00 07/06/2014 14:45

Sergio Quinzio: Pietro II e il Mysterium iniquitatis

  SERGIO QUINZIO, il filosofo dimenticato, in Mysterium iniquitatis parla di Pietro II, l’ultimo Papa e delle due ultime encicliche della storia della Chiesa e forse del mondo.
Ma la Chiesa crede ancora nelle Resurrezione della carne e nelritorno di Cristo?
La scomparsa quasi totale della trascendenza dai documenti pontifici.


di Marco Sambruna

Il quadro storico.

All’inizio del romanzo siamo subito messi di fronte a una scena drammatica: Pietro II, l’ultimo papa secondo la profezia del monaco irlandese san Malachia, si aggira solo e angosciato per le sale deserte del Laterano dove si è ritirato. Pietro II è un ebreo convertito che nel suo stemma ha fatto scrivere “Usquequo, Domine ?”, ossia “Fino a quando Signore?” Che rimanda all’angosciosa domanda sempre più elusa nel corso della storia sul momento in cui Cristo tornerà nella gloria a giudicare l’umanità.

...Pietro II regna in un indeterminato futuro dove la Chiesa è ai margini della storia, un residuo del passato che sopravvive mostrando il cadavere di sua nonna, cioè un insieme di riti, gesti, immagini sacre che ormai sono considerate folklore.

Alle sue messe i fedeli sono ridotti a un manipolo sempre più sparuto, nelle sue omelie è sparita qualsiasi interpretazione lasciando posto alla nuda lettura dei passi biblici. Nel frattempo, come separata dal Papa da una distanza incolmabile, la Curia romana prosegue con le sue dinamiche ormai laicizzate fatte di commissioni episcopali, stanchi documenti che ripetono formule “politicamente corrette” per non scontentare nessuno, sinodi che si trascinano per forza di inerzia.Il Concilio Vaticano II è un pallido ricordo mentre si profilo all’orizzonte un nuovo concilio in cui le tendenze ultra progressiste dominanti intendono sancire la fine del cristianesimo come religione escatologica e salvifica.Pietro II, è ossessionato dalla frase di Cristo in Luca 18,8: “Ma il Figlio dell’uomo quando tornerà sulla Terra troverà la fede?”.

Il Papa si domanda se è possibile in un moto d’orgoglio, rilanciare un nucleo essenziale che qualifichi la Chiesa come tale distinguendola dalle tante società filantropiche che ormai proliferano. Pietro II vuole dare la scossa a una teologia esausta e intellettualizzata da analisi storico – critiche, disquisizioni liturgiche, dotte indagini filologiche che non scaldano e non interessano più nessuno se non pochi vecchi e sclerotizzati monsignori.E così il pontefice scrive l’enciclica “Resurrectio mortuorum” per ribadire che il cuore del cristianesimo, il suo tratto distintivo rispetto alla vari umanitarismi laici, è non solo la vita eterna, ma la resurrezione dei morti nella carne.
L’enciclica cade nell’indifferenza generale, come l’ultimo sussulto di un corpo in agonia che i presenti sperano muoia presto per non vederne la sofferenza.Pietro II allora, disperato, scrive una seconda enciclica, la “Mysterium iniquitatis” (2 Ts,2,7) in cui proclama il dogma del fallimento storico del cristianesimo. Se è necessario che la Chiesa segua Cristo nelle sue vicende deve morire come è morto il suo Fondatore.


 
L’enciclica “Resurrectio mortuorum”

Nella sua prima enciclica “Resurrectio mortuorum” Pietro II, contro l’inedia e la sbiadita concezione dell’eternità che ormai ha trasformato la Chiesa in una emanazione del secolarismo laicista, vuole riaffermare il dogma della resurrezione della carne.Non basta ribadire il dogma dell’eternità dell’anima perché questa convinzione non è tipica del cristianesimo. Anche i pagani, alcune dottrine orientali, la teosofia credono nell’eternità dell’anima, mentre solo il cristianesimo crede nella resurrezione della carne.Questa convinzione è propria del giudaismo ripresa dal nascente cristianesimo. Pietro II cita alcuni passi biblici dove appare evidente la credenza nella resurrezione della carne. Ad esempio nel libro di Daniele si legge:


Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna (Dn 12,2)


Il Papa regnante prosegue poi citando i passi del Vangelo in cui Cristo appare risorto in carne e ossa ai discepoli e che nella stessa condizione ascende al cielo. Tutto ciò, oltre a numerosi versetti delle lettere paoline e degli Atti degli apostoli dimostrano che quando Cristo parla di resurrezione dei morti intende esattamente la risurrezione della carne mentre in seguito si legge in chiave allegorica la resurrezione della carne a causa delle successive interpretazioni greche che, platonicamente, tendono a spiritualizzare la carne stessa. La tendenza a considerare la carne risorta come diversa da quella terrena quindi è di origine greca e non giudaica.
I padri della Chiesa e  il cattolicesimo fino agli albori della modernità mantiengono questa concezione.
Poi qualcosa succede e la credenza nella resurrezione della carne, di questa carne fatta di ossa, muscoli, nervi, sangue è oscurata: cosa è successo ?E’ successo, scrive Pietro II, che a partire dal Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 di resurrezione della carne se ne parla in modo vago e ambiguo.

Egli scrive:

Bisogna pur ammettere che in questo testo [il Catechismo del 1992], il cui intento primario è di riaffermare la dottrina della Chiesa, la verità della resurrezione finale è dichiarata troppo timidamente e soprattutto non è più mantenuta al centro del messaggio cristiano. Appare anzi come un’affermazione confusa fra tante altre....

Ma non è finita qui. Pietro II non nomina mai il Concilio Vaticano II,ma traspare in modo netto come il degrado della dottrina cattolica abbia conosciuto un'accelerazione dopo quel Concilio. In generale infatti, aggiunge il pontefice, i documenti del Magistero della Chiesa prodotti nel nostro tempo appaiono di dimensioni eccessive, dove ciascun argomento si miscela e annacqua diluito in una miriade di altri argomenti compreso quelli fondamentali come il dogma della resurrezione della carne. 
Ne scaturisce un linguaggio “politicamente corretto” dove nulla è dichiarato e tutto è accennato per vaghe allusioni a causa del compromesso fra correnti teologiche diverse, storici della Chiesa, esegeti e filologi ciascuno dei quali ha una sua posizione in proposito. Il risultato è un linguaggio sbiadito e noioso lontanissimo dalla luminosa chiarezza evangelica e dalle limpide dichiarazioni del Magistero preconciliare.Perché questa ambiguità?

Il processo di degrado in realtà per Pietro II è frutto di sedimentazione più che segnato da un netto punto di svolta. Tutto è cominciato dalla cocente delusione provata dalle prime comunità cristiane che credevano nell’imminenza del ritorno di Cristo che invece non si è ancora, dopo 2000 anni, verificato. Sono cominciate allora le letture simboliche della Bibbia in luogo di quelle letterali, e il costante cedimento alle istanze secolarizzanti. In particolare il dogma della resurrezione della carne era troppo inudibile da parte del luminoso razionalismo ellenistico che ha lentamente oscurato questo dogma per affermarne la più accettabile immortalità dell’anima.

La Chiesa scaturita dalla modernità non è più guida della storia, ma ha deciso di farsi guidare dalla storia: in questa rivoluzione copernicana del rapporto Chiesa – mondo sta tutto il dramma dell’epoca presente. La Chiesa per compiacere il mondo ha rinunziato o notevolmente impoverito tutti i contenuti di fede che suonano scandalosi alla razionalità illuministica moderna. 
E del resto, a ben pensarci, cosa c’è di più scandaloso, di più inudibile per la sensibilità razionalistica moderna dell’affermare con forza ciò che la Chiesa per due millenni ha sempre creduto, cioè la resurrezione della carne?Di qui l’errore supremo della Chiesa: lo scivolamento delle verità di fede a livello di precettistica prima etica e poi morale, in modo da essere accettabile all’ uomo moderno. 

Una precettistica morale che in fondo può essere condivisa anche da razionalisti, agnostici e atei, un apparato moraleggiante accettabile anche perché innocuo, incapace di sollevare interrogativi esistenziali, incapace di porre in discussioni le conquiste del liberalismo occidentale.Ormai il Magistero a tutti i livelli non osa più nulla di autenticamente cristiano mentre pare affetto da una strana compulsione che lo sospinge sempre più ad abbandonare la dottrina tradizionale per tentare timide avventure in campo morale, politico, sociale e perfino economico.

