00 11/06/2014 12:25

...fin dal 1700, l'era dei Lumi, dissero, in verità assistiamo ad un attacco frontale contro il Primato Petrino, indipendentemente da chi siede sulla sua Cattedra.

 

" Si guardino i sacerdoti dall'accettare nessuna delle idee del liberalismo, che, sotto la maschera del bene, pretende di conciliare la giustizia con l'iniquità...(..) I cattolici liberali sono lupi coperti dalla pelle di agnello; perciò il sacerdote, che è veramente tale, deve svelare al popolo, commesso alle sue cure, le loro perfide trame, i loro iniqui disegni. Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi, intransigenti. Vantatevene!

Siate forti, ed ubbidite a quel comando che è ricordato in Isaia :"Grida, non darti posa, alza la voce come una tromba, e annunzia al popolo mio le sue scelleratezze e alla casa di Giacobbe i suoi peccati"......"

Con queste parole il futuro San Pio X, Giuseppe Sarto all'epoca Patriarca di Venezia, così istruiva i Seminaristi della sua Diocesi.

Prendiamo spunto da queste sue parole per affrontare - con questa seconda parte dedicata al Primato Petrino la prima parte la trovate qui - un argomento attualissimo che riguarda non solo noi e il Papa, ma anche i Vescovi (il cui ruolo collegiale con Pietro approfondiremo nella terza parte) Clero diocesano e religioso che, in comunione con Pietro, hanno il dovere e la responsabilità di custodire il "Deposito della fede" per trasmetterlo intatto.

Naturalmente "papalatria", come tutti i termini creati dalle mode del nostro tempo, in sé non esiste, è un termine che useremo in modo provocatorio perché, tuttavia, rappresenta - o ne è l'espressione - una certa realtà nel rapporto odierno fra i fedeli e la figura del Romano Pontefice.

Intanto chiediamoci perché un santo Sacerdote e futuro Pontefice come san Pio X usò il termine "papista" additandolo come vanto?

Per comprendere il significato che Papa Sarto dava al termine bisogna risalire a Lutero (1), si, a lui che per primo usò questo termine, naturalmente in senso dispregiativo e contro coloro che restarono fedeli al Papa dopo le scorribande eretiche di Lutero e la nascita stessa del Protestantesimo.

Papisti, per Lutero, erano tutti quei cattolici che dopo la sua riforma decisero di restare con il Papa difendendone il diritto e l'autorità pontificia, difendendo la vera fede, difendendo la Chiesa Cattolica nel suo corpus dottrinale confermato da Pietro, in una parola, coloro che difendevano il Primato Petrino.

Quindi in teoria "papisti" lo siamo ancora oggi tutti noi cattolici che prestiamo fedeltà ed obbedienza al Romano Pontefice.

Ma vediamo di capire, un momento, come questi significati si sono evoluti oggi.

Dalla metà dell'Ottocento e agli inizi del Novecento (anche sotto san Pio X appunto), con gli eventi della Questione Romana e della caduta degli Stati Pontifici - nonché dopo il Concilio Vaticano I sulla questione dell'infallibilità papale - il termine "papista" cominciò ad assumere un contorno ben più marcato  a livello "politico" per taluni (per esempio quanti difendevano la tenuta del potere temporale in chiave politica) e per altri restava, il Sommo Pontefice, il perno dell'unità dottrinale ed ecclesiale.

In poche parole sembrava non bastasse più definirsi "Cattolici" ma che fosse diventato necessario sottolineare una comunione diretta con il Pontefice, magari attraverso un epiteto ad effetto.

Non è un caso che il Successore di san Pio X, Papa Benedetto XV nel 1914 ritenne opportuno sottolineare l'uso di certi termini nel Documento "Ad beatissimi Apostolorum" nel quale vi si legge:

"Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come « profane novità di parole », che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione.

Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo; o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina".

Perciò, quando ci sentiamo dire: "sono papista, lo ha detto san Pio X", andiamoci piano! Non è esattamente così.

San Pio X appoggiava e sosteneva il significato del termine usato, però, dai nemici del papato e della Chiesa, e non quale nuovo aggettivo per definire un cattolico!

Siamo perciò "papisti" non perché tale appellativo è un "epiteto alla professione del cattolicesimo", quanto piuttosto perché usato dai nemici della Chiesa per offenderci, offendere la nostra comunione con il Pontefice.

In tal senso, per San Pio X l'epiteto non può offenderci, ma deve essere "un vanto", anzi  è un vanto unito ai termini quali "clericali, retrogradi o intransigenti" come ha spiegato lo stesso Pontefice.

