressa nell’enciclica, conviene renderci maggiormente conto di quella “forza corroborante” che è unita alla “consacrazione sui generis” del sacramento del matrimonio. Poiché l’analisi della problematica etica del documento di Paolo VI era centrata soprattutto sulla giustezza della rispettiva norma, l’abbozzo della spiritualità coniugale, che vi si trova, intende porre in rilievo proprio queste “forze” che rendono possibile l’autentica testimonianza cristiana della vita coniugale.

4. “Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, "è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita" (cf. Mt 7, 14).

Ma la speranza di questa vita deve illuminare il loro cammino, mentre coraggiosamente si sforzano di vivere con saggezza, giustizia e pietà nel tempo presente, sapendo che la figura di questo mondo passa” (Humanae Vitae, 25). Nell’enciclica, la visione della vita coniugale è, ad ogni passo, contrassegnata da realismo cristiano, ed è proprio questo che giova maggiormente a raggiungere quelle “forze” che consentono di formare la spiritualità dei coniugi e dei genitori nello spirito di un’autentica pedagogia del cuore e del corpo. La stessa coscienza “della vita futura” apre, per così dire, un ampio orizzonte ai quelle forze che debbono guidarli per la via angusta (cf. Humanae Vitae, 25) e condurli per la porta stretta della vocazione evangelica. L’enciclica dice: “Affrontino quindi gli sposi i necessari sforzi, sorretti dalla fede e dalla speranza che ‘non delude, perché l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori con lo Spirito Santo, che ci è stato dato’” (Humanae Vitae, 25).

5. Ecco la “forza” essenziale e fondamentale: l’amore innestato nel cuore (“effuso nei cuori”) dallo Spirito Santo. In seguito l’enciclica indica come i coniugi debbano implorare tale “forza” essenziale e ogni altro “aiuto divino” con la preghiera; come debbano attingere la grazia e l’amore alla sorgente sempre viva dell’Eucaristia; come debbano superare “con umile perseveranza” le proprie mancanze e i propri peccati nel sacramento della Penitenza.

Questi sono i mezzi - infallibili e indispensabili - per formare la spiritualità cristiana della vita coniugale e familiare. Con essi quella essenziale e spiritualmente creativa “forza” d’amore giunge ai cuori umani e, nello stesso tempo, ai corpi umani nella loro soggettiva mascolinità e femminilità. Questo amore, infatti, consente di costruire tutta la convivenza dei coniugi secondo quella “verità del segno”, per mezzo della quale viene costruito il matrimonio nella sua dignità sacramentale, come rivela il punto centrale dell’enciclica (cf. Humanae Vitae, 12).  (...)  Carissimi, in questo mese di ottobre consacrato alla pia pratica del santo Rosario, non tralasciate, per quanto vi è possibile, di elevare la vostra mente alla beata Vergine con la recita del Rosario. Ella, la Madre di Dio e la Madre nostra, non mancherà di presentare le vostre invocazioni e le vostre sofferenze a Gesù, nostro Redentore e nostro conforto. Infine voglio ricordare gli sposi novelli. Volentieri vi esprimo i miei voti, raccomandandovi alla celeste protezione del Signore e della Madre sua e nostra Maria Ss.ma, sotto il cui patrocinio desidero porre la vostra nascente famiglia. Vi esorto ad onorarla ed invocarla soprattutto con la recita del Rosario in famiglia. Vi accompagni la mia Benedizione». (5) 

 

Sulla medesima Discussione vi invtiamo a soffermarvi sul nostro Dossier-MATROMONIO

Sia lodato Gesù Cristo.

Sempre sia lodato.

NOTE

1) la Francia riabilita l'Humanae Vitae, articolo da La Bussola Quotidiana, vedi qui

2) Humanae Vitae: attualità, profezia di un'enciclica 3-4 ottobre 2008, Discorso del Pontefice Benedetto XVI

3) San Giovanni Paolo II ai Rappresentanti Vescovi delle Conferenze episcopali, per il XX° Anniversario dell'Humanae Vitae il 7 novembre 1988

4) da: Paolo VI Segreto di J. Guitton, pag. 97-98

5) San Giovanni Paolo II Udienza generale mercoledì 3 ottobre 1984

   





 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)