La Chiesa, in quanto istituzione, sembra non avere più il coraggio di proclamare la propria fede. Tutto fa pensare che se ne vergogni, o addirittura che finga di credere ancora ciò in cui, in realtà, non crede più.


Le conseguenze.

...Il processo di allontanamento dal Magistero tradizionale dunque riguarda innanzitutto l’impoverimento nella credenza della resurrezione della carne, ma investe tutto il depositum fidei di 2000 anni di cristianesimo. Il tentativo di compiacere alla mentalità laicista dominante ha provocato un progressivo slittamento delle verità di fede.

Così, dall’oscuramento della resurrezione della carne, si è passati all’oscuramento dell’escatologia e del giudizio finale, dell’esistenza dei regni ultraterreni di paradiso, purgatorio, inferno, della divinità di Cristo, dell’esistenza del diavolo trasformato in un mero simbolo del male, della realtà storica dei gesti di Cristo (soprattutto dei suoi miracoli) e infine il prodotto finale, il più aberrante: la negazione di Dio stesso.Oggi il depositum fidei è sottoposto a un doppio attacco: da una parte la razionalizzazione laicista dei contenuti di fede, dall’altro la fuga verso le celestiali regioni mistiche sganciate dalla storia e anche dalla carne. Il messaggio cristiano tuttavia non è né l’uno, né l’altra cosa, ma si colloca piuttosto nel mezzo fra una scientificamente inaccettabile credenza e una fede che in molti suoi articoli è supportata dalla ragione.Permane, sia pure destabilizzata, la credenza nell’immortalità dell’anima.
Ma, ribadisce Pietro II, questa idea non è tipicamente cristiana perché la troviamo già presente il numerose correnti filosofiche di derivazione orientale. L’immortalità dell’anima inoltre è qualcosa che Dio ha già connaturato nell’uomo, qualcosa che fa parte della sua natura costitutiva. La resurrezione della carne invece è un intervento diretto e gratuito di Dio che salva l’uomo nella sua unità corpo-mente-anima. Quindi senza resurrezione della carne di Dio l’uomo non sa che farsene. E infatti ne sta facendo a meno.


Esaltazione anticristica della carne.

L’avere scisso la carne dallo spirito perché la prima era indegna del secondo è stato un errore del cristianesimo. L’impoverimento nelle fede della resurrezione dei corpi ha provocato uno svilimento della carne che infatti oggi è sottoposta all’esaltazione più turpe come fosse una cosa immonda. L’esposizione della carne nel mondo dello spettacolo, il suo utilizzo a fini meramente commerciali dimostra, scrive Pietro II, che ormai la carne stessa è diventata una merce qualsiasi scambiabile sul libero mercato. Di qui inizia una lunga catena di orrori contemporanei.

La carne, cioè il corpo, trasformato in merce può essere venduto e comprato: i cadaveri, i feti, gli organi interni hanno un prezzo per essere utilizzati in operazioni cellulari, nell’industria cosmetica, in esperimenti sulle staminali. Quali altri orrori potranno giustificarsi?Oggi 2013, aggiungiamo noi, si parla già di eliminazione fisica di neonati malformati. E del resto. sostengono i loro promotori, che differenza c’è tra l’eliminazione di un feto di qualche mese e un neonato dal momento che in entrambi i casi ci troviamo di fronte un essere umano già completamente o quasi formato?
Ma la svalutazione del corpo implica la svalutazione dell’essere umano nella sua integrità psicofisica. Si spiega così la disumanità con cui ad esempio, si allevano gli animali i cui corpi sono torturati e straziati, mentre l’indifferenza verso il corpo umano fonda l’indifferenza verso l’uomo tout court. E tuttavia il desideri di salvare il corpo, quasi bandito in un orizzonte di fede, riemerge con i tentativi della scienza di prolungare la vita umana e le ricerche sulla criologia e l’ibernazione destinate se non a vincere la morte del corpo, quantomeno a prolungarne la vita in un orrenda imitazione dell’eternità.Pietro II quindi conclude la sua prima enciclica “Resurrectio mortuorom” proclamando il dogma della resurrezione dei morti nella carne:

Ci sarà in futuro, la Resurrezione dei morti”, e i morti resusciteranno nella loro vera carne umana nella quale sono vissuti per tornare a vivere, senza fine, una vita perfettamente umana sotto nuovi cieli e sopra una nuova terra dove abiterà la giustizia (cfr. 2 Pt 2, 3-13) in una creazione anch’essa redenta e liberata dalla corruzione della morte (cfr Rm 8, 19-22). Il Signore ci assista e ci dia la forza di crederlo.