Questo è essere veramente "papisti": perseguitati perché si professa integralmente la fede-dottrina della Chiesa e si difende l'autorità del Sommo Pontefice in quel comando divino: "...e tu Pietro, conferma gli altri nella fede" (cfr Lc.22,31-32).

Oggi infatti assistiamo anche ad una sorta di contro altare del termine, l'essere "papisti" infatti ha assunto contorni diversi. Intanto lo si è assunto quale termine identificativo contrariamente a quanto affermato da Benedetto XV nella sua condanna ad assumere nuovi epiteti, inoltre ha assunto un significato diverso. Essere "papisti" oggi, per alcuni, significa essere più papi del Papa stesso, difendere cioè il ruolo del Pontefice da sé stesso!

Si, abbiamo letto bene: difendere il Papa da sé stesso.

Un conto è infatti pregare per il Papa e per il suo ministero, aiutarlo come facevano i grandi Santi specialmente Santa Caterina da Siena, altra cosa è l'agire di un certo papismo moderno che pone il Pontefice in un atteggiamento schizofrenico, in lotta contro se stesso!

E dall'altro lato basti pensare, come esempio, a tutti quei fedeli che osannando il Pontefice regnante, accusano Benedetto XVI di essere persino un eretico, o un antipatico o, insomma, si inneggia ad un Papa a seconda dei sentimenti che si provano nei suoi confronti umani, dimenticando invece l'aspetto trascendentale del ruolo che ricopre.

Facciamo ora un ulteriore passo in avanti.

Chiarito questo aspetto scaturirebbero da qui centinaia di domande, tutte legittime, ne prendiamo una che abbiamo ricevuto da un sacerdote.

Il Sacerdote che ci ha scritto ci ha elencato una serie di problemi reali e concreti all'interno della sua parrocchia: abusi liturgici, stravolgimento dottrinale, autoreferenzialità nell'esporre le Norme  che disciplinano un rito o lo stesso Catechismo, e quant'altro.

Dopo aver tentato in diversi modi di reagire e di portare la famosa e quanto più dimenticata "correzione fraterna", il Sacerdote sente di aver fallito e si è arreso davanti a questa situazione incresciosa, così ci ha scritto e del passo che riteniamo molto significativo, egli scrive:

"Ecco la mia vigliaccheria, non ho saputo  reagire, chi avrebbe voluto reagire rimanendo solo ha con me taciuto, ma io forse avrei dovuto dare l'esempio, ma per fare cosa? Mi sono rifugiato nel silenzio, pregando e leggendo il Santo Curato d'Ars, ma lui aveva almeno il Papa alla sua parte, oggi portano come esempio il Papa non per correggere gli errori, ma per sostenere gli abusi...."

Dove e come si configura oggi il termine "papista"  o, dall'altro versante tale certa papalatria, all'interno di una situazione così grottesca e paradossale a tal punto che non avremmo più un Papa che ci sostiene nella lotta contro gli abusi liturgici, l'eresia o se preferite l'apostasia, ma un Papa usato e strumentalizzato per legittimare gli abusi, per legittimare la contro-informazione a riguardo della sana dottrina, etica e morale, per legittimare la caduta dell'uomo del nostro tempo?

Domanda ed uso del condizionale d'obbligo poiché basterebbe prendere migliaia di citazioni dei recenti Pontefici, compreso quello regnante, per comprendere che di strumentalizzazioni si tratta, e che i Papi non hanno affatto legittimato gli abusi, l'eresia o l'apostasia.

In verità quel che manca un pò ai Papi oggi è quel:"tra il dire e il fare v'è di mezzo un mare" nel senso che laddove il Magistero riesce ad essere ancora credibile e comprensibile a riguardo di certe condanne, dall'altra parte, all'atto pratico non troviamo il sostegno dei Pontefici nell'applicazione di questo Magistero sempre più risicato e sempre più filtrato dal "politicamente corretto".

In due parole trattasi del monito di nostro Signore: "Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt.5,37) accompagnato e sostenuto dall'autentica apertura apportata dalla predicazione paolina: "Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno" (Col.4,6).

Come si può essere autenticamente "papisti", oggi, senza rischiare di diventare più "papisti del Papa stesso" e neppure così "autoreferenziali" come indicava recentemente il Papa?

Basta davvero ciò che valeva fino a cinquanta anni fa, ossia: "bisogna obbedire al Papa e basta; il Papa ha sempre ragione; qualunque cosa accada io sto con il Papa, ecc..."?

Nell'ultima osservazione, senza dubbio sì: qualunque cosa accada "restare con Pietro" diventa davvero l'unico faro imponente in questo mondo che avanza nelle tenebre più fitte. Così come è pacifico il dovere dell'obbedienza a Pietro.

Tuttavia il punto invece che è possibile discutere è quel "il Papa ha sempre ragione", perché questa "ragione" ha una dipendenza ed è la trasmissione integrale della Fede e della Dottrina della Chiesa di cui il Papa è il custode non il padrone. Quindi anche il Papa è soggetto ad una obbedienza, è soggetto alla conversione, è soggetto a quel "morire a se stessi".

Non vi è affatto contraddizione nell'obbedire al Papa e al tempo stesso muovergli delle critiche - umili e sensate che spetterebbero in primo luogo ai Vescovi e Cardinali - laddove le sue scelte sociali e politiche risultassero errate, o comunque superate. Abbiamo molti esempi, possiamo citare la famosa "cattività avignonese" per confermare così un fatto storico.

Oppure il breve episodio di San Marcellino Papa (296-304), il Liber Pontificalis, che si basa sugli Atti di San Marcellino, narra che durante la persecuzione di Diocleziano, Marcellino venne chiamato per compiere un sacrificio, e offrì incenso agli idoli, ma che, pentendosi poco dopo, confessò la fede in Cristo e soffrì il martirio assieme a molti compagni, altri documenti parlano della sua defezione, ed è probabilmente questa sua mancanza che spiega così il silenzio su di lui degli antichi calendari liturgici.

«Non si fa più difficoltà ad ammettere che da un secolo tutto è cambiato non solo sulla terra, ma anche in cielo; che sulla terra c’è un’umanità nuova e in cielo un Dio nuovo. Il che è tipico dell’eresia: esplicitamente o implicitamente ogni eresia ha pronunciato questa bestemmia».

(2).

 

O come quest'altro esempio: Commonitorio di San Vincenzo di Lerino Capitolo IV

 

Che s'abbia a fare in caso di divisioni nella Chiesa.

 

"Che farà pertanto un Cristiano cattolico, se qualche piccola porzione di battezzati siasi separata dalla comunione di tutti i fedeli?

Che altro in vero avrà a fare, se non anteporre a un membro putrido e contagioso tutto il restante del corpo sano?

E se qualche nuova infezione non contenta d'attaccare una sola piccola parte, tenti di dare il guasto a tutta la Chiesa, che farà egli allora?

Avrà allora l'avvertenza di tenersi forte all'antichità, la quale non è più affatto soggetta alle fallaci seduzioni della novità.

E se se in mezzo alla stessa antichità traviata rinvengasi qualche partita d'uomini, o qualche intera città, o tutt'anche una provincia, come s'avrà a contenere?

In questo caso sarà sua cura di dare la preferenza sopra la temeriarità e l'ignoranza di pochi a' decreti di tutta la Chiesa, quando ve n'abbia d'universalmente ab antico accettati...."

 

San Vincenzo fu un monaco di Lerino, verso la fine del V secolo. La sua biografia l’abbiamo da Gennadio di Marsiglia, in “De Scriptoribus Ecclesiasticis”.

Nel “Commonitorio” l’Autore ci offre “una Regola a canone”, per riconoscere con certezza le eresie sorte nella Chiesa.

Ecco la “Regola”:

« Non è sicuramente cattolica , e quindi va respinta, ogni novità in contrasto con quanto sempre e dovunque è stato creduto e insegnato nella Chiesa Cattolica ».

Naturalmente, il fondamento del canone vincenziano è l’infallibilità della Chiesa, la quale, per questo, non può contraddirsi.

Quindi, quando nella Chiesa sorge una novità in contrasto con quanto Essa ha sempre insegnato, non è buon grano, ma è la zizzania dell’errore, seminata dall’“inimicus homo”.

In tempi di eretici, come oggi, che richiedono una maggiore attenzione, il canone vincenziano fissa il criterio per discernere l’errore, per cui il canone possiede una validità indiscutibile ed intramontabile.

San Vincenzo, comunque, non esclude che si possa «comprendere più chiaramente ciò che già si credeva in maniera molto oscura, per cui le “generazioni future” potrebbero rallegrarsi d’aver compreso “ciò che i loro padri avevano venerato senza capire”, ma il chiarimento non può contraddire ciò che la Chiesa ha fino ad oggi insegnato.