L’enciclica “Mysterium iniquitatis”

La prima enciclica, che nelle intenzioni del Sommo pontefice, doveva scuotere le coscienze, è stata ignorata, forse considerata l’ultima estremo tentativo di rianimare un vecchio corpo prossimo alla morte. Pietro II allora, sempre più solo e angosciato, scrive una seconda enciclica in affronta l’altro grande tema di cui la Chiesa ha sempre parlato poco, la “Mysterium Iniquitatis”.Di quest’entità misteriosa e maligna destinata a governare l’umanità poco prima del definitivo ritorno di Cristo e dell’ostacolo che ne impedisce la manifestazione evidente, parla Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi (2, 3-9).
l’Apocalisse (Ap 13, 11-17) e Matteo che prefigura gli eventi che lo precederanno (Mt 24,24).  

Peraltro la Chiesa in passato ha sempre affrontato il tema parlandone con accenti vaghi e sempre per condannare qualche eresia che ne minava l’unità dall’esterno.Il mistero dell’iniquità dunque continua ad aleggiare tanto più inquietante, quanto più resta velata la sua identità. Nel corso della storia della Chiesa sono state formulate varie ipotesi:

    o Che si tratti di un entità individuale ben definita. Tale supposizione scaturisce dallo stesso Paolo che parla di “uomo iniquo” al singolare e da un esegesi antica e tardo antica che considera l’anticristo come scimmia di Dio: come Dio ha inviato Cristo cioè suo Figlio, allo stesso modo satana, il signore delle legioni infernali invierà il suo “figlio della desolazione” (2 Ts, 3);
   o Che si tratti di un entità immateriale, cioè di un sistema filosofico, ideale, politico, sociale, economico. Tale interpretazione si è consolidata soprattutto nel corso degli ultimi due secoli in seguito al processo di simbolizzazione delle Sacre Scritture.

Pietro II fronteggia l’argomento delineando il percorso storico delle verità di fede fondamentali come la resurrezione della carne, i novissimi, il ritorno di Cristo.Già nella Chiesa primitiva si scontrano due idee di Chiesa: quella di Paolo il quale ammonisce nelle sue lettere di diffidare di coloro che “usciti da noi, tuttavia non sono dei nostri”: un manipolo di mestatori che propone una dottrina cristiana diversa da quella paolina.Paolo si riferiva, secondo l’esegesi di alcuni dotti, a Giacomo detto “il Giusto”, il quale restava ancorato ad alcuni aspetti dell’antica fede giudaica per cui, ad esempio, i convertiti dovevano essere circoncisi, e la fede priva di opere era una menzogna.
Già agli albori quindi osserviamo una concezione del cristianesimo ellenizzante in Paolo, e giudaica in Giacomo.

Alcuni studiosi, aggiunge Pietro II, pensano addirittura che Paolo parlando di anticristo si riferisse proprio a Giacomo: secondo la profezia paolina infatti l’anticristo, il figlio della perdizione e l’abominio della desolazione profanerà il tempio di Dio additando se stesso come Dio in luogo di Dio o di chi è adorato come Dio. Fatto questo si assisterà al ritorno di Cristo nella gloria e alla fine dei tempi. Proprio al tempio di Gerusalemme saliva a predicare Giacomo: forse Paolo pensava a Giacomo quando parlava di abominio della desolazione che nel tempio di Dio indica se stesso come Dio? Non è possibile, conclude il pontefice: nel 70 d.C. il tempio occupato da Giacomo, cioè il presunto anticristo secondo alcuni esegeti, sarà distrutto dai romani.