Dopo aver spiegato, nel “Commonitorio”  al N° 22, si riporta l’ammonizione paolina:

«O Timoteo, custodisci il “deposito”, richiama che il deposito (della Fede) è ciò che ti è stato affidato, non trovato da te! (…) non uscì da te, ma a te venne; nei suoi riguardi tu non puoi comportarti da autore, ma da semplice custode! (…). Non spetterà a te dirigerlo, ma è tuo dovere seguirlo».

Al N° 23, San Vincenzo formula l’oblazione: «Forse qualcuno dirà: “Nessun progresso della religione è allora possibile nella Chiesa di Cristo?” e risponde: “Certo che il progresso ci deve essere e grandissimo! Chi sarebbe tanto ostile agli uomini e avverso a Dio di tentare di impedirlo?” A condizione, però, che si tratti veramente di progresso per la Fede, non di modificazione.

Caratteristica del progresso è che una cosa si accresca, rimanendo sempre identica a sé stessa; della modificazione, invece, è che una cosa si trasformi in un’altra».

Progresso, dunque, sì, ma «“in eodem sensu et in eadem sententia” (nello stesso senso e nella stessa formula), perché, se così non fosse, avremmo la sgradita sorpresa di vedere i rosai della dottrina cattolica trasformarsi in cardi spinosi e la zizzania spuntare dai germogli del cinnamomo e del balsamo» (N° 23).

San Vincenzo, quindi, non esclude lo sviluppo dottrinale, ma ne fissa i limiti, affinché si collochi di sostanziale identità con l’antico!

Il Commonitorio, quindi, è ben lungi da una immobilità cadaverica, perché offre delle immagini efficienti e appropriate del carattere vivo della Tradizione e della sua sostanziale immutabilità.

 

Leggiamo ancora quanto scrive San Vincenzo al N° 23:

«Che la  religione delle anime imiti il modo di svilupparsi dei corpi, i cui elementi, benché col progredire degli anni evolvano e crescano, rimangono, però, sempre gli stessi (…), e se qualche cosa di nuovo appare in età più matura già preesisteva nell’embrione, cosicché nulla di nuovo si manifesta nell’adulto che non si trovasse in forma latente nel fanciullo».

In quelle righe, il Santo lerinese mostra l’intuizione dello sviluppo dottrinale come esplicazione omogenea del dato rilevato (explicatio Fidei).

Se, invece, con l’aumento dell’età «la forma umana prendesse un aspetto estraneo alla sua specie, se le fosse aggiunto o tolto qualche membro, necessariamente tutto il corpo perirebbe e diventerebbe mostruoso o perlomeno si debiliterebbe».

«Le stesse leggi di crescita devono seguire il dogma cristiano… senza ammettere nessuna perdita delle sue proprietà, nessuna variazione di ciò che è definito».

È, insomma, il grano di senape del Vangelo che, per diventare albero, resta sempre di senape.

Ora, questo è sempre il “principio di non contraddizione” o di identità sostanziale, che consente di distinguere tanto la verità cattolica dall’errore quanto il legittimo sviluppo della corruzione dottrinale.

Il Vaticano I, al capo 4, ha sancito questo principio, riprendendo testualmente dal N° 23 del “Commonitorio” la norma canonica dello sviluppo dottrinale “in eodem sensu, in eadem sententia” (Conf. Denz. 1800, 11 capo, p. 5-6).

È chiaro, perciò, che San Vincenzo di Lerino aveva un vivissimo senso della Chiesa e che la Chiesa stessa, citandolo in un Concilio dell'epoca moderna, lo tiene ancora oggi in alta considerazione.

Per Lui, la Sacra Scrittura va letta con la Chiesa, «perché la Scrittura, causa della sua stessa sublimità, non è da tutti intesa in modo identico e universale. Si potrebbe dire che tante siano le interpretazioni quanti i lettori (…). È dunque sommamente necessario, di fronte alle molteplici e aggrovigliate tortuosità dell’errore, che l’interpretazione dei Profeti e degli Apostoli si faccia a norma del senso ecclesiastico e cattolico» (N° 2).

La Tradizione è “la Tradizione della Chiesa cattolica”, ossia è la fede della Chiesa universale, attestata dagli antichi Concili ecumenici, dal consenso unanime dei Padri che «rimasero sempre nella comunione e nella fede dell’unica Chiesa cattolica e ne divennero maestri approvati» (N° 3).

 

Infine San Vincenzo ritiene anche che la ricerca di un criterio, per discernere la verità cattolica dall’errore, ha tutta la ragione di essere interna alla Chiesa, affinché il Magistero stesso si possa pronunciare, così che il cattolico sia difeso dall’errore, magari da errori proposti da persone investite di autorità nella Chiesa, fattesi “Maestri della Chiesa”, come avvenne con Nestorio, patriarca di Costantinopoli; come Fotino, eletto alla sede episcopale di Sirmio (Pannonia); come il vescovo Donato, ecc...  «con la più grande stima di tutti» (N° 11).

Come non pensare oggi ai tanti "don Gallo" disseminati nella Chiesa, lasciati liberi di seminare l'errore senza che la Gerarchia faccia un solo passo per ammonire questi sacerdoti erranti? Come non pensare alla situazione gravissima di un laico che si è autoelevato a dicitura di monaco fondando un monastero modernista e che invece di fare il monaco va in giro per le diocesi a seminare veleni dottrinali con il tacito e a volte esplicito consenso di non pochi vescovi -si legga qui - ?

In questo caso San Vincenzo, lo abbiamo letto, è chiarissimo: "E se qualche nuova infezione non contenta d'attaccare una sola piccola parte, tenti di dare il guasto a tutta la Chiesa, che farà egli allora? Avrà allora l'avvertenza di tenersi forte all'antichità, la quale non è più affatto soggetta alle fallaci seduzioni della novità", ma sempre da dentro la Chiesa deve avvenire che sia il Magistero a dire l'ultima parola.

 

Può anche darsi che novità eretiche tentino di «contagiare e contaminare la Chiesa intera», come nel caso dell’eresia ariana, in cui le verità più sicure vengono sovvertite, negate, messe in dubbio «per l’introduzione di credenze umane al posto del dogma venuto dal cielo», «per l’introduzione di un’empia innovazione, e così l’antichità, fondata sulle più sicure basi, viene demolita, vetuste dottrine vengono calpestate, i decreti dei Padri lacerati, le definizioni dei nostri maggiori annullate, per una sfrenata libidine di novità profane da annullare la Tradizione sacra ed incontaminata» (N° 4).

 

«L’antichità, quindi non può essere turbata da nessuna nuova menzogna»(N° 3).

 

Concludendo questa parte, diciamo che la regola dataci da San Vincenzo di Lerino è una regola oggettiva, perché il giudizio che ne deriva è un giudizio cattolico, fondato sulla Fede costante e immutabile della Chiesa cattolica, ben diverso dal giudizio soggettivo protestantico, liberale, modernista ed è, senza rischio di smentita, quella regola che deve istruire oggi coloro che vogliono definirsi veramente "papisti" per combattere proprio una forma di papilatria che non consentirebbe più quello sviluppo a cui San Vincenzo si riferiva, perché con tale "latria" si pretenderebbe da parte di Papi e Vescovi il ribaltimento dottrinale.

Insomma: NO! ad una forma di latria del Papa di turno, sì invece ad un sano papismo contro ogni manifestazione di rovesciamento sia del Primato Petrino, quanto del Deposito della fede.

E se non bastasse leggiamo ancora quest’altre parole di San Vincenzo:

«Ciò che dobbiamo massimamente notare, in questo coraggio quasi divino dei confessori della Fede, è che essi hanno difeso l’antica fede della Chiesa universale e non la credenza di una frazione qualunque (…). È nei decreti e nelle definizioni di tutti i Vescovi della Santa Chiesa, eredi della verità apostolica e cattolica che essi hanno creduto, preferendo esporre sé stessi alla morte piuttosto che tradire l’antica fede universale» (N° 5).

E poi al N° 6 scrive: «Essi, raggiungendo a guisa di candelabro settuplo la luce settenaria dello Spirito Santo, hanno mostrato ai posteri, in maniera chiarissima come in futuro dinanzi a ogni iattanza parolaia dell’errore, si possa annientare l’audacia di empie innovazioni con l’autorità dell’antichità consacrata».

Sono parole di un teologo serio, preciso e ben informato, quale fu San Vincenzo di Lerino col suo “Commonitorio”, le cui pagine vigorose e vibranti di autentica fede cattolica ci spronano a collaborarci nella Fede, la prima virtù teologale, condizione indispensabile della nostra salvezza! (c.p. 6-7).

Non possiamo concludere questo articolo senza riportare dal Documento della CTI (Commissione Teologica Internazionale) del 1990, presieduta all’epoca dal card. J. Ratzinger:

L’Interpretazione dei Dogmi, tratto dal Libro: CTI Documenti 1969-2004 Ed. ESD pag. 381-421, quanto segue.

“ Le dichiarazioni del Magistero circa l’interpretazione dei dogmi sono chiare in proposito e non lasciano dubbi: la storia dei dogmi è il processo di una interpretazione ininterrotta e viva della Tradizione (…) il Vangelo è trasmesso nella Paradosis della Chiesa Cattolica guidata dallo Spirito Santo”.