A quel punto sarebbe dovuto tornare Cristo apparendo nelle nubi con “gloria e potenza grandi”, ma non accade nulla di tutto questo. In conclusione Paolo non poteva quindi riferirsi a Giacomo quando parlava di anticristo. A ben guardare, prosegue il Pontefice, si è passati da una concezione giudaica di tali verità improntati ad una assunzione letterale della Parola di Dio a un processo mutuato dalla filosofia greca tendente a trasformare la lettera in simbolo, allegoria, anagogia. In pratica dei contenuti della Bibbia si è fatto scempio trasformando il messaggio cristiano chiarissimo nel suo linguaggio elementare, inequivocabile e cristallino un sistema etico e morale accettabile da chiunque anche non credente.Ciò che impedisce la manifestazione del mistero d’iniquità quindi, conclude Pietro II, sono gli ultimi rimasugli di fede giudaica che ancora crede alle promesse di Dio sine glossa cioè in modo letterale, senza interpretazioni simboliche.E l’anticristo che siede nel tempio di Dio additando se stesso come Dio chi è allora ?

Ricapitolando i testi scritturali che ne parlano nel libro dell'Apocalisse:  o L'avvento dell'anticristo sarà preceduto dalla grande apostasia;

o L’avvento dell’anticristo è rappresentato dalle due bestie dell’Apocalisse in cui la prima bestia     rappresenta il potere politica, la seconda bestia, il falso agnello, il potere religioso che supporta quello politico;
o L’avvento dell’anticristo sarà accompagnato da segni grandiosi, miracoli e portenti vari; 
o L’avvento dell’anticristo sarà accompagnato dall’annuncio del Vangelo ovunque e dalla conversione degli ebrei.

   Pietro II, osa l’inosabile, l’inconcepibile: in primo luogo per il Papa la grande apostasia è già in gran parte avvenuta ma non perché mondo ormai è largamente secolarizzato.   Il termine “apostasia” significa infatti “allontanarsi” o “abiurare”, ma ci si può allontanare solo da ciò a cui si era prima vicini, così come non si può abiurare da ciò che prima non si era abbracciato. Saranno quindi credenti e uomini di fede precipitati ad aprire la strada all’anticristo e il falso agnello che invita ad adorare la prima bestia non è un potere religioso che si affermerà in futuro, ma è già operante ora.In secondo luogo i portenti che accompagnano l’avvento dell’anticristo sono i “miracoli” della scienza e della tecnica moderna. C’è ancora, è vero, un “resto d’Israele” che radicato nell’antica credenza giudaica e quindi alieno da interpretazione simboliche è di ostacolo alla manifestazione anticristica, ma si tratta di un campione ormai sparutissimo e in via di estinzione. Lo stesso Papa Pietro II del resto è un ebreo convertito.

A questo punto l’anticristo che addita se stesso come Dio nel tempio di Dio è il sale che è diventato scipito, colei che ha apostatato e che indica il potere politico come dio da adorare. Si tratta in definitiva della realtà che storicamente ha trasformato il messaggio cristiano di salvezza in precettistica morale: la Chiesa.La Chiesa addita se stessa come Dio in luogo di Dio nel tempio di Dio; la Chiesa indicando se stessa come Dio invita al culto dell’uomo e non più di Dio, rende onore all’uomo e adora quest’ultimo invece di Dio.A questo punto per Pietro II non rimane che una cosa da fare e che debba essere proprio il Papa a farla è drammatico: pubblicare un enciclica in cui si denuncia tutto questo e si dichiari il dogma del "fallimento del cristianesimo nella storia del mondo".

La Chiesa di Cristo che è suo corpo (Ef. 1.23) deve seguire la sorte di Gesù Cristo che ne è il capo (Ef. 1.22), deve cioè seguirlo nella morte e come lui deve essere crocifissa nel mondo. Deve anch’essa  morire per resuscitare poi come il suo Signore ed entrare con lui nella gloria del Padre. In questa morte culmina e si consuma il mistero dell’iniquità che domina l’intera storia del mondo. Non esiste altra speranza per ogni uomo e per la vicenda di tutti gli uomini e per l’intera creazione al di fuori della Croce e della resurrezione di Gesù Cristo. A lui affido tutti e ciascuno assieme alla mia povera persona, nell’attesa dell’ultima Rivelazione, del giudizio finale e della vita senza fine.