Non a caso il Concilio di Trento difendendo questa dottrina, metteva al tempo stesso i fedeli in guardia contro una interpretazione privata della Scrittura, sottolineando come spetti alla Chiesa giudicarne il senso autentico e la corretta interpretazione.

Idem fece il Concilio Vaticano I° nel riaffermare Trento anzi, approfondendo ulteriormente, ha riconosciuto uno sviluppo dei dogmi purchè, tale sviluppo: “ si compia nel medesimo senso e secondo lo stesso significato - eodem sensu eademque sententia." citando proprio San Vincenzo e quanto abbiamo dispiegato fino a qui.

In sostanza: “ per ciò che riguarda i dogmi, si deve mantenere il senso definito una volta per tutte dalla Chiesa”.

Pio XII ritorna su questi aspetti nell’Enciclica Humani generis nella quale rilancia un nuovo avvertimento contro un “relativismo dogmatico” che, abbandonando il modo di esprimersi della Chiesa finisce per usare termini che mutando lungo il corso della storia per esprimere il contenuto della fede, finisce per modificarne il contenuto, relativizzandolo alla comprensione del momento impedendone, così, la comprensione cattolica=universale già sostenuta dalla Chiesa.

Non a caso lo stesso Paolo VI nell’Enciclica Mysterium Fidei (del 1965) ritorna sull’argomento sottolineando anzi, insistendo, sulla necessità che: “si devono conservare le espressioni esatte dei dogmi fissate dalla Tradizione…”.

Commette un grave errore ( e lo ha commesso) chi, usando il Concilio Vaticano II, ha pensato (e pensa ancora oggi) che fosse (e che sia) innocuo modificare la terminologia usata per la proclamazione dei dogmi! E’ come se si fosse preteso (o si pretendesse) di modificare la terminologia usata per il Teorema di Pitagora, o di modificare le regole matematiche pensando di non apportare alcun danno alla applicazione delle stesse.

Il tentativo continuo, da dopo il Concilio, di pretendere di spiegare i dogmi o le dottrine - per non parlare della Santa Messa -  modificandone la terminologia ha finito, in verità, per snaturalizzarli…

Così come non a caso nel 2007, la CdF ha dovuto emanare ulteriori chiarimenti per le: “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”.

Cinque domande, cinque risposte!

La prima spiega, appunto, che il Concilio Vaticano II “né ha voluto cambiare, né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente”.

Infatti il Concilio  presentò la dottrina tradizionale della Chiesa in un contesto più ampio valorizzando, semmai, la questione anche storica dei dogmi, leggiamo infatti nella DV, n.8:

“vi è nella Chiesa un progresso nella comprensione della Tradizione apostolica…”, vi è pertanto un progresso, non un regresso come è di fatto avvenuto in molti ambiti ecclesiali!

E cosa intendesse la Chiesa per questo “progresso” lo spiegò chiaramente Giovanni XXIII si legga qui - al Discorso di apertura del Concilio del giorno 11.10.1965 quando disse che, l’insegnamento della Chiesa, pur conservando sempre lo stesso senso e lo stesso contenuto, deve essere trasmesso agli Uomini, integralmente, in una maniera viva e corrispondente alle esigenze del loro tempo!

Le "esigenze del tempo" tuttavia, non possono essere l'espediente per snaturare le dottrine o modificarle, questo tempo esige il coraggio della vera fede e la carità nella verità, le esigenze saranno allora contenute nei modi attraverso i quali offrire al mondo questa dottrina e non è il contenuto da adattare al tempo eretico che stiamo vivendo.

 

Abbiamo tentato una sintesi del vasto argomento attuale, proprio del nostro tempo, a riguardo del Primato Petrino e del come siamo chiamati a relazionarci in esso.

Con le debite limitazioni e riserve possiamo, pertanto, applicare al Vicario di Cristo una stupenda definizione che Gesù ha dato di Se stesso.

Gesù disse: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio" (Gv.14,3-6).

- Ego sum via: il Papa è la via al Cristo come Cristo è la via al Padre; via necessaria ed unica, sicura e facile.

Sulle labbra del Pontefice queste parole non sono appropriazione indebita, seppur certamente nei suoi limiti, perché quello che Gesù Dio fatto Uomo è per natura senza limiti, è diventato per partecipazione il suo Vicario in terra, in ordine e nella misura dell'Ufficio a lui conferitoGli.

"Si trovano in un pericoloso errore - spiega il Ven. Pio XII - quelli che ritengono di poter aderire al Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al Suo Vicario in terra. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli dell'unità, essi oscurano e deformano talmente il Corpo mistico del Redentore da non potersi più nè vedere nè rinvenire il porto della salute eterna" (3)

Che avverrebbe, infatti, della Chiesa senza il Papa? Una Chiesa acefala e destinata alla sterilità, rispondevano alcuni Padri della Chiesa: Pietro senza i Vescovi non potrebbe governare, ma lo stesso i Vescovi senza Pietro non esisterebbero. L'assenza di Pietro è la paralisi totale!

 

- Ego sum veritas: Verità essenziale e nell'essenziale, fonte indefettibile per ogni uomo è Gesù Cristo Nostro Signore, luce del mondo (Gv.8,12); oltremodo, spiegano i Padri della Chiesa, è il Vicario di Cristo "con Christo, per Christo ed in Christo", fatto da Lui depositario e maestro di tutte le verità religiose e morali che sono necessarie all'uomo di ogni tempo, per raggiungere il fine della salvezza eterna.

Nel campo del magistero papale entrano così tutte quelle realtà dottrinali che toccano in qualche modo la vita religiosa ed anche laicale degli uomini, nella teoria e nella pratica, nella fede e nella morale (4).

Comprenderemo bene perchè fin dal 1700, l'era dei Lumi, dissero, in verità assistiamo ad un attacco frontale contro il Primato Petrino, indipendentemente da chi siede sulla sua Cattedra. Certo le simpatie verso un Papa che ad un altro giocano oggi un ruolo fondamentale nella visione mediatica fino a raggiungere una nuova forma di latria verso il Papa stesso, ma tutte queste simpatie in verità sono e saranno strumento per attaccare la Cattedra di Pietro e lasciare il Papa in una sorta di generico interesse sentimentale e spiritualistico, se non perfino sincretistico, una nuova idolatria!

Le teorie infatti, sviluppatesi in campo liberale, che pretendono di togliere al Pontefice Vicario di Cristo il munus regendi, eliminando il significativo valore etico a queste attività proprie del ministero petrino per ricacciarle in una sorta di vita privata, ripugnano da sempre al buon senso ed alla retta coscienza di cattolici, e furono ripetutamente condannate dai Sommi Pontefici.

Resta quindi inconcusso  (e sempre auspicabile che il Papa lo eserciti) il principio della legittimità dell'intervento del Vicario di Cristo in tutte le materie che riguardano l'Uomo: maschio e femmina, fin dal loro concepimento e fino alla loro morte, con tutto ciò che la vita richiede nella guida, in quella via, verità e vita annunciate dal Cristo.

 

- Ego sum vita: nel Corpo Mistico della Sua Chiesa, il magistero e il ministero sacro, perviene ai singoli membri in luce di grazia che sublima alla partecipazione della natura divina mediante i Divini Misteri quali la Liturgia, la Messa, i Sacramenti, ecc... in questo Corpo Mistico dunque, chi dirige e mantiene in attività gli organi produttivi e conservativi della vita è il Capo, ossia, Gesù Cristo nostro Signore, il quale opera visibilmente per mezzo del suo Vicario.

In tal senso il Papa è la via "in Christo, per Christo e con Christo" per l'ordinamento e la costituzione del Corpo Mistico, ma chi feconda poi questo lavoro è il Capo, è la Santissima Trinità che pur agendo in modo autonomo dal Suo Vicario, agisce sempre in modo da far combaciare quest'unica via, anche quando un Papa sbagliasse...

In sostanza l'errore di un Papa non viene fecondato e non rientra in quell'ego sum vita, via, veritas, ma da lui, dal Papa, dipendono sempre l'ordinamento gerarchico e ministeriale, la disciplina ecclesiastica, l'autorevole pensiero cattolico, l'insegnamento religioso-dottrinale-catechetico-morale, Sacramenti e liturgie, la vita soprannaturale della grazia per l'organismo visibile della Chiesa.

Se un Papa sbagliasse qualcosa, il Signore stesso metterebbe - come ha fatto molte volte - riparo, ma se il Primato petrino subisse un allontanamento volontario dalle regole imposte dal Capo, Gesù Cristo, sarebbe la paralisi dell'organizzazione o peggio, l'anarchia assoluta, la disfunzione della Gerarchia, l'inefficacia del magistero dottrinale, caduta del Sacerdozio ordinato, scompagine delle membra e degli organi vitali, in una parola il dissolvimento del Corpo!