Fatto questo Pietro II, l’ultimo Papa secondo la profezia di san Malachia, si getta fra i due bracci della croce della cupola di san Pietro, proprio sopra l’altare sormontato dal colonnato del Bernini, dove, scrive stavolta direttamente Sergio Quinzio, la Chiesa ha celebrato i suoi falsi trionfi. Con questa decisione il pontefice sancisce la fine della Chiesa cioè pone fine al regno millenario dell’anticristo e prepara così il definitivo ritorno di Cristo.


Il post si può replicare citando l'autore e la fonte http://nuovareligione.blogspot.it/ 




«Vi spiego perché il Papa argentino capisce molto bene il Vaticano»

Il Papa argentino

IL PAPA ARGENTINO

Pubblichiamo un estratto dell’intervista al gesuita argentino Humberto Miguel Yañez, direttore del dipartimento di Teologia morale alla Pontificia Università Gregoriana, che conclude il libro «Tango vaticano» di Iacopo Scaramuzzi (edizioni dell’Asino), prefazione di Goffredo Fofi, da oggi in libreria

IACOPO SCARAMUZZI
ROMA

 

 

Da cosa si riconosce che papa Francesco è gesuita?

 

Da tante cose. Il suo stile di governo è tipicamente gesuita. Per esempio il consiglio dei nove cardinali che lo coadiuvano nella riforma della Curia romana e nel governo della Chiesa si può paragonare alla consulta che ha ogni superiore gesuita, ogni provinciale, fino al generale della Compagnia di Gesù. È un governo che sa abbinare da una parte il confronto, l’ascolto di ciò che la comunità dice, e dall’altra parte la decisione ultima che prende il responsabile, il provinciale, il generale, o il papa. Lo si è visto ad esempio al sinodo straordinario sulla famiglia:  ha incoraggiato tutti a parlare, poi alla fine ha pronunciato un discorso tipicamente gesuita, spiegando che aveva fatto un discernimento tra i diversi atteggiamenti che aveva visto nell’aula sinodale, individuando anche diverse tentazioni emerse, e concludendo che poi tocca a lui prendere decisioni. Un altro tratto tipicamente gesuitico è il discernimento, che nasce nel contesto personale degli esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola e che lui, come si capisce dalla sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ha avuto la capacità di tradurre pastoralmente e comunitariamente. Il discernimento fa crescere la persona. Se tu dici a una persona: “Tu devi fare questo o quello”, come mera applicazione di norme o indicazioni, il rischio è rimanere a uno stadio infantile. Invece si tratta di un processo dialogico, è la persona che in definitiva si confronta con la realtà, con la vita, con gli altri, e, alla luce dei criteri del Vangelo e della tradizione di spiritualità, fa la propria esperienza e decide da sé. Cosa molto diversa dal relativismo. Alcuni non capiscono questo punto. Il relativismo è un’altra cosa, significa non aver nessun parametro e fare delle scelte secondo ciò che mi fa comodo, mi piace o in base all’ideologia dell’ambiente. No, ci sono criteri, non norme fisse, affidati alla coscienza di ogni credente, in modo che possa fare il proprio discernimento. C’è una fiducia nella capacità del cristiano e delle comunità di poter fare discernimento, il papa non deve decidere tutto, piuttosto deve dare criteri, come diceva già Paolo VI nella Octogesima adveniens, e tocca poi alle comunità e ai singoli fare un discernimento, guidati dallo Spirito, che è stato dato a tutta la Chiesa.

 

Da cosa si riconosce che papa Francesco è argentino?

 

Argentino e porteño (argentino di Buenos Aires)!

 

Sono due cose ben diverse?

 

Quella barzelletta che il papa ha detto degli argentini che per suicidarsi si buttano giù dal loro ego, noi la diciamo sui porteñi! Da questo punto di vista, però, lui è un porteño insolito. È un uomo umile. Veramente umile. Tante volte che ho parlato con lui e, grazie alla confidenza che c’è tra noi, ho messo in discussione cose che ha detto o fatto, non ha mai adottato una posizione difensiva.Ha risposto spiegandosi, ma ammettendo che può sbagliarsi.

 

Quindi da questo punto di vista è poco porteño... invece da cosa si vede che è argentino e porteño?