Ma tutto ciò non potrà avvenire mai non per i meriti di un Papa, ma per la promessa del Capo: "e le porte degli inferi non prevarranno" (Mt.16, 17-19), il famoso "non praevalebunt" che ci garantisce non solo la vittoria della Chiesa, ma ci legittima e ci spinge in quell'obbedienza a Pietro, a prescindere dal Papa che regna.

In un testo di Padre Emmanuel Andrè, intitolato "La Sainte Eglise", si parla degli ultimi tempi della Chiesa e, riportando ampi stralci di parole profetiche pronunciate dal grande San Gregorio Magno, scrive:

"La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!

La Chiesa - dice più volte il grande Papa - verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d'appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali.

Il potere dei miracoli - dice - sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno. Così dicendo non si vuole dire che non ci sarà più nulla di tutto questo; ma tutti questi segni non brilleranno più apertamente e sotto mille forme come nei primi secoli. Sarà anche l'occasione - spiega ancora il Pontefice - di un meraviglioso discernimento. In questo stato umiliato della Chiesa, aumenterà la ricompensa dei buoni, che aderiranno a lei unicamente in vista dei beni celesti; quanto ai malvagi, non vedendo più in lei alcuna attrattiva temporale, non avranno nulla da nascondere, si mostreranno quali sono" (Moralia in Job, libro 35).

E prosegue Padre Emmanuel. "Che parola terribile: taceranno gli insegnamenti della dottrina! San Gregorio proclamava altrove che la Chiesa preferisce morire che tacere. Dunque parlerà ancora, ma il suo insegnamento sarà ostacolato, la sua voce coperta; molti di coloro che dovrebbero gridare sopra i tetti non oseranno farlo per paura degli uomini..." (5)

 

Concludiamo con una "profezia" di Pio XII:

«Supponete, caro amico, che il comunismo non sia che il più visibile degli strumenti di sovversione contro la Chiesa e contro la tradizione della Rivelazione divina, allora noi stiamo per assistere all’invasione di tutto ciò che è spirituale, la filosofia, la scienza, il diritto, l’insegnamento, le arti, la stampa, la letteratura, il teatro e la religione. Io sono assillato dalle confidenza della Vergine alla piccola Lucia di Fatima.

Questa ostinazione della Buona Signora davanti al pericolo che minaccia la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio che rappresenterebbe l’alterazione della fede, nella sua liturgia, la sua teologia e la sua anima. Io sento intorno a me dei novatori che vogliono smantellare la Cappella sacra, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rifiutare i suoi ornamenti, darle rimorso per il suo passato storico.

Ebbene, mio caro amico, ho la convinzione che la Chiesa di Pietro deve rivendicare il suo passato – altrimenti si scaverà la fossa. Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, in cui la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato. Essa sarà tentata di credere che l’uomo è diventato Dio, che il Suo Figlio non è che un simbolo, una filosofia come tante altre, e nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta, come la Maddalena davanti alla tomba vuota: dove l’hanno messo?» (6)

 

Non si riflette mai abbastanza che la nostra vita intima, di cattolici e dunque sudditi, di fede e di grazia si trova in dipendenza della nostra comunione col Papa; i palpiti del cuore non si avvertono senza porvi speciale attenzione, affetto, figliolanza, preghiera e sacrificio per il suo alto Ministero, perchè abbiamo una garanzia infallibile: "non praevalebunt".

 

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la prima parte la trovate qui -  la terza parte sarà dedicata alla "comunione dei Vescovi e la collegialità".

 

Sia lodato Gesù Cristo

Sempre sia lodato

 

Note

 

1) Le origini del protestantesimo nella complessità soggettiva di Lutero

2) Louis Veulliot (1813-1883): in “L’illusione liberale”; scrittore cattolico, fu convinto sostenitore dell'infallibilità pontificia e del potere temporale del Papa fu oppositore di Charles de Montalembert. Difese l’insegnamento privato religioso in Francia.

3) Ven. Pio XII Enciclica  Mystici Corporis Christi marzo 1943

4) cfr. Giovanni Paolo II Ad tuendam fidem del 18 maggio 1998:

"Can. 598 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata cioè nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad esse non corrisponda.

§ 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente..."

5) Padre Emmanuel Andrè, La Sainte Eglise, Clovis, 1997, pag.296

6) Brano tratto da una lettera del 1936 del Cardinale Eugenio Pacelli al Conte Enrico Pietro Galeazzi, pubblicata in francese sul libro “Pie XII devant l’histoire”, Laffont, Paris, 1972, pp. 52-53, scritto da Mgr. Georges Roche e da Père Philippe St. Germain.







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)