 

Lo si vede non soltanto perché beve il mate!, ma dal modo diretto di dire le cose, talvolta uno stile scherzoso, di presa in giro, che può offendere qualcuno ma in realtà nasce dal fatto che in Argentina non sono forti le discriminazioni. Prendere in giro, in fondo, è una forma scherzosa di accettazione. Noi argentini siamo una società multiculturale, piuttosto aperta, dove il dialogo tra persone di origini e di religioni diverse è normale. È un popolo che ha saputo integrare moltissimi immigrati, io stesso ho origini immigrate, mio padre era spagnolo e mia madre aveva origini italiane, tutti i miei compagni di scuola erano figli o nipoti di migranti.

 

Questo fatto viene talvolta usato come argomento contro di lui: è argentino, non capisce il Vaticano...

 

Io penso che lo capisca molto bene, ma non accetta certe cose. Non è che non capisca, è che non condivide, e poiché è una grande personalità non si lascia strumentalizzare, assuefare, assorbire da certe pratiche o abitudini consolidate. Si è sempre fatto così? Oggi si fa in altro modo. Non si sente prigioniero. Lo dice anche in Evangelii gaudium, quando scrive che dobbiamo rivedere certe consuetudini consolidate nella Chiesa che non servono più.

 

Le novità introdotte da papa Francesco – l’attenzione agli immigrati, l’apertura a chi è più lontano, l’insistenza sulla misericordia, per fare pochi esempi – sono acquisite?

 

Sono due anni di pontificato, dovremo aspettare. Io spero che si avvii un processo che non torni indietro, che la Chiesa si metta in cammino mettendo in discussione o rivedendo uno stile che già il Concilio aveva messo in discussione o rivisto. Un Concilio non può fissare le cose una volta per sempre, è un punto di avvio e un punto di partenza. Bisogna quindi ripartire dal Concilio per andare avanti in una società che non è più la stessa dei tempi del Concilio. Di fronte a questa complessità abbiamo bisogno di una grande flessibilità. Con il Concilio si può dire che la preoccupazione della Chiesa deve essere la persona, non le etichette che mettiamo sulle persone per non riconoscerle nella loro realtà di grazia e di peccato. Siamo tutti peccatori chiamati a diventare santi; mentre la persona ricerca Dio c’è una santità, anche se molti aspetti della sua vita sono in disordine o non in accordo con ciò che Dio le chiede. Ci deve sempre essere un posto per ognuno, una via da percorrere. L’unica esclusione è la libertà dell’uomo che scelga di essere fuori, la Chiesa non può dire: qui non c’è posto per te. Questo è stato sempre detto, però poi magari non è stato applicato in modo profondo e radicale come lo intende papa Francesco.

 

È una mia impressione o ultimamente, diciamo da dopo il sinodo straordinario sulla famiglia, il papa ha decelerato, quasi che il suo compito sia più “seminare” che “raccogliere”, ripetere quanto già detto nei primi due anni di pontificato anziché dire e fare cose nuove?

 

Io lo trovo abbastanza soddisfatto di come vanno le cose. È vero che si ripete, e continuerà a ripetersi, adesso bisognerà mettere in pratica quello che dice, farne realtà. Le iniziative aperte sono già tante, del resto, bisogna approfondire quelle avviate, senza escludere che il papa prenda altre iniziative, come ha fatto ad esempio indicendo l’anno santo della misericordia. A ogni modo ha detto chiaramente qual è la sua “agenda”: una Chiesa malata che viene guarita attraverso l’uscita da sé, recupera la sua vocazione evangelizzatrice e missionaria, cosa che comporta un incontro con la realtà, soprattutto nelle periferie, non solo geografiche ma anche esistenziali, compresi coloro che si sono “allontanati” dalla Chiesa, e lì dobbiamo collocarci per capire la dottrina e il messaggio del Vangelo e cercare di avviare una pastorale realistica, non solo per un gruppo di eletti o di puri, ma per tutti, in primo piano i poveri.

 

Un’ultima curiosità: è vero che Bergoglio ballava il tango?

 

Sì, ho conosciuto una donna che diceva di aver ballato il tango con Bergoglio, prima che entrasse in seminario, e che ballava bene.





[Modificato da Caterina63 08/10/2015 18:40]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)